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La tradizione alessandrina



Origene[1]
 
 
1. Introduzione
 
Proseguiamo la presentazione e il commento di alcuni testi patristici relativi alla forma­zione sacerdotale. Mi riferisco ora alla cosiddetta «tradizione alessandrina».
Alessandria - lo abbiamo già detto - pare accogliere due istanze complementari rispetto al­la tradizione antiochena, vale a dire l‘allegoria in esegesi e la valorizzazione della divinità del Verbo in cristologia. Più in generale, Alessandria è ben distante dal cosiddetto «materialismo» asiatico, di cui si parlava nel secondo capitolo: questo appare evidente anche in ambito ecclesiolo­gico e, in particolare, nella concezione del ministero ordinato.[2]
Per illustrare gli orientamenti alessandrini sul tema della formazione sacerdotale, mi limito a un solo esempio, peraltro massimamente rappresentativo: mi riferisco a Origene, soprattutto alle sue Omelie sul Levitico, pronunciate a Cesarea di Palestina tra il 239 e il 242. Siamo ormai a qual­che anno dalla grave crisi che - a causa dell‘ordinazione sacerdotale, conferitagli intorno al 231 dai vescovi di Cesarea e di Gerusalemme all‘insaputa del vescovo di Alessandria - oppose Origene e il suo ordinario Demetrio. La crisi restò aperta, e causò appunto il trasferimento di Origene a Cesarea.
 
Erede della tradizione alessandrina in Occidente - soprattutto in ambito esegetico - è Ambrogio, vescovo di Milano (+ 397).[3] Ma di Ambrogio e di Agostino, suo «discepolo», abbia­mo già parlato nel primo capitolo. Ad ogni modo, per completare il discorso, rinvio alla relazione del padre Janssens, a suo tempo citata, sulla verecundia (o sul «degno comportamento») dei chie­rici nel trattato ambrosiano De officiis [ministrorum].[4]


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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 15-GIU-09
 

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