
GPII 1980 Insegnamenti - La gioventù
Titolo: Nella ricerca della verità per l'uomo è benefico il dialogo tra scienza e teologia
Stimati vincitori del Premio Nobel, 1. Sono sinceramente felice ed onorato di potervi salutare come illustri personalità della scienza che, sebbene provenienti da diversi paesi, sono unite da un comune ideale: l'ideale di cercare disinteressatamente la verità nei diversi campi dell'esperienza umana. L'alto onore conferitovi come ricompensa per i vostri lunghi lavori è un significativo riconoscimento al vostro contributo, al progresso della conoscenza dell'uomo di se stesso e del mondo che lo circonda.
Guardandovi, il mio pensiero va a tutti quelli che hanno ricevuto lo stesso riconoscimento e anche a quelli che, con minor successo ma con uguale generosità, hanno dedicato la propria vita al paziente studio dei complessi aspetti della realtà con la speranza di scoprire un nuovo secreto rimasto nascosto in qualche pagina del meraviglioso libro della natura.
Nel salutarvi, Signori, desidero onorare questo grande numero di scienziati ed esprimere il mio apprezzamento e la mia gratitudine per la loro opera. Anche se i loro lavori non sono sempre coronati dal successo, il loro appassionato impegno nella ricerca della verità arricchisce l'eredità spirituale dell'umanità.
2. Durante il colloquio organizzato dall'associazione "Nova Spes" avete riflettuto su di un tema estremamente rilevante per i nostri giorni: l'Uomo fra speranze e minacce. Sono ansioso di ascoltare le conclusioni che avete raggiunto in un campo che diventa sempre più delicato in vista dello sviluppo della ricerca scientifica.
In molte occasioni mi sono sentito obbligato a richiamare l'attenzione dei responsabili sui pericoli per l'umanità che possono derivare da un uso distorto delle scoperte scientifiche. Il futuro del mondo è minacciato alle radici da quegli stessi progressi che evidenziano il genio dell'uomo. Questo è il risultato dell'utilizzo del progresso scientifico per scopi che non hanno nulla a che fare con la scienza. La scienza è per la verità e la verità è per l'uomo, e l'uomo riflette come immagine l'eterna trascendente Verità che è Dio (cfr. Gn 1,27).
L'esperienza della storia, tuttavia, ed in particolare la storia recente, ha mostrato come le scoperte scientifiche siano state frequentemente usate contro l'uomo, a volte in modo spaventoso. Nel mio prossimo viaggio in Estremo Oriente intendo recarmi a Hiroshima per pregare nel luogo che fu il primo a conoscere il potere distruttivo dell'energia atomica.
Ognuno di voi potrebbe parlare a lungo sulle prospettive di ricerca del proprio campo. Potrebbe anche elucubrare sui pericoli di un uso distorto delle scoperte auspicate. Ci sono oggi infinite possibilità di manipolare l'uomo. Domani queste possibilità potranno essere ancora maggiori. C'è bisogno che sottolinei il pericolo che corre l'umanità di una radicale "disumanizzazione" se prosegue follemente lungo questa strada? 3. La questione che oggi è divenuta drammaticamente urgente è quale sia il criterio da seguire per non soffrire queste disastrose conseguenze. Parlando a scienziati e studenti nella Cattedrale di Colonia il 15 Novembre scorso, dissi che la scienza finalizzata a trasformare il mondo, è giustificabile sulla base del servizio che rende all'uomo e all'umanità. Questo, Signori, è il criterio decisivo: il criterio di servire l'uomo nell'insieme della sua soggettività spirituale e corporea.
La nostra cultura è permeata in tutti i campi da una nozione fortemente funzionale della scienza: ciò che conta è il successo tecnico. Il fatto di essere tecnicamente capaci di produrre un certo risultato è considerato da molti motivo sufficiente per non porsi ulteriori domande sulla legittimità del processo che conduce al risultato, o persino sulla legittimità del risultato stesso.
Chiaramente, questa visione non lascia spazio ad un valore etico supremo o alla stessa nozione di verità.
Le conseguenze di una visione così minimale della scienza non sono apparse lentamente: il progresso scientifico non è sempre accompagnato da un simile progresso delle condizioni di vita dell'uomo. Effetti indesiderati ed imprevisti sono spesso apparsi, causando una seria preoccupazione in ampi settori della società. E' abbastanza pensare al problema ambientale come risultato del progresso industriale. Seri dubbi sono così sorti sulla capacità del progresso nel suo insieme di servire l'uomo.
E' forse una sorpresa che la gente cominci oggi a parlare di una crisi di legittimità per la scienza, e di una crisi riguardante la direzione da dare a tutta la nostra cultura scientifica? La scienza da sola è incapace di fornire una risposta completa al problema del significato fondamentale della vita e dell'attività umana. Il loro senso è rivelato solo quando la ragione, andando oltre il dato fisico, usa metodi metafisici per raggiungere la contemplazione della "causa finale" e scoprirvi la spiegazione suprema che può illuminare gli eventi umani e dar loro un significato.
La ricerca di un significato ultimo è complessa ed esposta ai pericoli dell'errore, e l'uomo rimane spesso a brancolare nel buio se non è aiutato dalla luce della fede. La rivelazione cristiana ha dato un inestimabile contributo alla consapevolezza che l'uomo moderno ha potuto raggiungere della propria dignità e dei propri diritti. Non esito a ripetere qui quel che ho detto ai membri dell'UNESCO: "Tutte le affermazioni riguardanti l'uomo appartengono alla stessa sostanza del messaggio di Cristo e della missione della Chiesa, nonostante tutto quello che i critici possono aver detto su questo argomento" (Ioannis Pauli PP. II Allocutio ad UNESCO habita, 10, die 2iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1[1980] 1643).
4. Non c'è nessuna intenzione di ignorare o sottostimare le tensioni emerse nel corso della storia fra la Chiesa e le moderne scienze naturali. Il ricordo di quei conflitti non può non far soffrire il credente di oggi che è più consapevole delle stime sbagliate e dei metodi imprecisi che originarono quella opposizione. La fede e la scienza appartengono a due diverse categorie di conoscenza che non possono imporsi l'una sull'altra.
Se la distinzione fra gli ordini di conoscenza è rispettata e se sia la scienza che la fede procedono la loro ricerca senza dimenticare i principi metodologici che rispettivamente le caratterizzano, non c'è pericolo che raggiungano risultati contraddittori. Possiamo infatti essere sicuri che, in questo caso, i due ordini di conoscenza stabiliranno un benefico dialogo tramite il quale l'uomo sarà in grado di investigare sempre più a fondo la verità in tutti i suoi aspetti. La ragione e la fede, infatti, derivano dalla stessa divina fonte di ogni verità.
Il credente sa che tutto ciò che esiste scaturisce da una parola pronunciata dal Creatore, da un fiat iniziale, che conteneva già tutte le cose ed il loro ordine universale. Di conseguenza, il credente ritiene che il mondo ha una spiegazione e che, mentre la scienza avanza fra mille difficoltà, esita o perde la strada, deve raggiungere la consapevolezza che l'universo costituisce - come indica l'etimologia stessa della parola "universo" - un ordine complesso nel quale i vari elementi sono armoniosamente correlati.
Allo stesso modo, i grandi scienziati sono convinti che lo scopo ultimo delle scienze naturali sia la scoperta di una legge fondamentale - la più semplice possibile, ma proprio per la sua semplicità la più difficile da capire - per spiegare la costituzione dell'universo. Lo scienziato pensa che un singolo principio governa tutte le cose e la loro interazione (Cfr. Victor Weisskopf, The significance of Einstein's thought, Pontificia Accademia Scientiarum, Einstein, Galileo, Libreria Editrice Vaticana, 1980, p.31).
Il problema oggi, perciò, non è più l'opposizione fra scienza e fede.
Una nuova era è cominciata: gli sforzi dei teologi e degli scienziati devono ora mirare allo sviluppo di un dialogo costruttivo, rendendo possibile l'esame sempre più profondo dell'affascinante mistero che è l'uomo, e dissipando le minacce che sfortunatamente si fanno sempre più serie.
5. Signori, il ruolo che potete avere in questo ambito è di straordinaria importanza. L'alta onorificenza con la quale sono stati riconosciuti i risultati dei vostri studi e il generoso impegno di molti anni al nobile compito della ricerca scientifica vi rende particolarmente competenti come partner in questo dialogo con i rappresentanti del sapere teologico.
Gli sforzi che dedicherete a questo scambio inter-disciplinare, congiunti a quelli degli esperti nella "scienza di Dio", favoriranno un notevole progresso nella ricerca della verità, che rappresenta una complessa unità che si può cogliere solo se vista da diverse angolazioni, solo se diventa il punto d'incontro di diverse forme di sapere aperte e complementari. In particolare, favorirà una più completa conoscenza dell'uomo, delle componenti del suo essere, della storica e allo stesso tempo trascendente dimensione della sua esistenza.
Si vedrà allora più chiaramente l'uomo per quel che è: un fine e non un mezzo; un soggetto, mai un oggetto; uno scopo, mai semplicemente una fase per raggiungere lo scopo. In altre parole, l'uomo sarà visto come una persona, nei confronti del quale l'unico legittimo atteggiamento è l'incondizionato rispetto.
Il rispetto dell'uomo diverrà allora il criterio supremo per giudicare ogni uso della scienza e la progettazione di tutti gli esperimenti resi possibili dalla scienza.
Il futuro dell'umanità dipende da questi basilari valori etici.
Ignorarli significherebbe rendersi responsabili di fronte ai posteri - se ci saranno i posteri - per l'estremamente grave crimine di "offesa contro l'umanità".
Siete i pionieri della scienza e dovete comportarvi come attente sentinelle sul cammino del progresso, denunciando ogni forma di intervento sull'uomo o sul suo ambiente che possa essere considerato come un attacco alla sua dignità o ai suoi inalienabili diritti. Questa è la responsabilità che vi spetta. Che sia anche la ragione per la quale veramente meritate di essere un domani posti all'ammirazione e alla gratitudine di quelli che saranno stati salvati dalla vostra saggezza dai rischi di spaventose catastrofi.
Ci avviciniamo al giorno in cui la Chiesa ricorda com felice commozione la nascita a Betlemme di un Uomo che era anche Dio. Esprimo il mio desiderio che la celebrazione di questo Natale ispiri nuovamente ogni credente a dedicare tutte le sue energie alla difesa dell'unica ed irripetibile dignità di ogni essere umano. Questo mio desiderio è anche la preghiera mi sale dal cuore al Verbo di Dio che si fece uomo per amore dell'uomo.
[Traduzione dall'inglese]
Data: 1980-12-22Data estesa: Lunedi 22Dicembre 1980.
Titolo: Il saluto agli equipaggi del 31° stormo
Sono particolarmente lieto di salutare il comandante, gli ufficiali e i sottufficiali del 31° stormo dell'aeronautica italiana, che tanto vi siete prodigati per la santa Sede con maestria e generosità. Vi do un cordiale benvenuto in questa casa, e saluto pure molto volentieri i vostri familiari, che vi accompagnano.
Innanzitutto, desidero vivamente ringraziarvi per il preziosissimo servizio resomi nel corso di quest'anno che ha facilitato il viaggio da Castel Gandolfo a Roma per le udienze del mercoledi, e anche in occasione degli spostamenti aerei di alcuni miei viaggi pastorali in Italia: all'Aquila, a Siena, a Otranto e poi soprattutto fra i terremotati della Campania e della Basilicata.
Se ho potuto recare in diversi luoghi la mia parola di portavoce di Gesù Cristo e di pastore della Chiesa, per confermare i fratelli nella fede, per stimolarli alla testimonianza cristiana, per confortare gli afflitti, ebbene questo lo devo anche a voi: alla vostra premura ed alla vostra abilità, che hanno reso sicuri e confortevoli gli itinerari dei miei pellegrinaggi apostolici. Abbiate, perciò, insieme alla mia riconoscenza, anche il mio sincero apprezzamento.
E, poiché siamo ormai alla vigilia delle solennità natalizie, vi presento pure i miei auguri di buone feste. Il santo Natale giunge puntuale e gradito ogni anno; ma occorre sempre ricordare a noi stessi che non può ridursi ad una ricorrenza esteriore, pena il suo travisamento. Esso, piuttosto e innanzitutto, è uno stimolo a rinnovare la nostra fede genuina in colui il quale, come scrive san Paolo, "da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà" (cfr. 2Co 8,9). Il Natale è la festa del Signore, che si china sulle nostre miserie e sui nostri limiti fino a condividerli, e "non si vergogna di chiamarci fratelli" (He 2,11). Di conseguenza, il nostro pensiero non può non andare a quanti soffrono attualmente nel mondo per motivi molteplici, ed in particolare esso va a quei paesi colpiti dal sisma, che, grazie a voi, ho potuto visitare di persona il mese scorso. Voglia il Signore lenire le tribolazioni di quei nostri fratelli, mantenendo vivo in noi il senso della preghiera in loro favore e della fattiva solidarietà per la loro ripresa in tante necessità spirituali e materiali.
Ed a voi tutti il Signore conceda un'esistenza serena e feconda di buoni esiti: nel vostro qualificato lavoro, nei vostri rapporti col prossimo, specialmente nell'ambito delle vostre famiglie. Egli rafforzi e conduca a felici realizzazioni la vostra buona volontà ed i vostri saggi propositi di una sempre migliore vita umana e cristiana. Per questo egli viene: per essere con noi tutti i giorni, fino alta fine del mondo (cfr. Mt 28,20).
Mentre siamo tutti vivificati da questa fede e animati da questa attesa, sono contento di confermare i miei auspici con l'apostolica benedizione, che di cuore imparto a tutti voi qui presenti ed a quanti vi sono cari.
Data: 1980-12-23 Data estesa: Martedi 23 Dicembre 1980.
Titolo: Pace e rispetto reciproco per il bene futuro della Polonia
Sia lodato Gesù Cristo, "Con tutti spezzo l'"oplatek" attorno alla mensa della cena della Vigilia". Queste parole ho scritto nella lettera ai miei connazionali indirizzata al Cardinale Primate ed a tutti i fratelli nell'Episcopato in terra polacca. Oggi mi è dato di aggiungere qualcosa a queste parole. Desidero quindi prendere in mano questo "oplatek" polacco, che ho ricevuto dal Primate, e desidero ora qui, dinanzi a voi, avvicinarmi, incontrarmi, dividere spiritualmente con voi proprio questo "oplatek" che tengo in mano. Desidero spezzarlo con ciascuno di voi, con tutti, e dunque con ciascuno senza eccezioni.
Desidero che questa mia parola della Vigilia giunga a ciascuno, soprattutto desidero che giunga alle famiglie, ai genitori e ai bambini; alla generazione degli adulti e a quella dei giovani; e sia questa una parola d'amore, di pace, di riconciliazione che viene dal cuore. Desidero che questo augurio della Vigilia arrivi in modo particolare a quei miei fratelli e sorelle che per una qualsiasi ragione stanno soffrendo, a tutti i sofferenti in generale, a tutti coloro che si sentono soli.
In questa Notte Santa desidero annunciarvi la Buona Novella. Voi stessi annuncerete questa Buona Novella quando vi riunirete per la Messa di mezzanotte.
Quando i sacerdoti nelle loro parrocchie, nelle loro chiese, incominceranno la Santa Messa, questa Buona Novella di Betlemme si spargerà diffusamente con la voce della "koleda": "Nel silenzio della notte si spande la voce "alzatevi pastori..."". Una volta queste parole sono state rivolte ai pastori di Betlemme. Che oggi quelle stesse parole siano rivolte a tutti noi, a ciascuno: a quelli che lavorano con le braccia e a quelli che lavorano con la mente; agli uomini di scienza; ai giovani che studiano e a quelli che lavorano; agli anziani, alla generazione più anziana e ai bambini; alla generazione più giovane e ai neonati. Son proprio questi, i più piccoli, che hanno un diritto tutto particolare alla festa odierna.
La notte della Vigilia è sempre stata per noi polacchi un momento di particolare comunione. Non solo all'interno di ogni famiglia, ma anche in quella grande famiglia che componiamo noi tutti, che è la nostra Patria, la nostra Nazione.
A questa grande famiglia desidero ricordare le parole che ha scritto il poeta Stanislaw Wyspianski proprio per la Vigilia di Natale: "Facci sentire forti e donaci una Polonia viva", sono le parole della preghiera di Konrad. Sono parole di preghiera, ma non si può forse metterle sulla bocca di ciascuno di noi, dal più semplice al più colto, da chi esegue gli ordini a chi gestisce il potere? Permettetemi dunque di mettere queste parole sulle vostre labbra, cari fratelli e sorelle, e di pregare questa sera insieme con voi, come il Konrad di Wyspianski, per la comune Patria, con queste parole.
Pregando affido a Cristo e a sua Madre tutto quello che si è compiuto e che si sta compiendo in Polonia negli ultimi mesi.
Gli affido quest'opera particolare, opera di unità, di pace, di reciproco rispetto e comprensione; un'opera che non è rivolta contro alcuno; non è "contro" ma è "per": per la ricostruzione, per il rinnovamento, perché tutti possano parteciparvi più pienamente, perché tutti possano sentirsi protagonisti della creatività, del lavoro, del dovere, ma anche della gioia per la costruzione del bene comune.
Con il pensiero rivolto a tutto ciò io spezzo questo "oplatek" con tutta la grande comunità della nostra Patria, e auguro che queste azioni siano accompagnate ancora dall'ordine, dal rispetto reciproco, dalla grazia della pace sia interna che esterna, in modo che si possa compiere l'opera iniziata.
Cari fratelli e sorelle, amatissimi connazionali, spezzo con voi questo "oplatek" e formulo questi auguri da qui, dalla mia cappella in Vaticano. Li formulo così come sono iscritti nel mio cuore ed anche, seguendo quella traccia, bisogna dire che lo sono nel cuore di ciascuno di voi, nel cuore della nostra amata Patria.
Desidero concludere questo incontro inconsueto con voi, amati connazionali, aggiungendo un saluto a tutti senza eccezioni. Ho cercato di ricordare tutti, benché non sia riuscito a nominare tutti a causa del limitato tempo di cui dispongo. Ricevete ora la benedizione in nome della Santissima Trinità.
Data: 1980-12-23 Data estesa: Martedi 23 Dicembre 1980.
Titolo: Il buio del mondo è cancellato dalla luce della nascita di Dio
1. Cari fratelli e sorelle, riuniti nella Basilica di san Pietro a Roma - e voi tutti che mi ascoltate, in questo momento, in qualsiasi punto del globo terrestre - ecco, sto davanti a voi, io, servo di Cristo e amministratore dei misteri di Dio (cfr. 1Co 4,1), come messaggero della notte di Betlemme: la notte di Betlemme 1980.
La notte della nascita di Gesù Cristo, Figlio di Dio nato da Maria Vergine, della casa di Davide, della stirpe di Abramo, padre della nostra fede, della generazione dei figli di Adamo.
Il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, viene nel mondo come uomo.
2. E' una notte profonda: "Il popolo che camminava nelle tenebre / vide una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse"; parole del profeta Isaia (Is 9,2).
In che modo si compiono queste parole nella notte di Betlemme? Ecco, le tenebre avvolgono la regione di Giuda ed i paesi vicini. Soltanto in un luogo appare la luce. Essa giunge soltanto ad un piccolo gruppo di uomini semplici.
Questi sono i pastori, che erano in quella regione e "vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge" (Lc 2,8).
Soltanto su di essi si compie, quella notte, la profezia di Isaia.
Vedono una grande luce: "La gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento" (Lc 2,9).
Questa luce abbaglia i loro occhi, e contemporaneamente illumina i cuori. Ecco, essi già sanno: "Oggi... è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore" (Lc 2,11).
Sono i primi a sapere.
Oggi invece lo sanno milioni di uomini in tutto il mondo. La luce della notte di Betlemme ha raggiunto molti cuori, e tuttavia nello stesso tempo, permane il buio. A volte esso sembra, addirittura, intensificarsi...
Per che cosa posso pregare in questa notte di Betlemme 1980, io servo di Cristo e amministratore dei misteri di Dio - per che cosa posso pregare maggiormente, insieme con voi tutti, che partecipate alla luce di questa notte se non perché questa luce giunga dappertutto, perché trovi accesso a tutti i cuori, perché ritorni là, dove sembra che sia stata spenta...? perché essa "svegli"! così come ha svegliato i pastori nei campi nei pressi di Betlemme.
3. "Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia"; parole di Isaia profeta.
Coloro che in quella notte lo accolsero trovarono una grande gioia. La gioia che scaturisce dalla luce. Il buio del mondo cancellato dalla luce della nascita di Dio! Non importa che questa luce sia, per il momento, partecipata soltanto da alcuni cuori: che partecipi ad essa la Vergine di Nazaret ed il suo Sposo, la Vergine alla quale non è stato dato di mettere al mondo il suo Figlio sotto il tetto di una casa a Betlemme, "perché non c'era posto per loro nell'albergo" (Lc 2,7). E partecipano a questa gioia i pastori, illuminati da una grande luce nei campi vicino alla città.
Non importa che in quella prima notte, la notte della nascita di Dio, la gioia di tale evento sia giunta soltanto a questi pochi cuori.
Non importa.
Essa è destinata a tutti i cuori umani. E' la gioia del genere umano, gioia sovrumana! Vi può essere forse una gioia più grande di questa, vi può essere una novella migliore di questa che l'uomo è stato accettato da Dio per diventare figlio in questo Figlio di Dio, diventato uomo.
Ed è, questa, la gioia cosmica. Essa riempie tutto il mondo creato: creato da Dio - allontanatosi da Dio a causa del peccato - ed ecco: restituito di nuovo a Dio mediante la nascita di Dio nel corpo umano.
E' la gioia cosmica.
Essa riempie tutto il creato, che questa notte di nuovo è chiamato a condividerla da queste parole che scendono dal cielo: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e pace in terra agli uomini che egli ama" (agli uomini di buona volontà) (Lc 2,14).
Questa notte voglio essere particolarmente vicino a voi: a voi tutti che soffrite e a voi, colpiti dal terremoto, e a voi, che vivete nella paura delle guerre o delle violenze, e a voi, che siete privi della gioia di questa santa messa a mezzanotte del Natale del Signore, e a voi, inchiodati al letto del dolore, e a voi, che siete caduti nella disperazione, nel dubbio circa il senso della vita e circa il senso di tutto.
Vicino a voi tutti.
A Voi in modo particolare è destinata questa gioia, che riempie i cuori dei pastori di Betlemme: essa è soprattutto per voi. Perché essa è la gioia degli uomini di buona volontà, di coloro che hanno fame e sete della giustizia, di coloro che piangono, di coloro che soffrono persecuzioni per la giustizia.
Si compiano su di voi le parole del profeta: "Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia..." (Is 9,2).
4. "Gioiscono davanti a te / come si gioisce quando si miete"; parole di Isaia.
Ecco: gli uomini semplici, che vivono del lavoro delle loro mani, non si presentano davanti al neonato con le mani vuote. Non si sono presentati con i cuori vuoti.
Portano i doni.
Rispondono con il dono al "dono".
Cari fratelli e sorelle, voi riuniti nella Basilica di san Pietro e voi tutti che mi ascoltate in questo momento e in qualsiasi punto del globo terrestre: in questa notte l'umanità intera ha ricevuto il "dono" più grande! In questa notte ogni uomo riceve il "dono" più grande! Dio stesso diventa il "dono" per l'uomo.
Egli fa di se stesso "il dono" per la natura umana. Entra nella storia dell'uomo non già soltanto mediante la parola che da lui giunge all'uomo, ma mediante il Verbo che è diventato carne! Domando a voi tutti: avete la coscienza di questo "dono"? Siete pronti a rispondere con il dono al "dono"? così come quei pastori di Betlemme, che hanno risposto...
E vi auguro dal profondo di questa nuova notte di Betlemme 1980 che accettiate il "dono" di Dio, che è diventato uomo.
Vi auguro che rispondiate con il dono al "dono"!
Data: 1980-12-24 Data estesa: Mercoledi 24 Dicembre 1980.
Titolo: In questo Figlio che è nato siamo restituiti a noi stessi
1. "Puer natus est nobis, Filius datus est nobis..." (cfr. Is 9,5) Con queste parole del profeta Isaia, pronunciate a mezzanotte, ci è stato dato di iniziare la festività del Natale 1980.
Queste parole, proclamate a tutti coloro che erano - riuniti nella Basilica di san Pietro e, nello stesso tempo, a tutti coloro, che in qualsiasi punto del globo terrestre, le hanno ascoltate, sono divenute ancora una volta il messaggio della buona novella, la parola della luce e della gioia.
Adesso, mentre questo beato giorno è a metà del suo corso ed è giunto il momento in cui il Vescovo di Roma deve impartire la benedizione "all'urbe e al mondo" - urbi et orbi - consentite, voi tutti che siete qui - e voi ai quali in qualsiasi punto del globo terrestre arriva la mia voce - che ci uniamo spiritualmente per entrare nella stessa strada in cui, nella notte, e nel giorno, della nascita di Dio, si sono avviati i pastori di Betlemme.
2. Fratelli miei e sorelle mie! Tutti voi, per i quali questo Natale è il segno della speranza! Vi invito a tale unione spirituale! Circondiamo con una vasta - quanto estesa! - corona di cuori il luogo, nel quale Dio si è fatto uomo. Facciamo corona attorno a questa Vergine, che Gli ha dato la vita umana nella notte della nascita di Dio! Facciamo corona attorno alla santa famiglia! Emmanuele! Sei in mezzo a noi. Sei con noi. Sceso alle estreme conseguenze di quell'alleanza, che era stata conclusa sin dall'inizio con l'uomo, e nonostante che essa fosse stata tante volte violata e infranta...
3. Sei con noi! Emmanuele! In un modo che veramente supera tutto ciò che potesse pensare di te l'uomo. Tu sei con noi come uomo.
Ammirabile - "admirabilis" - davvero ammirabile sei, Dio, creatore e Signore del cosmo, con Dio Padre onnipotente! Logos! Figlio unigenito! Dio potente! che sei con noi come uomo, come un neonato della stirpe umana, uomo debolissimo, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia perché "non c'era posto per loro" in alcun albergo (cfr. Lc 2,7).
Ammirabile! Angelo del grande consiglio! Non è forse appunto perché tu in questo modo ti sei fatto uomo, che tu in questo modo sei venuto nel mondo, senza un tetto, che sei diventato il più vicino all'uomo? Non è forse appunto per il fatto che tu stesso, Gesù neonato, sei senza un tetto, che sei il più vicino a quei nostri fratelli e sorelle dell'Italia meridionale, i quali, a causa del recente terribile terremoto hanno perso le loro case? E gli uomini che veramente vengono loro in aiuto, sono proprio coloro che hanno nei loro cuori te, te che sei nato a Betlemme senza una casa.
Non è forse appunto per il fatto che sin dai primi giorni della tua vita sei stato minacciato di morte per le mani di Erode, che tu sei particolarmente vicino, il più vicino, a coloro che sono minacciati in qualsiasi modo, a coloro che muoiono per mani assassine, a coloro, ai quali vengono negati i fondamentali diritti umani? E ancora di più, forse per questo sei più vicino perfino a coloro, la cui vita è minacciata già nel grembo della madre? O veramente ammirabile! Dio onnipotente nella sua debolezza di bambino.
4. Da tutte le parti di questa città e del mondo - urbe et orbe - noi ci incamminiamo verso di te. Ci attira la tua nascita a Betlemme. Avresti potuto forse fare ancora qualcosa di più di quanto hai fatto, per essere Emmanuele, Dio con noi? Qualcosa di più di ciò che guardano i nostri occhi stupiti: occhi degli uomini delle diverse parti del mondo, dei diversi paesi e continenti, dei diversi punti di ogni longitudine e latitudine geografica, così come, una volta, hanno guardato gli occhi di Maria, di Giuseppe, e poi gli occhi dei pastori e quelli dei magi dell'oriente! Veramente beati gli occhi, che vedono ciò che voi vedete! Tu sei il principe della pace! Quanto grande per l'uomo è il bene della pace! Quanto esso è desiderato nel mondo contemporaneo e, insieme, quanto è minacciato! Tu sei padre per sempre! L'uomo, che cresce dal suo molteplice passato, è rivolto verso il futuro e, al tempo stesso, egli si preoccupa per il proprio futuro, per il futuro del mondo. Cristo, sii tu il futuro dell'uomo! 5. Isaia dice che sulle tue spalle "è il segno della sovranità" (Is 9,5). Qual è questa sovranità sulle tue spalle, debole bambino, quale è questa sovranità? La conosciamo. Ci hai dato di conoscerla fino in fondo: dalla mangiatoia fino alla croce, da Betlemme fino al Calvario, dalla nascita fino alla risurrezione.
Non è la sovranità "sull'uomo". E' la sovranità "per l'uomo". E' la potenza della redenzione. E' la verità e l'amore.
Ecco, tu nasci a Betlemme, perché in te si riveli "l'amore geloso del Signore degli eserciti", perché si riveli quell'amore, col quale il Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito... (cfr. Jn 3,16).
In questo momento noi tutti siamo spiritualmente nel luogo della tua nascita. Guardiamo a te, neonato; guardiamo da questa città e dal mondo.
Beati gli occhi che vedono ciò che noi vediamo! "Puer natus est nobis, Filius datus est nobis". Si! Ci è stato dato un figlio. In questo figlio noi tutti siamo restituiti di nuovo a noi stessi. Egli è la nostra benedizione.
Prima di condividere questa benedizione del neo-nato con voi, cari fratelli e sorelle, permettete che mi rivolga ancora con un saluto, nelle singole lingue, ai vari popoli del mondo, che partecipano al nostro corteo spirituale verso Betlemme.
[Omissis. Seguono i saluti nelle varie lingue.]
Data: 1980-12-25 Data estesa: Giovedi 25 Dicembre 1980.
Titolo: Invitta fedeltà alla perfezione di Cristo
Fratelli e figli carissimi! Mi è caro, anche quest'oggi, rivolgermi a voi, che siete qui convenuti per la preghiera dell'"Angelus" nel clima così tipico ed intimo del santo Natale.
Oggi, infatti, il Natale continua la sua salutare e tonificante atmosfera, ed in essa ancora respirano le nostre anime per il senso di perdurante meraviglia e stupore dinanzi al grande evento che si è verificato e che, inesauribile nella sua efficacia, si proietta nell'intero corso del tempo. Intendo l'evento o, più esattamente, il mistero del Figlio di Dio che nasce a Betlemme come Figlio dell'uomo, per farsi a noi fratello e per noi salvatore.
Tanto augusto ed insondabile è un tale mistero, che noi non lo mediteremo mai abbastanza. Per questo, la Chiesa nella sua sapienza liturgica e catechetica ce lo ripropone ogni anno, per una commemorazione che si prolunga per non pochi giorni e si articola in uno speciale ciclo che chiamiamo "ciclo liturgico natalizio".
2. E desidero venerare insieme con voi santo Stefano, primo martire cristiano, così come lo fa la Chiesa il giorno dopo la solennità del Natale.
"Ieri abbiamo celebrato la nascita temporale dell'eterno nostro re; oggi celebriamo la passione gloriosa di un suo soldato. Difatti, ieri il nostro re, rivestito della nobile veste della sua carne, uscendo dalla reggia del seno verginale, si è degnato di far visita al mondo; oggi un suo soldato, lasciando la tenda del corpo, è salito da trionfatore nel cielo". Sono, queste le suggestive espressioni di un santo del la Chiesa antica, san Fulgenzio (S.Fulgentii "Sermo" 3,1), ed esse conservano intatto il loro significato perché enucleano un rapporto non soltanto di continuità liturgica tra la festa di Natale e quella del protomartire, ma anche soprattutto di intrinseco collegamento nell'ordine della santità e della grazia. Cristo, re della storia e redentore dell'uomo, si pone al centro di quell'itinerario verso la perfezione, a cui chiama l'uomo, ogni uomo.
Mentre veneriamo santo Stefano e l'invitto suo esempio di testimone di Cristo, quale egli si dimostro con la parola animosa, con la premura nel servizio dei poveri, con la sua costanza durante il processo e, soprattutto, con la sua morte eroica, noi vediamo che la sua figura s'illumina e s'ingigantisce nella luce del suo Signore e maestro, che volle seguire nel sacrificio supremo. E' il Signore Gesù che solo dà il soccorso ed il conforto necessario alle anime per esser fedeli fino alla morte.
Da ciò deriva una preziosa lezione per noi: guardando a Stefano nella prospettiva del Natale, noi dobbiamo raccogliere il suo esempio ed il suo insegnamento, i quali univocamente ci riportano a Cristo che, nato nella grotta di Betlemme, è già incamminato - nell'intenzione finalistica dell'opera redentiva - verso il colle del Calvario. Fatti da lui figli di Dio, chiamati a vivere da figli di Dio, saremo anche noi coronati come Stefano lassù, nella patria, se saremo fedeli.
Data: 1980-12-26 Data estesa: Venerdi 26 Dicembre 1980.
GPII 1980 Insegnamenti - La gioventù