Catechesi 79-2005 17687
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1. “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Jn 13,1). Così dice il testo del Vangelo di Giovanni sul quale la Chiesa che è in Polonia concentra la sua riflessione durante il Congresso Eucaristico Nazionale. Invitato a partecipare alla settimana culminante del Congresso, ho potuto meditare, insieme con i miei Connazionali, sull’Eucaristia alla luce di quelle parole di Giovanni, che ci introducono in modo particolare nella sostanza stessa del Mistero.
2. Esprimo la mia cordiale gratitudine a Dio Per aver potuto vivere le diverse tappe del Congresso, che si sono susseguite in alcuni centri importanti, iniziando da Varsavia, capitale della Polonia, attraverso Lublino, Tarnow, Cracovia, poi Stettino, Gdynia e Danzica sul litorale baltico, infine attraverso Czestochowa e Lodz, di nuovo a Varsavia, dove ha avuto luogo l’atto centrale del Congresso Eucaristico.
L’amore con cui Cristo ci amò fino alla fine, istituendo il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, fruttifica soprattutto nella santità, alla quale tutti sono chiamati nella Chiesa. La beatificazione, prima, di Carolina Kozka (a Tarnow), una figlia del semplice popolo polacco, che subì il martirio nella difesa della sua castità verginale - e poi la beatificazione del vescovo Michele Kozal (a Varsavia), il quale nel campo di concentramento di Dachau rese testimonianza con la vita e con la morte a Cristo, si ponevano in organica continuità col filo conduttore del Congresso.
3. In collegamento con l’Eucaristia restavano anche i Sacramenti amministrati nelle singole fasi del mio pellegrinaggio attraverso la Polonia: il sacramento del sacerdozio a Lublino, il sacramento del matrimonio (col rinnovamento delle promesse matrimoniali da parte delle coppie sposate), a Stettino, il sacramento dell’Unzione degli infermi a Danzica, la prima comunione dei bambini a Lodz.
Occorre sottolineare qui l’eccellente preparazione spirituale e liturgica di tutti questi incontri eucaristici, ai quali hanno partecipato centinaia di migliaia di fedeli, e più volte il numero dei presenti ha superato il milione. La bellezza della comune preghiera messa in rilievo dai canti sia del coro che dell’intera assemblea, andava di pari passo con i lunghi momenti di profondo silenzio e di raccoglimento, quando l’atto liturgico l’esigeva.
4. Parallelamente a tale multiforme esperienza del mistero eucaristico, è stata sviluppata, durante il pellegrinaggio, un’altra linea di riflessione che, nell’insieme del messaggio evangelico, è strettamente legata alla Eucaristia: quella dell’impegno morale nella dimensione sia personale che comunitaria. Iniziando dalla famiglia, attraverso le diverse comunità collegate col lavoro umano, tino a giungere alla comunità intesa in senso pieno: la società e la nazione.
Mi è stato quindi dato di incontrarmi successivamente con gli uomini del mondo della scienza, che si sono riuniti da tutta la Polonia su invito della Università Cattolica di Lublino; col mondo degli agricoltori polacchi, riuniti a Tarnow intorno alla prima figlia della campagna polacca elevata alla gloria degli altari; col mondo degli “uomini del mare” a Gdynia e sul Litorale; col mondo degli uomini del lavoro industriale a Danzica e poi, in una fabbrica a Lodz, con le donne che lavorano nell’industria tessile. Infine ho incontrato i rappresentanti della cultura e dell’arte nazionale nella chiesa di Santa Croce a Varsavia. Molto importante è stato poi l’incontro con i giovani: con i rappresentanti della gioventù, in particolare di quella università, di tutta la Polonia a Vesterplatte, ed ancor prima, fuori programma, l’incontro, che un tempo era tradizionale, col mondo dei giovani a Cracovia.
La verità su Cristo, che ci ha amati fino alla fine, ha una sua eloquenza particolare nei confronti di tutti i gruppi sociali. Essa è una testimonianza che conferma l’uomo su ogni via della sua vita e della sua vocazione. Testimonianza esigente ed insieme salvatrice.
In modo particolare questo si verifica per gli uomini chiamati da Cristo a dedicarsi completamente al suo servizio: per i sacerdoti e le persone consacrate: le suore, i religiosi, i seminaristi. Tutti questi gruppi hanno trovato un posto adeguato nel programma della visita.
5. Guardando all’insieme di questa visita, del programma, ma anche agli argomenti toccati nelle omelie e nei discorsi, occorre costatare con riconoscenza una grande maturità dell’intera società. Grazie a questa maturità è stato possibile toccare molti problemi essenziali e difficili. Problemi intorno ai quali, nel corso degli ultimi anni, sono cresciute serie tensioni. Tutti questi problemi hanno potuto essere toccati pubblicamente ed illustrati conformemente all’importanza che ad essi attribuiscono il Vangelo, la Chiesa e la sua dottrina sociale.
Il fatto che tutto ciò si sia potuto svolgere, nel modo in cui si è svolto, serve certamente al progresso del dialogo, che ha come scopo sia la giustizia sociale, sia la pace: la pace interna, ma anche la pace nella dimensione internazionale del mondo contemporaneo.
Non è stato turbato, in nessun luogo, il carattere strettamente sacro delle assemblee liturgiche e la serenità degli altri incontri nel corso della visita.
6. Inoltre, nel corso di questo pellegrinaggio, vi sono stati molti avvenimenti importanti, che vorrei almeno elencare:
- in relazione al 600° anniversario del Battesimo della Lituania, la Santa Messa nella cattedrale di Wawel, presso le reliquie della Beata Edvige, Regina, e presso la tomba del suo consorte Wladyslaw Jagiello;
- la Santa Messa a Jasna Gora (Czestochowa) in relazione all’inaugurazione dell’Anno Mariano. Là pure ho affidato a Maria, Regina della Polonia, il mio servizio pastorale, i suoi frutti e tutte le speranze;
- la visita al campo di concentramento di Majdanek presso Lublino;
- la visita alla tomba del Cardinale Stefano Wyszynski come anche al suo monumento nel centro della Capitale;
- la visita alla tomba del compianto sacerdote Jerzy Popieluszko;
- la visita presso le croci di Danzica, che ricordano le vittime del 1970. Come avvenimenti di grande importanza occorre poi elencare: - l’incontro con il Consiglio Ecumenico Polacco;
- l’incontro con i rappresentanti della comunità israelitica;
- la visita alla chiesa dell’Assunzione di Maria Santissima in Varsavia, che appartiene ai fedeli della chiesa cattolica ucraina. Ed ancora, in un’altra dimensione rimangono importanti:
- la visita, all’inizio del pellegrinaggio, al Castello reale a Varsavia, e due colloqui con il Presidente del Consiglio di Stato.
Infine, l’incontro con Lech Walesa, Premio Nobel per la pace.
7. Approfitto dell’odierna circostanza per esprimere il mio vivo rispettoso ringraziamento alle autorità Statali e ai diversi organi amministrativi che hanno creato le condizioni favorevoli per questa visita così ricca sotto l’aspetto bel programma e della tematica.
Sono vivamente grato all’Episcopato ed al suo Presidente, il cardinale Primate, per l’iniziativa molto felice e fruttuosa di organizzare il Congresso Nazionale. La settimana che abbiamo vissuto insieme è stata non tanto una conclusione, quanto l’inizio di un grande lavoro pastorale della Chiesa in Polonia, che deve passare a tutti i centri diocesani e parrocchiali, alle comunità, agli ambienti, e alle famiglie.
8. Mentre nelle mie orecchie risuona ancora il canto “O Signore buono come il pane, che ci hai amato fino alla fine”, chiedo umilmente e con fiducia al Buon Pastore che il servizio da me svolto nella mia terra natale, porti, per l’intercessione della Signora di Jasna Gora, buoni frutti.
E chiedo a tutti di pregare per la stessa intenzione.
Ai fedeli di lingua francese
Ai visitatori di espressione inglese
Ai pellegrini di lingua tedesca
Ai fedeli di lingua spagnola
Ai pellegrini di espressione portoghese
Ai pellegrini polacchi
Ad alcuni gruppi italiani
Rivolgo un cordaile saluto ai novelli Sacerdoti della diocesi di Brescia, accompagnati dai loro Superiori e dai familiari. Ringrazio con voi il Signore, cari Fratelli, per il grande dono che avete ricevuto, e mi unisco alla gioia ed al ringraziamento dei vostri cari. Un immenso e meraviglioso campo d’attività ora vi si apre dinanzi, che richiederà tutto il vostro impegno, tutta la vostra dedizione: conquistare le anime al regno di Cristo, purificarle e santificarle con i Sacramenti da Lui istituiti. Vi auguro dunque di essere operai laboriosi ed instancabili nella vigna del Signore, sempre sostenuti dalla sua grazia e dall’assistenza materna della Beata Vergine Maria.
Vi accompagno con la mia Benedizione.
* * *
Un cordiale saluto va pure al gruppo della Suore di Carità di Santa Maria, che festeggiano il 50° anniversario della loro professione religiosa. Le mie più vive congratulazioni, care Sorelle, per la vostra perseveranza, per la vostra costanza. Anche voi, come San Paolo, potete dire: “ Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede ”. Il premio è vicino. Ringrazio con voi il Signore per tutto il bene che vi ha concesso di compiere durante il corso di questo lungo cammino.
Vi benedico di cuore, insieme con i vostri cari, le Consorelle e le Superiore.
Ai giovani
Desidero ora rivolgere il mio affettuoso benvenuto ai numerosi giovani presenti a quest’Udienza generale. Saluto in particolare il folto gruppo dei GEN 3 venuti a Roma da diversi Paesi per partecipare al loro Congresso Internazionale.
Carissimi, l’Anno Mariano susciti in voi tutti una grande devozione alla Madonna. Lei, madre del Redentore e madre nostra, vi sia guida nel corso della vostra crescita fisica e spirituale, vi protegga e vi aiuti nelle difficoltà affinché possiate essere il lievito nella Chiesa del terzo millennio. I Santuari mariani che avrete modo di visitare siano occasione per rinnovare questo vostro impegno. Vi auguro buone vacanze e vi accompagni la mia Benedizione.
Agli ammalati
Rivolgo poi il mio saluto a voi cari ammalati che avete affrontato non pochi disagi per essere presenti a quest’Udienza.
In quest’Anno Mariano sappiate rivolgere amorevolmente il vostro pensiero alla Madonna, soprattutto con la preghiera del Santo Rosario.
La Vergine santa che ha vissuto e partecipato con amore di madre alle sofferenze e alla morte in croce del suo Figlio, vi sostenga con la sua protezione. Vi benedico di cuore.
Agli sposi novelli
Infine giugnga a voi, cari sposi novelli, il mio cordiale saluto con l’augurio di tanta felicità. A voi che partecipate a questa prima Udienza dell’Anno Mariano, rivolgo un particolare invito a collaborare affinché nella Chiesa del terzo millennio ci sia una fede più viva ed una maggiore testimonianza di carità.
L’amore sincero e il senso di responsabilità favoriscono l’educazione dei figli agli autentici valori umani e cristiani che voi cercate di vivere ogni giorno. Siate devoti della Madonna, invocatela con viva fede per poter realizzare nella gioia la sublime missione di amore e di vita a cui Dio vi ha chiamati. Vi benedico di cuore.
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1. Il Prologo del Vangelo di Giovanni, al quale è stata dedicata la precedente catechesi, parlando di Gesù come Logos, Verbo, figlio di Dio, esprime fuori di ogni dubbio il nucleo essenziale della verità su Gesù Cristo, verità che forma il contenuto centrale dell’autorivelazione di Dio nella Nuova alleanza e come tale viene professata solennemente dalla Chiesa. È la fede nel figlio di Dio, che è “della stessa sostanza del Padre” come Verbo eterno, eternamente “generato”, “Dio da Dio e Luce da Luce”, in nessun modo “creato” (e adottato). Il Prologo mostra pure la verità sulla divina “preesistenza” di Gesù Cristo come “unigenito figlio” che è “nel seno del Padre”. Su questa base prende pieno rilievo la verità sulla venuta del Dio-figlio nel mondo (“il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Jn 1,14)), per compiere una particolare missione da parte del Padre. Questa missione (missio Verbi) possiede un’importanza essenziale nel piano divino della salvezza. In essa è contenuta la suprema e definitiva attuazione del disegno salvifico di Dio nei riguardi del mondo e dell’uomo.
2. In tutto il Nuovo Testamento troviamo espressa la verità dell’invio del figlio da parte del Padre, che si concretizza nella missione messianica di Gesù Cristo. A questo proposito, particolarmente significativi sono i numerosi passi del Vangelo di Giovanni, ai quali bisogna prima di tutto far ricorso.
Dice Gesù parlando con i discepoli e con i suoi stessi avversari: “Da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato” (Jn 8,42). “Non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato” (Jn 8,16). “Sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre che mi ha mandato” (Jn 8,18). “Chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato” (Jn 7,28-29). “Quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi hai mandato” (Jn 5,36). “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Jn 4,34).
3. Molte volte, come si vede nel Vangelo giovanneo, Gesù parla di sè - in prima persona - come di uno mandato dal Padre. La stessa verità emergerà, in modo particolare, nella preghiera sacerdotale, dove Gesù, raccomandando al Padre i suoi discepoli, sottolinea: “Essi . . . sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato” (Jn 17,8). E continuando questa preghiera, alla vigilia della sua passione, Gesù dice: “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo” (Jn 17,18). Quasi in diretto riferimento alla preghiera sacerdotale, le prime parole rivolte ai discepoli la sera del giorno della risurrezione, suonano: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Jn 20,21).
4. Se la verità su Gesù Cristo come figlio mandato dal Padre, viene messa in rilievo soprattutto nei testi giovannei, essa e però contenuta anche nei Vangeli sinottici. Da essi ci risulta, ad esempio, che Gesù ha detto: “Bisogna che io annunzi il regno anche alle altre città; per questo sono stato mandato” (Lc 4,43). Particolarmente illuminante è la parabola dei vignaioli omicidi. Essi trattano male i servi mandati dal padrone della vigna “a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna” e ne uccidono molti. Alla fine il padrone della vigna decide di mandare da loro il proprio figlio: “Aveva ancora uno, il figlio prediletto; lo inviò a loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio! Ma quei vignaioli dissero tra di loro: Questi è l’erede; su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra. E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna” (Mc 12,6-8). Commentando la parabola, Gesù si richiama all’espressione del Salmo 118/(117) sulla pietra scartata dai costruttori: Proprio questa pietra è diventata testata d’angolo (cioè la pietra angolare) (cf. Ps 118,22).
5. La parabola del figlio mandato ai vignaioli è riportata in tutti i sinottici (cf. Mc 12,1-12 Mt 21,33-46 Lc 20,9-19). Da essa traspare con evidenza la verità su Cristo come figlio mandato dal Padre. Anzi, vi è sottolineato piuttosto chiaramente il carattere sacrificale e redentivo di questo invio. Il figlio veramente è “. . . colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo” (Jn 10,35). Così dunque, Dio non solo “ha parlato a noi per mezzo del figlio . . . in questi giorni” (cf. He 1,1-2) - ma ha dato per noi questo figlio, in un atto di inconcepibile amore, inviandolo nel mondo.
6. Con questo linguaggio parla ancora in modo particolarmente intenso il Vangelo di Giovanni: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Jn 3,16). E aggiunge: “Il Padre ha mandato il suo figlio come salvatore del mondo”. Altrove Giovanni scrive “Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui”; “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. E perciò aggiunge che, accogliendo Gesù, il suo Vangelo, la sua morte e risurrezione, “noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (cf. 1Jn 4,8-16).
7. Paolo esprimerà la stessa verità nella Lettera ai Romani: “Egli (Dio) che non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Rm 8,32). Cristo è stato “dato” per noi. come leggiamo in Gv 3, 16; egli è stato “dato” in sacrificio “per tutti noi” (Rm 8,32). Il Padre “ha mandato il suo figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Jn 4,10). Il Simbolo professa questa stessa verità: “Per noi uomini e per la nostra salvezza (il Verbo di Dio) discese dal cielo”.
8. La verità su Gesù Cristo, come figlio mandato dal Padre per la redenzione del mondo, per la salvezza e la liberazione dell’uomo prigioniero del peccato (e quindi delle potenze delle tenebre), costituisce il contenuto centrale della Buona Novella. Cristo Gesù è il “figlio unigenito” (Jn 1,18), che, per compiere la sua missione messianica, “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini . . . facendosi obbediente fino alla morte” (Ph 2,6-8). E in questa situazione liberamente da Lui accettata come uomo, come Servo del Signore, proclamava: “Il Padre è più grande di me” (Jn 14,28), ed anche: “Io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Jn 8,29).
Ma proprio questa obbedienza verso il Padre, liberamente accettata, questa sottomissione al Padre, in antitesi alla “disobbedienza” del primo Adamo, rimane l’espressione della più profonda unione tra il Padre e il figlio, riflesso dell’unità trinitaria: “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato” (Jn 14,31). Anzi, questa unione di volontà in funzione della salvezza dell’uomo, rivela definitivamente la verità su Dio, nella sua intima Essenza: l’Amore; e nello stesso tempo rivela la fonte originaria della salvezza del mondo e dell’uomo: la “Vita che è la luce degli uomini” (cf. Jn 1,4).
Ai pellegrini francesi
Ai visitatori di espressione inglese
Ai fedeli di lingua tedesca
Ai numerosi gruppi giunti dalla Spagna e da alcuni Paesi dell’America Latina
Ai fedeli di espressione portoghese
Ai pellegrini polacchi
Ad alcuni gruppi italiani
Sono lieto di salutare voi, sacerdoti della diocesi di Brescia che festeggiate il 25° anniversario di Ordinazione, e voi, sacerdoti novelli di Bergamo. Carissimi, vi esorto ad esprimere nella santità della vita il mistero che celebrate all’altare e di cuore vi benedico.
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Rivolgo la mia parola di benvenuto a voi, pellegrini di Settingiano, che numerosi avete qui accompagnato la statua della “Madonna della Rocca”, perché sia da me benedetta insieme con le due corone auree che l’adorneranno.
Volentieri accolgo il vostro desiderio e, mentre vi incito a custodire come Maria la continuità dell’amore, a Lei, Madre fedele e rifugio sicuro, affido le vostre persone, i vostri desideri di serena prosperità e le vostre aspirazioni di bene.
Con la mia Benedizione Apostolica.
* * *
Saluto i ragazzi di Casoria, che in rappresentanza dei loro compagni di scuola, sono qui presenti per consegnarmi un contenitore con numerose lettere concernenti la pace.
Con gioia vi accolgo e vi incoraggio affinché la pace, che desiderate per il mondo intero, trovi in voi e nei vostri amici persone capaci di impegnarsi a comunicare questo dono di Dio nelle proprie famiglie, scuole e città.
Questo è il mio messaggio che vi affido anche per quanti hanno patrocinato questa bella iniziativa.
A tutti la mia Benedizione Apostolica.
* * *
Saluto ora il gruppo dei Podisti provenienti dalla diocesi di Alba. Per festeggiare il decennale di fondazione del Gruppo, sono giunti a Roma a piedi!
Vi ringrazio, cari Fratelli, per questo gesto significativo, nel quale ravviso una sincera testimonianza di fede e di amore al Successore di Pietro. Vi esorto a perseverare con entusiasmo nell’unire un saldo impegno di vita cristiana e di fedeltà alla Chiesa con la gioiosa e sportiva espressione della vita fisica. Di cuore vi benedico.
Ai giovani
Saluto con particolare affetto voi, giovani, che con l’entusiasmo caratteristico della vostra età rendete questa Udienza significativamente festosa. Carissimi, crescete nella consapevolezza che la radice profonda della vostra vita si pone nella grazia santificante del Redentore. Se a Lui generosamente vi conformerete, questa trasformerà la vostra esigenza di gioia, di verità e di giustizia in strumento della carità divina per riconciliare l’intera umanità nell’unico Amore.
E questa carità come fece pulsare il Cuore di Gesù fino al dono totale di sé, per il quale “ Dio ha disteso sulla croce le sue mani per circondare i confini dell’universo ” così farà pulsare il vostro in una quotidiana offerta a Dio e nel servizio del prossimo.
Con la mia Benedizione Apostolica.
Agli ammalati
Rivolgo la mia parola di conforto e di saluto a voi, malati. Carissimi, la situazione di infermità in cui versate non vi induca a perdere la speranza, ma perseverate invece in una totale e fiduciosa apertura a Cristo. Tale confidenza - come ben mostra la figura esemplare di S. Giovanni Battista, di cui ricorre la festa - vi consentirà non solo di riconoscere l’Agnello Innocente, che toglie il peccato e terge le lacrime di quanti soffrono, ma di additarlo come piena risposta all’umano anelito di vita; come colui che svela con quale tenero, infinito amore Dio ami l’uomo.
Vi accompagni la mia Benedizione, che di cuore imparto a voi ed a quanti con sollecitudine vi assistono.
Agli sposi novelli
Giunga, ora, il mio saluto a voi, sposi novelli. Mentre auspico che la vostra vita familiare, da poco iniziata, sia sempre serena e luminosa, mi è caro ricordarvi che la vostra unione sacramentale non possiede solamente l’importante caratteristica della fedele perseveranza nel tempo, ma anche quella della profondità interiore, in una comunanza di fede e di dedizione a Cristo.
Egli è il fondamento stabile della vostra esistenza coniugale, la quale - nel mondo suo proprio - è chiamata a celebrare l’efficace ricorso del Redentore nella e per la Comunità ecclesiale, testimoniando al mondo come l’amore, purificato da Dio, diventa sintesi di esistenza matura.
Di cuore benedico voi, i vostri propositi e le vostre aspirazioni di bene e di felicità.
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1. Non vi è forse parola che esprima di più l’autorivelazione di Dio nel Figlio, come la parola “Abbà-Padre”. “Abbà” è un’espressione aramaica che si è mantenuta nel testo greco del Vangelo di Marco (Mc 14,36). Essa compare precisamente là dove Gesù si rivolge al Padre. E se anche questa parola è traducibile in ogni lingua, tuttavia sulle labbra di Gesù di Nazaret consente di meglio avvertire il suo contenuto unico, irripetibile.
2. Infatti, “Abbà” esprime non solo la tradizionale lode di Dio “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra” (cf. Mt 11,25), ma sulla bocca di Gesù rivela anche la coscienza della relazione unica ed esclusiva che esiste tra il Padre e lui, tra lui e il Padre. Esprime la stessa realtà a cui allude Gesù in modo così semplice e nello stesso tempo straordinario con le parole conservate nel testo del Vangelo di Matteo (Mt 11,27) e anche in quello di Luca (Lc 10,22): “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. Ossia, la parola “Abbà” non solo manifesta il mistero del reciproco legame tra il Padre e il Figlio, ma riassume in qualche modo tutta la verità della vita intima di Dio nella sua profondità trinitaria: quella reciproca conoscenza del Padre e del Figlio, da cui spira l’eterno Amore.
3. La parola “Abbà” appartiene al linguaggio della famiglia e testimonia quella particolare comunione di persone, che avviene tra il padre e il figlio da lui generato, tra il figlio che ama il padre ed è da lui amato. Quando Gesù per parlare di Dio si serviva di questa parola, doveva meravigliare e persino scandalizzare i suoi ascoltatori. Un israelita non l’avrebbe usata neanche nella preghiera. Solo chi si riteneva figlio di Dio in senso proprio poteva parlare così di lui e a lui come Padre. “Abbà”, ossia “Padre mio”, “Babbo”, “Papà”!
4. In un testo di Geremia si parla di Dio che attende di essere invocato come Padre: “Voi mi direte: “Padre mio”” (Jr 3,19). È come una profezia che avrebbe avuto il suo compimento nei tempi messianici. L’ha attuata e superata Gesù di Nazaret nel parlare di sé in rapporto con Dio come di colui che “conosce il Padre”, servendosi dell’espressione filiale “Abbà”. Egli costantemente parla del Padre, e invoca il Padre come uno che ha il diritto di rivolgersi a lui semplicemente con l’appellativo: “Abbà - Padre mio”.
5. Tutto ciò è stato annotato dagli evangelisti. In modo particolare nel Vangelo di Marco si legge che durante la preghiera del Getsemani Gesù esclamò: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). Il passo parallelo di Matteo suona: “Padre mio”, cioè “Abbà”, anche la parola aramaica non viene letteralmente riportata (cf. Mt 26,39-42). Anche quando il testo evangelico si limita al solo “Padre” (Lc 22,42 anche,in un altro contesto,in Jn 12,27), il contenuto essenziale è identico.
6. Gesù ha esercitato i propri ascoltatori a capire che nella sua bocca la parola “Dio”, e in particolare quella di “Padre”, significava “Abbà - mio Padre”. Così fin dalla fanciullezza, Gesù appena dodicenne dice ai suoi parenti che l’avevano cercato per tre giorni: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). E alla fine della sua vita, nella preghiera sacerdotale, con cui conchiude la sua missione, insiste nel chiedere a Dio: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te” (Jn 17,1). “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato” (Jn 17,11). “Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto...” (Jn 17,25). Già nell’annuncio delle cose ultime, fatto con la parabola sul giudizio finale, compare come colui che proclama: “Venite, benedetti del Padre mio...” (Mt 25,34). Sulla croce poi egli pronuncia quelle ultime parole: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Risorto, infine, annuncia ai discepoli: “E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso” (Lc 24,49).
7. Gesù Cristo, che con tanta profondità “conosce il Padre” è venuto per “far conoscere il suo nome agli uomini che il Padre ha dato a lui” (cf. Jn 17,6). Di questa rivelazione del Padre un momento particolare è la risposta che egli dà ai suoi discepoli quando gli chiedono: “Insegnaci a pregare” (cf. Lc 11,1). Allora egli detta loro la preghiera che inizia con le parole “Padre nostro” (Mt 6,9-13) oppure “Padre” (Lc 11,2-4). Mediante la rivelazione di questa preghiera i discepoli scoprono una loro speciale partecipazione alla figliolanza divina, della quale l’apostolo Giovanni dirà nel Prologo del suo Vangelo: “A quanti... l’hanno accolto (e cioè: a quanti hanno accolto il Verbo che “si fece carne”, Gesù ha dato potere di diventare figli di Dio” (Jn 1,12). A ragione perciò, secondo il suo stesso insegnamento, essi pregano: “Padre nostro”.
8. Gesù però fa sempre distinzione tra “Padre mio” e “Padre vostro”. Ancora dopo la risurrezione dice a Maria di Magdala: “Va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Jn 20,17). Inoltre è da notare che in nessun passo del Vangelo si legge che Gesù abbia raccomandato ai discepoli di pregare con la parola “Abbà”. Essa riguarda esclusivamente il suo personale rapporto filiale col Padre. Nello stesso tempo, però, l’Abbà di Gesù in realtà è colui che è anche “Padre nostro”, come risulta dalla preghiera insegnata ai discepoli. Lo è per partecipazione o, meglio, per adozione, come insegnarono i teologi alla scuola di san Paolo, che nella Lettera ai Galati scrive: “Dio mandò il suo Figlio... perché ricevessimo l’adozione a figli” (Ga 4,4-5 cf. Summa theologiae, III 23,1-2).
9. In questo contesto occorre leggere e interpretare anche le successive parole della Lettera di Paolo ai Galati: “E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: “Abbà. Padre!” (Ga 4,6); e di quella ai Romani: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi... ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”” (Rm 8,15). Quando dunque come figli adottivi (adottati in Cristo): “figli nel Figlio”, dice san Paolo: (Rm 8,29) gridiamo a Dio “Padre”, “Padre nostro”, queste parole si riferiscono allo stesso Dio, a cui Gesù con incomparabile intimità diceva “Abbà..., Padre mio”. A gruppi di pellegrini di lingua francese
Ai pellegrini di lingua inglese
Ai pellegrini di lingua spagnola
Ai pellegrini di lingua portoghese
Ai fedeli di lingua polacca
A gruppi di pellegrini di lingua italiana
Rivolgo un cordiale saluto al gruppo dei diretti collaboratori della Parrocchia di Santo Stefano Martire di Robbio, in diocesi di Vercelli, giunti, insieme al Parroco, a pregare presso la Sede di Pietro. Voi celebrate il bicentenario della chiesa parrocchiale: siate pertanto i benvenuti! Il Signore benedica largamente la vostra attività, cari Fratelli e Sorelle: la renda sempre più feconda, credibile, incisiva. Siate, nel vostro ambiente, “ luce del mondo e sale della terra ”, mentre io vi seguo con un affettuoso pensiero.
* * *
Un mio cordiale saluto anche ai Seminaristi di Novara, qui presenti insieme col loro Direttore spirituale. Grazie, cari Fratelli, per la vostra visita! Il vostro futuro, cari giovani, è un grande mistero di amore e di misericordia, affidato alle mani di Dio. Il vostro cammino sia, giorno per giorno, l’approfondimento di questo mistero e la sua totale accettazione, anche nei suoi aspetti di sacrificio e di abnegazione, in vista di rendere sempre più efficace la vostra testimonianza e prepararvi ad essere santi Sacerdoti. Il Signore vi dia l’abbondanza dei suoi doni; la Vergine Maria vi assista con la premura del suo materno affetto, ed io vi accompagno con la mia Benedizione.
Ai giovani
Mi è particolarmente gradito rivolgere il saluto ai giovani qui convenuti nei giorni immediatamente seguenti la Festività dei beati apostoli Pietro e Paolo.
Carissimi la fede a noi trasmessa dagli apostoli e da loro testimoniata con una adesione totale, fino al martirio, sia per voi, per ogni credente, un tesoro da conservare integro e puro; una sorgente alla quale alimentare la propria esistenza; un richiamo a spendere la vita in profondo amore alla Chiesa, quale Maestra e Madre dei credenti.
Agli ammalati
Saluto con affetto speciale, voi, carissimi ammalati, qui presenti.
I beati apostoli Pietro e Paolo che, quali testimoni della Fede, hanno saputo abbracciare la Croce del martirio, siano per voi un esempio ed un invito ad aderire alla fede cattolica, sapendo sfidare ogni ostacolo, compreso quello del dolore e della malattia, ed in pari tempo intercedendo per voi, affinché il Signore Risorto vi sia di conforto e sostegno nelle prove della vita.
Agli sposi novelli
Infine mi rivolgo a voi, carissimi sposi novelli, che siete venuti a Roma, cuore della Chiesa Cattolica, subito dopo aver ricevuto il sacramento del Matrimonio.
Carissimi, con la Grazia sacramentale voi siete divenuti un cuor solo ed un’anima sola, ed il vostro amore, da essa consacrato, ha dato origine ad una nuova famiglia. Vi auguro di saper sempre vivere la vostra esistenza coniugale e familiare, con Fede, Speranza e Carità, in comunione con le altre famiglie e all’interno della Grande Famiglia che è la Chiesa Cattolica.
Catechesi 79-2005 17687