Catechesi 79-2005 7988

Mercoledì, 7 settembre 1988

7988

1. Nella missione messianica di Gesù vi è un punto culminante e centrale, al quale ci siamo man mano avvicinati nelle precedenti catechesi: Cristo è stato inviato da Dio nel mondo per compiere la redenzione dell’uomo mediante il sacrificio della propria vita. Questo sacrificio doveva prendere la forma di “spogliamento” di sé nell’obbedienza fino alla morte in croce: una morte che, nell’opinione dei contemporanei, presentava una particolare impronta di ignominia.

In tutta la sua predicazione, in tutto il suo comportamento Gesù è guidato dalla profonda consapevolezza che ha dei disegni di Dio sulla sua vita e la sua morte nell’economia della missione messianica, con la certezza che essi scaturiscono dall’amore eterno del Padre verso il mondo e in particolare verso l’uomo.

2. Se consideriamo gli anni della sua adolescenza, fanno molto pensare quelle parole di Gesù dodicenne, rivolte a Maria e a Giuseppe al momento del suo “ritrovamento” nel tempio di Gerusalemme: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (
Lc 2,49). Quali cose aveva nella mente e nel cuore? Possiamo dedurlo da tante altre espressioni del suo pensiero lungo tutto l’arco della sua vita pubblica. Fin dall’inizio della sua attività messianica, Gesù insiste nell’inculcare ai suoi discepoli il concetto che “Il Figlio dell’uomo . . . deve soffrire molto” (Lc 9,22), cioè che deve essere “riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, per poi venire ucciso, (e, dopo tre giorni risuscitare)” (Mc 8,31). Ma tutto questo non proviene solamente dagli uomini, dalla loro ostilità nei riguardi della sua persona e del suo insegnamento, ma costituisce il compimento degli eterni disegni di Dio, come è stato annunciato nelle Scritture contenenti la rivelazione divina: “Come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato” (Mc 9,12).

3. Quando Pietro tenta di negare questa eventualità (“. . . questo non ti accadrà mai”) (Mt 16,22), Gesù lo rimprovera con parole particolarmente severe: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,33). È impressionante l’eloquenza di queste parole, con le quali Gesù vuol far capire a Pietro che opporsi alla via della croce vuol dire respingere i disegni di Dio stesso. “Satana” è proprio colui che “sin dall’inizio” sta in contrasto con ciò “che è di Dio”.

4. Gesù è dunque consapevole, sia della responsabilità degli uomini per la sua morte in croce, che dovrà affrontare a causa di una condanna pronunciata da tribunali terreni; sia del fatto che per mezzo di questa condanna umana si compirà l’eterno disegno divino: quello “che è di Dio”, cioè il sacrificio offerto sulla croce per la redenzione del mondo. E anche se Gesù (come Dio stesso) non vuole il male del “deicidio” commesso dagli uomini, tuttavia accetta questo male, per trarne il bene della salvezza del mondo.

5. Dopo la risurrezione, camminando senza essere riconosciuto con due dei suoi discepoli verso Emmaus, spiega loro le “Scritture” dell’antico testamento in questi termini: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26). E in occasione dell’ultimo incontro con gli apostoli dichiara: “Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi” (Lc 24,44).

6. Alla luce degli eventi pasquali gli apostoli comprendono quello che Gesù ha detto loro in antecedenza. Pietro, che per amore verso il Maestro, ma anche per mancanza di comprensione, sembrava opporsi in modo particolare al suo destino crudele, dirà ai suoi uditori di Gerusalemme, nel giorno di Pentecoste, parlando di Cristo: “L’uomo . . . che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce, per mano di empi e l’avete ucciso . . .” (Ac 2,22-23). E aggiungerà un’altra volta: “Dio ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto” (Ac 3,18).

7. La passione e la morte di Cristo erano annunziate nell’antico testamento non come il termine della sua missione, ma come l’indispensabile “passaggio” richiesto per essere esaltato da Dio. Ce lo dice specialmente il canto di Isaia parlando del servo di Jahvè come dell’uomo dei dolori: “Ecco, il mio servo avrà successo, sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente” (Is 52,13). E Gesù stesso quando avverte che “il Figlio dell’uomo . . . verrà ucciso”, aggiunge anche che “dopo tre giorni risusciterà” (cf. Mc 8,31).

8. Ci troviamo dunque davanti a un disegno divino che, anche se appare così evidente, considerato nel corso degli eventi descritti dai Vangeli, rimane pur sempre un mistero che non può essere spiegato in modo esauriente dalla ragione umana. In questo spirito l’apostolo Paolo si esprimerà con quel magnifico paradosso: “Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Co 1,25). Queste parole di Paolo riguardo alla croce di Cristo sono insostituibili. Ma è anche vero che se è difficile all’uomo trovare una risposta razionalmente soddisfacente alla domanda “perché la croce di Cristo?”, tuttavia la risposta a questo interrogativo ci viene ancora una volta dalla Parola di Dio.

9. Gesù stesso formula tale risposta: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Jn 3,16). Quando Gesù pronunciava queste parole nel colloquio notturno con Nicodemo, probabilmente il suo interlocutore non poteva ancora supporre che la frase “dare suo Figlio” significasse “darlo alla morte in croce”. Ma Giovanni, che la narra nel suo Vangelo, ne conosceva bene il significato. Lo sviluppo degli eventi aveva dimostrato che era proprio quello il senso della risposta a Nicodemo: Dio “ha dato” il suo Figlio unigenito per la salvezza del mondo, dandolo alla morte di croce per i peccati del mondo, dandolo per amore: “Dio . . . ha tanto amato il mondo”, la creazione, l’uomo! L’amore rimane la definitiva spiegazione della redenzione mediante la croce. Esso è l’unica risposta alla domanda “perché?” a proposito della morte di Cristo compresa nell’eterno disegno di Dio.

L’autore del quarto Vangelo, nel quale troviamo il testo della risposta di Cristo a Nicodemo, ritornerà ancora sullo stesso concetto in una sua lettera: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Jn 4,10).

10. Si tratta di un amore che supera la stessa giustizia. La giustizia può riguardare e raggiungere colui che ha commesso una colpa. Se a soffrire è un innocente, allora non si parla di giustizia. Se un innocente che è santo, come Cristo, si consegna liberamente alla sofferenza e alla morte di croce, per compiere l’eterno disegno del Padre, ciò significa che Dio nel sacrificio del suo Figlio passa in un certo senso oltre l’ordine della giustizia per rivelarsi in questo Figlio e per suo mezzo in tutta la ricchezza della sua misericordia - Dives in Misericordia (Ep 2,4), - quasi per introdurre, insieme a questo Figlio crocifisso e risorto, la sua misericordia, il suo amore misericordioso, nella storia dei rapporti tra l’uomo e Dio.

Proprio per mezzo di questo amore misericordioso l’uomo viene chiamato a sconfiggere il male e il peccato in sé e riguardo agli altri: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7). “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”, scriverà san Paolo (Rm 5,8).

11. L’Apostolo torna su questo tema in diversi punti delle sue lettere, nelle quali ricorre spesso il trinomio: redenzione - giustizia - amore.

“Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù . . . nel suo sangue . . .” (Rm 3,23-25). In questo modo Dio dimostra di non volersi accontentare del rigore della giustizia, che vedendo il male lo punisce, ma di aver voluto trionfare altrimenti sul peccato, dando cioè la possibilità di uscirne. Dio ha voluto mostrarsi giusto in modo positivo dando ai peccatori la possibilità di diventare giusti per mezzo della loro adesione di fede a Cristo redentore. Così Dio “è giusto e rende giusti” (Rm 3,26). Ciò avviene in modo sconvolgente poiché “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Co 5,21).

12. Colui che “non aveva conosciuto peccato” - il Figlio consostanziale al Padre - portò su di sé il terribile giogo del peccato di tutta l’umanità, per ottenere la nostra giustificazione e santificazione. Ecco l’amore di Dio rivelato nel Figlio. Per mezzo del Figlio si è manifestato l’amore del Padre “che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (Rm 8,32). Per comprendere la portata di queste parole: “non ha risparmiato”, può servire il ricordo del sacrificio di Abramo, il quale si era mostrato pronto a “non risparmiare il suo figlio diletto” (Gn 22,16); Dio, però, l’aveva risparmiato (Gn 22,12). Invece, il suo proprio unigenito Figlio, Dio “non l’ha risparmiato, ma l’ha consegnato” alla morte per la nostra salvezza.

13. Di qui scaturisce la certezza dell’Apostolo che nessuno e niente, “éè morte, né vita, né angeli . . . né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore” (Rm 8,38-39). Insieme con Paolo la Chiesa intera è certa di questo amore di Dio “che supera ogni cosa”, ultima parola dell’autorivelazione di Dio nella storia dell’uomo e del mondo, suprema autocomunicazione che avviene mediante la croce, al centro del mistero pasquale di Gesù Cristo.

Ai fedeli tedeschi


Ai pellegrini di espressione francese


Ai visitatori di lingua inglese


Ai fedeli giunti dall’America Latina e dalla Spagna

Ai pellegrini di lingua portoghese



Ai fedeli polacchi

A differenti gruppi di lingua italiana

Desidero ora rivolgere un cordiale saluto ai gruppi di lingua italiana presenti all’Udienza: ai pellegrini della diocesi di Mazara del Vallo, e delle parrocchie di Rocca Canterano (Abbazia territoriale di Subiaco) e di Santa Maria Assunta in Riccia (archidiocesi di Campobasso). Il gruppo di Subiaco ha portato una fiaccola perché io la benedica - cosa che farò volentieri -; mentre il gruppo di Riccia mi ha presentato un quadro della Madonna del S. Rosario - anche esso da benedire, e volentieri accondiscendo alla richiesta.

Mi auguro, cari fratelli e sorelle, che questi vostri gesti di devozione vi spronino ad un più intenso impegno nella vostra partecipazione alla vita diocesana e parrocchiale, sentita come il normale spazio di attuazione della vostra testimonianza cristiana. Di cuore vi benedico tutti!
* * *


Così pure benedico e saluto cordialmente i gruppi di Religiosi e Religiose qui convenuti: le Suore della Congregazione della Divina Provvidenza, presenti a Roma per un corso di Esercizi spirituali, le Suore Nazarene di Torino, giunte con alcuni loro parenti; i Religiosi della Famiglia Salesiana, come pure i Sacerdoti ed i laici della medesima Famiglia, tutti presenti nell’Urbe per un corso propedeutico all’Università Salesiana.

La consacrazione religiosa, cari fratelli e sorelle, è un dono prezioso da custodire e far fruttare giorno per giorno, con gratitudine a Dio ed instancabile volontà di adempiere alla missione affidata. Lo Spirito Santo vi consolidi sempre più nella vostra vocazione e la renda attraente per nuove schiere di giovani!
* * *


Un caro saluto inoltre, ai partecipanti al 131° Corso Allievi Ufficiali di Complemento della Scuola del Genio di Roma e al gruppo folcloristico “Stelutis in Udin”, proveniente da Udine. Sono tutti giovani che vogliono rendersi utili alla società: i primi, mediante quella disciplina che è ordinata alla difesa della pace e della sicurezza dei cittadini; i secondi, con i loro artistici canti della tradizione popolare friulana.

Grazie a tutti voi, cari giovani, per quello che fate: siate di esempio a molti giovani e ragazzi, sedotti non di rado da attrattive fallaci. Continuate nel vostro impegno e il Signore premierà la vostra buona volontà. Io vi benedico tutti, insieme con i vostri genitori e tutti i vostri cari.

Ai giovani

Desidero rivolgere un particolare saluto ai giovani che sono convenuti, pellegrini, in questa nostra cara Città.

Carissimi, a Roma voi siete giunti per venerare le tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e per incontrare il Papa, successore di Pietro. Sappiate andare alla ricerca ed alla riscoperta dei valori per cui gli Apostoli e i Martiri sono vissuti e sono morti. La Città conserva tracce eloquenti della loro testimonianza. Sentite la responsabilità di raccogliere dalle loro mani la fiaccola della Fede, per farla brillare nel mondo contemporaneo. Siate fra i vostri coetanei testimoni del Vangelo vissuto nella sua integrità, secondo l’insegnamento della Chiesa. Vi benedico di cuore.

Agli ammalati

Saluto ora gli ammalati, qui presenti con la croce della sofferenza, e desiderosi di trovare, nella Fede, conforto, sostegno e speranza.

CARISSIMI, CRISTO abita nei vostri cuori in un modo del tutto speciale e privilegiato. Egli vi assicura che le croci portate con Lui e per amore suo, sono strumento di salvezza per voi e per quanti vi sono cari. La sua Parola e la sua Grazia vi siano di guida e di aiuto. La presenza di Cristo in ogni momento della giornata sia per voi sorgente di forza e di serenità. Con la mia benedizione.

Agli sposi novelli

Mi rivolgo infine agli sposi novelli che da poco hanno ricevuto la grazia sacramentale nel rito nuziale.

LA BEATA VERGINE Maria, di cui domani celebriamo la Festa della Natività, sia sempre presente nella vostra vita coniugale e familiare. A Lei, come a mamma carissima, affidate la vostra nascente famiglia. In Lei trovate il sostegno nelle prove. A Lei ricorrete con costanza nella preghiera. Ella vi sia di modello e di sostegno nella Fede e nell’Amore. Nel suo nome vi benedico con affetto.

Ai partecipanti ai Giochi Olimpici di Seoul, il Santo Padre durante l’udienza generale di stamane, invia il seguente saluto in lingua inglese.






Mercoledì, 21 settembre 1988

21988

1. A conclusione del pellegrinaggio che ho compiuto fra le comunità della Chiesa del continente africano, desidero esprimere gratitudine alla divina Provvidenza e a Cristo Buon Pastore. L’occasione per questa visita è stata offerta dai Vescovi dell’Africa Australe riuniti nell’IMBISA: Inter-Regional Meeting of Bishops of Southern Africa (Incontro Inter-Regionale dei Vescovi dell’Africa Australe). Nel corso della visita, poi, è stato possibile rispondere agli inviti dei Vescovi dei seguenti Paesi: Zimbabwe, Botswana, Lesotho, Swaziland e Mozambico. All’IMBISA appartengono inoltre gli episcopati dell’Angola, Namibia, Repubblica Sudafricana, del Sao Tomé e Principe. Ho fiducia in Dio che si troverà l’occasione e si creeranno le condizioni per compiere una visita in mezzo alle comunità cristiane anche in tali Paesi.

2. Nel ringraziare le Chiese e i loro pastori per l’invito e per la multiforme preparazione, desidero esprimere pure la mia riconoscenza ai rappresentanti degli stati per l’invito rivoltomi e ai diversi settori delle amministrazioni civiche per le agevolazioni offerte al servizio papale nei Paesi visitati. Dio benedica tutte le iniziative che mirano al bene comune delle nazioni e società e al loro corretto sviluppo in un clima di pace e giustizia.

3. Nel corso di questo viaggio mi è stato dato di compiere l’atto della beatificazione del padre Joseph Gérard, missionario della Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata, il quale dedicò la parte prevalente della vita e dell’attività sacerdotale all’evangelizzazione degli abitanti del Lesotho e in tale Paese riposa dopo le fatiche del servizio missionario. Lì è giunto pure al traguardo dell’elevazione alla gloria dei beati, in mezzo al popolo che egli ha amato e servito nello spirito di Cristo.

Questa beatificazione è divenuta un particolare segno della missione evangelica, che la Chiesa ha compiuto e continua a compiere tra i popoli dell’Africa e delle diverse parti del mondo. La “plantatio Ecclesiae” ha portato i suoi frutti. Al presente, in numero sempre maggiore assumono il servizio episcopale e quello sacerdotale i figli dei popoli africani, e negli istituti religiosi femminili si registra una crescente presenza di figlie del continente nero. In ogni caso, la grande causa delle missioni è sempre una sfida per la Chiesa in mezzo alle società e nazioni, che già in precedenza hanno accolto il Vangelo e ricevuto il Battesimo. Infatti, si verificano continuamente le parole di Cristo: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi” e l’appello: “Pregate, dunque, il padrone della messe, perché mandi operai alla sua messe” (
Mt 9,37-38).

4. È motivo di gioia il fatto che le Chiese impiantate in mezzo ai popoli della parte dell’Africa che mi è stato dato di visitare, si vanno facendo autonome e mature. La liturgia e particolarmente la partecipazione all’Eucaristia indicano quanto armoniosamente si realizzi nella vita di tali giovani comunità l’opera dell’“inculturazione” della fede. Ne rende testimonianza la lingua. Ne testimoniano i canti che sono - si può ben dire - vivaci e molto belli. Ne testimoniano pure altri elementi locali, come ad esempio i movimenti di danza, che manifestano - particolarmente nel momento dell’offertorio - una fondamentale verità “antropologica”: ecco, l’uomo desidera avvicinarsi all’altare nella sua totalità, con l’anima e con il corpo, e inserire se stesso in quell’offrirsi di tutto il creato che si attua nell’Eucaristia.

5. Le comunità ecclesiali del continente africano hanno numerosi compiti nel campo dell’evangelizzazione, della catechesi, e indirettamente anche nello sviluppo della cultura locale e del servizio all’uomo. Questi compiti vengono anche affrontati sul terreno della collaborazione ecumenica, di cui una conferma si è avuta pure negli incontri avvenuti durante il recente viaggio. In alcuni casi altre comunità cristiane hanno iniziato prima dei cattolici la loro attività missionaria. L’ecumenismo è indispensabile per superare gli effetti delle divisioni ed avvicinarsi alla comune testimonianza a Cristo secondo le parole della sua preghiera sacerdotale: Padre, fa’ sì “che tutti siano una cosa sola . . . perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jn 17,21). Mentre una parte notevole della popolazione africana rimane fedele alle tradizioni della religione originaria (l’animismo), sono molti quelli che si aprono alla verità del Vangelo e ricevono il Battesimo.

Un problema a parte è costituito dall’attività di quelle sette, provenienti dal di fuori o sorte in Africa, che, pur ispirandosi in qualche misura al cristianesimo, non ne possiedono gli elementi qualificanti, e non sono perciò in condizione di entrare costruttivamente nel dialogo ecumenico.

6. I Paesi che si sono trovati lungo la via della recente visita godono, da un tempo relativamente breve, dell’indipendenza politica. Tre di essi hanno un regime repubblicano: lo Zimbabwe, il Botswana e il Mozambico. Gli altri due, il Lesotho e lo Swaziland, hanno conservato il regime monarchico, legato alla tradizione delle dinastie locali. Il periodo dell’acquisto dell’indipendenza, la lotta di liberazione dal precedente potere coloniale, la costruzione della propria esistenza come stato sono tutti avvenimenti importanti anche dal punto di vista dell’etica della vita internazionale. Gli ambienti ecclesiastici e gli stessi episcopati hanno avuto in questi processi un loro specifico ruolo e devono continuamente affrontare i compiti che emergono nel caso di società e di stati nuovi. Un tale compito è, ad esempio, la “riconciliazione” dei diversi gruppi opposti, che fanno parte delle nuove società. Ulteriori compiti si collegano con il processo dello sviluppo integrale (argomento al quale è stata dedicata l’enciclica di Paolo VI Populorum Progressio e recentemente la Sollicitudo Rei Socialis ). La Chiesa è costantemente attiva mediante le sue istituzioni nel campo dell’istruzione, dell’assistenza sociale, della salute, ecc. Sono, questi, settori che appartengono in notevole misura ai laici ed al loro apostolato. Ho constatato con gioia che il loro impegno si sta sempre più sviluppando in seno alle singole comunità ecclesiali.

7. In tale contesto il ministero della Chiesa si manifesta nella promozione e nella difesa dei fondamentali diritti dell’uomo. Nel territorio dell’Africa Australe si manifesta un problema particolare: è il problema della segregazione razziale (apartheid) che rimane in chiaro conflitto con la dignità della persona umana, sia dal punto di vista della comune coscienza morale che da quello della fede cristiana. Tutti gli esseri umani creati ad immagine e somiglianza di Dio e redenti dal sangue di Cristo godono della stessa dignità, che non può essere mortificata a causa dell’appartenenza ad una razza. Il superamento della discriminazione in questo campo è parte integrante del programma di liberazione e di autodeterminazione dei popoli africani.

8. Un’attenzione a parte merita la situazione di guerra interna, che da anni perdura nel territorio del Mozambico. Tale situazione causa numerose vittime umane, che nella maggior parte dei casi sono persone estranee alle azioni belliche: tra esse numerosi sono i bambini, le donne, le persone anziane. La guerra interna sta distruggendo il Paese e provocando la fuga di molti cittadini dalle zone rurali più minacciate verso le città oppure verso l’estero.

Occorre unire veramente tutti gli sforzi affinché queste piaghe che affliggono e distruggono i nostri fratelli e sorelle del Mozambico, trovino un termine; affinché quella nazione, che nel 1975 acquistò l’indipendenza, possa vivere nella pace e svilupparsi in conformità con le proprie risorse naturali e umane possibilità.

Non posso, infine, non manifestare qui la mia speranza, accompagnata dalla preghiera, per la pace nell’Angola e per una rapida conclusione delle trattative che dovrebbero portare alla Namibia l’indipendenza tanto desiderata.

9. “L’uomo è la via della Chiesa” (Redemptor Hominis RH 14). L’uomo in ogni luogo della terra: l’uomo nel continente africano, l’uomo in Zimbabwe, Botswana, Lesotho, Swaziland, Mozambico. In un tale spirito conclusa la recente visita, rendo omaggio a Cristo, a colui che “è la via, la verità e la vita” (Jn 14,6) per ciascuno e per tutti. Infatti l’Eterno Padre ha dato ogni cosa al Figlio, perché egli guidi gli uomini, a prezzo del suo sangue redentore, verso il loro salvifico destino.

Ai pellegrini tedeschi

Ai fedeli francesi


Ai pellegrini di lingua inglese



Ad un gruppo di studenti cattolici giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

CARISSIMI studenti cattolici e della Facoltà francese dell’Università Sophia, vi ringrazio profondamente per la vostra visita. Questo viaggio in Europa possa essere una profonda e bella esperienza della vostra vita.

Con questa preghiera vi imparto la mia Benedizione!

Ai fedeli di lingua spagnola


Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai fedeli in lingua polacca

Ad alcuni gruppi italiani

DESIDERO ORA porgere il mio saluto al gruppo delle Suore Figlie della Chiesa, presenti a Roma per un corso di Esercizi Spirituali. Ad esse e a tutta la Congregazione, che ricorda quest’anno il cinquantesimo della fondazione, porgo cordiali voti di bene, di fervore religioso, di fedeltà al carisma dell’Istituto.
* * *


SALUTO POI il gruppo delle Piccole Sorelle dei Poveri, che stanno completando il Ritiro spirituale nella casa del noviziato a Marino, e le esorto a perseverare generosamente nell’opera di carità che è loro specifica, cioè nell’assistenza amorosa verso le persone anziane.
* * *


IL MIO PENSIERO va poi alle socie dell’Istituto Secolare Missionarie del Vangelo, qui convenute in occasione della loro Assemblea Generale. Desidero incoraggiare il loro impegno di testimonianza e la loro dedizione affinché il Vangelo sia sempre meglio conosciuto ed ascoltato.
* * *


RIVOLGO UNA PAROLA di saluto anche ai componenti della banda musicale dei donatori di sangue di Villesse, nell’arcidiocesi di Gorizia, ed a quanti li accompagnano, mentre mi compiaccio per la loro attività umanitaria e per il servizio nelle manifestazioni religiose locali.

A tutti la mia Benedizione.

Ai giovani

ED ORA UNA PAROLA di saluto a voi, cari giovani. Dopo aver ritemprato le vostre forze fisiche e intellettuali, avete ora ripreso le vostre consuete attività scolastiche o di lavoro. Ponete nei vostri rispettivi impegni il vostro caratteristico entusiasmo.

Approfittate delle possibilità che vi si offrono per crescere nella mente e nel cuore. Così vi auguro di crescere anche nello spirito nella conoscenza di Gesù, che è il Maestro divino, capace di fare di voi di più, assai di più di quanto voi stessi potete immaginare Ascoltatelo, amatelo e la vostra vita sarà meravigliosa. Nel suo nome

Vi benedico.

Agli ammalati

A voi, carissimi malati, rivolgo poi un saluto particolarmente affettuoso.

IL PERIODO che per la maggioranza dei cittadini è di riposo e di svago molti di voi lo hanno trascorso sul letto del dolore, forse anche in una situazione di solitudine e di abbandono. Nonostante tutto, Dio non vi abbandona mai. Egli è sempre vicino a voi, per ascoltarvi, incoraggiarvi, capirvi; tanto più vicino quanto più le persone care appaiono lontane. Offrite allora volentieri al Signore le vostre sofferenze, fisiche e morali, perché così esse diventano preghiera, sorgente di forza e di gioia, pioggia di grazia su di voi, le vostre famiglie, la Chiesa, l’umanità intera.

Per questo io vi imparto la mia particolare Benedizione.

Agli sposi novelli

Ed anche a voi, sposi novelli, giunga la mia parola di affetto e d’incoraggiamento.

MENTRE IN VARI settori della società contemporanea si assiste al disordine dei valori della famiglia, voi, con fede viva e sincera, avete dato inizio alla vita in due col sacramento del matrimonio. Il Signore stesso ci ammonisce che se la casa non poggia il suo fondamento su di Lui, non potrà reggersi in piedi. E salda non potrà mantenersi neppure la società, che è composta da tanti nuclei familiari. Andate dunque avanti così con la Benedizione di Dio, nonostante le inevitabili difficoltà, che solo alla luce e con l’amore dello Spirito si possono portare e risolvere. Dio sia con voi. E, nel suo nome, ricevete la mia Benedizione.

Fattiva solidarietà per quanti sono rimasti vittime del disastroso uragano “Gilbert” che nei giorni scorsi ha colpito varie regioni del Golfo del Messico è chiesta dal Papa durante l’udienza generale di oggi. Queste le parole del Papa.

Sono profondamente partecipe ai gravi disagi e dolori delle numerosissime persone, che in alcuni Paesi dei Caraibi e in vasti territori del Golfo del Messico sono stati colpiti dall’uragano “Gilbert”. Elevo la mia preghiera a Gesù redentore, fratello dei sofferenti, perché doni a quelle popolazioni tenace speranza e consolazione piena.

Unisco questo augurio ai voti dei credenti in Cristo ed anche di coloro che hanno il cuore aperto alla compassione, ed a tutti rivolgo un pressante appello perché siano generosamente vicini alle vittime di questa disastrosa calamità naturale.

Tale solidale carità recherà certamente quello spirituale conforto e quell’aiuto materiale, che sono indispensabili ai tanti fratelli e sorelle per poter riprendere una vita serena, lieta, sempre ispirata ai principi di umanità vera proclamati dal Vangelo.

Con la mia affettuosa benedizione.

Le difficoltà interne ed esterne che sembrano mettere in pericolo in Libano l’elezione del Presidente della Repubblica, hanno indotto il Santo Padre ad intervenire pubblicamente, ancora una volta, in favore della Nazione tanto provata. Al termine dell’odierna udienza generale, Giovanni Paolo II rivolge ai fedeli le seguenti parole.

Vorrei adesso invitarvi a rivolgere il pensiero ad alcuni nostri fratelli del Medio Oriente.

Come saprete, il Parlamento del Libano deve procedere in questi giorni all’elezione del Presidente della Repubblica. Difficoltà interne e pressioni esterne potrebbero mettere in pericolo il buon svolgimento di tale importante avvenimento della vita politica di quella nazione tanto provata.

Preghiamo il Signore di ispirare ai rappresentanti del popolo libanese coraggio e lungimiranza perché siano evitate decisioni dalle conseguenze irreparabili e perché tutti i libanesi ritrovino una pacifica convivenza degna della loro storia.

In questo senso ho anche scritto a Sua Beatitudine il Patriarca Maronita.

Invito pure voi a ricordare nella preghiera il popolo libanese, che ha tanto sofferto e continua a soffrire.




Mercoledì, 28 settembre 1988

28988

1. Noi professiamo la nostra fede nella verità centrale della missione messianica di Gesù Cristo: egli è il redentore del mondo mediante la sua morte in croce. La professiamo con le parole del Simbolo Niceno-Costantinopolitano, secondo il quale Gesù “fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto”. Nel professare questa fede, commemoriamo la morte di Cristo anche come un evento storico, che, come la sua vita, ci è dato conoscere da fonti storiche sicure e autorevoli. In base a queste stesse fonti noi possiamo e vogliamo conoscere e comprendere anche le circostanze storiche di quella morte, che crediamo essere stata “il prezzo” della redenzione dell’uomo di tutti i tempi.

2. E prima di tutto: come si è giunti alla morte di Gesù di Nazaret? Come si spiega il fatto che egli è stato dato a morte dai rappresentanti della sua nazione, che lo hanno consegnato al “procuratore” romano, il cui nome, trasmesso dai Vangeli, figura anche nei Simboli di fede? Per ora cerchiamo di raccogliere le circostanze, che “umanamente” spiegano la morte di Gesù. L’evangelista Marco, descrivendo il processo di Gesù davanti a Ponzio Pilato, annota che egli era stato “consegnato per invidia” e che Pilato era cosciente di questo fatto: “Sapeva . . . che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia” (
Mc 15,10). Chiediamoci: perché questa invidia? Noi possiamo trovarne le radici nel risentimento non solo per ciò che Gesù insegnava, ma per il modo in cui lo faceva. Se, al dire di Marco, egli insegnava “come uno che ha autorità, e non come gli scribi” (Mc 1,22), questa circostanza doveva mostrarlo agli occhi di questi ultimi come una “minaccia” per il loro proprio prestigio.

3. Di fatto, sappiamo che già l’inizio dell’insegnamento di Gesù nella sua città natale porta a un conflitto. Il trentenne nazareno infatti, prendendo la parola nella sinagoga, indica se stesso come colui sul quale si compie l’annunzio del Messia, pronunciato da Isaia. Ciò provoca negli uditori stupore e in seguito indignazione, così che essi vogliono gettarlo giù dal monte “sul quale la loro città era situata” . . . “ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò” (Lc 4,29-30).

4. Questo incidente è solo l’inizio: è il primo segnale delle successive ostilità. Ricordiamo le principali. Quando Gesù fa capire di avere il potere di rimettere i peccati, gli scribi vedono in questo una bestemmia, perché solo Dio ha un tale potere (cf. Mc 2,6). Quando compie i miracoli in giorno di sabato, asserendo che “il Figlio dell uomo è signore del sabato” (Mt 12,8), la reazione è analoga alla precedente. Ed è già da allora che traspare l’intenzione di far morire Gesù (cf. Mc 3,6): “Cercavano . . . di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Jn 5,18). Che cosa altro potevano significare le parole: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse Io Sono”? (Jn 8,58). Gli ascoltatori sapevano che cosa significava quella denominazione: “Io Sono”. Perciò di nuovo Gesù corre il rischio della lapidazione. Questa volta, però, egli “. . . si nascose e uscì dal tempio” (Jn 8,59).

5. Il fatto che in definitiva fece precipitare la situazione e portò alla decisione di far morire Gesù, fu la risurrezione di Lazzaro in Betania. Il Vangelo di Giovanni ci fa sapere che nella successiva riunione del sinedrio fu constatato: “Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione”. Di fronte a queste previsioni e a questi timori Caifa, il sommo sacerdote, si pronunciò con questa sentenza: “Meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Jn 11,47-50). L’evangelista aggiunge: “Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”. E conclude: “Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo” (Jn 11,51-53).

Giovanni ci fa conoscere in questo modo un duplice aspetto di quella presa di posizione di Caifa. Dal punto di vista umano, che più precisamente si potrebbe dire opportunistico, essa era un tentativo di giustificare la decisione di eliminare un uomo ritenuto politicamente pericoloso, senza preoccuparsi della sua innocenza. Da un punto di vista più alto, fatto proprio e annotato dall’evangelista, le parole di Caifa, indipendentemente dalle sue intenzioni, avevano un contenuto autenticamente profetico, riguardante il mistero della morte di Cristo secondo il disegno salvifico di Dio.

6. Qui consideriamo lo svolgimento umano degli avvenimenti. In quella riunione del sinedrio fu presa la decisione di uccidere Gesù di Nazaret. Si approfittò della sua presenza a Gerusalemme durante le feste pasquali.

Giuda, uno dei dodici, per trenta monete d’argento, tradì Gesù, indicando il luogo dove si poteva arrestarlo. Una volta preso, Gesù fu condotto davanti al sinedrio. All’essenziale domanda del sommo sacerdote: “Ti scongiuro per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”, Gesù diede la grande risposta: “Tu l’hai detto” (Mt 26,63-64 cf. Mc 14,62 Lc 22,70). In questa dichiarazione il sinedrio vide una bestemmia palese, e sentenziò che Gesù era “reo di morte!” (Mc 14,64).

7. Il sinedrio non poteva però eseguire la condanna senza il consenso del procuratore romano. E Pilato è personalmente convinto che Gesù è innocente, e lo fa capire più volte. Dopo aver opposto una incerta resistenza alle pressioni del sinedrio, alla fine cede per timore di rischiare la disapprovazione di Cesare, tanto più che anche la folla, aizzata dai fautori della eliminazione di Gesù, ora pretende la crocifissione. “Crucifige eum!”. E così Gesù viene condannato a morte mediante la crocifissione.

8. Storicamente responsabili di questa morte sono gli uomini indicati dai Vangeli, almeno in parte, per nome. Lo dichiara Gesù stesso quando dice a Pilato durante il processo: “Chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande” (Jn 19,11). E in un altro passo; “Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!” (Mc 14,21 Mt 26,24 Lc 22,22). Gesù allude alle varie persone che, in diversi modi, saranno gli artefici della sua morte: a Giuda, ai rappresentanti del sinedrio, a Pilato, agli altri . . . Anche Simon Pietro, nel discorso tenuto dopo la Pentecoste, contesterà ai capi del sinedrio l’uccisione di Gesù: “Voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso” (Ac 2,23).

9. Tuttavia non si può allargare questa imputazione oltre la cerchia delle persone veramente responsabili. Leggiamo in un documento del Concilio Vaticano II: “Se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né (tanto meno) agli ebrei del nostro tempo” (Nostra Aetate NAE 4).

Se poi si tratta di valutare la responsabilità delle coscienze, non si possono dimenticare le parole di Cristo sulla croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Troviamo l’eco di quelle parole in un altro discorso pronunciato da Pietro dopo la Pentecoste: “Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi” (Ac 3,17). Quale senso di riserbo dinanzi al mistero della coscienza umana, anche nel caso del più grande delitto commesso nella storia, l’uccisione di Cristo!

10. Sull’esempio di Gesù e di Pietro, anche se è difficile negare la responsabilità di quegli uomini che provocarono volutamente la morte di Cristo, anche noi guarderemo le cose alla luce dell’eterno disegno di Dio, che richiedeva dal suo Figlio prediletto l’offerta di sé come vittima per i peccati di tutti gli uomini. In questa superiore prospettiva ci rendiamo conto che tutti, a motivo dei nostri peccati, siamo responsabili della morte in croce di Cristo: tutti, nella misura in cui mediante il peccato abbiamo contribuito a far sì che Cristo morisse per noi come vittima di espiazione. Si possono intendere anche in questo senso le parole di Gesù: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini, e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà” (Mt 17,22).

11. La croce di Cristo è dunque per tutti un richiamo realistico al fatto espresso dall’apostolo Giovanni con le parole: “Il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” (1Jn 1,7-8). La croce di Cristo non cessa di essere per ciascuno di noi questo richiamo misericordioso e nello stesso tempo severo, a riconoscere e confessare la propria colpa. È una chiamata a vivere nella verità.

Ai pellegrini di lingua inglese


Ad un gruppo di visitatori giapponesi

DO IL BENVENUTO ai componenti della “Missione buddista in Europa per la pace” di Risshokosei-kai.

Siete venuti in Europa per promuovere la pace e la comunicazione amichevole.

Io pure vi benedico volentieri, affinché questa vostra finalità si realizzi sia in Oriente che in Occidente, ed estendo il mio saluto a tutti i vostri cari.

Ai numerosissimi pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ai gruppi di lingua italiana

DESIDERO ORA porgere il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana, ed anzitutto ai fedeli della diocesi di Belluno-Feltre, venuti a Roma per ricordare il decimo anniversario della morte del mio predecessore Giovanni Paolo I. Mi compiaccio con loro per questo gesto di affetto e di devozione verso un Pontefice tanto amato da tutta la cristianità, e li esorto a tenere sempre presente il suo messaggio, breve ma essenziale, fondato sulle virtù teologali della fede, speranza e carità, le prime tre di quelle “sette lampade” - come egli le chiamò - che sono le virtù cristiane.
* * *


SALUTO POI il numeroso gruppo dei pellegrini di Patti, venuti per ricambiare la visita da me fatta al santuario di Tindari, durante il recente viaggio apostolico in Calabria ed a Messina. Saluto il loro Vescovo Monsignor Carmelo Ferraro, i sindaci dei comuni del territorio diocesano, gli artisti che hanno voluto donare una loro opera di soggetto mariano. A tutti il mio augurio e la mia Benedizione.
* * *


UNO SPECIALE PENSIERO va ai Padri della Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, presenti in Roma per la definitiva approvazione delle nuove Costituzioni. Invoco su di loro una copiosa effusione di doni divini per un rinnovato impegno nella diffusione del prezioso carisma del loro Fondatore, da cui tanto bene può venire anche agli uomini del nostro tempo.
* * *


UN SALUTO, POI, alle Capitolari della Congregazione Missionaria delle Sorelle di Santa Gemma, alle quali rivolgo un augurio per le opere caritative e missionarie svolte secondo lo spirito Passionista. Saluto anche le suore e le novizie delle Francescane dei Sacri Cuori e benedico le loro molteplici opere ed istituti di educazione, di assistenza, di servizio ospedaliero, di aiuto alle parrocchie.
* * *


SONO QUI PRESENTI anche tre pellegrinaggi parrocchiali: i fedeli di Armento, in Diocesi di Tricarico, accompagnati dal parroco, che celebra il 50° anniversario di ordinazione sacerdotale; i fedeli di Galàtone, in diocesi di Nardò, con il loro parroco; ed i fedeli della parrocchia di San Francesco in Cagnano-Varano, diocesi di Manfredonia, i quali stanno per iniziare la costruzione della nuova chiesa parrocchiale. Benedico volentieri la prima pietra che essi collocheranno nelle fondamenta dell’edificio sacro, e tutti esorto a generosa coerenza cristiana perché, grazie anche alla loro testimonianza, il regno di Dio possa crescere nel mondo di oggi.
* * *


SALUTO I SOCI del Lions Club di Catania-Nord; gli operai della fabbrica “Dalmacija”, provenienti da Dugi-Rat, vicino a Split; l’Associazione Nazionale Famiglie dei Caduti e Dispersi in guerra; l’Associazione degli ex-internati della sezione Padova. A tutti raccomando di essere sempre messaggeri di pace, costruttori di amicizia e di solidarietà, mentre invoco il conforto del Signore a sostegno dei buoni propositi di ciascuno.
* * *


RIVOLGO INFINE una parola di incoraggiamento alle socie della “Federazione Italiana Donne nelle Arti e nelle Professioni” del Club di Roma, mentre le esorto ad operare sempre con impegno per l’elevazione culturale della donna, e per la sua affermazione, al di la di ogni discriminazione, in una società più giusta ed umana.

Ai giovani, ai malati e agli sposi novelli

COME DI CONSUETO desidero infine rivolgere un particolare, affettuoso saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli presenti in questa Udienza.

Voi siete sempre i benvenuti. A tutti auguro ogni bene ed assicuro il mio ricordo nella preghiera. Il Signore conceda a ciascuno di voi quanto gli sta a cuore.

Vi accompagni sempre la mia Benedizione Apostolica.






Catechesi 79-2005 7988