Catechesi 79-2005 40287

Mercoledì, 4 febbraio 1987

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1. Delle due genealogie di Gesù, ricordate nella catechesi precedente, quella del Vangelo secondo Matteo (
Mt 1,1-17) ha una struttura “discendente”: elenca cioè gli antenati di Gesù, figlio di Maria, cominciando da Abramo. L’altra, che si trova nel Vangelo di Luca (Lc 3,23-38), ha una struttura “ascendente”: partendo da Gesù giunge fino ad Adamo.

Mentre la genealogia di Luca indica il collegamento di Gesù con l’umanità intera, la genealogia di Matteo mette in evidenza la sua appartenenza alla stirpe di Abramo. È in quanto Figlio di Israele, popolo eletto da Dio nell’antica alleanza, al quale direttamente appartiene, che Gesù di Nazaret è a pieno titolo membro della grande famiglia umana.

2. Gesù “nasce” in mezzo a questo popolo, cresce nella sua religione e nella sua cultura. È un vero israelita, che pensa e si esprime in aramaico secondo le categorie concettuali e linguistiche dei suoi contemporanei e segue i costumi e le usanze del suo ambiente. Come israelita è erede fedele dell’antica alleanza.

È un fatto messo in risalto da san Paolo quando, nella Lettera ai Romani, scrive del suo popolo: “Essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne” (Rm 9,4-5). E nella Lettera ai Galati ricorda che Cristo è “nato sotto la legge” (Ga 4,4).

3. In ossequio alla prescrizione della Legge di Mosè, poco dopo la nascita Gesù venne ritualmente circonciso, entrando così ufficialmente a far parte del popolo dell’alleanza: “Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo il nome Gesù” (Lc 2,21).

Il Vangelo dell’infanzia, per quanto povero di particolari sul primo periodo della vita di Gesù, riporta tuttavia che “i suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua”, espressione della loro fedeltà alla Legge e alla tradizione di Israele. “Quando egli (Gesù) ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza”. “Mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero”. Dopo tre giorni di ricerca “lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava”. Alla gioia di Maria e Giuseppe dovettero sovrapporsi le sue parole, da essi non comprese: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,41-43 Lc 2,46 Lc 2,49).

4. All’infuori di questo avvenimento, tutto il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza di Gesù nel Vangelo è coperto di silenzio. È un periodo di “vita nascosta”, riassunto da Luca in due semplici frasi: Gesù “partì . . . con loro (con Maria e Giuseppe) e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso” (Lc 2,51), e: “cresceva in sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52).

5. Dal Vangelo sappiamo che Gesù visse in una propria famiglia, nella casa di Giuseppe, il quale tenne verso il Figlio di Maria le veci di un padre assistendolo, proteggendolo e avviandolo gradualmente al suo stesso mestiere di carpentiere. Agli occhi degli abitanti Gesù appariva come “il figlio del carpentiere” (Mt 13,55). Quando incominciò a insegnare, i suoi concittadini si domandavano con stupore: “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria? . . .” (Mc 6,2-3). Oltre alla madre essi menzionavano anche i suoi “fratelli” e le sue “sorelle”, cioè quei membri della sua parentela (“cugini”), che vivevano a Nazaret, quelli stessi che, come ricorda l’evangelista Marco, cercarono di dissuadere Gesù dalla sua attività di maestro (cf. Mc 3,21). Evidentemente essi non trovavano in lui alcun motivo che potesse giustificare l’inizio di una nuova attività; ritenevano che Gesù fosse e dovesse rimanere un israelita qualsiasi.

6. L’attività pubblica di Gesù ebbe inizio al trentesimo anno di vita, quando tenne il suo primo discorso a Nazaret: “. . . entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia . . .”. Gesù lesse il brano che cominciava con le parole: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio . . .”. Gesù si rivolse quindi ai presenti e annunciò: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udito . . .” (Lc 4,16-18 Lc 4,21).

7. Nella sua attività di maestro, iniziata a Nazaret ed estesasi alla Galilea e alla Giudea fino alla capitale, Gerusalemme, Gesù sa cogliere e valorizzare i frutti abbondanti presenti nella tradizione religiosa di Israele. Egli la penetra con intelligenza nuova, ne fa emergere i valori vitali, ne mette in luce le prospettive profetiche. Non esita a denunciare le deviazioni degli uomini nei confronti dei disegni del Dio dell’alleanza.

In questo modo egli opera, nell’ambito dell’unica e medesima rivelazione divina, il passaggio dal “vecchio” al “nuovo”, senza abolire la Legge, ma portandola invece al suo pieno compimento (cf. Mt 5,17). È il pensiero con il quale si apre la Lettera agli Ebrei: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio . . .” (He 1,1).

8. Questo passaggio dal “vecchio” al “nuovo” caratterizza l’intero insegnamento del “Profeta” di Nazaret. Un esempio particolarmente chiaro è il discorso della montagna riportato nel Vangelo di Matteo. Gesù dice: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere . . . Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Mt 5,21-22). “Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adultero con lei nel suo cuore” (Mt 5,27-28). “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori . . .” (Mt 5,43-44).

Insegnando in tal modo, Gesù allo stesso tempo dichiara: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (cf. Mt 5,17).

9. Questo “compiere” è una parola-chiave che si riferisce non soltanto all’insegnamento della verità rivelata da Dio, ma anche a tutta la storia di Israele, ossia del popolo di cui Gesù è figlio. Questa storia straordinaria, guidata fin dall’inizio dalla mano potente del Dio dell’alleanza, trova in Gesù il suo compimento. Il disegno che il Dio dell’alleanza aveva iscritto fin dall’inizio in questa storia, facendone la storia della salvezza, tendeva alla “pienezza dei tempi” (Ga 4,4), che si realizza in Gesù Cristo. Il Profeta di Nazaret non esita a parlarne fin dal primo discorso pronunciato nella sinagoga della sua città.

10. Particolarmente eloquenti sono le parole di Gesù riferite nel Vangelo di Giovanni quando dice ai suoi oppositori: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno . . .”, e di fronte alla loro incredulità: “Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?”, Gesù conferma ancora più esplicitamente: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, lo sono” (Jn 8,56-58). È evidente che Gesù afferma, non soltanto di essere il compimento dei disegni salvifici di Dio, iscritti nella storia di Israele dai tempi di Abramo, ma che la sua esistenza precede il tempo di Abramo, fino ad identificarsi come “colui che è” (Ex 3,14). Ma proprio per questo è lui, Gesù Cristo, il compimento della storia di Israele, perché “supera” questa storia con il suo mistero. Qui tocchiamo però un’altra dimensione della cristologia, che affronteremo in seguito.

11. Per ora concludiamo con un’ultima riflessione sulle due genealogie riportate dai due evangelisti Matteo e Luca. Da esse risulta che Gesù è vero figlio di Israele e che, in quanto tale appartiene a tutta la famiglia umana. Perciò se in Gesù, discendente di Abramo, vediamo adempiute le profezie dell’Antico Testamento, in lui, scorgiamo, seguendo l’insegnamento di san Paolo, il principio e il centro della “ricapitolazione” dell’umanità intera (cf. Ep 1,10).

Ai gruppi di lingua inglese

Ad un gruppo di visitatori giapponesi,
membri della religione «Tenri»

Sia lodato Gesù Cristo!

Illustri membri della Religione «Tenri» di Gifu, vi ringrazio di cuore per essere venuti a trovarmi in Vaticano.

Eleviamo a Dio la nostra preghiera per la pace nel mondo, affinché tutti i popoli possano godere della serenità e di un ordinato sviluppo sociale.

Con questo augurio vi imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola


Ai fedeli polacchi


Ai fedeli italiani

Saluto tutti i gruppi di lingua italiana, qui convenuti da varie regioni della penisola.

Rivolgo un pensiero particolare al gruppo dei Sacerdoti Cappuccini, che partecipano a Roma ad un corso di formazione permanente, e a quello delle Religiose, appartenenti a diverse Congregazioni, che in questi giorni svolgono presso la Casa “ Mater Ecclesiae ” della Suore Dorotee da Cemmo un corso di aggiornamento spirituale.

Carissimi, vi esprimo apprezzamento ed incoraggiamento per l’impegno che mostrate nello sforzo di rinnovamento interiore alla luce dei documenti conciliari. Vi auguro che dai vostri incontri possiate ricavare uno stimolo per rinsaldare gli ideali religiosi da voi abbracciati e per esprimere in modo sempre più generoso la vostra dedizione ai fratelli.
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Saluto pure i fedeli della Parrocchia di S. Antonio e S. Michele Arcangelo in Monte di Procida, diocesi di Pozzuoli, che sono venuti insieme col loro Parroco, Don Antonio Diana, per far benedire la prima pietra della nuova Chiesa parrocchiale, essendo stata la precedente distrutta dal terremoto del 1980.

Volentieri benedico la Pietra da voi qui recata, insieme alle altre due destinate alla fondazione di chiese in territorio di missione, e vi esorto a considerare sempre la vostra parrocchia un vero focolare spirituale che vi trovi uniti nelle preghiere e nella solidarietà verso i bisogni altrui. I Santi Antonio e Michele Arcangelo ai quali è affidata la vostra comunità, intercedano sempre per voi e per le vostre famiglie.
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Un cordiale saluto va anche agli artisti e al personale del Circo “ Nando Orfei ”, i quali prima di lasciare Roma hanno voluto prendere parte a questa Udienza ed offrire un saggio della loro bravura.

Vi ringrazio per la vostra presenza e vi auguro ogni successo nella vostra attività professionale, destinata a far vivere momenti di serenità e di svago ai bambini e agli adulti. Vi auguro altresì che essa sia sempre apportatrice di una letizia sana e costruttiva.

A tutti imparto la mia Benedizione.

Ai giovani

Mentre rivolgo il mio cordiale saluto a voi, giovani, mi è caro ricordarvi quanto sia importante tener desto e ben indirizzare il desiderio di compimento della vita, del rapporto con Gesù. La fede in Lui è bella e lieta e trasforma le persone che ne vivono, rendendo la loro esistenza una riposta di amore riconoscente all’amore infinito di Dio e un dono di sé agli altri. La Vergine Maria interceda per voi quelle grazie, le quali fanno crescere nella vostra giovane esistenza l’influsso di colui, che solo è l’“Uomo perfetto”: il Cristo.

Condividendo la vostra gioia e speranza, vi accompagno con la mia Benedizione.

Agli ammalati

La mia parola di benvenuto va ora a voi, ammalati, che saluto con speciale affetto. Carissimi, vi sono vicino, auspicando ogni bene per voi. Vi esorto a saper accettare la sofferenza, che ferisce il vostro corpo ed il vostro animo, per amore del Redentore, primo offerente di quel santo e perfetto sacrificio, a cui tutto il popolo cristiano è impegnato a partecipare.

La Madonna vi conceda di riconoscere, nella passione, la gloria del Figlio, perché la sua Croce - da voi in modo particolare condivisa - sia per tutti fonte di pace. La consapevolezza della materna protezione di Maria vi conforti ogni giorno. Di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica.

Agli sposi novelli

Con l'augurio che la carità di Cristo sia sempre principio autentico di vita, sul quale è saldamente stabilita la vostra unione matrimoniale, saluto voi, sposi novelli, presenti a questa Udienza. Carissimi, abbiate la certezza che la fedeltà di Dio certamente custodirà la vostra, se ogni giorno responsabilmente farete fiorire la sua grazia, consapevoli che il sacramento nuziale purifica il vostro reciproco amore e lo eleva ad immagine dell’amore del Redentore per la sua Chiesa. Vi sostenga la mia Benedizione Apostolica.

Le gravi notizie che giungono da più parti del Medio Oriente sono anche per me motivo di vivissima preoccupazione e di grande dolore.

La guerra tra Iraq e Iran ha assunto dimensioni ancor più drammatiche, quasi da ecatombe. Si parla di decine di migliaia di combattenti falciati ogni giorno sui fronti di battaglia e di altre migliaia di persone inermi - bambini, donne e anziani - vittime di bombardamenti particolarmente intensi sulle città.

Gli inviti a una ricomposizione dignitosa formulati da istanze internazionali e dai paesi amici dell’Iraq e dell’Iran, non sembrano finora trovare ascolto. Sento mio dovere di unirmi alla voce di tutti coloro che si adoperano per far cessare questa tremenda lotta, giustamente solleciti di scongiurare altri eccidi e di aiutare i due popoli vicini a trovare una soluzione equa del micidiale confronto.

Il mio pensiero va anche al Libano, avvolto in un intreccio di sofferenze e di dolori reso più complicato dalla nuova ondata dei sequestri di persone di varie nazionalità e di ogni rango. Penso con affetto e solidarietà alla continuata tragedia di quelle care popolazioni e alle sofferenze dei rapiti - qualcuno dei quali preso mentre svolgeva un’azione altamente umanitaria - e all’angoscia dei loro cari. Mi auguro che sia evitata una temibile catena di azioni e reazioni, che provocherebbe situazioni ancor più difficili e pericoli sempre maggiori per il paese e per la regione.

Preghiamo per questi popoli, per le vittime e per le loro famiglie e per il ritorno incolume dei sequestrati. Invochiamo dal Signore il dono della pace, sempre più necessaria e desiderata.




Mercoledì, 11 febbraio 1987

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1. Come abbiamo visto nelle recenti catechesi, l’evangelista Matteo conclude la sua genealogia di Gesù, Figlio di Maria, collocata all’inizio del suo Vangelo, con le parole “Gesù chiamato Cristo” (
Mt 1,16). Il termine “Cristo” è l’equivalente greco della parola ebraica “Messia”, che vuol dire “Unto”. Israele, il popolo eletto da Dio, ha vissuto per generazioni nell’attesa del compimento della promessa del Messia, alla cui venuta fu preparato attraverso la storia dell’alleanza. Il Messia, cioè l’“Unto” mandato da Dio, doveva dare compimento alla vocazione del popolo dell’alleanza, al quale per mezzo della rivelazione era stato concesso il privilegio di conoscere la verità su Dio stesso e sul suo progetto di salvezza.

2. L’attribuzione del nome “Cristo” a Gesù di Nazaret è la testimonianza che gli apostoli e la Chiesa primitiva avevano riconosciuto che in lui si erano realizzati i disegni del Dio dell’alleanza e le attese di Israele. È quanto ha proclamato Pietro nel giorno della Pentecoste, quando, ispirato dallo Spirito Santo, parlò per la prima volta agli abitanti di Gerusalemme e ai pellegrini venuti per le feste: “Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (Ac 2,36).

3. Il discorso di Pietro e la genealogia di Matteo ripropongono il ricco contenuto della parola “Messia-Cristo” che si trova nell’Antico Testamento e che affronteremo nelle prossime catechesi.

La parola “Messia” includendo l’idea di unzione, può essere compresa solo in connessione con l’istituzione religiosa dell’unzione con l’olio, che era in uso in Israele e che - come ben sappiamo - dall’antica alleanza passò anche alla nuova. Nella storia dell’antica alleanza ricevettero questa unzione persone chiamate da Dio all’officio e alla dignità di re, o di sacerdote o di profeta.

La verità sul Cristo-Messia va dunque riletta nel contesto biblico di questo triplice “munus”, che nell’antica alleanza veniva conferito a coloro che erano destinati a guidare o a rappresentare il popolo di Dio. Nella presente catechesi intendiamo soffermarci sull’ufficio e la dignità di Cristo in quanto Re.

4. Quando l’angelo Gabriele annunzia alla Vergine Maria che è stata scelta per essere la Madre del Salvatore, le parla della regalità di suo figlio: “. . . il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre, e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,32-33).

Queste parole sembrano corrispondere alla promessa fatta al re Davide: “Quando i tuoi giorni saranno compiuti... io assicurerò dopo di te la discendenza . . . e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre, ed egli mi sarà figlio” (2S 7,12-14). Si può dire che questa promessa si è compiuta in una certa misura in Salomone, figlio e diretto successore di Davide. Ma il senso pieno della promessa andava ben oltre i confini di un regno terreno e riguardava non soltanto un futuro lontano, ma addirittura una realtà che andava oltre la storia, il tempo e lo spazio: “io renderò stabile il trono del suo regno per sempre” (2S 7,13).

5. Nell’annunciazione Gesù viene presentato come Colui nel quale l’antica promessa si compie. In tal modo la verità sul Cristo-Re viene collocata nella tradizione biblica del “Re messianico” (del Messia-Re); in questa forma la si ritrova spesso nei Vangeli che ci parlano della missione di Gesù di Nazaret e ci trasmettono il suo insegnamento.

È significativo in proposito l’atteggiamento dello stesso Gesù, ad esempio quando Bartimeo, il mendicante cieco, per chiedergli aiuto gli grida: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” (Mc 10,47). Gesù, che non si è mai attribuito quel titolo, accetta come rivolte a sé le parole pronunciate da Bartimeo. Semmai si preoccupa di precisarne la portata. Rivolto infatti ai farisei, domanda: “Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio? Gli rispose: “Di Davide”. Ed egli a loro: “Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo: Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?” (Ps 110,1). Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?” (Mt 22,42-45).

6. Come si vede, Gesù richiama l’attenzione sul modo “limitato” e non sufficiente di intendere il Messia sulla sola base della tradizione di Israele, legata all’eredità regale di Davide. Tuttavia egli non respinge questa tradizione, ma la compie nel senso pieno che essa conteneva, che già appare nelle parole pronunziate durante l’annunciazione e si manifesterà nella sua Pasqua.

7. Un altro fatto significativo è che, entrando in Gerusalemme alla vigilia della sua passione, Gesù compie, come rilevano gli evangelisti Matteo (Mt 21,5) e Giovanni (Jn 12,15), la profezia di Zaccaria, nella quale trova espressione la tradizione del “Re messianico”: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme; ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (Za 9,9). “Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma” (Mt 21,5). Proprio su un’asina cavalca Gesù nel suo ingresso solenne a Gerusalemme, accompagnato dalle grida entusiastiche: “Osanna al figlio di Davide” (cf. Mt 21,1-10). Nonostante l’indignazione dei farisei, Gesù accetta l’acclamazione messianica dei “piccoli” (cf. Mt 21,16 Lc 19,40), ben sapendo che ogni equivoco sul titolo di Messia sarebbe stato dissipato dalla sua glorificazione attraverso la passione.

8. La comprensione della regalità come un potere terreno entrerà in crisi. La tradizione non ne uscirà annullata, ma chiarificata. Nei giorni seguenti l’entrata di Gesù in Gerusalemme si vedrà come devono essere intese le parole dell’angelo nell’annunciazione: “Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre... regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Gesù stesso spiegherà in che cosa consiste la propria regalità, e quindi la verità messianica, e come bisogna comprenderla.

9. Il momento decisivo di questa chiarificazione si ha nel colloquio di Gesù con Pilato, riportato nel Vangelo di Giovanni. Poiché Gesù è stato accusato dinanzi al governatore romano di “farsi re” dei Giudei, Pilato gli pone una domanda circa quest’accusa che interessa particolarmente l’autorità romana perché, se Gesù veramente pretendesse di essere “re dei Giudei” e come tale fosse riconosciuto dai suoi seguaci, potrebbe costituire una minaccia per l’impero.

Pilato dunque domanda a Gesù: “Tu sei il re dei Giudei? Gesù rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?”; e poi spiega: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”. All’insistenza di Pilato: “Dunque tu sei re?”, Gesù dichiara: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza nella verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”” (cf. Jn 18,33-37). Queste parole inequivocabili di Gesù contengono l’affermazione netta che il carattere o “munus regale”, legato con la missione del Cristo-Messia mandato da Dio, non può essere inteso in senso politico come se si trattasse di un potere terreno, neppure in relazione al “popolo eletto”, Israele.

10. Il seguito del processo di Gesù conferma l’esistenza del conflitto tra la concezione che Cristo ha di sé quale “Messia-re” e quella terrestre e politica, comune fra il popolo. Gesù viene condannato a morte sotto l’accusa che “si è fatto re”. L’iscrizione collocata sulla croce: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei” proverà che per l’autorità romana questo è il suo delitto. Proprio i Giudei che, paradossalmente, aspiravano al ristabilimento del “regno di Davide” in senso terreno, alla vista di Gesù flagellato e coronato di spine, presentato loro da Pilato con le parole: “Ecco il vostro re!”, avevano gridato: “Crocifiggilo! . . . Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare” (Jn 19,15).

Su tale sfondo possiamo meglio comprendere il significato dell’iscrizione posta sulla croce di Cristo, non senza riferimento alla definizione che Gesù aveva dato di sé durante l’interrogatorio davanti al procuratore romano. Solo in quel senso il Cristo-Messia è “il Re”; solo in quel senso egli dà attuazione alla tradizione del “Re messianico”, presente nell’Antico Testamento e iscritta nella storia del popolo dell’antica alleanza.

11. Sul Calvario, infine, un ultimo episodio illumina la messianicità regale di Gesù. Uno dei due malfattori crocifissi insieme con Gesù manifesta questa verità in modo penetrante, quando dice: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42). Gesù gli risponde: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43). In questo dialogo troviamo quasi un’ultima conferma delle parole che l’angelo aveva rivolto a Maria nell’annunciazione: Gesù “regnerà . . . e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,33).

Ai pellegrini francesi

Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai pellegrini polacchi


Ai gruppi italiani

Rivolgo un cordiale saluto alla rappresentanza del Comune di Caserta, guidata dal Sindaco. Formulo per tutta la Cittadinanza e per i responsabili della sua amministrazione i miei migliori auguri per un costante e sereno civile progresso nella prosperità e nella giustizia. A tutti la mia Benedizione.
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Saluto la delegazione dell’Associazione Nazionale Alpini, guidata dal Presidente Dottor Caprioli e composta da alcuni rappresentanti della Sezione delle Valli Camonica e Rendena. Carissimi, sono lieto per l’iniziativa di cui vi siete fatti promotori erigendo un altare sul Pian di Neve dell’Adamello. Vedo in questo gesto un simbolo eloquente dei richiami spirituali che si sprigionano dal maestoso silenzio delle vette. Richiamo a Dio, che tutto sovrasta con l’immensità della sua presenza; richiamo alla realtà sottostante, che, dalle altezze, appare nell’autentica verità del suo essere e delle sue dimensioni umane.
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Saluto cordialmente il folto gruppo di militari della Caserma “Lancieri di Montebello” di Roma, presenti con alcuni familiari, con Ufficiali, Sottufficiali ed il Comandante.

Ai giovani

Saluto di cuore tutti i giovani e in particolare gli studenti del Liceo Ginnasio Statale “Aristofane” di Roma e di una rappresentanza del XIII Liceum “Ogòlnoksztalcace” di Cracovia.

Carissimi giovani, vi ringrazio per la vostra presenza. La Vergine di Lourdes, che oggi festeggiamo, vi accompagni maternamente nell’acquisto del sapere e delle virtù e vi conduca alla pienezza della vostra maturità cristiana! La Madonna interceda per voi presso Dio e vi ottenga le grazie che vi sostengano nel vostro cammino.

Agli ammalati

Saluto pure gli ammalati che con la loro venuta qui in mezzo a noi ci hanno recato in dono il contributo delle loro sofferenze. La Beata Vergine di Lourdes, di cui oggi celebriamo la memoria, vi sia di conforto e di aiuto nei momenti più difficile, Ella che ha fatto del suo Santuario ai piedi dei Pirenei un centro di accoglienza, di speranza e anche di guarigione per quanti soffrono nel corpo e sono angustiati nello spirito. Invocandola con fiducia Ella vi porterà a Gesù, suo diletto Figlio e Redentore del mondo, e vi insegnerà ad associare i vostri dolori a quelli del Crocifisso per la salvezza degli uomini e a fare dei vostri cuori come altrettanti altari, dai quali salirà a Dio l’incenso delle vostre sofferenze e dei vostri sacrifici.

Agli sposi novelli

Un saluto particolare giunga, come di consueto, anche agli sposi novelli, qui presenti, i quali col loro recente matrimonio hanno reso santo e stabile il loro amore sponsale davanti all’altare.

Carissimi Sposi, il Signore vi conceda una vita serena e la consolazione di vederla ogni giorno realizzata nella totale unità e nella reciproca dedizione.

E’ questo il mio augurio che volentieri avvaloro con la Benedizione del Signore.




Mercoledì, 18 febbraio 1987

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1. Il nome “Cristo” che, come sappiamo, è l’equivalente greco della parola “Messia”, cioè “Unto”, oltre al carattere “regale”, di cui abbiamo trattato nella catechesi precedente, include, secondo la tradizione dell’Antico Testamento, anche quello “sacerdotale”. Quali elementi appartenenti alla medesima missione messianica, i due aspetti, diversi tra loro, sono tuttavia complementari. La figura del Messia, delineata nell’Antico Testamento, li comprende entrambi manifestando l’unità profonda della missione regale e sacerdotale.

2. Questa unità ha la sua prima espressione, quasi un prototipo e una anticipazione, in Melchisedek, re di Salem, misterioso contemporaneo di Abramo. Di lui leggiamo nel Libro della Genesi, che uscendo incontro ad Abramo, “offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abramo con queste parole: Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra” (
Gn 14,18-19).

La figura di Melchisedek, re-sacerdote, entrò nella tradizione messianica, come attesta anzitutto il salmo 109 - il salmo messianico per antonomasia -. In questo salmo infatti, Dio-Jahvè si rivolge “al mio Signore” (cioè al Messia) con le parole: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: “Domina in mezzo ai tuoi nemici . . .” (Ps 110,1-2).

A queste espressioni, che non possono lasciare alcun dubbio sul carattere regale di colui, al quale Jahvè si rivolge, segue il preannunzio: “Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek” (Ps 110,4). Come si vede, colui al quale Dio-Jahvè si rivolge, invitandolo a sedere “alla sua destra”, sarà nello stesso tempo re e sacerdote “al modo di Melchisedek”.

3. Nella storia di Israele l’istituzione del sacerdozio dell’antica alleanza ha inizio nella persona di Aronne, fratello di Mosè, e sarà ereditariamente legata con una delle dodici tribù d’Israele, quella di Levi.

A questo proposito, è significativo quel che leggiamo nel Libro del Siracide: “(Dio) innalzò Aronne . . . suo fratello (cioè di Mosè), della tribù di Levi. Stabilì con lui un’alleanza perenne e gli diede il sacerdozio tra il popolo . . .” (Si 45,6-7). “(Il Signore) lo scelse tra tutti i viventi perché gli offrisse sacrifici, incenso e profumo come memoriale e perché compisse l’espiazione per il suo popolo. Gli affidò i suoi comandamenti, il potere sulle prescrizioni del diritto, perché insegnasse a Giacobbe i decreti e illuminasse Israele nella sua legge” (Si 45,16-17). Deduciamo da questi testi che l’elezione sacerdotale è in funzione del culto, per l’offerta dei sacrifici dell’adorazione e dell’espiazione, e che a sua volta il culto è legato all’insegnamento su Dio e sulla sua Legge.

4. Sempre nello stesso contesto sono significative anche; queste parole del Libro del Siracide: “Ci fu (da parte di Dio) anche una alleanza con Davide . . . la successione regale dal padre a uno solo dei figli, la successione di Aronne a tutta la sua discendenza” (Si 45,25).

Secondo questa tradizione, il sacerdozio si colloca “accanto” alla dignità regale. Ora Gesù non proviene dalla stirpe sacerdotale, dalla tribù di Levi, ma da quella di Giuda, per cui non sembra che il carattere sacerdotale del Messia gli si addica. I suoi contemporanei scoprono in lui anzitutto il maestro, il profeta, alcuni addirittura il loro “re”, erede di Davide. Si direbbe dunque che in Gesù la tradizione di Melchisedek, il re-sacerdote, è assente.

5. È tuttavia un’assenza apparente. Gli avvenimenti pasquali svelarono il vero senso del “Messia-re” e del “re-sacerdote al modo di Melchisedek” che, presente nell’Antico Testamento, ha trovato il suo compimento nella missione di Gesù di Nazaret. È significativo che durante il processo davanti al sinedrio, al sommo sacerdote che gli chiede: “. . . se tu sei Cristo, il Figlio di Dio”, Gesù risponde: “Tu l’hai detto . . . anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio . . .” (Mt 26,63-64). È un chiaro riferimento al salmo messianico (Ps 110), nel quale trova espressione la tradizione del re-sacerdote.

6. Si deve tuttavia dire che la piena manifestazione di questa verità si trova soltanto nella Lettera agli Ebrei”, che affronta il rapporto tra il sacerdozio levitico e quello di Cristo.

L’autore della Lettera agli Ebrei tocca il tema del sacerdozio di Melchisedek, per dire che in Gesù Cristo si è compiuto il preannuncio messianico legato a questa figura, che per predestinazione superiore già dai tempi di Abramo era stata iscritta nella missione del popolo di Dio.

Leggiamo infatti di Cristo che “. . . reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek” (He 5,9-10). Quindi, dopo aver ricordato ciò che su Melchisedek scrive il Libro della Genesi (Gn 14,18), la Lettera agli Ebrei continua “. . . il suo nome tradotto significa re di giustizia, inoltre è anche re di Salem, cioè re di pace. Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote in eterno” (He 7,2-3).

7. Facendo poi uso di analogie con il rituale del culto, con l’arca e con i sacrifici dell’antica alleanza, l’autore della Lettera agli Ebrei presenta Gesù Cristo come il compimento di tutte le figure e le promesse dell’Antico Testamento, ordinato “a un servizio che è una copia e un’ombra delle realtà celesti” (He 8,5). Cristo invece, sommo sacerdote misericordioso e fedele (He 2,17 cf. He 3,2 He 3,5), porta in sé un “sacerdozio che non tramonta” (He 7,24), avendo offerto “se stesso senza macchia a Dio” (He 9,14).

8. Vale la pena di riportare per intero alcuni brani particolarmente eloquenti di questa Lettera. Entrando nel mondo Gesù Cristo dice a Dio suo Padre:

“Tu non hai voluto né sacrificio, né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà” (He 10,5-7).

“Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva” (He 7,26). “. . . Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo” (He 2,17). Abbiamo dunque “un sommo sacerdote . . . provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato”, un sommo sacerdote che sa “compatire le nostre infermità” (He 4,15).

9. Leggiamo più avanti che tale sommo sacerdote, “non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso” (He 7,27). E ancora: “Cristo, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri . . . entrò una volta per sempre nel santuario . . . con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna” (He 9,11-12). Di qui la nostra certezza che “il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente” (He 9,14).

Si spiega così l’attribuzione al sacerdozio di Cristo di una perenne forza salvifica, per cui “. . . può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo sempre vivo per intercedere a loro favore” (He 7,25).

10. Possiamo infine osservare che nella Lettera agli Ebrei viene affermato in modo netto e convincente, che Gesù Cristo ha compiuto con tutta la sua vita, e soprattutto con il sacrificio della croce, ciò che è stato iscritto nella tradizione messianica della rivelazione divina. Il suo sacerdozio è messo in riferimento al servizio rituale dei sacerdoti dell’antica alleanza, che però viene da lui oltrepassato, come sacerdote e come vittima. In Cristo dunque viene adempiuto l’eterno disegno di Dio che dispose l’istituzione del sacerdozio nella storia dell’alleanza.

11. Secondo la Lettera agli Ebrei il compimento messianico è simboleggiato dalla figura di Melchisedek.Vi si legge infatti che per volontà di Dio “sorge, a somiglianza di Melchisedek, un sacerdote differente, che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale (ossia per istituzione legale) ma per la potenza di una vita indefettibile!” (He 7,15-16). Si tratta dunque di un sacerdozio eterno (He 7,3 He 7,24).

La Chiesa, custode e interprete fedele di questi e di altri testi contenuti nel Nuovo Testamento, ha riaffermato a più riprese la verità del Messia-Sacerdote, come attestano, ad esempio, il Concilio ecumenico di Efeso (431), quello di Trento (1562) e, ai nostri giorni, il Concilio Vaticano II (1962-65).

Una evidente testimonianza di questa verità la troviamo nel sacrificio eucaristico che per istituzione di Cristo la Chiesa offre ogni giorno sotto le specie del pane e del vino, cioè “al modo di Melchisedek”.

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ai pellegrini di lingua italiana

E’ qui presente come tutti gli anni, un folto gruppo di Vescovi amici del Movimento dei Focolari provenienti da tutte le parti del mondo. Sono riuniti in questi giorni per il loro convegno spirituale nel nuovo “ Centro Mariapoli ” di Castel Gandolfo.

Carissimi Confratelli nell’Episcopato, voi siete venuti qui per esprimere la vostra comunione profonda con il Successore di Pietro,. Ho sentito che avete scelto come tema principale della vostra riunione: la Vergine Maria.

Sappiamo che Maria Santissima è uno dei punti fondamentali della spiritualità del Movimento dei Focolari basata sul Testamento di Gesù e sulla Sua promessa di essere presente là dove due o tre sono uniti nel Suo nome.

Per questa unità che la presenza di Gesù genera in mezzo a noi, non c’è un modello più chiaro, una via più diretta, una garanzia più sicura di Maria Madre di Gesù e Madre della Chiesa.

Vi auguro di essere sempre più ispirati e penetrati da questa convinzione e da un amore profondo a Maria, per essere costruttori di quella Città di Maria che vuole essere e deve essere la Chiesa, per portare come Maria e con Maria la luce di Gesù Cristo nel mondo di oggi.
* * *


Desidero rivolgere un cordiale saluto al gruppo di Religiose delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, presenti con la Superiora Generale. La Famiglia di Nazareth, che dà il titolo alla vostra Congregazione, interceda per voi al fine di una vostra sempre più rigogliosa crescita nella ricerca della santità e nel servizio di carità agli uomini del nostro tempo.

Possiate voi sempre vivere lo spirito di questa Famiglia e diffonderlo abbondantemente attorno a voi, dovunque voi siete.

Di cuore vi imparto la mia Benedizione.

Ai giovani

Rivolgo ora un caro saluto ai giovani qui presenti. Vi ringrazio per la vostra visita. Essa è testimonianza della vostra fede: fede nella comunione ecclesiale. Fede nel fatto che Gesù Cristo, Fondatore della Chiesa, ci ha chiamati a costruire assieme alla sua Chiesa, ciascuno secondo il proprio dono e la propria responsabilità. Compito stupendo ed esaltante! Si tratta di lavorare per la salvezza del mondo, per la vittoria del bene sul male, per l’avvento del Regno di Dio. Ma Gesù è con noi, col suo Spirito. E io di cuore vi benedico.

Agli ammalati

Carissimi malati! A voi ora il mio cordiale saluto!

Anche voi siete giunti oggi, in questa sala, per compiere un atto di fede. Anche voi state esprimendo, qui, la vostra comunione ecclesiale. E quale parte profonda voi avete - lo sapete - in questa comunione, proprio in forza della vostra croce quotidiana! Il peso giornaliero dei vostri disagi o delle vostre sofferenze, se offerto a Gesù Crocifisso, vi porta nel cuore della comunione ecclesiale e, da questo centro di vita soprannaturale che è la Chiesa, voi operate potentemente per la salvezza vostra e per quella del mondo. Vi accompagna la mia affettuosa Benedizione.

Agli sposi novelli

E voi pure, cari sposi novelli, che ora cordialmente saluto, date oggi qui la vostra testimonianza di fede. Fate comprendere che il vostro amore è una espressione particolare di quella profonda comunione che lega tutti i battezzati nell’unico Corpo mistico di Cristo. Il vostro amore, simboleggia e rappresenta, come ben sapete, l’amore stesso della Chiesa sposa di Cristo per il suo Sposo divino. Fate dunque che il vostro amore abbia sempre questa trasparenza, questa meravigliosa significazione! Possa, chi vede il vostro amore, comprendere in qualche modo il mistero stesso dell’Amore che lega la Chiesa a Cristo! Vi accompagno con la mia Benedizione.





Catechesi 79-2005 40287