Caterina, Dialogo 152

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CAPITOLO CLII.

Ora t'ò narrato alcuna piccola particella della providenzia mia in ogni maniera di gente, come detto è, mostrandoti che, dal principio che Io creai il mondo primo, e il secondo mondo della mia creatura dandole l'essere, creandola alla imagine e similitudine mia, infino a l'ultimo, Io ò usato e fatto e fo ciò che Io fo con providenzia per procurare a la salute vostra; perché Io voglio la vostra santificazione (1Th 4,3) ogni cosa data a voi, che abbi essere, vi do per questo fine. Questo non veggono gl'iniqui uomini del mondo che s'ànno tolto il lume; e detto t'ò che, però che non cognoscono, si scandelizzano in me. Non di meno Io con pazienzia gli porto, aspettandoli infine a l'ultimo, procurando al loro bisogno, sì come Io ti dissi: § 137 ,255ss.; § 138 ,384ss.) a loro che sono peccatori, come de' giusti, in queste cose temporali e nelle (170r) spirituali. Anco t'ò contato la imperfezione delle ricchezze, una sprizza della miseria nella quale conducono colui che le possiede con disordinato affetto, e della eccellenzia della povertà, della ricchezza che dà nell'anima che la elegge per sua sposa, acompagnata con la sorella della viltà. Della quale viltà insieme con l'obedienzia ti narrarò.

Anco t'ò mostrato quanto è piacevole a me e come Io la tengo cara e come Io la proveggo con la providenzia mia. Tutto l'ò detto a commendazione di questa virtù e della santissima fede con la quale gionse a questo eccellentissimo stato, per farti crescere in fede e in speranza, e per farti bussare a la porta della mia misericordia. Con fede viva tiene che'l desiderio tuo e de' servi miei Io l'adempirò con molto sostenere infino alla morte. Ma confortati ed esulta in me che so' tuo difenditore e consolatore. (Lc 1,47) Ora ò satisfatto al parlare della providenzia, della quale tu mi pregavi che Io provedessi alla necessità delle mie creature, e ài veduto che Io non so' spregiatore de' santi e veri desideri. § 1 ,53-55)

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CAPITOLO CLIII.

Alora quella anima come ebbra, inamorata della vera e santa povertà, dilatata nella somma etterna grandezza e trasformata ne l'abisso della somma e inestimabile providenzia - in tanto che, stando nel vasello deI corpo, si vedeva fuore del corpo per la obumbrazione e rapire che fatto aveva il fuoco della sua carità in lei - teneva l'occhio de l'intelletto suo fisso nella divina maiestà dicendo al sommo ed etterno Padre: - O Padre etterno! O fuoco e abisso di carità! O etterna bellezza, o etterna sapienzia, o etterna bontà; o etterna clemenzia! O speranza, o rifugio de' peccatori! O larghezza inestimabile, o etterno e infinito bene, o pazzo d'amore! E ài tu bisogno della tua creatura? Sì pare a me; ché tu tieni modi come se senza lei tu non potessi vivere, con ciò sia cosa che tu sia vita, ché ogni cosa à vita da te e senza te veruna cosa vive. (Lc 20,38) E perché dunque se' così impazzato? Perché tu t'inamorasti della tua fattura, piacestiti e dilettastiti in te medesimo di lei e, come ebbro (170v) della sua salute, ella ti fugge e tu la vai carendo, ella si dilonga e tu t'apressimi: più presso non potevi venire che vestirti della sua umanità.

E che dirò? Farò come troglio, dirò: «A, a»; perché non so che mi dire altro, (Jr 1,6) però che la lingua finita non può esprimere l'affetto de l'anima che infinitamente desidera te. Parmi ch'io possa dire la parola di Pauolo quando disse: «Né lingua può parlare, né l'orecchia udire, né l'occhio vedere, né cuore pensare» (1Co 2,9 Is 64,3) quello che vidde! Che vedesti? "Vidi arcana Dei". (2Co 12,4) E io che dico? Non ci aggiongo con questi sentimenti grossi, ma tanto dico che ài gustato e veduto, anima mia, l'abisso della somma etterna providenzia.

Ora rendo grazie a te, sommo ed etterno Padre, della smisurata tua bontà mostrata a me miserabile indegna d'ogni grazia.

Ma perché io veggo che tu se' adempitore de' santi desideri, e la tua Verità non può mentire, unde io desidero che ora un poco mi parlassi della virtù e eccellenzia de l'obedienzia, sì come tu, Padre etterno, mi promettesti che mi narraresti, acciò che io d'essa virtù m'inamori e mai non mi parta da l'obedienzia tua.

Piacciati, per la tua infinita bontà, di dirmi della sua perfezione, e dove io la posso trovare, e quale è la cagione che me la tolle, e chi me la dà, e il segno che io l'abbi o che io non l'abbi. -

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CAPITOLO CLIV.

Allora il sommo etterno e pietoso Padre volse l'occhio della misericordia e clemenzia sua inverso di lei dicendo: - O carissima e dolcissima figliuola, il santo desiderio e giuste petizioni debbono essere esauditi, e però Io, somma Verità, adempirò la verità mia satisfacendo alla promessa che Io feci a te e al desiderio tuo. E se tu mi dimandi dove tu la truovi, e quale è la cagione che te la tolle e il segno che tu l'abbi o no, Io ti rispondo che tu la truovi compitamente nel dolce e amoroso Verbo unigenito mio Figliuolo. Fu tanto pronta in lui questa virtù che per compirla corse a l'obrobriosa morte della croce. (Ph 2,8) Chi te la tolle? Raguarda nel primo uomo, e vedrai la cagione che gli tolse l'obedienzia imposta a lui da me, Padre etterno: (171r) la superbia che escìe e fu prodotta da l'amore proprio e piacimento della compagna sua. Questo fu quella cagione che gli tolse la perfezione de l'obbedienzia e diégli la disobedienzia unde gli tolse la vita della grazia e diégli la morte; la innocenzia, e cadde in immondizia e grande miseria. E non tanto egli, ma e' v'incorse tutta l'umana generazione, sì come Io ti dissi. § 14 ; § 21 ; § 135 Il segno che tu abbi questa virtù è la pazienzia; e non avendola, te'l dimostra che tu non l'ài la impazienzia. Unde contandoti di questa virtù trovarrai ch'egli è così.

Ma attende: ché in due modi s'osserva l'obedienzia. L'una è più perfetta che l'altra, e non so' però separate ma unite, sì com'Io ti dissi de' comandamenti e de' consigli. § 47 ; § 151 L'uno è buono ed è perfetto e l'altro è perfettissimo; e veruno è che possa giognere a vita etterna se non l'obediente, però che senza l'obedienzia veruno è che vi possa intrare, perché ella fu diserrata con la chiave de l'obedienzia, e con la disobedienzia di Adam si serrò.

Essendo Io poi costretto da la mia infinita bontà, vedendo che l'uomo, cui Io tanto amava, non tornava a me fine suo, tolsi le chiavi de l'obbedienzia e posile in mano del dolce e amoroso Verbo, mia Verità: e' come portonaio (Oraz XIII) diserrò questa porta del cielo. E senza questa chiave e portonaio, mia Verità, veruno ci può andare, e però disse egli nel santo Evangelio che veruno poteva venire a me Padre se non per lui. (Jn 14,6) Egli vi lassò questa dolce chiave de l'obedienzia quando egli ritornò a me, esultando, in cielo e levandosi da la conversazione degli uomini per l'Ascensione. § 29 Sì come tu sai, egli la lassò al vicario suo Cristo in terra, a cui sete tutti obligati d'obedire infine a la morte. E chi è fuore de l'obedienzia sua sta in stato di dannazione, sì come in un altro luogo Io ti dissi. § 115 ; § 116 Ora voglio che tu vegga e cognosca questa eccellentissima virtù ne l'umile e immaculato Agnello, e unde ella procede.

Unde venne che tanto fu obbediente questo Verbo? Da l'amore che egli ebbe a l'onore mio, e a la salute vostra. Unde procedette l'amore? Dal lume della chiara visione con la quale vedeva l'anima sua (171v) chiaramente la divina Essenzia e la Trinità etterna, e così sempre vedeva me, Dio etterno. (Let 259) Questa visione adoperava perfettissimamente in lui quella fedeltà, la quale imperfettamente adopera in voi il lume della santissima fede. Ché fu fedele a me, suo Padre etterno, e però corse col lume glorioso, come inamorato, per la via de l'obedienzia, e perché l'amore non è solo, ma è acompagnato di tutte le vere e reali virtù, però che tutte le virtù ànno vita da l'amore della carità, ben che altrementi fussero le virtù in lui e altrementi in voi. Ma tra l'altre à la pazienzia che è il mirollo suo: uno segno dimostrativo che ella fa ne l'anima se ella è in grazia e ama in verità o no, e però la madre della carità l'à data per sorella a la virtù e l'obedienzia, e àlle sì unite insieme, che mai non si perde l'una senza l'altra: o tu l'ài ambedue o tu non n'ài veruna.

Questa virtù à una nutrice che la nutrica, cioè la vera umilità, unde tanto è obbediente quanto umile e tanto umile quanto obediente. Questa umilità è baglia e nutrice della carità, e però notrica il latte suo medesimo la virtù de l'obedienzia. Il vestimento suo, che questa nutrice le dà, è l'avilire se medesimo, vestirsi d'obrobri, di scherni e di villanie, dispiacere a sé e piacere a me. In cui el truovi? In Cristo dolce Iesu, unigenito mio Figliuolo. E chi s'avilì (Ph 2,7-8) più di lui? Egli si satollò d'obrobri e villanie, dispiacque a sé, (Rm 15,3) cioè la vita sua corporale, per piacere a me. E chi fu più paziente di lui? ché non fu udito il grido suo per veruna mormorazione, (Is 53,7 Mt 26,63) ma con pazienzia abbracciando le ingiurie, come inamorato compì l'obedienzia mia, imposta a lui da me suo Padre etterno.

Adunque in lui la trovarrete compitamente. Egli vi lassò questa regola e dottrina e prima la osservò in sé; ella vi dà vita perché ella è via dritta. Egli è la via, e però disse egli che era via, verità e vita, e chi andava per essa andava per la luce, e colui che va per la luce non può offendere né essere offeso che egli non se n'avegga (Jn 14,6 Jn 8,12 Jn 11,9-10) perché à tolto da sé la tenebre de l'amore proprio, unde cadeva nella disobbedienzia. Ché, come Io ti dissi, la compagna, e (172r) unde procedeva l'obedienzia, è l'umilità. Così ti dissi e ti dico che la disobedienzia viene da la superbia, che esce de l'amore proprio di sé, privandosi de l'umilità. La sorella che è data da l'amore proprio a la disobedienzia è la impazienzia, e la superbia la nutrica; con tenebre d'infidelità corre per la via tenebrosa che gli dà morte etternale.

Tutti vi conviene leggere in questo glorioso libro, dove trovate scritta questa e ogni altra virtù. (Let 309; Let 318) Poi che Io t'ò mostrato dove tu la trovi e unde ella viene e chi è la sua compagna e da cui è nutricata, ora ti parlarò degli obedienti insiememente co' disobbedienti, e della obedienzia generale e della particulare, cioè di quella de' comandamenti e di quella de' consigli.



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CAPITOLO CLV.

Tutta la fede vostra è fondata sopra l'obbedienzia, ché ne l'obbedienzia mostrate d'essere fedeli. Posti vi so' dalla mia Verità a tutti generalmente i comandamenti della legge, che è il principale d'amare me sopra ogni cosa e il prossimo come voi medesimi. E sono sì legati insieme con questo gli altri che non si può osservare l'uno che non si osservino tutti, né lassarne uno che tutti non si lassino. (Mt 22,37-40) Chi osserva questi due osserva tutti gli altri; è fedele a me e al prossimo suo, ama me e sta nella dilezione della mia creatura, e però è obbediente: fassi suddito a' comandamenti della legge e alle creature per me, con umiltà e pazienzia porta ogni fadiga e detrazione del prossimo.

Questa obedienzia fu di tanta eccellenzia, che tutti ne contraeste la grazia, sì come per la disobbedienzia avevate tratta la morte. (Rm 5,15-17) Ma e' non bastarebbe se ella fusse stata solo nel Verbo e ora non l'usaste voi. Già ti dissi che ella era una chiave che diserrò il cielo, la quale chiave pose nelle mani del vicario suo. Questo vicario la pone in mano d'ogni uno, ricevuto il santo battesmo, § 27 ; § 75 ,1161ss.) dove egli promette di renunziare al dimonio, al mondo, alle pompe e delizie sue: promettendo d'obbedire riceve la chiave de l'obbedienzia. Sì che ogni uno l'à in particulare, ed è la medesima chiave del Verbo. E se l'uomo non va col lume della (172v) fede e con la mano de l'amore a diserrare con questa chiave la porta del cielo, già mai dentro non v'entrarrà, non ostante che ella sia aperta per lo Verbo; però che Io vi crea' senza voi, ché non me ne pregaste mai, perché Io v'amai prima che voi fuste, ma non vi salvarò senza voi. § 22 ,430ss.) Adunque vi conviene portare la chiave in mano, e convienvi andare e non sedere: andare per la via e dottrina della mia Verità e non sedere, cioè ponendo l'affetto suo in cosa finita, sì come fanno gl'uomini stolti che seguitano l'uomo vecchio, il primo padre loro, facendo quel che fece egli, che gittò la chiave de l'obedienzia nel loto della immondizia: schiacciandola col martello della superbia, arugginilla con l'amore proprio. Se non, poi che venne il Verbo unigenito mio Figliuolo che si recò questa chiave de l'obedienzia in mano, purificolla nel fuoco della divina carità, trassela del loto lavandola col sangue suo, dirizzolla col coltello della giustizia fabricando le iniquità vostre in su l'ancudine del corpo suo. (Ps 128,3) Egli la raconciò sì perfettamente che tanto quanto l'uomo guastasse la chiave sua per lo libero arbitrio, con questo medesimo libero arbitrio, mediante la grazia mia, e con questi medesimi strumenti la può raconciare.

O cieco sopra cieco uomo, che poi che tu ài guasta la chiave de l'obedienzia, tu anco non ti curi di raconciarla! E credi tu che la disobedienzia che serrò il cielo, te l'uopra? Credi tu che la superbia che ne cadde, vi salga? Credi col vestimento stracciato e brutto andare alle nozze? (Mt 22,12) Credi, sedendo e legandoti nel legame del peccato mortale, potere andare? o senza chiave potere aprire l'uscio? Non te lo imaginare di potere, ché ingannata sarebbe la tua imaginazione. E' ti conviene essere sciolto. (Rm 7,6) Escie del peccato mortale con la santa confessione e contrizione di cuore e satisfazione e proponimento di non offendere più. Gittarai alora a terra il brutto e laido vestimento, corrirai col vestimento nunptiale, (OrazXXI) col lume e con la chiave de l'obedienzia in mano, a diserrare la porta. Lega, lega questa chiave col funicello della viltà e dispiacimento di te e del mondo; (173r) ataccala al piacere di me tuo Creatore, del quale debbi fare uno cingolo e ciegnerti, acciò che tu non la perda.

Sappi, figliuola mia, che molti sono quelli che ànno presa la chiave de l'obedienzia, perché ànno veduto col lume della fede che in altro modo non possono campare da l'etterna dannazione. Ma tengonla in mano senza il cingolo cento e senza il funicello dentrovi; ciò è che non si vestono perfettamente del piacere di me, ma anco piacciono a loro medesimi. Non v'ànno posto il funicello della viltà (Ep 6,14 1P 1,13 Jr 6,26) desiderando d'essere tenuti vili, ma più tosto dilettatisi della loda degli uomini.

Questi sono atti a smarrire la chiave, pur che gli soprabondi un poca di fadiga o di tribolazione mentale o corporale; e, se non s'ànno ben cura, spesse volte, allentando la mano del desiderio, la perdarebbero. Il quale perdere è uno smarrire, ché, volendola ritrovare, possono mentre che vivono, e non volendo non la truovano mai. E chi lo'l manifestarà che l'abbino smarrita? La impazienzia, perché la pazienzia era unita con l'obbedienzia: non essendo paziente dimostra che l'obedienzia non è ne l'anima.

O quanto è dolce e gloriosa questa virtù, in cui son tutte l'altre virtù, perch'ella è conceputa e parturita dalla carità. In lei è fondata la pietra della santissima fede; ella è una reina che, di cui ella è sposa, non sente veruno male: sente pace e quiete. L'onde del mare tempestoso non gli possono nuocere, che l'offendano, per veruna sua tempesta, il mirollo de l'anima. Non sente l'odio nel tempo della ingiuria però che vuole obedire, ché sa che gli è comandato che perdoni; non à pena che l'appetito suo non sia pieno, perché l'obbedienzia l'à fatto ordinare a desiderare solamente me, che posso e so e voglio compire i desideri suoi: àllo spogliato delle mondane allegrezze. E così in ogni cosa, le quali sarebbero troppo longhe a narrarle, truova pace e quiete, avendo questa reina de l'obedienzia presa per sposa, la quale Io t'ò posta come chiave.

O obedienzia che navighi senza fadiga, e senza pericolo giogni a (173v) porto di salute! Tu ti conformi col Verbo unigenito mio Figliuolo; tu sagli nella navicella della santissima croce recandoti a sostenere per non trapassare l'obedienzia del Verbo, né escire della dottrina sua; tu te ne fai una mensa dove tu mangi il cibo dell'anime, stando nella dilezione del prossimo! Tu se' unta di vera umilità, e però non appetisci le cose del prossimo tuo fuore della volontà mia. Tu se' dritta senza veruna tortura, perché fai il cuore dritto e non ficto, amando liberamente e non fittivamente la mia creatura.

Tu se' un'aurora che meni teco la luce della divina grazia. Tu se' uno sole che scaldi, perché non se' senza il calore della carità. Tu fai germinare la terra: ciò è che gli stormenti dell'anima e del corpo tutti producono frutto che dà vita in sé e nel prossimo suo.

Tu se' tutta gioconda, perché non ài turbata la faccia per impazienzia, ma à' la piacevole con la piacevolezza della pazienzia, tutta serena di fortezza. Se' grande con longa perseveranzia: sì grande che tieni dal cielo alla terra, perché con essa si diserra il cielo. Tu se' una margarita nascosta e non cognosciuta calpestata dal mondo, avilendo te medesima sottoponendoti alle creature.

Egli è sì grande la tua signoria, che niuno è che ti possa signoreggiare, perché sei escita della mortale servitudine della propria sensualità, la quale ti tolleva la dignità tua. Morto questo nimico con l'odio e dispiacimento del proprio piacere, ài riavuta la tua libertà.



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CAPITOLO CLVI.

Ma io ti dico carissima figliuola, tutto questo à fatto la bontà e providenzia mia, ché providi che 'l Verbo racconciasse la chiave, come (174r) detto è, di questa obedienzia. Ma gli uomini del mondo, privati d'ogni virtù, fanno tutto il contrario. Essi, sì come animali isfrenati, perché non ànno il freno dell'obedienzia, corrono andando di male in peggio, di peccato in peccato, di miseria in miseria, di tenebre in tenebre e di morte in morte; tanto che si conducono in su la fossa della estremità della morte, col vermine della conscienzia che sempre gli rode.

E poniamo che anco possino ripigliare l'obedienzia di volere obedire ai comandamenti della legge, avendo il tempo e dolendosi di quello che ànno disobedito, non di meno è molto malagevole per la molta consuetudine del peccato. E però non sia veruno che se ne fidi, indugiando a pigliare la chiave dell'obedienzia nell'ultima estremità della morte, bene che ogni uno possa e debba sperare infino che egli à il tempo. Ma non se ne debba fidare, che per questo pigli indugio a correggere la vita sua.

E chi è cagione di tanto loro male e di tanta cechità, che non cognoscono questo tesoro? La nuvila de l'amore proprio con la miserabile superbia, unde sono partiti dall'obedienzia e caduti nella disobedienzia.

Non essendo obedienti non sono pazienti, come detto è, e nella impazienzia sostengono intollerabili pene.

Àlli tratti della via della verità e menagli per la via della bugia: facendosi servi e amici delle dimonia, e con loro insieme, se non si correggono, con la disobedienza vanno co' loro signori dimoni all'etterno supplicio; sì come i diletti figliuoli, osservatori della legge e (174v) obedienti, godono ed esultano nell'eterna mia visione con l'umile e immaculato Agnello, facitore adempitore e donatore della legge. In questa vita osservandola ànno gustata la pace, e nella beata vita ricevono e vestonsi della perfettissima pace, dove è pace senza veruna guerra e ogni bene senza veruno male: sicurtà senza veruno timore, ricchezza senza povertà, sazietà senza fastidio, fame senza pena, luce senza tenebre, un sommo Bene infinito e non finito, e uno bene participato con tutti i veri gustatori.

Chi l'à messo in tanto bene? Il sangue dell'Agnello: nella virtù del quale sangue la chiave dell'obedienzia perdé la ruggine, acciò che con essa poteste diserrare la porta. Sì che l'obedienzia in virtù del sangue te l'à diserrata. O stolti e matti, non tardate più ad escire del loto delle immondizie, che pare che voi faciate come il porco che s'involle nel loto, così voi nel loto della carnalità. Lassate le ingiustizie omicidi odio e rancore, detrazioni mormorazioni giudicii e crudeltà i quali usate verso il prossimo vostro, furti e tradimenti, con disordinati piaceri e diletti del mondo.

Tagliate le corna della superbia, col quale tagliare spegnerete l'odio che avete nel cuore verso di chi vi fa ingiuria. Misurate le ingiurie che fate a me e al prossimo vostro con quelle che sono fatte a voi, e trovarete che a rispetto di quelle che fate a me e a loro le vostre sono non cavelle. Voi vedete bene che stando ne l'odio voi fate ingiuria a me, perché trapassate (175r) il comandamento mio, e fate ingiuria a lui, privandovi della dilezione della carità. E già v'è stato comandato che voi amiate me sopra ogni cosa e'l prossimo come voi medesimi. Non vi fu messo chiosa veruna, che vi fosse detto: se egli ti fa ingiuria, non l'amare; no, ma libero e schietto, perché fu dato a voi dalla mia Verità che con schiettezza l'osservò e fece.

Con questa schiettezza il dovete osservare voi; non osservandolo fate danno a voi e ingiuria all'anima vostra privandola della vita della grazia.

Tollete dunque, tollete la chiave dell'obedienzia col lume della fede, non andate più con tanta cechità né con freddo, ma con fuoco d'amore tenete questa obedienzia acciò che, insiememente con gli osservatori della legge, gustiate vita eterna.



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CAPITOLO CLVII.

Alcuni sono, dilettissima figliuola mia, che tanto crescerà in loro il dolce e amoroso fuoco d'amore verso questa obedienzia - e perché fuoco d'amore non è senza odio della propria sensualità, crescendo il fuoco cresce l'odio - unde per odio e per amore non si chiamano contenti a' comandamenti generali della legge, a' quali come detto è, tutti sete tenuti e obligati d'ubidire se volete avere la vita; se non, sì avareste la morte. Pigliano questi la particulare, cioè l'obedienzia particulare che va dietro alla grande perfezione, unde si fanno osservatori de' consigli attualmente e mentalmente.

Voglionsi questi cotali, per odio di loro e per uccidere in tutto la loro volontà, legarsi più corti. O essi si legano al giogo dell'obedienzia nella santa religione, o essi si legano fuore della (175v) religione ad alcuna creatura, sottomettendo la loro volontà a lei, per andare più espediti a diserrare il cielo. Questi sono quelli de' quali Io ti dissi che eleggevano l'obedienzia perfettissima.

Detto t'ò della generale obedienzia; e perché Io so che la tua volontà è che Io ti parli dell'obedienzia più particulare, perfettissima, però ti narrarò ora di questa seconda, la quale non esce però della prima, ma è più perfetta; per che già ti dissi che elle sono unite insieme per sì fatto modo, che separare non si possono.

Òtti detto unde procede e dove si truova l'obedienzia generale e quella cosa che ve la tolle: ora ti dirò della particulare, non traendoti di questo principio. § 47

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CAPITOLO CLVIII.

L'anima che con amore à preso il giogo dell'obedienzia de' comandamenti, seguitando la dottrina de la mia Verità per lo modo che detto t'ò, con l'esercizio esercitandosi in virtù, di questa generale obedienzia verrà alla seconda con quello lume medesimo che venne alla prima. Perché col lume della santissima fede arà cognosciuto nel sangue de l'umile Agnello la mia verità, l'amore ineffabile che Io gli ò e la fragilità sua che non risponde a me con quella perfezione che debbe, va cercando con questo lume in che modo e in che luogo meglio possa rendermi il debito, e conculcare la propria fragilità e uccidere la volontà sua. (Let72) Raguardando à trovato il luogo col lume della fede, cioè la santa religione. La quale è fatta dallo Spirito santo, posta come navicella per ricevere l'anime che vogliono corrire a questa (176r) perfezione e conducerle a porto di salute.

Il padrone di questa navicella è lo Spirito santo, che in sé non manca mai: per difetto di veruno suddito religioso che trapassasse l'ordine suo, non può offendere questa navicella, ma offende se medesimo. è vero che, per difetto di colui che tenesse il timone, la fa andare a onde: ciò sono i gattivi e miserabili pastori, prelati posti dal padrone di questa navicella. Ella è di tanto diletto in se medesima che la lingua tua no'l potrebbe narrare.

Dico che questa anima, cresciuto il fuoco del desiderio con odio santo di sé, avendo trovato il luogo col lume della fede, v'entra dentro morta, se egli è vero obediente, cioè che perfettamente abbia osservato l'obedienzia generale. E se egli v'entra imperfetto, non è però che non possa giugnere alla perfezione, anco vi giugne, volendo esercitare in sé la virtù de l'obedienzia. Anco la maggiore parte di quegli che vi entrano sono imperfetti: chi v'entra con perfezione, chi per fanciullezza, chi per timore, chi per pena e chi per lusinghe. Ogni cosa sta poi in esercitarsi nella virtù e in perseverare infine alla morte; ché per l'entrare niuno giudicio si può ponere, ma solo nella perseveranzia. Però che molti sono paruti che sieno entrati perfetti, che poi ànno voltato il capo adietro, o stati ne l'ordine con molta imperfezione. Sì che il modo e l'atto con che entrano nella navicella, i quali sono tutti ordinati da me chiamandoli in diversi modi, non si può giudicare, ma solo l'effetto di colui che dentro vi persevera con vera obedienzia.

Questa navicella è (176v) ricca, che non bisogna al suddito che egli abbi pensiero veruno di quello che gli bisogni, né spiritualmente né temporalmente, però che se egli è vero obediente e osservatore de l'ordine, egli è proveduto dal padrone dello Spirito santo. Ché, come tu sai che Io ti dissi quando ti parlai della providenzia mia, che i servi miei se sono povari non sono mendichi, così costoro; sì che truovano la loro necessità. § 149 ,1689ss.) Bene lo provavano e pruovano quegli che erano e che sono osservatori de l'ordine, unde vedi che ne' tempi che gli ordini si reggevano in fiore di virtù con vera povertà e con carità fraterna, non lo' venne mai meno la sustanzia temporale, ma avevanne più che non richiedeva il loro bisogno. Ma perché egli ci è entrata la puzza de l'amore proprio in vivere in particulare, ed è mancata l'obedienzia, lo' viene meno la sustanzia temporale. E quanta più ne posseggono, in magiore mendicaggine si truovano. Giusta cosa è che infino nelle cose minime pruovino che frutto lo' dà la disobedienzia; che se fussero obedienti, osservarebbero il voto della povertà e non terrebbono proprio, né vivarebbono in particulare. § 149 -CLI) Truovaci la ricchezza delle sante ordinazioni poste con tanto ordine e con tanto lume da coloro che erano fatti tempio di Spirito santo.

Raguarda Benedetto con quanto ordine ordinò la navicella sua.

Raguarda Francesco con quanta perfezione e odore di povertà, con le margarite delle virtù, egli ordinò la navicella dell'ordine suo, drizzandogli nella via dell'alta perfezione - ed egli fu il primo che la fece - dandolo' per sposa la vera e santa povertà, la quale aveva presa per se medesimo, abbracciando le viltà.

Spiacendo a se medesimo, non desiderava di piacere a veruna creatura fuore della (177r) volontà mia; anco desiderava d'essere avilito nel mondo, macerando il corpo suo e uccidendo la volontà, vestitosi degli obrobri pene e vitoperi per amore de l'umile Agnello, col quale egli s'era confitto e chiavellato per affetto d'amore in su la croce (Ga 2,20) in tanto che, per singulare grazia, nel corpo suo apparvono le piaghe della mia Verità, mostrando nel vasello del corpo quello che era ne l'affetto de l'anima sua. Sì che egli lo' fece la via. Ma tu mi dirai: E non sono fondate in questo medesimo l'altre? Sì, ma in ogni uno non è principale, poniamo che tutte sieno fondate in questo, ma addiviene come delle virtù: tutte le virtù ànno vita dalla carità, e non di meno, come in altri luoghi t'ò detto, a cui è propria l'una e a cui è propria l'altra, e non di meno tutti stanno in carità. Così questi. A Francesco poverello fu propria la vera povertà, facendo il suo principio della navicella, per affetto d'amore, in essa povertà, con molto ordine stretto, da gente perfetta e non comune, da pochi e buoni. Pochi dico, perché non sono molti quelli che eleggono questa perfezione. Ma per li difetti loro sono multiplicati in gente e venuti meno in virtù, non per difetto della navicella, ma per li disubidienti sudditi e gattivi governatori.

E se tu raguardi la navicella del padre tuo Domenico, diletto mio figliuolo, egli l'ordinò con ordine perfetto, ché volle che attendessino solo a l'onore di me e salute dell'anime col lume della scienzia. Sopra questo lume volse fare il principio (177v) suo, non essendo però privato della povertà vera e voluntaria.

Anco l'ebbe, e in segno che egli l'aveva e dispiacevagli il contrario, lassa per testamento a' figliuoli suoi per eredità la maladizione sua, se essi posseggono o tengono possessione veruna, in particulare o in generale, in segno che egli aveva eletta per sua sposa la reina della povertà.

Ma per più proprio suo obietto prese il lume della scienzia, per stirpare gli errori che a quello tempo erano levati. Egli prese l'officio del Verbo unigenito mio Figliuolo. Drittamente nel mondo pareva uno apostolo, con tanta verità e lume seminava la parola mia, levando la tenebre e donando la luce. Egli fu uno lume che Io porsi al mondo col mezzo di Maria, messo nel corpo mistico della santa Chiesa come stirpatore delle eresie. Perché dissi «col mezzo di Maria»? Perché Maria gli dié l'abito, commesso l'officio a lei dalla mia bontà.

In su che mensa fa mangiare i figliuoli suoi col lume della scienzia? Alla mensa della croce, in su la quale croce è posta la mensa del santo desiderio, dove si mangia anime per onore di me. Egli non vuole che i figliuoli suoi attendino ad altro se non a stare in su questa mensa col lume della scienzia, a cercare solo la gloria e loda del nome mio e la salute dell'anime. E, acciò che non attendino ad altro, lo' tolle la cura delle cose temporali e vuole che sieno povari. Vero è che egli mancava in fede, temendo che non fossino proveduti? Non mancava, ché egli se n'era vestito della fede, ma con ferma speranza sperava nella providenzia mia.

Vuole che osservino l'obedienzia, e sieno obedienti a fare quello per che sono posti (178r). E perché il vivere immondamente offusca l'occhio de l'intelletto - e non tanto de l'intelletto, ma di questo miserabile vizio ne manca il vedere corporale, unde egli non vuole che per questo lo' sia impedito il lume, col quale lume meglio e più perfettamente acquistano il lume della scienzia - e però pone il terzo voto della continenzia, e in tutto vuole che l'osservino con vera e perfetta obedienzia; bene che al dì d'oggi male s'osservi. Anco la luce della scienzia pervertono in tenebre con le tenebre della superbia: non che questa luce in sé riceva tenebre, ma dà tenebre all'anime loro. Dove è superbia non può essere obedienzia; e già ti dissi che l'uomo tanto è umile quanto obediente e tanto obediente quanto umile. E trapassando il voto de l'obedienzia, rade volte è che non trapassi quello della continenzia e vera povertà. § 154 ,14ss.; § 125 ,1687ss.) Sì che egli à ordinata la navicella sua legata con questi tre funicelli: con obedienzia, continenzia e vera povertà. Egli la fece tutta reale, non stringendola a colpa di peccato mortale. Alluminato da me, vero lume, con providenzia provide a quelli che fossino meno perfetti; ché, ben che tutti quelli che osservano l'ordine sieno perfetti, non di meno anco in vita è più perfetto uno che un altro, e perfetti e non perfetti, tutti stanno bene in questa navicella. Egli s'accostò con la mia Verità, mostrando di non volere la morte del peccatore, ma che si convertisse e vivesse. (Ez 33,11) Tutta la fece larga, tutta gioconda e tutta odorifera: uno giardino dilettissimo in sé.

Ma i miseri, non osservatori de l'ordine ma trapassatori, l'ànno tutto insalvatichito e tutto ingrossato con poco odore di virtù e lume di scienzia in quegli che si nutricano al petto dell'ordine. Non dico «nell'ordine», ché in sé, come Io ti dissi, à ogni diletto. Ma non era così nel principio suo, quando egli era uno fiore, anco c'erano (178v) uomini di grande perfezione: parevano uno santo Paulo, con tanto lume che all'occhio loro non si parava tenebre d'errore che non si dissolvesse.

Raguarda il glorioso Tomaso che con l'occhio de l'intelletto suo tutto gentile si specolava nella mia Verità, dove acquistò il lume sopranaturale e scienzia infusa per grazia; unde egli l'ebbe più col mezzo dell'orazione che per studio umano. Questi fu una luce ardentissima che rendé lume ne l'ordine suo e nel corpo mistico della santa Chiesa, spegnendo le tenebre delle eresie.

Raguardami Pietro vergine e martire che col sangue suo dié lume nelle tenebre delle molte eresie; le quali egli tanto ebbe in odio, che se ne dispose a lassarvi la vita. E mentre che visse l'esercizio suo non era altro che orare, predicare, disputare con gli eretici e confessare, annunziando la verità e dilatando la fede senza veruno timore. E non tanto che egli la confessasse nella vita sua, ma infino a l'ultimo della vita. Unde nella estremità della morte venendogli meno la voce e lo 'nchiostro, avendo ricevuto il colpo, egli intinse il dito nel sangue suo: non à carta questo glorioso martire, e però si china e scrive in terra confessando la fede, cioè il "Credo in Deum". Il cuore suo ardeva nella fornace della mia carità, e però non allentò i passi voltando il capo adietro sapendo che doveva morire - però che prima che egli morisse gli revelai la morte sua - ma come vero cavaliere senza timore servile egli esce fuore in su (179r) el campo della battaglia. E così molti te ne potrei contare i quali, perché non avessero il martirio attualmente, l'avevano mentalmente, sì come ebbe Domenico.

Odi lavoratori che questo padre mise nella vigna sua a lavorare, stirpando le spine de' vizi e piantando le virtù! Veramente Domenico e Francesco sono stati due colonne nella santa Chiesa: Francesco con la povertà che principalmente gli fu propria come detto è, e Domenico con la scienzia.




Caterina, Dialogo 152