GPII Omelie 1996-2005 57

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CELEBRAZIONE EUCARISTICA DELLA NOTTE SANTA DI NATALE



Basilica Vaticana - Mercoledì, 25 dicembre 1996




1. “Nella notte profonda risuona una voce” (Canto natalizio polacco). Dice il profeta Isaia nella prima Lettura: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1). Rifulse la luce “poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,5).

Il citato canto natalizio identifica quella voce nella notte: “Su, pastori, Dio nasce per voi, affrettatevi a Betlemme per salutare il Signore”. È la stessa voce che risuona nel brano evangelico di san Luca, appena proclamato: “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte, facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”” (Lc 2,8-12).

Il canto natalizio prosegue: “Andarono [i pastori], nella mangiatoia trovarono il Bambino con tutti i segni che l’avevano preannunciato. Lo adorarono come Dio...”.

2. Quanto san Luca scrisse nel Vangelo a proposito della nascita del Signore Gesù è stato tradotto in innumerevoli canti ed opere letterarie, che formano la ricca tradizione ispirata dal Natale. Portiamo con noi questa tradizione venendo alla santa Messa di mezzanotte, detta anche “Messa dei pastori”, che, in queste ore, insieme con me, Vescovo di Roma, stanno celebrando tanti Vescovi e sacerdoti in tutto il mondo.

In ogni luogo i canti liturgici ed extraliturgici annunziano la gioia della nascita del Signore. L’angelo dice: Non temete, gioite! La nascita di un essere umano è sempre fonte di grande gioia (cf. Gv Jn 16,21). Di quale gioia, dunque, deve essere motivo la nascita del Dio-Uomo! Dice Isaia: “Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete” (Is 9,2). Singolare messe! Ecco, l’umanità è matura per questo momento, nel quale il Creatore nasce “da donna”. L’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen Gn 1,27), cresce e cammina verso questo Dio-Uomo, nel quale riceve in dono il proprio compimento ed in cui, al tempo stesso, è elevato a pienezza tutto il creato.

Il Salmo responsoriale di questa Liturgia annunzia: “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il suo nome. Annunziate di giorno in giorno la sua salvezza” (Sal 95[96], 1-2). E un canto natalizio riecheggia: “Tutta la creazione canti al suo Signore”. Questo invito alla lode risuona con particolare eloquenza. Ecco, tutta la creazione, di cui l’apostolo Paolo scriverà che “attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19), diventa testimone della rivelazione del Figlio di Dio nella carne umana. Allo stesso tempo, questo è l’inizio e il fondamento della rivelazione di quanti sono diventati figli e figlie di Dio in virtù dell’adozione divina, a cui tutti sono chiamati.

Quali profondi motivi di gioia ci riserva il Natale del Signore!

3. Di tali motivi parla anche san Paolo nella seconda Lettura: “È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt 2,11). Il Figlio di Dio non viene al mondo a mani vuote. È vero che nella stalla di Betlemme riceve i doni dei pastori, ma prima di tutto egli stesso porta con sé grandi doni. È un’elargizione indicibile: “Ineffabili doni ci offre oggi dal cielo il Padre amorevole, quando il Verbo eterno si fa carne, in virtù della sua mirabile potenza” (Canto natalizio).

Proprio quel dono inestimabile, che l’Apostolo chiama “grazia” - elargizione della partecipazione alla vita di Dio, elargizione universale, come apertura della via dell’eterna salvezza - è la fonte più profonda della gioia del Natale.

Con questa gioia nel cuore, celebriamo la solenne ed affascinante Liturgia della notte. Vogliamo unirci ai cori degli angeli, che sopra la stalla di Betlemme glorificano il Signore: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). Preghiamo oggi per tutti gli uomini, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti. Vogliamo, infatti, essere fedeli al dono recato da Dio nella notte di Betlemme: la grazia del nostro Signore Gesù Cristo, apparsa per tutti gli uomini.

Da questa Basilica di san Pietro rivolgo a tutti un cordiale saluto, augurando che questa fonte di gioia, sgorgata nella storia dell’uomo con la nascita del Figlio di Dio, sia per tutti abbondante, così che ciascuno vi attinga e ad essa si disseti. Ecco: è aperta la sorgente della salvezza che Dio desidera offrire ad ogni uomo. Proprio per questo egli si è fatto prossimo a noi, divenendo nel suo Figlio simile agli uomini: vero Dio e vero Uomo.

“Nasce Dio, la potenza umana resta sbigottita, il Signore dei cieli si spoglia! Il fuoco si smorza, il fulgore si vela, l’Infinito si pone confini” (F. Karpinski, Canto natalizio). Al tempo stesso, in questa notte si dilatano i confini dell’esistenza umana. Il Figlio di Dio, assumendo i limiti dell’uomo, dischiude davanti a noi la prospettiva dell’infinito di Dio.

“Natus est hodie Salvator mundi”.
È nato oggi il Salvatore del mondo.
Venite adoriamo!
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CELEBRAZIONE DEI VESPRI E DEL TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO

PER LA FINE DELL’ANNO


Chiesa di Sant'Ignazio a Campo Marzio

Martedì, 31 dicembre 1996

1. «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna . . . perché ricevessimo l’adozione a figli» (Ga 4,4-5).

Siamo giunti al termine di un anno solare: tra alcune ore il 1996 cederà il passo al nuovo anno, dopo aver raggiunto, per così dire, la sua pienezza cronologica e il culmine del cammino iniziato 366 giorni fa.

L’espressione «pienezza dei tempi» ha una valenza possiamo dire «storica», perché ci ricorda che l’anno ormai al suo compimento ci avvicina a grandi passi verso l’inizio del terzo millennio.Tuttavia, con tale espressione san Paolo, nella Lettera ai Galati, intende evocare una dimensione più profonda che fa riferimento a quanto si è compiuto nella grotta di Betlemme: «Dio mandò» nel mondo «il suo Figlio, nato da donna» (Ga 4,4). In queste parole rivive l’evento misterioso della Notte Santa: l’unigenito ed eterno Figlio di Dio «per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo » (Simbolo Nic.-Costantinop.). È entrato nella storia degli uomini e l’ha come superata.

Può, infatti, definirsi altrimenti l’ingresso di Dio nella storia, se non come superamento della storia stessa? Quando Dio si fa Uomo, il tempo nelle sue scansioni di anni, di secoli e millenni viene introdotto nella dimensione dell’eternità divina: infatti, venendo nel mondo, mediante il suo Figlio Unigenito, Dio ha voluto unire tra loro le dimensioni del tempo e dell’eternità. Riferendosi a ciò, l’odierna liturgia ci rende consapevoli di una prospettiva nuova: con l’Incarnazione del Verbo il tempo dell’uomo è chiamato a partecipare all’eternità di Dio.

2. Come avviene tutto ciò? Alla domanda dà risposta la lettura dell’odierna liturgia dei Vespri: «Dio mandò il suo Figlio» nel mondo, «nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Ga 4,4-5). Per questo il Verbo si fece carne e prese dimora tra noi, perché noi, accogliendolo, ricevessimo l’adozione a figli.

L’apostolo Giovanni, nel Prologo del suo Vangelo, proclama con stupore: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi... A quanti... l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Jn 1,14 Jn 1,12). L’Unigenito, della stessa sostanza del Padre, viene nel mondo affinché, mediante la grazia santificante, siano rigenerati tutti gli uomini chiamati all’alto privilegio di essere, per divina adozione, «filii in Filio », figli nel Figlio.

3. La Chiesa professa questa verità circa la pienezza del tempo ed intende proclamarla oggi in un modo del tutto singolare.

Come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, la cui missione è di annunciare il Vangelo Urbi et Orbi, ho speciali ragioni questa sera di lodare Dio per la «pienezza del tempo» e per la salvezza, operante nel mondo mediante il ministero ecclesiale. Ho singolari motivi di ringraziamento al Signore per ciò che la nostra comunità ecclesiale, cuore della Chiesa universale, compie particolarmente al servizio della città di Roma: essa infatti è in primo luogo inviata ai cittadini romani, come un tempo furono mandati loro gli apostoli Pietro e Paolo. Sono passati, da allora, circa duemila anni e nell’arco di questi due millenni il mandato conferito alla Chiesa di Roma ha prodotto innumerevoli frutti di bene.

Stasera, in questo magnifico tempio situato nel cuore dell’Urbe, nel nostro rendimento di grazie vogliamo far menzione di ogni beneficio operato da Dio per il tramite del ministero apostolico sia nella Chiesa universale che nella nostra Città. Desidero ringraziare il Signore, in special modo, per i risultati raggiunti nell’anno che sta per finire, durante il quale, all’approssimarsi della conclusione del secondo millennio, abbiamo iniziato la preparazione prossima al Grande Giubileo.

4. Ho ancora davanti agli occhi il magnifico spettacolo della scorsa Veglia di Pentecoste. In quella circostanza la Chiesa che è in Roma, nelle sue diverse componenti - Vescovi, Sacerdoti, Famiglie religiose e fedeli laici, in rappresentanza di tutto il Popolo di Dio - ha dato solennemente inizio alla preparazione immediata dell’Anno Santo con l’avvio della grande Missione cittadina.

Il mio pensiero va, altresì, alle parrocchie e alle comunità che hanno vissuto nell’anno corrente la grazia della Visita pastorale: sant’Antonio da Padova alla Circonvallazione Appia; san Cleto, san Giulio, san Vincenzo Pallotti, santa Maria «Causa Nostrae Laetitiae», santa Bibiana, beato José Maria Escrivá, santa Maddalena di Canossa nella prima parte dell’anno, e, recentemente, san Girolamo Emiliani e Nostra Signora di Valme. Il numero delle parrocchie sinora visitate sale così a 251; attendono ancora 77.

Per tutti questi eventi e per il servizio reso alla Chiesa di Roma, ringrazio il Cardinale Vicario e voi, cari Fratelli Vescovi Ausiliari, insieme ai parroci, ai vicari parrocchiali ed ai sacerdoti che lavorano nella nostra Città. Ringrazio i Religiosi e le Religiose come pure i laici impegnati nelle varie attività apostoliche ed a tutti rivolgo un cordiale e fraterno saluto.

Desidero, inoltre, esprimere la mia gratitudine a tutti i fedeli della Diocesi di Roma. Grazie a voi, Fratelli e Sorelle! Grazie, famiglie romane, «chiese domestiche » (cfr Lumen gentium LG 11), prime e fondamentali cellule della società! Grazie, membri delle molte Comunità, Associazioni e Movimenti impegnati ad animare la vita cristiana della nostra Città!

Saluto con vivi sentimenti di gratitudine il Padre Peter- Hans Kolvenbach, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, ed i Padri Gesuiti che operano in questa chiesa.

Porgo, altresì, un cordiale saluto alle Autorità Civili presenti e, in special modo, al Sindaco di Roma, ringraziandolo per il dono del calice che, secondo una bella tradizione, ogni anno si rinnova. Auspico di cuore che mai manchi l’impegno di tutti per donare alla Città un volto più consono ai valori di fede, di cultura e di civiltà che promanano dalla sua vocazione e dalla sua storia millenaria, anche in vista del Grande Giubileo del Duemila.

5. Carissimi Fratelli e Sorelle, traendo ancora ispirazione ed incoraggiamento dalle parole dell’apostolo Paolo ai Galati, ricordate in questa liturgia dei Vespri, serviamo insieme l’unica causa della Redenzione: dal momento che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito, perché noi potessimo ottenere la figliolanza adottiva (cfr Ga 4,5), non può esistere per noi compito più grande di quello di essere totalmente al servizio del progetto divino.

«L’anima mia magnifica il Signore!» (Lc 1,46). Questo cantico, sgorgato nel cuore di Maria in occasione della visita a santa Elisabetta, possa diventare oggi espressione della nostra azione di grazie. La Chiesa lo ripete ogni giorno, memore di tutti i benefici di cui si sente ricolmata.

«. . . E il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,47). Con Maria così canta la Chiesa che è in Roma, riscoprendo quotidianamente la sua fragilità da una parte e le meraviglie dall'altra che Dio opera in Lei.

«D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (Lc 1,48-50).

Siamo qui per annunziare le misericordie compiute dal Signore nell’arco dell’anno che volge al termine. Siamo qui per disporci con l’animo colmo di gratitudine a varcare, a mezzanotte, la soglia del 1997.

Te Deum laudamus...
Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre, tutta la terra ti adora...
Pietà di noi, Signore, pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza,
non saremo confusi in eterno.

Amen!

                                                                                      1997
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SOLENNITÀ DI MARIA SS. MADRE DI DIO E

XXX GIORNATA MONDIALE DELLA PACE


Basilica Vaticana - Mercoledì, 1° gennaio 1997




1. “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31).

Gesù vuol dire “Dio che salva”.Gesù, nome dato da Dio stesso, sta a dire che “in nessun altro c’è salvezza” (Ac 4,12) se non in Gesù di Nazaret, nato da Maria Vergine. In Lui Dio si è fatto uomo, venendo incontro così ad ogni essere umano.

“Dio . . . aveva già parlato nei tempi antichi molte volte . . . ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (He 1,1). Questo Figlio è il Verbo eterno, della stessa sostanza del Padre, fatto uomo per rivelarci il Padre e per renderci possibile la comprensione di tutta la verità su di noi. Ci ha parlato con parole umane, ed anche con le sue opere e con la sua stessa vita: dalla nascita alla morte di croce e alla risurrezione.

Tutto ciò sin dall’inizio provoca meraviglia. Già i pastori giunti a Betlemme si stupirono di quanto avevano visto, e gli altri restarono attoniti ascoltando ciò che essi raccontavano del Neonato (cfr Lc 2,18). Guidati dall’intuizione della fede, essi riconobbero il Messia nel bambino giacente nella mangiatoia e la povera nascita a Betlemme del Figlio di Dio li spinse a proclamare con gioia la gloria dell’Altissimo.

2. Il nome Gesù apparteneva sin dall’inizio a colui che fu chiamato così l’ottavo giorno dopo la nascita. In un certo senso, Egli portò con sé venendo al mondo questo nome, che esprime in modo mirabile l’essenza e la missione del Verbo incarnato.

Egli è venuto nel mondo per salvare l’umanità. Quando, dunque, gli fu imposto questo nome, fu rivelato al tempo stesso chi era e quale sarebbe stata la sua missione. Molti in Israele avevano questo nome, ma Lui lo portò in un modo unico, realizzandone in pienezza il significato: Gesù di Nazaret, Salvatore del mondo.

3. San Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura, scrive: “. . . quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna, nato sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Ga 4,4-5). Il tempo è congiunto al nome di Gesù sin dall’inizio. Questo nome Lo accompagna nella sua vicenda terrena immersa nel tempo, ma senza che Egli sia ad essa soggetto, poiché in Lui c’è la pienezza del tempo. Anzi nel tempo umano Dio ha recato la pienezza, entrando con essa nella storia dell’uomo. Non è entrato come un concetto astratto. È entrato come Padre che dà la vita, - una vita nuova, la vita divina - ai suoi figli adottivi. Per opera di Gesù Cristo noi tutti possiamo partecipare alla vita divina: figli nel Figlio, destinati alla gloria dell’eternità.

San Paolo approfondisce poi questa verità: “E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Ga 4,6). In noi, uomini, la divina figliolanza proviene da Cristo e si attua per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito viene per insegnarci che siamo figli e allo stesso tempo per rendere effettiva in noi questa figliolanza divina. Il Figlio è colui che con tutto il suo essere dice a Dio: “Abbà, Padre”.

Stiamo toccando qui il culmine del mistero della nostra vita cristiana. Il nome “cristiano” indica in effetti un nuovo modo di essere: esistere a somiglianza del Figlio di Dio. Come figli nel Figlio, partecipiamo alla salvezza, la quale non è soltanto liberazione dal male, ma è, prima di tutto, pienezza del bene: del sommo bene della figliolanza di Dio. Ed è lo Spirito di Dio a rinnovare la faccia della terra (cfr Sal 103[104], 30). Nel primo giorno dell’anno nuovo la Chiesa ci invita a prendere consapevolezza sempre più profonda di questo. Ci invita a considerare in tale luce il tempo umano.

4. La liturgia odierna celebra la solennità della Madre di Dio. Maria è Colei che è stata prescelta per essere Madre del Redentore condividendone intimamente la missione. Nella luce del Natale, si illumina il mistero della sua divina maternità. Maria, Madre di Gesù che nasce nella Grotta di Betlemme, è anche Madre di ogni uomo che viene nel mondo. Come non affidare a Lei l’anno che inizia, per implorare che sia un tempo di serenità e di pace per l’intera umanità? Nel giorno in cui si apre questo nuovo anno sotto lo sguardo benedicente della Madre di Dio, invochiamo per ciascuno e per tutti il dono della pace.

5. In effetti, da diversi anni ormai, il primo gennaio è celebrato, per iniziativa del mio venerato predecessore il Papa Paolo VI, come Giornata Mondiale della Pace. Siamo qui, nella Basilica Vaticana, anche quest’anno, per implorare il dono della pace per le Nazioni del mondo intero.

È significativa, in tale prospettiva, la presenza degli illustri Signori Ambasciatori presso la Santa Sede, che saluto con deferenza. Saluto con affetto anche il Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il Cardinale Roger Etchegaray, e tutti i suoi Collaboratori, mentre li ringrazio per il prezioso contributo che offrono alla diffusione del messaggio di pace che la Chiesa non si stanca di ripetere.

Quest’anno il tema del Messaggio per questa Giornata è “Offri il perdono, ricevi la pace”. Quanto è necessario il perdono per far sbocciare la pace nel cuore di ogni credente e di ogni persona di buona volontà! Pace e perdono costituiscono come un binomio inscindibile. Ogni persona di buona volontà, desiderosa di operare instancabilmente all’edificazione della civiltà dell’amore, deve far proprio questo invito: offri il perdono, ricevi la pace.

6. La Chiesa prega ed opera per la pace in ogni dimensione: per la pace delle coscienze, per la pace delle famiglie, per la pace tra le Nazioni. Essa è sollecita per la pace nel mondo, poiché è consapevole che soltanto nella pace si può sviluppare in modo autentico la grande comunità degli uomini.

Avviandoci al termine di questo secolo, in cui il mondo, e specialmente l’Europa, hanno sperimentato non poche guerre e sofferenze, come vorremmo che la soglia dell’anno 2000 potesse essere varcata da tutti gli uomini sotto il segno della pace! Per questo pensando all’umanità chiamata a vivere un altro anno di grazia, ripetiamo con Mosè le parole dell’Antica Alleanza: “Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace” (Nb 6,24-26). Ripetiamo inoltre con fede e speranza le parole dell’Apostolo: Cristo è la nostra pace! (cfr Ep 2,14). Confidiamo nell’aiuto del Signore e nella materna protezione di Maria, Regina della pace. Poggiamo questa nostra speranza su Gesù, nome di salvezza dato agli uomini di ogni lingua e razza. Confessando il suo nome, camminiamo fiduciosi verso il futuro. Certi che non resteremo delusi se confideremo nel santissimo Nome di Gesù.

In te Domine speravi,
non confundar in aeternum.
Amen!


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ORDINAZIONE DI 12 NUOVI VESCOVI

NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE




Basilica Vaticana - Lunedì, 6 gennaio 1997

1. “Alzati [Gerusalemme], rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1).

In questo giorno, solennità dell’Epifania, così risuonano le parole del Profeta. L’antico suggestivo oracolo di Isaia preannunzia in qualche modo la luce che, nella notte di Natale, brillò sulla grotta di Betlemme, anticipando il canto angelico: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). Additando la luce, in un certo senso, il Profeta addita Cristo. Come ai pastori in cerca del neonato Messia, oggi questa luce risplende sul cammino dei Magi venuti dall’Oriente per adorare il nato Re dei Giudei.

I Magi rappresentano i popoli di tutta la terra che, alla luce del Natale del Signore, si incamminano sulla strada che conduce a Gesù costituendo, in un certo senso, i primi destinatari di quella salvezza inaugurata dalla nascita del Salvatore e portata a compimento nel mistero pasquale della sua morte e risurrezione.

Arrivati a Betlemme, i Magi adorano il divino Bambino ed offrono doni simbolici, diventando antesignani dei popoli e delle nazioni che, nel corso dei secoli, non cessano di cercare e di incontrare Cristo.

2. Nella seconda Lettura, tratta dalla Lettera agli Efesini, l’apostolo Paolo commenta con intenso stupore il mistero celebrato nell’odierna solennità: “. . . Penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio a me affidato a vostro beneficio: come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero... Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo” (Ep 3,2-3 Ep 5-6). Figlio della Nazione eletta, convertito da Cristo, Paolo è divenuto partecipe della divina Rivelazione, dopo gli altri Apostoli, per trasmetterla alle nazioni del mondo intero. In seguito a tale grande svolta della sua vita, egli comprende che l’elezione si estende a tutti i popoli e che tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza, perché “partecipi della promessa per mezzo del Vangelo” (Ep 3,6). Infatti la luce di Cristo e l’universale chiamata alla salvezza sono destinate ai popoli di tutta la terra. “Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il Popolo di Dio, è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell’unità del Suo Spirito” (Lumen gentium LG 13).

3. Comprendiamo così il senso pieno dell’Epifania, presentato da Paolo nel modo in cui egli stesso l’ha inteso ed attuato. Compito dell’Apostolo è diffondere nel mondo il Vangelo, annunziare agli uomini la redenzione operata da Cristo, condurre l’intera umanità sulla via della salvezza, manifestata da Dio a partire dalla notte di Betlemme. L’attività missionaria della Chiesa, attraverso le sue molteplici tappe nel corso dei secoli, trova nella festa dell’Epifania il suo avvio ed il suo respiro universale.

Proprio per sottolineare questo universale respiro della missione della Chiesa, è nata ormai da parecchi anni la consuetudine che, nella festa dell’Epifania, il Vescovo di Roma imponga le mani ed invochi lo Spirito Santo per il servizio episcopale su alcuni presbiteri, provenienti da diverse nazioni.

Oggi sono dodici i Fratelli ai quali ho la gioia di conferire la pienezza del sacerdozio. Durante la consacrazione episcopale sarà posto sul loro capo il libro del Vangelo per sottolineare che recare la Buona Novella è la loro fondamentale missione, missione ricca di gioia e, al tempo stesso, di fatica per quanti si impegnano a realizzarla responsabilmente e fedelmente.Preghiamo insieme affinché la luce, che illuminò i Magi in cammino verso Betlemme, accompagni anche questi neo eletti all’episcopato.

4. Cari Fratelli scelti da Dio per il ministero episcopale, auguro a ciascuno di voi la ricchezza e la pienezza dell’Epifania di Cristo. La auguro a te, Mons. Luigi Pezzuto, che sarai Rappresentante Pontificio in Congo e in Gabon, nel cuore del Continente africano, a me tanto caro. Prego per te, Mons. Paolo Sardi, che, nominato Nunzio Apostolico con incarichi speciali, continuerai ad operare ancora accanto a me nella Segreteria di Stato, ringraziandoti per il servizio finora compiuto, ti auguro di continuare allo stesso modo, con lo stesso zelo. Saluto te, Mons. Varkey Vithayathil, a cui è affidato il compito importantissimo di amministrare l’Arcivescovato Maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi, nello stato indiano del Kerala. Auguro che l’Epifania di Cristo risplenda in pienezza per te, Mons. Delio Lucarelli, Pastore della diocesi di Rieti, per te, Mons. Ignace Sambar-Talkena, Vescovo di Kara in Togo e per te, Mons. Luciano Pacomio, Pastore della diocesi di Mondovì. La luce dello Spirito Santo guidi te, Mons. Angelo Massafra, primo Vescovo di Rrëshen ed Amministratore Apostolico di Lezhë in Albania, e te, Mons. Florentin Crihalmeanu, chiamato a collaborare come Ausiliare col Vescovo della tua diocesi di Cluj-Gherla in Romania. Il Signore sostenga te, Mons. Jean-Claude Périsset, nell’incarico di Segretario Aggiunto del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e te, carissimo Mons. Piotr Libera, che affiancherai come Ausiliare il mio fratello l’Arcivescovo di Katowice in Polonia. Accompagni te, Mons. Basilio do Nascimento, mandato ai fedeli della nuova diocesi di Baucau a Timor Orientale e te, Mons. Hil Kabashi, che la Provvidenza invia nell’Albania Meridionale accompagni lo stesso Spirito Santo e la sua Grazia.

5. Cari e venerati Fratelli, mi piace, in questo momento, immaginarvi accanto ai Magi, mentre adorate il Re della pace, il Salvatore del mondo e vedere la mano del Bambino Gesù, guidata da quella della sua Madre santa, nell’atto di benedire ciascuno di voi. È l’Agnello di Dio, il Pastore dei Pastori, che vi domanda di prolungare e diffondere la sua carità nel mirabile corpo della Chiesa e in ogni parte del mondo, in questi anni di preparazione al Grande Giubileo del Duemila. Forti del suo aiuto, andate senza esitazione; siate apostoli fedeli e coraggiosi di Cristo, annunciando e testimoniando il Vangelo, luce che illumina tutti i popoli. Non temete! Cristo è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20). “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi . . . e sempre” (He 13,8).

Amen!


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SANTA MESSA E AMMINISTRAZIONE DEL SACRAMENTO

DEL BATTESIMO A 19 NEONATI DI DIVERSE NAZIONI




Cappella Sistina - Domenica, 12 gennaio 1997




1. “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19).

La Chiesa celebra oggi la festa del Battesimo di Cristo ed anche quest’anno ho la gioia di amministrare, in questa circostanza, il sacramento del Battesimo ad alcuni neonati: dieci bambine e nove bambini, di cui quattordici italiani, due polacchi, uno spagnolo, un messicano e un indiano. Siate i benvenuti, cari genitori, che siete qui giunti con i vostri piccoli. Saluto pure i padrini e le madrine, come anche tutti voi qui presenti.

2. Carissimi Fratelli e Sorelle, prima di amministrare il Sacramento a questi neonati, vorrei soffermarmi a riflettere con voi sulla parola di Dio che abbiamo or ora ascoltato. Il Vangelo secondo Marco, come del resto gli altri sinottici, narra il battesimo di Gesù nel fiume Giordano. La Liturgia dell’Epifania richiama questo evento, presentandolo in un trittico che comprende l’adorazione dei Magi d’Oriente e le nozze di Cana. Ciascuno di questi tre momenti della vita di Gesù di Nazaret costituisce una particolare rivelazione della sua figliolanza divina. Le Chiese Orientali sottolineano particolarmente l’odierna ricorrenza, denominata, in breve, “Giordano”. La considerano come un momento della “manifestazione” di Cristo, strettamente collegato col Natale.

La Liturgia orientale pone anzi in rilievo, più che la nascita di Gesù a Betlemme, la sua rivelazione come Figlio di Dio. Rivelazione che ebbe luogo con singolare intensità proprio durante il battesimo nel Giordano.

Quello che Giovanni il Battista conferiva sulle rive del Giordano era un battesimo di penitenza, in ordine alla conversione e al perdono dei peccati. Ma egli annunziava: “Dopo di me viene uno che è più forte di me . . . Io vi ho battezzati con acqua, ma Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo” (Mc 1,7-8). Annunciava questo ad una moltitudine di penitenti, che andavano da lui confessando i loro peccati, pentendosi e disponendosi a correggere la loro vita.

Di ben altra natura è il Battesimo donato da Gesù e che la Chiesa, fedele al suo comando, non cessa di amministrare. Questo Battesimo libera l’uomo dalla colpa originale e ne rimette i peccati, lo riscatta dalla schiavitù del male e segna la sua rinascita nello Spirito Santo; gli comunica una nuova vita, che è partecipazione alla vita di Dio Padre, donataci dal suo Figlio Unigenito, fattosi uomo, morto e risorto.

3. Nel momento in cui Gesù esce dall’acqua lo Spirito Santo discende su di Lui come una colomba e, apertosi il cielo, dall’alto si ode la voce del Padre: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11). L’evento del battesimo di Cristo non è pertanto solo rivelazione della sua figliolanza divina, ma è, allo stesso tempo, rivelazione di tutta la Santissima Trinità: il Padre - la voce dall’alto - rivela in Gesù il Figlio Unigenito a Lui consustanziale, e tutto ciò si compie in virtù dello Spirito Santo, che sotto forma di colomba scende su Cristo, il Consacrato del Signore.

Negli Atti degli Apostoli leggiamo del battesimo amministrato dall’apostolo Pietro al centurione Cornelio ed ai suoi familiari. Pietro mette così in atto le consegne di Cristo risorto ai suoi discepoli: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Il Battesimo nell’acqua e nello Spirito Santo è il primo e il fondamentale sacramento della Chiesa, sacramento della vita nuova in Cristo.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle, anche questi bambini tra poco riceveranno questo stesso Battesimo e diventeranno membra vive della Chiesa. Saranno anzitutto unti con l’olio dei catecumeni, segno della mite fortezza di Cristo, loro donata per lottare contro il male. Su di essi, poi, verrà infusa l’acqua benedetta, segno della purificazione interiore mediante il dono dello Spirito Santo, che Gesù ha effuso morendo sulla croce. Subito dopo riceveranno una seconda e più importante unzione con il “crisma”, ad indicare che essi sono consacrati ad immagine di Gesù, l’Unto del Padre. Al papà di ciascuno verrà, quindi, consegnata una candela da accendere al cero pasquale, simbolo della luce della fede che i genitori, i padrini e le madrine dovranno continuamente custodire ed alimentare, con la vivificante grazia dello Spirito.

Affidiamo, cari genitori, padrini e madrine, queste piccole creature alla materna intercessione della Vergine Maria. Chiediamo a Lei che, rivestiti della veste bianca, segno della loro nuova dignità di figli di Dio, essi siano per tutta la loro vita autentici cristiani e coraggiosi testimoni del Vangelo.
Amen!
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GPII Omelie 1996-2005 57