Catechesi 79-2005 10288

Mercoledì, 10 febbraio 1988

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1. Gesù Cristo, vero uomo, è “in tutto simile a noi fuorché nel peccato”, ecco il tema della catechesi precedente. Il peccato è essenzialmente escluso in colui che essendo vero uomo, è anche vero Dio (“verus homo”, ma non “merus homo”).

Tutta la vita terrena di Cristo e tutto lo svolgimento della sua missione rendono testimonianza alla verità della sua assoluta impeccabilità. Lui stesso ha lanciato la sfida: “Chi di voi può convincermi di peccato?” (
Jn 8,46). Uomo “senza peccato”, Gesù Cristo è durante tutta la sua vita in lotta con il peccato e con tutto ciò che genera il peccato, a cominciare da satana, che è “padre della menzogna” nella storia dell’uomo “fin da principio” (cf. Jn 8,44). Questa lotta si delinea già alla soglia della missione messianica di Gesù, nel momento della tentazione (cf. Mc 1,13 Mt 4,1-11 Lc 4,1-13), e raggiunge il suo culmine nella croce e nella risurrezione. Lotta che dunque termina con la vittoria.

2. Questa lotta al peccato e alle sue stesse radici non rende Gesù estraneo all’uomo. Al contrario, lo avvicina agli uomini, a ogni uomo. Nella sua vita terrena Gesù era solito mostrarsi particolarmente vicino a quelli che agli occhi degli altri passavano come peccatori. Lo vediamo in molti testi del Vangelo.

3. Sotto questo aspetto è importante il “paragone” che Gesù fa tra se stesso e Giovanni Battista. Egli dice: “È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11,18-19). È evidente il carattere “polemico” di queste parole nei riguardi di coloro che prima hanno criticato Giovanni Battista, profeta solitario e asceta severo che viveva e battezzava nei pressi del Giordano, e poi criticano Gesù perché si muove e opera in mezzo alla gente. Ma è altrettanto trasparente da tali parole la verità del modo di essere, di sentire, di comportarsi di Gesù verso i peccatori.

4. Lo accusavano di essere “amico dei pubblicani (ossia degli esattori delle imposte, mal visti perché esosi e ritenuti inosservanti) (cf. Mt 5,46 Mt 9,11 Mt 9,18 Mt 9,17), e dei peccatori”. Gesù non rifiuta radicalmente questo giudizio, la cui verità, che pure esclude ogni connivenza, ogni reticenza, è confermata da molti episodi registrati nei Vangeli. Così quello legato al nome del capo dei pubblicani di Gerico, Zaccheo, nella casa del quale Gesù si era, per così dire, autoinvitato: “Zaccheo, scendi subito (infatti Zaccheo essendo piccolo di statura, era salito su un albero per vedere meglio Gesù che passava), perché oggi devo fermarmi in casa tua”. E quando il pubblicano scese pieno di gioia e offrì a Gesù l’ospitalità nella propria casa, senti dire da lui: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anche egli, Zaccheo, è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (cf. Lc 19,1-10). Da questo testo appare non soltanto la familiarità di Gesù con pubblicani e peccatori ma anche il motivo della loro ricerca e frequentazione da parte sua: la loro salvezza.

5. Un avvenimento analogo è legato al nome di Levi, figlio di Alfeo. L’episodio è tanto più significativo in quanto questo uomo, che Gesù aveva visto “seduto al banco delle imposte”, era stato da lui chiamato a diventare uno degli apostoli: “Seguimi”, gli aveva detto. Egli, alzatosi, lo seguì. È elencato tra i Dodici sotto il nome di Matteo, e sappiamo che è l’autore di uno dei Vangeli. L’evangelista Marco dice che Gesù “stava a mensa in casa di lui”, e che “molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli” (cf. Mc 2,13-15). Anche in questo caso “gli scribi della setta dei farisei” fecero le loro rimostranze ai discepoli; ma Gesù disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mc 2,17).

6. Il sedere a mensa con altri - compresi “i pubblicani e i peccatori” - è un modo di essere umano, che in Gesù si nota fin dall’inizio della sua attività messianica. Infatti una delle prime occasioni in cui egli manifestò il suo potere messianico fu al banchetto nuziale di Cana di Galilea, al quale partecipava insieme a sua Madre e ai discepoli (cf. Jn 2,1-12). Ma anche in seguito Gesù era solito accettare gli inviti a tavola e non soltanto da parte dei “pubblicani” ma anche dei “farisei”, che erano i suoi più accaniti avversari. Lo leggiamo per esempio in Luca: “Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola” (Lc 7,36).

7. Durante questo pasto avviene un fatto che getta ancora nuova luce sul comportamento di Gesù verso la povera umanità composta di tanti “peccatori” che i presunti “giusti” disprezzano e condannano. Ecco, una donna nota nella città come peccatrice si trovava tra i presenti, e piangendo baciava i piedi di Gesù e li cospargeva di olio profumato. Nasce allora un colloquio tra Gesù e il padrone di casa, nel corso del quale Gesù stabilisce un essenziale legame tra la remissione dei peccati e l’amore ispirato dalla fede: “Le sono perdonati i molti peccati, poiché ha molto amato . . . Poi disse a lei: Ti sono perdonati i tuoi peccati . . . la tua fede ti ha salvata. Và in pace!” (cf. Lc 7,36-50).

8. Questo non è l’unico caso del genere. Ve ne è un altro, che in qualche modo è drammatico: quello di “una donna sorpresa in adulterio” (cf. Jn 8,1-11). Anche quest’avvenimento, come quello precedente, spiega in quale senso Gesù era “amico dei pubblicani e dei peccatori”. Egli dice alla donna: “Và, e d’ora in poi non peccare più” (Jn 8,11). Colui che era “in tutto simile a noi fuorché nel peccato”, si è dimostrato vicino ai peccatori e alle peccatrici, per allontanare da loro il peccato. Ma mirava a questo scopo messianico in un modo completamente “nuovo” rispetto al rigore che riservavano ai “peccatori” coloro che li giudicavano in base alla legge antica. Gesù operava nello spirito di un grande amore verso l’uomo, in base alla profonda solidarietà che nutriva in sè per chi era stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza (cf. Gn 1,27 Gn 5,1).

9. In che cosa consiste questa solidarietà? Essa è la manifestazione dell’amore che ha la sua sorgente in Dio stesso. Il Figlio di Dio è venuto nel mondo per rivelare quest’amore. Lo rivela già per il fatto che lui stesso si è fatto uomo: uno di noi. Quest’unione con noi nell’umanità da parte di Gesù Cristo, vero uomo, è l’espressione fondamentale della sua solidarietà con ogni uomo, perché parla eloquentemente dell’amore con cui Dio stesso ha amato tutti e ciascuno. L’amore viene qui riconfermato in un modo tutto particolare: colui che ama, desidera condividere tutto con l’amato; proprio per questo il Figlio di Dio si fa uomo. Di lui aveva predetto Isaia: “Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17 cf. Is 53,4). Gesù condivide così con ogni figlio e figlia del genere umano la stessa condizione esistenziale. E in questo egli rivela anche l’essenziale dignità dell’uomo: di ciascuno e di tutti. Si può dire che l’incarnazione è una “rivalutazione” ineffabile dell’uomo e dell’umanità!

10. Questo “amore-solidarietà” spicca nell’intera vita e missione terrena del Figlio dell’uomo soprattutto nei riguardi di coloro che soffrono sotto il peso di qualsiasi miseria fisica o morale. Al vertice del suo cammino ci sarà il “dare la propria vita in riscatto per molti” (cf. Mc 10,45): il sacrificio redentore della croce. Ma sulla via che porta a questo sacrificio supremo, l’intera vita terrena di Gesù è una multiforme manifestazione della sua solidarietà con l’uomo, sintetizzata in quelle sue parole: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire, e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Era bambino come ogni bambino umano. Ha lavorato con le proprie mani accanto a Giuseppe di Nazaret, così come lavorano tutti gli uomini (cf. Laborem Exercens LE 26). Era un figlio d’Israele, partecipava alla cultura, alla tradizione, alla speranza ed alla sofferenza del suo popolo. Ha conosciuto anche egli ciò che spesso avviene nella vita degli uomini chiamati a qualche missione: l’incomprensione e addirittura il tradimento di uno di coloro che lui stesso aveva scelto come suoi apostoli e continuatori: e anch’egli ha provato, per questo, un profondo dolore (cf. Jn 13,21).

E quando si è avvicinato il momento in cui doveva “dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,28), ha offerto volontariamente se stesso (cf. Jn 10,18), consumando così il mistero della sua solidarietà nel sacrificio. Il governatore romano non trovò altra parola per definirlo di fronte agli accusatori riuniti, se non questa: “Ecco l’uomo!” (Jn 19,5).

Questa parola di un pagano ignaro del mistero ma non insensibile al fascino che promanava da Gesù anche in quel momento, dice tutto sulla realtà umana di Cristo: Gesù è l’uomo; un vero uomo che, in tutto simile a noi fuorché nel peccato, si è fatto vittima per il peccato ed è diventato solidale con tutti fino alla morte di croce.

Ai fedeli di espressione linguistica francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai pellegrini di espressione spagnola

Ai visitatori giunti dalla Polonia

Ad alcuni gruppi italiani

Desidero ora porgere il mio saluto al gruppo dei fratelli Cappuccini provenienti da diverse Province italiane per partecipare ad un corso di formazione. Desidero incoraggiare il loro impegno, ed auguro loro di conservare sempre un grande amore alla Chiesa, al servizio per i poveri e gli umili, sull’esempio di San Francesco.
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Saluto poi il gruppo delle Superiore delle Figlie dell’Immacolata Concezione, convenute a Roma dall’Argentina, dalla Spagna, dal Brasile e dall’Italia per un corso di aggiornamento. Auspico per loro ogni bene ed invoco dal Signore copiosi frutti di grazia sul loro apostolato.
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Il mio pensiero va anche agli alunni ed agli educatori della Scuola Italiana “Antonio Raimondi” di Lima, in Perù. A loro do il mio benvenuto, con l’invito a scoprire in questa Città le tracce della tradizione culturale classica, insieme con i segni ed i monumenti delle origini del cristianesimo, delle “passioni” dei martiri e della vita della Chiesa.

A tutti il mio cordiale saluto e la mia Benedizione.

Ai giovani

Non manca mai, a questo incontro settimanale, la presenza vivace di tanti ragazzi e giovani. È giusto che ad essi sia rivolto uno speciale saluto.

Carissimi, in questi giorni i mezzi di informazione insistono nel presentare la figura e l’opera educativa di San Giovanni Bosco.

Vi invito ad inserire i vostri progetti per il futuro nel solco tracciato da questa grande anima sacerdotale. Don Bosco seppe rispondere alle sfide del suo tempo presentando ai ragazzi che accorrevano a lui un programma di vita fondato sui valori che la ragione, illuminata dalla fede, è in grado di scoprire e indicando nell’impegno della volontà, sostenuta dalla grazia, il segreto per attuarlo.

È un programma che non ha perso nulla del suo valore.

Nell’esortarvi a farlo vostro vi benedico di cuore.

Agli ammalati

Saluto con particolare affetto anche voi, cari ammalati, e quanti vi accompagnano e vi soccorrono con generosa e lodevole dedizione.

La vostra presenza precede quella di numerosi altri infermi che, nella ricorrenza dell’apparizione della Vergine SS.ma a Lourdes, converranno nella Basilica di San Pietro per invocare la divina assistenza.

Nel proporre a tutti voi l’esempio di Santa Bernardetta, vi esorto a corrispondere generosamente all’invito della Madonna, offrendo a Dio le vostre sofferenze fisiche e morali che, unite ai meriti infiniti della passione di Cristo, contribuiscono alla redenzione del mondo.

In questo Anno Mariano, vi invito anche ad essere fedeli alla recita della bella preghiera del Rosario, in unione con le intenzioni del Papa. A tutti la mia affettuosa Benedizione.

Agli sposi novelli

Rivolgo infine il mio augurio cordiale alle coppie di sposi novelli qui presenti.

L’amore che vi siete promessi attraverso il Sacramento da poco ricevuto, deve accompagnare tutta la vostra vita, accrescendo ed affinando la vostra reciproca intesa. Esso non potrà non tradursi in un quotidiano esercizio di pazienza, di dialogo, di superamento delle inevitabili tensioni che la convivenza comporta. Avrete bisogno per questo dell’aiuto della grazia divina. Vi invito perciò ad essere costanti nella preghiera e nella pratica sacramentale. Dio non abbandona chi lo invoca con fiduciosa costanza.

Tornando nella vostra nuova casa, portatevi anche la mia Benedizione.



Mercoledì, 2 marzo 1988

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1. La fede è la risposta da parte dell’uomo alla parola della divina rivelazione. Le catechesi su Gesù Cristo che andiamo svolgendo nell’ambito del presente ciclo, fanno riferimento ai simboli della fede, specialmente al Simbolo apostolico e a quello niceno-costantinopolitano. Con il loro aiuto la Chiesa esprime e professa la fede che sin dall’inizio si formò in essa come risposta alla parola della rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Lungo tutto il ciclo della catechesi abbiamo fatto ricorso a questa parola, per estrarre la verità in essa rivelata su Cristo stesso. Gesù di Nazaret è il Messia annunziato nell’antica alleanza. Il Messia (cioè il Cristo) - vero uomo (il “Figlio dell’uomo”) - è nella sua stessa persona Figlio di Dio, vero Dio. Una tale verità su di lui emerge dall’insieme delle opere e delle parole, che culminano definitivamente nell’evento pasquale della morte di croce e della risurrezione.

2. Questo insieme vivo di dati della rivelazione (l’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo) s’incontra con la risposta della fede, prima presso coloro che sono stati i diretti testimoni della vita e del magistero del Messia, coloro che “hanno visto e hanno udito” . . . e le cui mani “hanno toccato” la realtà corporea del Verbo della vita (cf.
1Jn 1,1), e in seguito nelle generazioni di credenti in Cristo che si sono susseguite permanendo nella comunità della Chiesa. Come si è formata la fede della Chiesa in Gesù Cristo? A questo problema vogliamo dedicare le prossime catechesi; specialmente cercheremo di vedere come si è formata ed espressa questa fede agli inizi stessi della Chiesa, nel giro di quei primi secoli, che per la formazione della fede della Chiesa ebbero un’importanza particolare perché rappresentano il primo sviluppo della Tradizione viva che proviene dagli apostoli.

3. Occorre prima di tutto notare che tutte le testimonianze scritte su questo tema provengono dal periodo che seguì la dipartita di Cristo da questa terra. Certamente si vede riflessa e impressa in quei documenti la conoscenza diretta degli eventi definitivi, quali furono la morte in croce e la risurrezione di Cristo. Nello stesso tempo però quelle testimonianze scritte riguardano tutta l’attività di Gesù, e anzi tutta la sua vita, iniziando dalla nascita e dall’infanzia. Inoltre da quei documenti vediamo testimoniato un fatto: cioè che la fede degli apostoli e con ciò stesso anche della primissima comunità della Chiesa, si formò già nella tappa prepasquale della vita e del ministero di Cristo, per manifestarsi con potenza definitiva dopo la Pentecoste.

4. Un’espressione particolarmente significativa di questo fatto è la risposta di Pietro alla domanda posta un giorno da Gesù agli apostoli nei pressi di Cesarea di Filippo: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. E in seguito: “Voi chi dite che io sia?” (Mt 16,13 Mt 16,15). Ed ecco la risposta: “Tu sei il Cristo (= il Messia), il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Così suona la risposta registrata da Matteo. Nel testo degli altri sinottici si parla del Cristo (Mc 8,29) oppure del Cristo di Dio (Lc 9,20), espressioni alle quali corrisponde anche il “tu sei il santo di Dio” di Giovanni (Jn 6,69). In Matteo la risposta ha la forma più completa: Gesù di Nazaret è il Cristo cioè il Messia, il Figlio di Dio.

5. La stessa espressione di questa originaria fede della Chiesa la troviamo nelle prime parole del Vangelo secondo Marco: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). Si sa che l’evangelista era strettamente legato a Pietro. La stessa fede la troviamo in seguito nell’intero insegnamento di Paolo apostolo, il quale sin dal tempo della sua conversione “nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio” (Ac 9,20). E in seguito in molte sue lettere esprimeva la stessa fede in diversi modi (cf. Ga 4,4 Rm 1,3-4 Col 1,15-18 Ph 2,6-11 anche He 1,1-4). Si può dunque dire che all’origine di questa fede della Chiesa vi sono i prìncipi degli apostoli, Pietro e Paolo.

6. Anche l’apostolo Giovanni, autore dell’ultimo Vangelo, scritto dopo gli altri, lo conclude con le famose parole, con cui attesta che esso è stato scritto “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Jn 20,31). Perché “chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio” (1Jn 4,15). Anche la sua voce autorevole ci fa dunque conoscere ciò che si credeva e si professava su Gesù Cristo nella Chiesa primitiva.

7. Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio - questa è la fondamentale verità della fede in Cristo (Messia), formatasi presso gli apostoli in base alle opere e alle parole del loro maestro nel periodo prepasquale. Dopo la risurrezione la fede si è consolidata ancor più profondamente ed ha trovato espressione nelle testimonianze scritte.

E comunque un fatto significativo che la confessione: “Davvero costui era Figlio di Dio” (Mt 27,54), la udiamo anche ai piedi della croce sulla bocca del centurione romano, e dunque di un pagano (cf. Mc 15,39). In quell’ora suprema, quale mistero di grazia e di ispirazione divina operava negli animi sia di israeliti, sia di pagani: in una parola, di uomini!

8. Dopo la risurrezione uno degli apostoli, cioè Tommaso, fa una confessione che si riferisce ancor più direttamente alla divinità di Cristo. Lui che non voleva credere nella risurrezione, vedendo dinanzi a sé il Risorto esclama: “Mio Signore e mio Dio!” (Jn 20,28). Significativo in questa esclamazione è non solo il “mio Dio” ma anche il “mio Signore”. Poiché “Signore” (= “Kyrios”) già nella tradizione veterotestamentaria significava anche “Dio”. Tutte le volte infatti che si leggeva nella Bibbia l’“indicibile” nome proprio di Dio: Jahvè, esso veniva sostituito con l’“Adonai” - equivalente a “mio Signore”. Dunque anche per Tommaso Cristo è “Signore” - cioè Dio.

Alla luce di queste molteplici testimonianze apostoliche acquistano il loro pieno senso le parole pronunciate, il giorno di Pentecoste, da Pietro nel suo primo discorso alla folla radunata intorno agli apostoli: “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (Ac 2,36). In altri termini: Gesù di Nazaret, uomo vero, che come tale ha subìto la morte in croce, è non solo il Messia atteso, ma anche “il Signore” (“Kyrios”) e dunque il vero Dio.

9. “Gesù è Signore . . . il Signore . . . il Signore Gesù”: questa confessione risuona sulla bocca del primo martire Stefano mentre viene lapidato (cf. Ac 7,59-60). Essa ritorna spesso anche nell’annuncio di Paolo come ci risulta da molti passi delle sue lettere (cf. 1Co 12,3 Rm 10,9 1Co 16,22-23 1Co 8,6 1Co 10,21 1Th 1,8 1Th 4,15 2Co 3,18).

Nella prima lettera ai Corinzi l’Apostolo afferma: “Gesù è Signore” - nessuno può dirlo “se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1Co 12,3). Già Pietro, dopo la sua confessione di fede a Cesarea, si era sentito rispondere da Gesù: “Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio” (Mt 16,17). Gesù aveva già avvertito: “Solo il Padre conosce il Figlio . . .” (cf. Mt 11,27). E solamente lo Spirito di verità gli può rendere una testimonianza adeguata (cf. Jn 15,26).

10. Possiamo dunque dire che la fede in Cristo agli inizi della Chiesa si esprime in quelle due parole: “Figlio di Dio” e “Signore” (cioè “Kyrios-Adonai”). Essa è fede nella divinità del Figlio dell’uomo. In questo senso pieno lui e solo lui è il “Salvatore” - cioè l’artefice e datore della salvezza che solo Dio può concedere all’uomo. Questa salvezza consiste non solo nella liberazione dal male del peccato, ma anche nella elargizione di una nuova vita: di una partecipazione alla vita di Dio stesso. In questo senso “in nessun altro c’è salvezza”, secondo le parole dell’apostolo Pietro nella sua prima evangelizzazione (Ac 4,12).

La stessa fede trova espressione in numerosi altri testi dei tempi apostolici, come negli Atti (Ex. Gr. At Ac 5,31 Ac 13,23), nelle lettere paoline (Rm 10,9-13 Ep 5,23 Ph 3,20 s; 1Tm 1,1 1Tm 2,3-4 1Tm 4,10 2Tm 1,10 Tt 1,3 s; Tt 2,13 Tt 3,6), nelle lettere di Pietro (1P 1,11 2P 2,20 2P 3,18), di Giovanni (1Jn 4,14) ed anche di Giuda (Jud 25). Per essa vi è posto anche nel Vangelo dell’infanzia (cf. Mt 1,21 Lc 2,11).

11. Possiamo concludere: quel Gesù di Nazaret che abitualmente chiamava se stesso il “Figlio dell’uomo”, è il Cristo (cioè il Messia), è il Figlio di Dio, è il Signore (“Kyrios”), è il Salvatore: tale è la fede degli apostoli, che è alle basi della Chiesa sin dall’inizio.

La Chiesa ha custodito questa fede con sommo amore e venerazione trasmettendola alle nuove generazioni di discepoli e di seguaci di Cristo sotto la direzione dello Spirito di verità. Essa ha insegnato e difeso questa fede, cercando in ogni secolo non solo di custodire integro il suo essenziale contenuto rivelato, ma anche di approfondirlo costantemente e di spiegarlo a misura dei bisogni e delle possibilità degli uomini. Questo è il compito che è chiamata ad assolvere fino al tempo della definitiva venuta del suo salvatore e Signore.

Ai fedeli di lingua francese

Ad alcuni gruppi di espressione inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ad alcuni gruppi di lingua spagnola

Ai fedeli polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

Saluto ora i pellegrini di lingua italiana, che sono sempre i più numerosi, ed in particolare saluto i partecipanti al corso di spiritualità mariana, promosso dall’Associazione Italiana di Santa Cecilia. Li accompagna il Vescovo di Treviso, presidente dell’Associazione, Monsignor Antonio Mistrorigo. Mi compiaccio per questa iniziativa, che intende introdurre gli organisti, i direttori di coro e gli animatori liturgici ad una comprensione spirituale sempre più profonda dei misteri celebrati nella Chiesa, affinché il loro servizio possa favorire una migliore partecipazione di tutta l’assemblea cristiana ai sacri riti.
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Desidero poi salutare il Vescovo di Assisi Monsignor Sergio Goretti, ed il Sindaco di quella città, insieme con il gruppo dei giornalisti umbri dell’Unione Cattolica Stampa Italiana. Vi sono grato per quanto a suo tempo avete fatto per la buona riuscita della Giornata di Preghiera per la Pace e per l’impegno con cui continuate a lavorare per la diffusione del suo messaggio.
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Saluto, ancora, i numerosi pellegrini di Santa Maria delle Grazie di Trecase, diocesi di Napoli, qui convenuti per festeggiare il quarto centenario della fondazione della loro comunità; quelli di San Giuseppe Artigiano alla Tiburtina in Roma, che ricordano il 30° anno di vita della loro parrocchia; i fedeli infine di Santa Maria a Castello, in Francolise, diocesi di Caserta, convenuti qui per celebrare solennemente l’Anno Mariano. A tutti l’augurio di fervido impegno per una vita personale e comunitaria in sintonia con il Vangelo.
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Il mio pensiero va poi ai giovani dell’Oratorio “Centro giovanile Cristo Re” della parrocchia di Santo Stefano in Vimercate, diocesi di Milano. A tutti loro l’invito a crescere nella fede, per essere veri e generosi testimoni di Cristo nella vita.
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Un invito ad essere forti nella fede va anche ai giovani Allievi sottufficiali della Scuola di Marina Militare di Taranto, accompagnati dal Comandante di Stato Maggiore e dal Cappellano. Su tutti invoco la costante protezione divina affinché l’esperienza che stanno vivendo serva alla loro crescita umana e contribuisca al benessere della Nazione.
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Saluto anche l’intero gruppo degli artisti del Circo Italiano, della famiglia Vassallo. Auguro loro che il Signore sia vicino alla loro attività, non priva di difficoltà e di pericoli, affinché possano sempre offrire a quanti partecipano ai loro spettacoli ore di svago sano e rasserenante.
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Rivolgo infine una parola di incoraggiamento al gruppo di direttori e docenti dei Centri di formazione professionale ed agli operatori tecnici, convenuti a Roma da diverse Nazioni dell’Africa e dell’America Latina, per conto del Centro “ELIS” (Educazione, Lavoro, Istruzione e Sport).

A tutti il mio cordiale saluto e la mia Benedizione.

Ai giovani

Mi rivolgo ora ai giovani.

Carissimi, da due settimane è iniziato il Tempo di Quaresima, ed è perciò opportuno interrogarsi su come procedono i propositi fatti per valorizzare pienamente questo tempo forte dell’anno, provvidenziale per rivedere la condotta della propria vita e lo stato dei rapporti con il Signore. In Quaresima, la Parola di Dio, offrendo giorno dopo giorno crescenti motivi di riflessione, è una guida sicura, che insegna a privilegiare l’interiore sull’esteriore, l’essenziale sull’effimero, l’essere sull’apparire. Se rimanete fedeli a questo duro, ma tonificante esercizio spirituale, il processo dell’autentica conversione procederà spedito e si tradurrà in atteggiamento di vita nuova. È l’augurio che vi faccio mentre vi benedico di cuore.

Agli ammalati

Agli ammalati, un cordiale ed affettuoso saluto. Carissimi, la vostra situazione porta certamente con sé un messaggio di cui bisogna scoprire l’intimo significato di fede. La malattia, mentre richiama al senso della precarietà dell’esistenza, si configura, infatti, come tappa decisiva nell’intima e profonda conoscenza del Cristo. Con Lui crocifisso, lo sguardo dell’anima diventa più capace di penetrare il mistero della Redenzione; con Lui si possono affrontare difficoltà e disagi, e si acquista maggiore forza e coraggio per sopportare ciò che a prima vista sembra senza senso e senza scopo. Nell’assicurarvi che ogni giorno vi ricordo al Signore, impatto a ciascuno di voi e alle vostre famiglie l’Apostolica Benedizione.

Agli sposi novelli

Un saluto, ora, agli sposi novelli presenti.

Carissimi, auspico di cuore che il sacramento, col quale avete coronato davanti al Signore il vostro amore, continui sempre ad operare in voi, così da rinsaldare gli impegni che, in conseguenza di esso avete assunto: il rispetto dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale e la fedeltà reciproca, l’accoglienza, e la difesa della vita, la volontà di educare i figli secondo la legge divina, l’apertura alle necessità dei fratelli più bisognosi. In tali compiti, vi sostenga la certezza che il Signore dà sempre la grazia ad essi necessaria; e vi accompagni propizia la mia Benedizione.






Mercoledì, 9 marzo 1988

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1. “Noi crediamo . . . in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato unigenito [termine greco] dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consostanziale al Padre mediante il quale sono state fatte tutte le cose, sia quelle che sono in cielo che quelle che sono in terra. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo, si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto e risorse il terzo giorno, salì nei cieli, verrà per giudicare i vivi e i morti . . .” (cf. Denz.-Schönm.,
DS 125).

Questo è il testo della definizione, con cui il Concilio di Nicea (325) enunciò la fede della Chiesa in Gesù Cristo: vero Dio e vero uomo; Dio-Figlio, consostanziale al Padre Eterno, e uomo vero, con una natura come la nostra. Tale testo conciliare entrò quasi alla lettera nella professione di fede, che la Chiesa ripete nella liturgia e in altri momenti solenni, nella versione del Simbolo niceno-costantinopolitano (381) (cf. Denz.-Schönm, DS 150), sulla cui traccia è impostato tutto il ciclo delle nostre catechesi.

2. Il testo della definizione dogmatica conciliare riproduce gli elementi essenziali della cristologia biblica, che abbiamo passato in rassegna nelle precedenti catechesi di questo ciclo. Essi costituivano, sin dall’inizio, il contenuto della viva fede della Chiesa dei tempi apostolici, come abbiamo visto nell’ultima catechesi. Seguendo,la testimonianza degli apostoli, la Chiesa credeva e professava sin dall’inizio, che Gesù di Nazaret, figlio di Maria, e dunque vero uomo, crocifisso e risorto, è il Figlio di Dio, è il Signore (“Kyrios”), è l’unico Salvatore del mondo, dato all’umanità nella “pienezza del tempo” (cf. Ga 4,4).

3. La Chiesa sin dall’inizio ha custodito questa fede e l’ha trasmessa alle successive generazioni cristiane. L’ha insegnata e l’ha difesa, cercando - sotto la guida dello Spirito di verità - di approfondirla e di spiegarne il contenuto essenziale, racchiuso nei dati della rivelazione. Il Concilio di Nicea (325) è stato su questa via di conoscenza e di formulazione del dogma un’autentica pietra miliare. È stato un evento importante e solenne, che da allora indicò la via della vera fede a tutti i seguaci di Cristo, ben prima delle divisioni della cristianità avvenute nei tempi successivi. Particolarmente notevole è il fatto che tale Concilio si sia riunito poco dopo che la Chiesa (nel 313) aveva acquistato la libertà di agire nella vita pubblica su tutto il territorio dell’impero romano, quasi a significare la volontà di permanenza nell’“una fides” degli apostoli mentre si aprivano al cristianesimo nuove vie di espansione.

4. In quell’epoca, la definizione conciliare rispecchia non solo la verità su Gesù Cristo ereditata dagli apostoli e fissata nei libri del nuovo testamento, ma ormai anche l’insegnamento dei Padri del periodo postapostolico, che - come si sa - era anche il periodo delle persecuzioni e delle catacombe. È doveroso e dolce per noi nominare qui almeno i due primi padri che col loro insegnamento, unito alla santità della vita, hanno decisamente contribuito a trasmettere la tradizione e il permanente patrimonio della Chiesa: sant’Ignazio d’Antiochia, dato in preda alle bestie selvagge a Roma nel 107 o 106, e sant’Ireneo di Lione, che subì la morte per martirio probabilmente nel 202; ambedue Vescovi e pastori delle loro Chiese. Di sant’Ireneo qui vogliamo ricordare che insegnando che Cristo è “vero uomo e vero Dio”, scriveva: “Come potrebbero gli uomini raggiungere la salvezza, se Dio non avesse operato la loro salvezza sulla terra? O come sarebbe l’uomo andato a Dio, se Dio non fosse venuto all’uomo?” (S. Irenaei “Adv. Haereses”, IV, 33. 4). Argomento - come si vede - soteriologico, che a sua volta trovò espressione anche nella definizione del Concilio di Nicea.

5. Il testo di sant’Ireneo appena riportato proviene dall’opera “Adversus Haereses” ossia da un libro che mirava alla difesa della verità cristiana contro gli errori degli eretici, che in quel caso erano gli ebioniti. I Padri apostolici nel loro insegnamento dovevano spessissimo assumere la difesa dell’autentica verità rivelata di fronte agli errori, che continuamente si facevano sentire in diversi modi.

All’inizio del IV secolo restò famoso Ario, il quale dette origine ad un’eresia che dal suo nome si chiamò arianesimo. Secondo Ario Gesù Cristo non è Dio: anche se preesistente alla nascita da Maria, egli è stato creato nel tempo. Il Concilio di Nicea respinse questo errore di Ario e nel farlo, spiegò e formulò la vera dottrina della fede della Chiesa con le parole che abbiamo riportato all’inizio di questa catechesi. Affermando che Cristo, come Figlio unigenito di Dio, è consostanziale al Padre [termine greco], il Concilio ha espresso in una formula adatta alla cultura (greca) di allora la verità che troviamo in tutto il nuovo testamento. Infatti sappiamo che Gesù dice di se stesso di essere “uno” con il Padre “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Jn 10,30), e lo afferma davanti ad ascoltatori che a causa di ciò vogliono lapidarlo come bestemmiatore (cf. Jn 10,31). L’afferma ulteriormente durante il giudizio, davanti al Sinedrio, il che gli procura la condanna a morte. Un elenco più dettagliato dei passi biblici su questo tema si trova nelle catechesi precedenti. Dal loro insieme risulta chiaramente che il Concilio di Nicea, parlando di Cristo come del Figlio di Dio, “dalla sostanza del Padre” [termine greco], come di “Dio da Dio”, eternamente “nato, non fatto”, non fa che confermare una precisa verità contenuta nella divina rivelazione, diventata verità della fede della Chiesa, verità centrale di tutto il cristianesimo.

6. Quando essa venne definita dal Concilio, si può dire che ormai tutto era maturo nel pensiero e nella coscienza della Chiesa per una tale definizione. Egualmente si può dire che la definizione non cessa di essere attuale anche ai nostri tempi, in cui antiche e nuove tendenze a riconoscere Cristo solamente come un uomo, sia pure straordinario e non come Dio, si manifestano in molti modi. Ammetterle o assecondarle sarebbe distruggere il dogma cristologico, ma nello stesso tempo significherebbe l’annientamento dell’intera soteriologia cristiana. Se Cristo non è vero Dio, egli non trasmette all’umanità la vita divina. Non è dunque il salvatore dell’uomo nel senso messo in luce dalla rivelazione dalla Tradizione. Violando questa verità della fede della Chiesa, si fa crollare tutta la costruzione del dogma cristiano, si annulla la logica integrale della fede e della vita cristiana, perché si elimina la chiave di volta di tutta la costruzione.

7. Ma dobbiamo subito aggiungere che confermando in modo solenne e definitivo questa verità, nel Concilio di Nicea la Chiesa ha nello stesso tempo sostenuto, insegnato e difeso la verità sulla vera umanità di Cristo. Anche questa verità era diventata oggetto di opinioni errate e di teorie eretiche. In particolare è da ricordare qui il docetismo (dall’espressione greca [termine greco]= sembrare). Questa concezione annullava la natura umana di Cristo, sostenendo che egli non possedeva un vero corpo, ma soltanto un’apparenza di carne umana. I doceti ritenevano che Dio non sarebbe potuto nascere realmente da una donna, non sarebbe potuto veramente morire in croce. Da questa loro posizione conseguiva che in tutta la sfera dell’incarnazione e della redenzione abbiamo a che fare solo con un’illusione della carne, in aperto contrasto con la rivelazione contenuta nei vari testi del nuovo testamento, tra i quali quelli di san Giovanni: “Cristo è venuto nella carne” (1Jn 4,2), “Il Verbo si è fatto carne” (Jn 1,14), e di san Paolo, secondo il quale in questa carne Cristo si è fatto “obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (cf. Ph 2,8).

8. Secondo la fede della Chiesa, attinta alla rivelazione, Gesù Cristo era vero uomo;proprio per questo il suo corpo umano era animato da una anima veramente umana. Alla testimonianza degli evangelisti, univoca su questo punto, corrispondeva l’insegnamento della Chiesa primitiva, come pure dei primi scrittori ecclesiastici, come Tertulliano (Tertulliani “De carne Christi”, 13, 4), che scriveva: “Nel Cristo . . . noi troviamo anima e carne, cioè un’anima anima (umana) e una carne carne”. Tuttavia correvano opinioni contrarie anche su questo punto, in particolare quelle di Apollinare, Vescovo di Laodicea (nato circa il 310 a Laodicea di Siria, morto circa il 390), e dei suoi seguaci (detti appunto apollinaristi), secondo i quali non ci sarebbe stata in Cristo una vera anima umana, perché sarebbe stata sostituita dal Verbo di Dio. Ma è chiaro che anche in questo caso si negava la vera umanità di Cristo.

9. Di fatti il Papa Damaso I (366-384) in una sua lettera ai Vescovi orientali (circa 374), indicava e respingeva contemporaneamente gli errori sia di Ario sia di Apollinare: “Essi (ossia gli ariani) pongono nel Figlio di Dio una divinità imperfetta, questi (ossia gli apollinaristi) affermano falsamente una incompleta umanità nel Figlio dell’uomo. Ma se veramente è stato assunto un uomo incompleto, imperfetta è l’opera di Dio, imperfetta la nostra salvezza, perché non è stato salvato tutto l’uomo! E noi, che sappiamo di essere stati salvati nella pienezza dell’essere umano, secondo la fede della Chiesa cattolica professiamo che Dio nella pienezza del suo essere ha assunto l’uomo nella pienezza del suo essere”. Il documento damasiano, steso cinquant’anni dopo Nicea, era però rivolto principalmente contro gli apollinaristi (cf. Denz.-Schönm., DS 146). Pochi anni dopo il I Concilio di Costantinopoli (381) condannò tutte le eresie del tempo, compresi l’arianesimo e l’apollinarismo, confermando ciò che il Papa Damaso I aveva enunciato sulla umanità di Cristo, alla quale appartiene per natura una vera anima umana (e dunque un vero intelletto umano, una libera volontà) (cf. Denz.-Schönm., DS 146 DS 149 DS 151).

10. L’argomento soteriologico con cui il Concilio di Nicea spiegò l’incarnazione, insegnando che il Figlio consostanziale al Padre si è fatto uomo “per noi uomini e per la nostra salvezza”, trovò nuova espressione nella difesa dell’integra verità su Cristo sia di fronte all’arianesimo, sia contro l’apollinarismo, fatta da papa Damaso e dal Concilio di Costantinopoli. In particolare nei riguardi di coloro che negavano la vera umanità del Figlio di Dio, quell’argomento soteriologico venne presentato in modo nuovo: perché l’uomo intero potesse essere salvato, l’intera (perfetta) umanità doveva essere assunta nell’unità del Figlio: “quod non est assumptum, non est sanatum” (cf. S. Gregorii Nazianzeni “Ep. 101 ad Cledon”).

11. Il Concilio di Calcedonia (451), condannando ancora una volta l’apollinarismo, completò in certo senso il Simbolo niceno della fede, proclamando Cristo “perfectum in deitate, eundem perfectum in humanitate”: “il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo (composto) di anima razionale e del corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l’umanità [termine greco], «simile in tutto a noi fuorché nel peccato» (cf. He 4,15), generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l’umanità, uno e medesimo Cristo Signore unigenito . . .” (“Symbolum Chalcedonense”: Denz.-Schönm., DS 301).

Come si vede, la faticosa elaborazione del dogma cristologico avvenuta ad opera dei Padri e dei Concili, ci riporta sempre al mistero dell’unico Cristo, Verbo incarnato per la nostra salvezza, quale ci è fatto conoscere dalla rivelazione, perché credendo in lui e amandolo, siamo salvati e abbiamo la vita (cf. Jn 20,31).

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini francesi


Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli provenienti dall’America Latina e dalla Spagna

Ai fedeli polacchi

Ai pellegrini di lingua italiana

Desidero ora porgere il mio saluto al Signor Cardinale Paulos Tzadua, Arcivescovo di Addis Abeba, il quale presiede un pellegrinaggio della parrocchia romana del Santo Nome di Maria, della quale è titolare. Lo accompagna un gruppo di suoi condiocesani, provenienti dall’Etiopia, e con lui sono presenti il parroco, i sacerdoti, ed un bel numero di fedeli della parrocchia romana, affidata alla protezione della Vergine. Carissimi, vi ringrazio per questa vostra visita, che vuole ricambiare l’incontro pastorale dello scorso anno. Mi compiaccio per il gesto di singolare ospitalità che avete avuto verso la Chiesa etiopica, una Chiesa che vive nella sofferenza, come tutti sanno, ma che vuole rimanere fedele alla sua missione di annunciare ai poveri con generosità e fiducia il messaggio del vangelo. Formulo l’auspicio che tale segno di fraternità porti buoni frutti anche per le iniziative pastorali della vostra parrocchia e vi ringrazio per le preghiere che rivolgete a Dio per me.
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Saluto poi i pellegrini della Diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, guidati dal loro Vescovo Monsignor Domenico Pecile. Benedico volentieri l’immagine della Vergine “Madre della Chiesa”, che avete portato con voi, mentre formulo cordialmente voti per la “peregrinatio” che intendete realizzare con tale immagine attraverso le varie parrocchie.
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Il mio pensiero va poi ai pellegrini dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio, che ogni anno organizzano una visita a Roma, quale segno della loro comunione con la Sede di Pietro. Vi ringrazio di cuore ed auspico che questa visita conforti la vostra testimonianza cristiana.
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Saluto il gruppo delle “Pie Madri della Nigrizia”, convenute a Roma per un corso di rinnovamento spirituale e di aggiornamento, ed ora in procinto di tornare nelle loro missioni. A tutte un pensiero di augurio e di compiacimento per la loro opera. Le accompagna la mia preghiera, insieme con la mia Benedizione.
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Rivolgo ancora una parola di apprezzamento per i partecipanti al convegno “Longevity Forum”. Il problema della qualità della vita e del suo sviluppo nel contesto delle presenti condizioni ambientali è al centro dell’attenzione e dello studio di tale riunione.

Nel rivolgere ai partecipanti il mio saluto, esprimo l’auspicio che la sensibilità per i problemi umani posti dallo sviluppo moderno consenta di promuovere un progresso in cui i valori etici e spirituali non siano mai sopraffatti da interessi inferiori all’uomo.

A tutti la mia Benedizione.

Ai giovani

Carissimi giovani! A voi ora intendo indirizzare un particolare saluto. Oggi è la festa di Santa Francesca Romana, una delle glorie della storia della Chiesa di Roma: un modello di vita attuale anche per voi giovani di oggi, benché siano trascorsi secoli da quando ella visse. Francesca fu infatti uno splendido esempio di carità verso Dio e verso il prossimo. Si racconta che fin da giovane essa amava leggere antichi codici, nei quali si narrava la vita dei Santi, che furono per lei veri maestri. Nutrite anche voi il vostro spirito, carissimi giovani, di questi esempi sublimi, perché, con l’aiuto di Dio, la vostra vita raggiunga la pienezza del suo valore. La mia Benedizione vi accompagna.

Agli ammalati

Carissimi ammalati! Vi saluto tutti con effusione d’affetto. Quanto non si prodigò Santa Francesca per lenire le sofferenze degli uomini, profondendo in questa missione di carità tutte le ricchezze materiali e morali che Dio le aveva concesso. L’augurio che esprimo dal profondo del cuore è che anche voi possiate trovare anime buone e generose che vi aiutino nel cammino difficile che state percorrendo; ed in ogni caso, se accoglierete con fede i vostri disagi, non vi mancheranno le consolazioni del cielo. Santa Francesca preghi per voi!

Ed io v’imparto la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Carissimi sposi novelli! Santa Francesca ha qualcosa da insegnare anche a voi, giacché anch’essa fu sposa e madre generosa, non chiusa nella propria famiglia, ma aperta alle necessità sociali del suo tempo. Come Lei, ogni persona sposata possiede un cuore ed una mente, possiede proprie energie spirituali - che sono le più importanti - per far del bene non solo a se stessa, ma anche alle altre famiglie ed alla società. E più doniamo agli altri, più Dio dona a noi. Ad essere generosi non ci si perde mai. Santa Francesca vi indichi la strada! Mentre io vi benedico di tutto cuore.





Catechesi 79-2005 10288