Caterina, Lettere 311
311
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissimi frategli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere rilucere in voi la margarita della santa giustizia, acciò che giustamente rendiate a ciascuno il debito suo.
A cui siamo noi debitori? A Dio e alla santa Chiesa e al prossimo nostro per lo comandamento di Dio, e a noi medesimi. Vediamo che debito è questo: è così-fatto, che a Dio doviamo rendere, per amore, gloria e loda al nome suo. A noi à dato amore, a noi à dato onore: però che egli ci amò prima che noi fussimo; e àcci fatto onore tollendoci la vergogna - nella quale cademmo per lo peccato di Adam - nel sangue del suo Figliuolo, nel quale ricevemmo el frutto della grazia, la quale fu una utilità la maggiore che potessimo ricevere, perché ci tolse la morte e diedeci la vita.
Adunque a lui doviamo rendere onore e amore; ma utilità a lui non potiamo fare, sì che la doviamo fare al prossimo nostro, sovenendolo secondo la possibilità nostra, rendendoli el debito della dilezione, sì come ci è comandato - dicendo la Verità etterna: «Ama Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come te medesimo» (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27)-. A noi doviamo rendere odio e dispiacimento del vizio e della propria sensualità che n'è cagione; e amore delle virtù, amandole in noi per Dio con affettuoso amore.
Ma el contrario pare che noi facciamo - sì come ladri e malvagi debitori, tollendo l'altrui con molta ingiustizia -: cioè che l'onore e l'amore che doviamo dare a Dio e al prossimo nostro, noi el diamo a noi medesimi. A noi diamo l'onore, come superbi, cercando gli stati delizie e grandezze del mondo con offesa di Dio, con atribuire e reputare per nostro sapere avere ciò che noi aviamo; e, sì come ignoranti, facciamo vituperio a Dio. A noi diamo l'amore, e a lui l'odio: non amore ragionevole, ma amore sensitivo; a lui diamo la puzza, e a noi l'odore, cercando i diletti e il piacere umano. Ma, come ciechi, noi non vediamo el danno, la puzza, e le pietre delle nostre iniquità che caggiono pure sopra di noi (Pr 26,27), perché a lui el nostro male non nuoce, né il nostro ben gli giova, perché egli non à bisogno di noi, ma sì noi di lui.
Al prossimo rendiamo odio e rancore, commettendo molte ingiustizie; unde, se egli è signore, non tiene al prossimo ragione né giustizia - se non per propria utilità, o per piacere alle creature o a sé medesimo, e non col lume di ragione -; egli non si cura di tòllerli l'onore, la fama e la substanzia temporale, ed eziandio la vita. Con tanta ingiustizia governa e' sudditi suoi come se egli non avesse signore sopra di sé: non pensa che la verga del sommo giudice gli possa rendere di quello che egli dà ad altrui. Non attende al bene universale e comune, ma solamente al suo proprio bene, come accecato dal proprio amore.
Questi non rendono el quarto debito alla santa Chiesa e al vicario di Cristo. Che debito le doviamo rendere? Una debita reverenzia, uno amore filiale: non solamente con le parole ma, come veri figliuoli, sovenire al padre nel tempo del bisogno, la ingiuria che è fatta a lui reputandola fatta a noi; e metterci ciò che si può, per levarli el nemico suo d'inanzi. Ma questi cotali fanno tutto el contrario. Pigliando una falsa cagione, dicono: «E' sonno tanti e' defetti loro, che noi non n'aviamo altro che male; unde non è degno di riverenzia, né d'essere sovenuto. Fusse quello che egli debba essere e attendesse alle cose spirituali e non a le temporali!» E così, come ingrati e scognoscenti, non rendono riverenzia né obbedienzia né adiutorio, ma spesse volte sottragono coloro che 'l volessero aiutare, con molta irreverenzia, come persone accecate dal proprio amore.
Non vediamo che la cagione nostra è falsa, però che in ogni modo, o buono o gattivo che egli si fusse, noi non doviamo ritrare adietro di non rendere il debito nostro, però che la reverenzia non si fa a lui in quanto lui, ma al sangue di Cristo, e all'auttorità e dignità che Dio gli à dato per noi. Questa auttorità e dignità non diminuiscono per neuno suo difetto che in lui fusse, né non ci ministra la sua auttorità di meno potenzia, né virtù né meno; e però non debba diminuire la reverenzia, né l'obbedienzia - però che staremmo in stato di dannazione -, né per questo si debba lassare il sovenirlo; però che sovenire a lui, è sovenire a noi medesimi. E poiché per lo suo difetto non ci è tolta la nostra necessità la quale riceviamo da lui, doviamo essere grati e cognoscenti, facendo ciò che si può per utilità della santa Chiesa, e per amore delle chiavi che Dio gli à date.
E se così conviene a noi fare a quello che fusse gattivo e defettuoso, che doviamo fare a quello che Dio ci à dato, el quale è uomo giusto, virtuoso, e che teme Dio, con così santa e dritta intenzione quanto neuno che n'avesse già grande tempo la Chiesa di Dio? Dico di papa Urbano VI, el quale è veramente papa, sommo pontefice, a malgrado di chi dice el contrario. Adunque giusta cosa è d'averlo in reverenzia, obbedire alla Santità sua, e sovenirla in ciò che si può: sì per l'auttorità ch'egli à; e sì per la giustizia e virtù sua; e sì perché egli ci ministra le grazie spirituali in salute e in vita de l'anime nostre; e sì per la grazia e amore particulare che egli à mostrato e à inverso di voi, come a cari figliuoli; e sì per lo danno che ve ne può seguitare, non facendolo, da Dio e dalle creature.
Da Dio, aspettandone disciplina per la ingratitudine nostra che noi mostriamo verso la santa Chiesa e 'l vicario suo; e giustamente il farebbe Dio per destare la miseria e ignoranzia nostra, che drittamente facciamo come mercenai - ché ogni grazia che essi ricevono lo' 'l pare avere per debito; e coi difetti altrui spesse volte vogliono ricoprire il loro, ma molto maggiormente si scuoprono mostrando tanta ingratitudine -. Dalle creature ancora ne potiamo ricevere disciplina, perché noi vediamo el tempo ad avenimento de' signori.
Meglio ci è dunque di stare uniti col padre e madre nostra, cioè papa Urbano VI e la santa Chiesa, che co' tiranni; meglio ci è di stare appoggiati a colonna ferma - la quale se è percossa con molte persecuzioni, mai non è però rotta - che a la paglia, ché siamo certi che ella viene meno, e ogni piccolo vento la caccia a terra. Aprite un poco gli occhi e mirate quanti inconvenienti ne possono venire, a fare vista di non vedere la necessità del padre, e non inanimarvi con dispiacimento verso i nemici suoi, e quali sonno vostri. Ché non potete dire che egli vi chiega l'aiutorio per acquistare e' beni temporali della santa Chiesa e' quali sonno perduti, ma per la fede nostra, per confondere la bugia, ed essaltare la verità, per trare l'anime delle mani del dimonio, e perché la fede nostra non sia contaminata per le mani degli iniqui.
Adunque vedete che per ogni modo sete tenuti e obligati di rendere il debito alla santa Chiesa e al padre nostro. So' certa che se la margarita della giustizia rilucerà ne' petti vostri - la quale giustizia non è senza gratitudine -, voi renderete il debito a Dio, a Cristo in terra, al prossimo vostro, e a voi medesimi, per lo modo che detto è. E così moltiplicaranno le grazie spirituali e temporali, e conservarete in pace e in quiete lo stato vostro, altrimenti no: anco, sarete privati del bene del cielo e della terra. E però vi dissi ch'io desideravo di vedere rilucere in voi la margarita della santa giustizia. Altro non vi dico.
Permanete etc.
Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso che voi non diate più parole a Cristo in terra; ma dateli de' fatti, e rendeteli di quello che egli à dato a voi. Sapete bene che egli v'à data l'absoluzione e la benivolenzia; e anco, per la bontà di Dio e sua, Talamone non venne alle mani de' Pisani; e ora pare che con molta ingratitudine voliate trattare lui, menandolo per parole, come si fa a' fanciulli. E io vi dico che egli cognosce, come uomo che vede più da la lunga che voi non pensate, e ripone nel cuore suo, i figliuoli legittimi e i non legittimi; e allora e al tempo suo mostrarà che egli gli abbi cognosciuti. Or non più questo modo, per l'amore di Dio, ma trattatelo come vicario di Cristo in terra, e trattatelo come caro vostro padre, sforzandovi senza indugio di fare la vostra possibilità. Gesù dolce, Gesù amore.
312
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e perfettissimo lume, acciò che in tutte le vostre operazioni riceviate lume; el quale lume è una vita di grazia, perché tutte l'operazioni che so' fatte col lume di temore di Dio danno vita.
Ma senza questo lume son fatte tutte in morte: andiamo per la tenebre in tanta ignoranzia e cechità che la verità discerniamo in bugia e la bugia in verità, la luce in tenebre e la tenebre in luce. Da questo procede che il gusto dell'anima è infermato, che subito le cose buone gli paiono gattive, e le cattive li paiono buone. Perduto à il cognoscimento di sé, che non cognosce il male suo: questo gli adiviene per la privazione del lume. Oimé, oimé, carissima madre, tutto questo procede dalla nuvila de l'amore proprio che offusca l'occhio de l'intelletto nostro, che non ci lassa discernere la verità; facci debili e volubili che ci volgiamo come la foglia al vento. è uno veleno che atosca l'anima, e non atosca né avelena sé senza altrui, però che, subito che noi siamo privati della carità, noi non rendiamo la benivolenzia e dilezione al prossimo nostro: trapassiamo l'obedienzia della santa Chiesa.
Ma attendete che questo veleno fa in altrui: fa in alcuni danno a loro medesimi e nel prossimo, non attualmente ma mentalmente - non rendendogli el debito della dilezione, come detto è -; ma alcuni altri sono che tolgono non solamente la dilezione mentale, ma eglino s'ingegnano di tòllere attualmente: e di quello veleno che ànno preso in loro, di quello danno altrui. Oimé! Questi pigliano l'ofizio delle dimonia: ché non basta a loro d'essere privati di Dio - che è somma ed etterna luce - ma e' si studiano giusta il loro potere di privarne ancora noi. è vero che la creatura che à in sé ragione non debba essere stolta né matta a consentire a la volontà del dimonio.
Parmi che oggi abbondino in tutto 'l mondo, e singularmente nel corpo mistico della santa Chiesa, questi che ànno preso così-fatto offizio, e' quali non si debono chiamare né uomini né cherici ma demoni incarnati, privati del lume de la verità, ricoperti della bugia dell'amore proprio di loro medesimi; el quale amore proprio detto aviamo che è uno veleno che atosca l'anima. Veramente bene è veleno: aprite l'occhio dello 'ntelletto e - se non ci serà la nuvila della propria passione e piacimento delle creature - cognoscerete che quegli che so' posti per colonne nella santa Chiesa l'ànno seminato tanto pessimamente, el veleno della eresia, che atosca loro e chi a loro s'apressa.
O uomini - non uomini ma più tosto dimoni visibili -, come v'acieca tanto el disordinato amore che avete posto al fracidume del corpo vostro e alle dilizie e stati del mondo! Che, volendo el vicario di Cristo corregere la vita vostra, e volendo che fosti fiori odoriferi del giardino della santa Chiesa - eletto da voi con elezione ordenata -, ora gittate il veleno e dite che non è vero papa, dicendo che per timore el faceste e per paura della furia del popolo.
La qual cosa non è la verità; e se fosse stato degni eravate della morte, che voi elegesse il papa con timore degli uomini e non con timore di Dio. Ma questo non potete voi dire. Dire, sì, ma non provare: però che quello che voi faceste con timore, per placare el popolo, apparve evidente a ogni persona quando diceste, ponendo el manto di santo Pietro a missere di Santo Piero, che voi l'avevate eletto papa. Questo si vidde e trovò che non era la verità, sì come si vidde cessata poi la furia; e così confessò egli, e voi, che non era papa, ma papa era eletto messer Bartolomeo arcivescovo di Bari. E chi vi mosse, se egli non era papa, d'eleggerlo poi da capo con elezione ordenata, senza violenza veruna, coronato con tanta solennità, con tutto quello ordine che si richiede a questo misterio così come fusse eletto mai veruno altro suo anticessore? Non so chi vi muova a publicarlo in contrario - l'amore proprio che non può sostenere la correzione! Ché, inanzi che egli cominciasse a mordervi di parole e volere trare le spine dal dolce giardino, confessaste, e annonziastelo a noi pecorelle, che papa Urbano VI era vero papa. E così confesso, e non lo niego, che egli è vicario di Cristo, el quale tiene le chiave del sangue in verità; la quale verità dagli bugiardi e iniqui uomini del mondo non serà confusa, però che la verità è quella cosa che ci delibera (Jn 8,32).
O miseri miserabili, voi non vedete in quello che voi sete caduti, perché siete privati del lume. E non sapete voi ch'è la navicella della santa Chiesa: e' venti contrarii la fanno un poco andare a vela, ma ella non perisce, né chi s'apoggia a lei. Volendovi voi inalzare, voi sete ammersi; volendo vivere, voi cadete nella più perversa morte che cadere potiate; volendo possedere le ricchezze, voi diventate mendici e cadete in somma miseria; volendo tenere lo stato, voi el perdete: fatti sete crudeli a voi medesimi. Ecco poi che 'l veleno pigliate per voi, e perché il date in altrui.
O non avete voi pietà di tante pecorelle che per questo si partono da l'ovile? Voi sete posti per dilatare la fede, e voi la spegnete contaminandola con le scisme che per voi si levano; sete posti per lucerne, poste in su el candelabro per aluminare i tenebrosi, e voi sete quelli che nella luce gittate la tenebre. Di tutti questi e altri infiniti mali voi sete e sarete cagione, se altro modo non mutate; e voi per divino giudizio ne rimarrete distrutti l'anima e 'l corpo. E non pensate che Idio la risparmi, né gli sia meno grave per la dignità del cappello, né per le prelazioni, ma molto più miserabilmente ne sarete puniti; sì come il figliuolo che offende la madre è degno di magiore punizione, perché comette magiore colpa che offendendo un'altra persona: questo vuole la divina giustizia, che chi più offende più sia punito. Doimé, non più così, per l'amore di Dio: tornate un poco a voi, traetene il veleno dell'amore proprio, acciò che cognosciate la verità e siate amatori d'essa verità. Non aspettate il bastone: ché duro vi sarà recalcitrare a Dio (Ac 26,14).
Bene è adunque, carissima madre, vero («carissima» dico, in quanto voi siate serva fedele, sì come per antico tempo sete stata, della santa Chiesa; ché sapete che sete notricata alle mammelle sue), dicevo che era la verità che questi avevano preso l'offizio delle dimonia. E, sicondo che intendo, mi pare che di quello ch'egli ànno in loro vogliano dare a voi: pervertire voi, figliuola, de l'obedienzia e reverenzia del padre vostro papa Urbano VI, el quale è veramente Cristo in terra; e ogni altro che venisse mentre ch'e' vive, non è papa, ma è peggio che Anticristo. E se voi vi scordate da questa verità, la quale è tanto evidente, (confessata da quelli che lo elessero, e' quali per propria passione diniegano che non è la verità - se non era non doveano chiederli le grazie e usarle, ché dovevano ben vedere che non le poteva dare; ma perché egli era, però le chiesono, e ànnole usate) -, e se voi terrete il contrario, sarete come ciechi e averete la condizione di quegli che di sopra dicemmo che erano privati del lume.
La luce pervertirete in tenebre, tenendo che papa Urbano VI, che in verità è una luce, non sia vero Cristo in terra, ministratore del sangue di Cristo in cielo. Faretene tenebre - non che in sé questa luce possa essere oscurata, ma darà tenebre nella mente e nell'anima vostra -, e la tenebre vorrete pervertire in luce; e non si potrà con tutte le forze vostre. Potrà bene con un poco di nuvolo essere ricoperta; el quale nuvolo cadrà a malgrado di chi vuole il contrario. Allora fareste della tenebre luce, quanto deste aiuto o vigore che gl'iniqui uomini - parlando non in dispregio della dignità loro, ma de' vizii e malizia loro - che egli facessono un altro papa; o, essendo fatto, sicondo che si dice che egli è fatto col braccio vostro, teneste che egli fusse papa.
Questa tenebre, della quale vorreste fare luce, vi tornarebbe a ruina con loro insieme, però che voi sapete che Dio non lassa passare impunite le colpe comesse, massimamente quelle che so' fatte a la santa Chiesa; unde non vogliate aspettare il divino giudizio, ma innanzi elegere la morte che fare contra a lei. Ché se la persona non vuole sovenire a la sua neccessità - che vi sarà rechiesto, se voi non el farete, da Dio -, almeno non debba fare contra a lei: ma starvi di mezzo, tanto che quella verità la quale a voi non fosse ben chiara, ella vi fosse manifesta e dichiarata nella mente vostra. Facendolo, dimostrarete d'avere lume e aver perduta la condizione della femmina, ed esser fatta uomo virile.
E se semplicemente con poco lume andate per altra via, voi dimostrate d'esser femina con poca stabilità.
Diventarete debile, perché sarete dilungata dal vostro capo, Cristo in cielo e Cristo in terra, che vi fortifica; avrete guasto il gusto, sì come inferma: che la dottrina buona vi saprà da gattivo, e la gattiva vi saprà da buono, cioè che la buona vita e dottrina che vuole dare il vicario di Cristo a quegli che si pascono al petto della sua sposa, mostrarete che in effetto in verità non vi paia buona; ché se ella vi paresse buona, vi conformareste con lui, e non ve ne partireste. E la iniquità dottrina e costumi degli iniqui amatori di loro medesimi, dimostrarete che ella vi piaccia; ché se ella non vi piacesse non v'acostareste a loro, dando lo' aiuto e favore, anco ve ne partireste e accostarestivi alla verità, e scostarestivi da la bugia. Altrimenti pigliareste quello medesimo offizio che ànno eglino: che non bastarebbe il male vostro e il veleno che fosse caduto dentro nell'anima, ché anco ne dareste altrui, comandando a' sudditi vostri che tenessono quello che tenessi voi. Tutto questo male e molti inconvenienti vi verrebbono, o vi sono venuti, se foste o sete privata del lume; avendo il lume, in tutta questa tenebre non cadrete. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi alluminata di vero e perfettissimo lume.
Se voi avrete questo lume, a' frutti che in questo tempo esciranno di voi me n'avedrò: ché se v'acostarete con debita reverenzia al padre vostro, cioè a papa Urbano VI, mostrarete frutto di vita, e allora sarà beata l'anima mia, vedendo in voi el frutto della vera obbedienzia, onde traete la vita della grazia. E se vi discostate, e accostatevi all'openione di chi tiene il contrario contra alla coscienzia loro, falsamente, gittareste frutto di morte d'una disobidienzia che genera morte etternale, se la vita vostra dentro vi finisse.
Allora arei pena e dolore intollerabile per la dannazione e pena vostra, la quale pena seguita dipo' la colpa, perché teneramente amo la vostra salute.
E perché io v'amo, mi sono mossa dall'affamato desiderio della vostra salute dell'anima e del corpo a scrivere a voi acciò che, se caduta sete in questa tenebre, voi aviate materia d'uscirne; e se voi non ci sete, perché voi eleggiate inanzi la morte che caderci mai. Ò scaricata la conscienzia mia. So' certa che Dio v'à dato tanto cognoscimento e senno che, se vorrete, cognoscerete la verità; cognoscendola l'amarete e, amandola, non sarà offesa da voi mai. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e ine si consumi ogni amore proprio e piacere umano: dilettatevi solo di piacere a Dio, e non a le creature fuore della voluntà sua. Altro non vi dico.
Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.
Perdonatemi se io v'avesse gravata troppo di parole; ma l'amore della vostra salute, e il dolore cordiale di quello ch'io sento e veggio nella santa Chiesa me ne scusi. Che se io potessi, a chi tanta eresia semina nel corpo mistico della santa Chiesa e nel corpo universale della religione cristiana farei più tosto di fatti che di parole. Aiterommi con l'arme dell'orazione (le quali orazioni - non la mia, che è debile per lo mio difetto - ma quelle degli altri servi di Dio, che sono forti che le iniquità degli uomini del mondo non possono contra a la fortezza sua), che è sì forte che non tanto che gli uomini vinca, ma ella lega le mani della divina giustizia, placando l'ira di Dio e chinandolo a fare misericordia al mondo. Con questo ci difenderemo, e chiederemo l'aiutorio suo; pregarenlo che rompa il cuore di Faraone e amolligli, sì che si corregano la vita loro, e dieno essemplo di santa e onesta vita e di vera e perfetta obbedienzia. Gesù dolce, Gesù amore.
313
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissimo padre e fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero lavoratore nella vigna de l'anima vostra, a ciò che raportiate il molto frutto al tempo della ricolta, cioè nel tempo della morte, nel quale ogni colpa è punita e ogni bene è remunerato.
Sapete che la Verità etterna creò noi alla imagine e similitudine sua (Gn 1,26): di noi fece suo tempio dove egli vuole abitare per grazia, se piace al lavoratore di questa vigna di lavorarla bene e drittamente; che se ella non fusse lavorata, ma abondasse di spine e di pruni, già non sarebbe da abitarvi. Or vediamo, carissimo padre, che lavoratore ci à posto questo maestro. Àci posto el libero arbitrio, in cui è commessa tutta la governazione; èci la porta della volontà, che neuno è che la possa uprire o serrare, se non quanto el libero arbitrio vuole; àci posto el lume dell'intelletto per cognoscere gli amici e i nemici che volessero intrare e passare per la porta (alla qual porta è posto el cane della conscienzia, che abbaia quando gli sente apparire, se egli è desto e non dorma). Questo lume à discerto e veduto il frutto traendone la terra, acciò che 'l frutto rimanga netto; e mettelo nella memoria, la quale è uno granaio, ritenendovi el ricordamento de' beneficii di Dio. Nel mezzo della vigna à posto el vasello del cuore pieno di sangue, per innaffiare con esso le piante, acciò che non si secchino. Or così dolcemente è creata e ordinata questa vigna, la quale anco dicemmo che era tempio di Dio, dove esso abita per grazia.
Ma io m'aveggo che 'l veleno de l'amore proprio e del perverso sdegno à avelenato e corrotto questo lavoratore, intanto che la vigna nostra è tutta insalvatichita. O egli ci è frutto che ci dà morte, o egli ci sonno salvatichi e acerbi, però che e' seminatori rei delle dimonia visibili e invisibili passarono per la porta della volontà: le invisibili per la porta delle molte cogitazioni e varie, e le visibili con laidi e malvagi consigli, sottraendoci con parole finte doppie e piacentieri, e con malvagi costumi, dalla verità. Di quello seme che essi ànno in loro, di quello porgono a noi seminandolo col libero arbitrio: nacquene frutto di morte, cioè di molti peccati mortali.
Doh quanto è laida quella misera vigna a vedere, ché di vigna è fatta bosco, con le spine della superbia e de l'avarizia, e co' pruni de l'ira e della impazienzia e disobedienzia, piena d'erba venenosa; di giardino è fatta stalla, dilettandoci noi di stare nella stalla della immondizia. Questo nostro giardino non è chiuso, ma è aperto; e però i nemici de' vizii e delle dimonia v'entrano come in loro abitazione. La fonte è risecca, ch'è la grazia la quale traemmo del santo baptesmo in virtù del sangue, el quale sangue bagnava essendone pieno el cuore per affetto d'amore. Il lume dell'intelletto non vede altro che tenebre, perché è privato del lume della santissima fede: non vede né cognosce altro che amore sensitivo. Di questo empie la memoria, unde altro ricordamento non à né può avere - mentre che sta così - se non di miseria, con disordinati appetiti e desiderii.
Àci posta una vigna appresso, questa dolce verità etterna, cioè il prossimo nostro; la quale è tanto unita insieme che utilità non potiamo fare alla nostra che non sia fatta anco alla sua. Anco ci è comandamento che noi la governiamo come la nostra, quando ci è detto: «Ama Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come te medesimo» (). Oh quanto è crudele questo lavoratore che sì male à governata la vigna sua, senza nessuno frutto se non d'alcuno atto di virtù, el quale è sì acerbo che neuno è che ne possa mangiare: ciò sonno l'operazioni buone fatte fuore della carità.
Oh quanto è misera quella anima che nel tempo della morte, el quale è uno tempo di ricolta, ella si truova senza veruno frutto! La pruova le fa cognoscere la morte sua, e nella morte cognosce il suo male; e però va cercando allora d'avere il tempo per poterla governare, e non à il modo. Lo ignorante uomo crede potere tenere il tempo a suo modo, ed egli non è così: adunque è da levarsi nel tempo presente che ci è prestato per misericordia.
O carissimo padre, vogliate cognoscere in che stato trovate e vedete la vigna vostra. Dolgomi infino a la morte che 'l tiranno del libero arbitrio v'à fatto: di giardino che gittava essemplo di virtù e di verità e lume di fede, ora l'à pervertito di giardino in bosco. E che frutto di vita può fare, essendo voi tagliato dalla verità, e fattone perseguitatore - e dilatare la bugia! -, trattone la fede e messavi la infedeltà? E perché vi fate male di morte? Per l'amore che avete nella propria sensualità, e per sdegno conceputo contra 'l capo vostro. E non vediamo noi che 'l sommo giudice non dorme sopra di noi? Come potete fare quello che voi non dovete, contra 'l capo vostro - come che se in verità fusse che papa Urbano VI non fusse veramente papa -, con-ciò-sia-cosa-che nel segreto del cuore voi teniate quello che è, cioè che egli è sommo e vero pontefice; e chi altro dice, è eretico reprobato da Dio, non fedele né catolico uomo, ma cristiano rinegato che niega la fede sua.
Questo doviamo tenere, che egli è papa eletto con elezione ordinata e vicario di Cristo in terra; e a lui doviamo obbedire infino a la morte: eziandio se a noi fusse padre crudele, in tanto che ci cacciasse con rimproverio dall'uno capo del mondo a l'altro con ogni tormento, non doviamo però scordarci, né perseguitare questa verità. E se voi mi diceste: «A me è stato portato el contrario, che papa Urbano VI non sia in verità sommo pontefice», io vi rispondarei che io so che Dio v'à dato tanto lume che - se voi non vel tollete con la tenebre de l'ira e dello sdegno - voi cognoscete che chi el dice mente sopra el capo suo.
Essi medesimi si fanno menzonieri, ritrattando quella verità che ànno porta a noi, e porgonla in bugia.
Ben so che cognoscete chi gli à mossi, quelli che tenevano luogo di verità, posti per dilatare la fede - ora ànno contaminata la fede e dinegata la verità, e levata tanta scisma nella santa Chiesa, che degni sono di mille morti -: trovarete che non gli à mossi altro che quella passione che à mosso voi medesimo, cioè l'amore proprio che non poté sostenere le parole, né reprensione aspra, né la privazione della terra, ma concepette sdegno e parturì el figliuolo de l'ira. Per questo si privano del bene del cielo, essi e chiunque fa contra questa verità. Le ragioni che si possono vedere a manifestazione di questa verità sonno sì piene e sì chiare e sì manifeste che ogni persona bene idiota le può intendere e vedere; e però non mi distendo a narrarle a voi, che so che sete di buono cognoscimento, e cognoscete la verità di quello che è: e così la teneste, confessaste, e faceste reverenzia.
Increscemi che io vegga tanto insalvatichita l'anima vostra che faccia ora contra questa verità. Come il patisce la conscienzia vostra che voi, el quale sete stato obbediente figliuolo e sovenitore della santa Chiesa, ora aviate ricevuto sì-fatto seme che non produce altro che frutto di morte? E non tanto che dia morte a voi, ma pensate a quanti sete cagione de l'anima e del corpo, de' quali vi converrà rendere ragione dinanzi al sommo giudice. Non più così, per l'amore di Dio! Umana cosa è il peccare, ma la perseveranzia nel peccato è cosa di dimonio. Tornate a voi medesimo, e ricognoscete il danno de l'anima e del corpo, ché la colpa non passa impunita, massimamente quella che è fatta contra la santa Chiesa: questo sempre s'è veduto. Però vi prego, per amore del sangue che con tanto fuoco d'amore fu sparto per voi, che umilemente torniate al padre vostro, che v'aspetta con le braccia aperte, con grande benignità, per fare misericordia a voi e a chiunque la vorrà ricevere.
Levisi la ragione col libero arbitrio, e cominciamo a rivoltare la terra di questo disordinato e perverso amore: cioè che l'affetto, il quale è tutto terreno e d'altro che di cose transitorie non si vuole nutricare - le quali passano tutte come il vento, senza alcuna fermezza o stabilità - e' diventi celestiale, cercando i beni del cielo, e' quali sono fermi e stabili che in sé non ànno alcuna mutazione. Apriamo la porta della volontà a ricevere il seminatore vero, Cristo dolce Gesù crocifisso, el quale porge nella mano del libero arbitrio il seme della dottrina sua; il quale seme produce i frutti delle vere e reali virtù. Le quali virtù con lume il libero arbitrio à sciolte da la terra: cioè che le virtù non l'à seminate né ricolte in sé per veruno terreno amore o piacere umano, ma con odio e dispiacimento di sé medesimo ne l'à gittate fuore; e il frutto è riposto nella memoria per ricordamento de' beneficii di Dio, ricognoscendo d'averli da lui e non per sua propria virtù.
Che arbore ci pone? l'arbore della perfettissima carità, che la cima sua s'unisce col cielo - cioè nell'abisso della carità di Dio -, e' rami suoi tengono per tutta la vigna, unde mantengono in freschezza e' frutti: perché tutte le virtù procedono e ànno vita dalla carità. Di che s'inaffia? non d'acqua ma di sangue prezioso sparto con tanto fuoco d'amore, il qual sangue sta nel vasello del cuore, come detto è.
E non tanto che egli ne innaffi questa vigna dolce e dilettevole giardino; ma egli ne dà bere al cane della conscienzia abondantemente, a ciò che, fortificato, facci buona guardia a la porta della volontà, a ciò che niuno passi che esso non il faccia sentire destando col grido suo la ragione; e la ragione col lume dell'intelletto raguardi se sonno amici o nemici. Se sonno amici che ci siano mandati dalla clemenzia dello Spirito santo - ciò sonno e' santi e buoni pensieri, schietti consigli e perfette operazioni -, siano ricevuti dal libero arbitrio diserrando la porta con la chiave de l'amore. E se sonno nemici di perverse cogitazioni e corrotte operazioni le cacci con la verga de l'odio, con grandissimo rimproverio; e non si lassino passare che non sieno corrette, serrando la porta della volontà che non consenta a loro.
Alora Dio, vedendo che il lavoratore del libero arbitrio, el quale egli misse nella vigna sua, à bene lavorato in sé e in quella del prossimo suo, sovenendolo in ciò che gli è stato possibile per dilezione e affetto di carità, egli si riposa dentro in quella anima per grazia. Non che per nostro bene a lui cresca riposo, però che non à bisogno di noi; ma la grazia sua si riposa in noi, la quale grazia ci dà vita e rivesteci ricoprendo la nostra nudità, dacci el lume e sazia l'affetto de l'anima: e, saziata, rimane affamata. Dàlle il cibo ponendola a mangiare alla mensa della santissima croce; nella bocca del santo desiderio dà il latte della divina dolcezza, pigliando con essa la mirra de l'amaritudine dell'offesa di Dio e dell'amaritudine della croce, cioè delle pene che 'l Figliuolo di Dio portò. Dàlle incenso d'umili continue e fedeli orazioni, le quali offera molto festinamente per onore di Dio e salute de l'anime. Oh quanto è beata questa anima! Veramente ella gusta vita eterna.
Ma noi, ingrati, non ci curiamo di questa beatitudine, ché se noi ci ne curassimo eleggeremmo innanzi la morte che di volere perdere tanto bene. Leviamo questa ignoranzia con ogni verità; cercandola in verità andaremo colà dove Dio l'à posta, ché se noi la cercassimo altrove già non la trovaremmo. Detto aviamo come noi siamo vigna, e come ella è adornata, e come Dio vuole che ella sia lavorata. Ora dove ci à posti? nella vigna della santa Chiesa. Ine à posto il lavoratore, cioè Cristo in terra, el quale ci à a ministrare il sangue; col coltello della penitenzia, la quale riceviamo nella santa confessione, taglia il vizio de l'anima, nutricandola al petto suo, legandola col legame della santa obbedienzia. E senza questa vigna la nostra sarebbe ruinata: la grandine gli torrebbe ogni frutto, se ella non fusse legata in questa obbedienzia.
Adunque vi prego che umilemente con grande sollecitudine torniate a questo giogo. Cercate il lavoratore e la vigna de l'anima vostra nella vigna della santa Chiesa, altrimenti sareste privato d'ogni bene, e cadereste in ogni male. Ora è il tempo: per l'amore di Dio escite di tanto errore, ché, passato il tempo, non c'è più rimedio. Tosto viene la morte, che noi non ce ne avediamo, e sì ci ritroviamo nelle mani del sommo giudice: duro ci è a ricalcitrare a lui (Ac 26,14). So' certa che, se sarete vero lavoratore della vigna vostra, voi non indugiarete più a tornare, ma con grande umilità ricognoscerete le colpe vostre, dolendovi dell'offesa di Dio: chiedarete di grazia al Padre che vi rimetta ne l'ovile suo; altrimenti no. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi vero lavoratore nella vigna de l'anima vostra; e così vi prego strettamente quanto io so e posso. Raguardate che l'occhio di Dio è sopra di voi: none aspettiamo il suo fragello, ché egli vede lo intrinsico del cuore nostro. Altro non vi dico.
Permanete etc.
Perdonatemi se troppo v'ò gravato di parole, ché l'amore che io ò alla salute vostra, e 'l dolore di vedervi offendere Dio e l'anima vostra, me n'è cagione; e non ò potuto tacere ch'io non vi dica la verità. Gesù dolce, Gesù amore.
Caterina, Lettere 311