Catechesi 79-2005 15389

Mercoledì, 15 marzo 1989

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1. Se la fede cristiana e la predicazione della Chiesa hanno il loro asse nella Risurrezione di Cristo perché è la definitiva conferma e il definitivo complemento della Rivelazione, come abbiamo visto nella precedente catechesi, occorre anche aggiungere che, in quanto integrazione del mistero pasquale, essa è fonte della potenza salvifica del Vangelo e della Chiesa. Gesù Cristo, infatti, secondo san Paolo, “mediante la risurrezione dai morti” si è rivelato “Figlio di Dio con potenza . . . costituito secondo lo Spirito di santificazione” (cf.
Rm 1,4). Ed egli trasmette agli uomini questa santità, perché “è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Rm 4,25). Vi è come un duplice aspetto nel mistero pasquale: la morte per la liberazione dal peccato, la risurrezione per aprire l’accesso alla nuova vita.

Certo il mistero pasquale, come tutta la vita e l’opera di Cristo, ha una profonda unità interna nella sua funzione redentiva e nella sua efficacia, ma ciò non toglie che se ne possano distinguere vari aspetti in rapporto agli effetti che ne provengono nell’uomo. Di qui l’attribuzione dello specifico effetto della “nuova vita” alla risurrezione, come afferma san Paolo.

2. In questa dottrina occorre fare alcune annotazioni che, sempre in riferimento ai testi del nuovo testamento, ci permettono di rilevarne tutta la verità e la bellezza.

Anzitutto, possiamo ben dire che il Cristo risorto è principio e fonte di una vita nuova per tutti gli uomini. Ciò appare anche dalla stupenda preghiera di Gesù alla vigilia della sua Passione, che Giovanni riporta con queste parole: “Padre, . . . glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato” (Jn 17,1-2).

Nella sua preghiera Gesù vede e abbraccia anzitutto i suoi discepoli, che egli ha avvertito del doloroso distacco prossimo a verificarsi mediante la sua Passione e morte, ma ai quali ha pure promesso: “Io vivo e voi vivrete” (Jn 14,19). Cioè: avrete parte alla mia vita che si rivelerà dopo la Risurrezione. Ma lo sguardo di Gesù si estende ad un raggio di ampiezza universale: “Non prego solo per questi (miei discepoli) - egli dice - ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me . . .” (Jn 17,20): di tutti deve farsi una cosa sola nella partecipazione alla gloria di Dio in Cristo.

La nuova vita concessa ai credenti in virtù della Risurrezione di Cristo, consiste nella vittoria sulla morte del peccato e nella nuova partecipazione alla grazia. Lo afferma lapidariamente san Paolo: “Dio, ricco di misericordia . . . da morti che eravamo per il peccato, ci fa fatti rivivere con Cristo” (Ep 2,4-5). Analogamente san Pietro: “Dio e Padre del Signore nostro . . . nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva” (1P 1,3).

Questa verità si riflette nell’insegnamento paolino sul Battesimo: “Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui (Cristo) nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4).

3. Questa vita nuova - la vita secondo lo Spirito - manifesta l’adozione a figli, altro concetto paolino di fondamentale importanza. É “classico”, su questo punto il passo della lettera ai Galati: “(Dio) mandò il suo Figlio, . . . per riscattare quelli che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Ga 4,4-5). Questa adozione divina per opera dello Spirito Santo rende l’uomo simile al Figlio unigenito: “. . . tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio” (Rm 8,14). Nella lettera ai Galati san Paolo si appella alla esperienza che i credenti fanno della nuova condizione, in cui si trovano: “E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio” (Ga 4,6-7). Vi è dunque nell’uomo nuovo un primo effetto della Redenzione: la liberazione da schiavo; ma l’acquisto della libertà avviene col divenire figlio adottivo, non tanto su un piano di accesso legale all’eredità, ma col dono reale della vita divina, che le tre Persone della Trinità infondono nell’uomo (cf. Ga 4,6 2Co 13,13). Di questa nuova vita dell’uomo in Dio, la sorgente è la Risurrezione di Cristo.

La partecipazione alla vita nuova fa anche sì che gli uomini diventino “fratelli” di Cristo, come Gesù stesso chiama i discepoli dopo la Risurrezione: “Andate ad annunciare ai miei fratelli . . .” (Mt 28,10 Jn 20,17). Fratelli non per natura, ma per dono di grazia, poiché tale figliolanza adottiva dà una vera e reale partecipazione alla vita del Figlio unigenito, quale si è rivelata pienamente nella sua Risurrezione.

4. La Risurrezione di Cristo - e anzi, il Cristo risorto - è infine principio e fonte della nostra futura risurrezione. Preannunciando l’istituzione dell’Eucaristia, Gesù stesso ne parlò come di sacramento della vita eterna, della risurrezione futura: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Jn 6,54). E poiché gli uditori “mormoravano”, Gesù replicò loro: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?” (Jn 6,61-62).

In questo modo egli indicava indirettamente che sotto le specie sacramentali della Eucaristia viene dato a coloro che la ricevono di partecipare al Corpo e Sangue di Cristo glorificato.

Anche san Paolo mette in risalto il collegamento tra la Risurrezione di Cristo e la nostra soprattutto nella sua prima lettera ai Corinzi. Scrive infatti: “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1Co 15,20-22). “É necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: «La morte è stata ingoiata per la vittoria»” (1Co 15,53-54). “Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (1Co 15,57).

La definitiva vittoria sulla morte, già riportata da Cristo, viene da lui partecipata alla umanità nella misura in cui questa riceve i frutti della Redenzione. É un processo di ammissione alla “vita nuova”, alla “vita eterna”, che dura sino alla fine dei tempi. Grazie a tale processo si va formando lungo il corso dei secoli una umanità nuova, il popolo dei redenti, raccolti nella Chiesa, vera comunità della risurrezione. Al punto conclusivo della storia, tutti risorgeranno, e quelli che saranno stati di Cristo, avranno la pienezza della vita nella gloria, nella definitiva attuazione della comunità dei redenti da Cristo, “perché Dio sia tutto in tutti” (1Co 15,28).

5. L’Apostolo insegna pure che il processo redentivo, che si conclude con la risurrezione dei morti, avviene in una sfera di ineffabile spiritualità, che supera tutte le possibilità di concezione e di operazione umana. Se, infatti, da una parte egli scrive: “La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità” (1Co 15,50), - ed è la constatazione della nostra incapacità naturale alla nuova vita - dall’altra, nella lettera ai Romani così rassicura i credenti: “Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). É un misterioso processo di spiritualizzazione, che al momento della risurrezione raggiungerà anche i corpi, per la potenza di quello stesso Spirito Santo, che ha operato la Risurrezione di Cristo.

Si tratta senza dubbio di realtà che sfuggono alla nostra capacità di comprensione e di dimostrazione razionale, e perciò sono oggetto della nostra fede fondata sulla Parola di Dio, che, mediante san Paolo, ci fa penetrare nel mistero che supera tutti i confini dello spazio e del tempo: “Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita” (1Co 15,45). “E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste” (1Co 15,49).

6. In attesa di quella trascendente completezza finale, il Cristo risorto vive nei cuori dei suoi discepoli e seguaci come fonte di santificazione nello Spirito Santo, fonte della vita divina e della divina figliolanza, fonte della futura risurrezione.

Tale certezza fa dire a san Paolo nella lettera ai Galati: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Ga 2,20). Anche ogni cristiano, come l’Apostolo, pur vivendo ancora nella carne (cf. Rm 7,5), vive una vita già spiritualizzata con la fede (cf. 2Co 10,3), perché il Cristo vivente, il Cristo risorto è diventato come il soggetto di tutte le sue azioni: Cristo vive in me (cfr. Rm 8,2 Rm 8,10-11 Ph 1,21 Col 3,3). Ed è la vita nello Spirito Santo.

Questa certezza sostiene l’Apostolo, come può e deve sostenere ogni cristiano tra le fatiche e le sofferenze della vita presente, come raccomandava Paolo al discepolo Timoteo nel brano di una sua lettera col quale vogliamo suggellare - a nostra istruzione e a nostro confronto - la nostra catechesi sulla Risurrezione di Cristo: “Ricordatevi - egli scrive - che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo . . . Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anche essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Certa è questa parola (forse frammento di un inno dei primi cristiani): Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, anch’egli ci rinnegherà; se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso . . .” (2Tm 2,8-13).

“Ricordati che Gesù Cristo è risuscitato dai morti”: questa parola dell’Apostolo ci dà la chiave della speranza per la vera vita nel tempo e nell’eternità.


Ai giovani studenti italiani

PORGO IL MIO AFFETTUOSO SALUTO al numeroso gruppo di Alunni ed Insegnanti delle Scuole Medie “Lucrezio Caro” di Napoli Secondigliano e “Giuseppe Garibaldi” di Campi Bisenzio, che non ha potuto trovare posto nell’Aula Paolo VI.

Vi esorto a vivere intensamente e con impegno questo periodo liturgico di preparazione alla Santa Pasqua, realizzando giorno dopo giorno concretamente e generosamente il messaggio di amore di Gesù, morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione.

A voi tutti ed ai vostri familiari la mia Benedizione Apostolica.


A studentesse nipponiche provenienti da Kagoshima, da Nagasaki e da Sapporo

Sia lodato Gesù Cristo!

DILETTISSIME STUDENTESSE dei collegi “Junshin” di Kagoshima e di Nagasaki, e del collegio “Fuji” di Sapporo.

La festa della Pasqua è ormai imminente. Ora, mi auguro che come questa Festa è diventata la fonte della gioia per tutti, così il vostro studio di aggiornamento annuale in Europa contribuisca ad aumentare la gioia nel mondo.

Con questo auspicio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!


Ai numerosi gruppi italiani

UN CORDIALE SALUTO rivolgo ora agli appartenenti all’Istituto Secolare “Apostoli della Santificazione Universale”. Mentre li esorto a perseverare nel dono di se stessi a Dio, invoco su ciascuno di loro quelle grazie, che rendano sempre più fervorosi nella partecipazione alla missione salvifica del Cristo. Auguro altresì che la loro attività rechi ai fratelli l’annuncio evangelico di verità, di giustizia e di misericordia.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

DESIDERO ORA rivolgere alcune brevi parole ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli, presenti a questa Udienza, richiamandomi alla prossima solennità liturgica di S. Giuseppe, che celebreremo sabato prossimo.

San Giuseppe è un grandissimo santo: modello delle più alte virtù umane e cristiane, esempio di perfetta ubbidienza a Dio, di amore al Figlio di Dio e alla sua Madre purissima, protettore delle famiglie nelle difficoltà della vita, e Patrono della Chiesa universale.

Pensando alla casa di Nazareth, dove S. Giuseppe trascorse la vita terrena nella preghiera, nel lavoro, nel silenzio, nell’amore di Dio, nella dedizione alla famiglia, nel sacrificio disinteressato, esprimo l’augurio che anche la vostra casa abbia lo stesso profumo di virtù.

Con tali voti, vi benedico di cuore!




Mercoledì, 22 marzo 1989

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Carissimi.

1. “Gesù Cristo è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (
Rm 4,25);

“Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono, non vivano più per se stessi, ma per Colui che è morto ed è risuscitato per loro” (2Co 5,15).

Queste affermazioni dell’apostolo Paolo sempre ci danno conforto e consolazione nel pellegrinaggio della nostra esistenza: ma soprattutto nella “Settimana Santa”, in preparazione alla solennità della Pasqua ci fanno riflettere sul “senso pasquale” della vita cristiana.

“Pasqua” - come è noto - significa “passaggio”, parola che viene interpretata in diversi modi: essa ricorda, prima di tutto, lo storico e avventuroso “passaggio” del popolo ebraico, sotto la guida di Mosé, dalla schiavitù degli Egiziani alla libertà di nazione eletta da Dio in funzione dell’avvento del Messia; indica poi il sacrificio dell’agnello immolato dagli Ebrei prima della partenza e, poi, in perenne annuale memoria di tale “passaggio”, definisce anche Gesù stesso, il Messia, il vero agnello la cui immolazione ha liberato l’umanità dall’oppressione del peccato e ha determinato il “passaggio” dall’antico al nuovo testamento; ed infine “Pasqua” significa il passaggio di Gesù dalla morte alla nuova vita: “Pasqua” infatti, nella comune accezione del termine, indica appunto la Risurrezione gloriosa di Cristo, il terzo giorno dopo la sua morte in Croce, come aveva predetto.

2. Ecco allora che, per il cristiano, avere il “senso pasquale” della vita significa prima di tutto possedere la profonda e incrollabile convinzione che Cristo è davvero il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, la verità assoluta, la luce del mondo.

Le suggestive cerimonie della veglia pasquale del sabato santo, con i simboli del fuoco, della luce, dell’acqua battesimale, del solenne canto dell’“Exultet”, vogliono appunto indicare che Cristo è la luce del mondo: dal fuoco benedetto nell’atrio del tempio si accende il cero pasquale, simbolo di Cristo risorto; sul cero vengono incise le lettere “alfa” e “omega” e la data dell’anno corrente, per indicare che il principio e la fine del tempo sono iscritti nell’eternità di Dio; con il canto del diacono Lumen Christi, alla fiamma del cero si accendono le candele dei fedeli e man mano le luci nel tempio, mentre si procede verso l’altare: scena suggestiva, con la quale si sottolinea che solo Cristo, il redentore, porta la luce della divina Rivelazione, dissipa le tenebre e scioglie l’enigma della storia.

Di fronte a Cristo risorto il cristiano sente perciò il coraggio, il fervore, l’entusiasmo per annunziare a tutto il mondo la verità: “Convertitevi e credete al Vangelo!”.

3. Avere il “senso pasquale” della vita significa anche comprendere a fondo la realtà e il valore della Redenzione, operata dalla Passione e dalla morte in Croce di Gesù, che appunto la settimana santa con i suoi riti eloquenti vuol ricordare, proponendo i tragici avvenimenti susseguitisi dall’agonia del Getsemani fino al grido di Gesù morente, inchiodato alla Croce. La morte di Gesù in Croce è il supremo atto di adorazione al Padre, è l’unico e vero sacrificio offerto a Dio a nome dell’umanità, come massima espressione di preghiera, che ingloba in se stessa ogni altro tipo di adorazione e di preghiera.

La morte in Croce, penosa e straziante, fu anche “Sacrificio di espiazione”, che ci fa comprendere sia la gravità del peccato, ribellione a Dio e rifiuto del suo amore, sia la meravigliosa opera redentrice di Cristo, che, espiando per l’umanità, ci ha ridato la “grazia” e cioè la partecipazione alla stessa vita trinitaria di Dio e l’eredità della sua eterna felicità. La Passione e la morte in Croce di Gesù danno il senso vero e definitivo della vicenda umana, nella quale si realizza già la Redenzione in prospettiva di eternità. Come Cristo è risorto, anche noi risorgeremo gloriosi, se avremo accettato il suo messaggio e la sua missione. Il venerdì santo noi pieghiamo il ginocchio di fronte al Crocifisso e ripetiamo con san Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Ga 2,20).

4. Infine il “senso pasquale” della vita emerge anche splendidamente nella Messa vespertina del giovedì santo “in Cena Domini”, che ricorda la istituzione del sacrificio-sacramento dell’Eucaristia. Gesù stesso, nella sua sapienza infinita e amorevole, ha voluto che l’unico e irrepetibile sacrificio del Calvario, atto supremo di adorazione e di espiazione, rimanesse per sempre presente nella storia, per mezzo dei sacerdoti e dei Vescovi, da lui espressamente a questo deputati.

Il giovedì santo perciò ci ricorda che la vita del cristiano deve essere “eucaristica”: il cristiano illuminato e coerente non può fare a meno della santa Messa e della santa Comunione, perché ha capito che non può fare a meno della “Pasqua” del Signore! E da questo “senso pasquale” della vita sgorga anche necessariamente il sentimento e l’impegno della carità verso i fratelli, della comprensione, della pazienza, del perdono, della sensibilità verso chi soffre, ricordando l’esempio del divin Maestro, che, prima dell’istituzione della Eucaristia, lavò umilmente i piedi agli apostoli.

5. Carissimi.

La settimana santa, che stiamo celebrando, vi aiuti a riflettere sul fondamentale messaggio della Pasqua. Partecipate anche voi, possibilmente, nelle vostre parrocchie al triduo sacro, perché non passi invano la grazia che reca la liturgia; accostatevi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, affinché la vostra pasqua sia davvero un grande evento spirituale, che si prolunghi poi per tutti i giorni dell’anno, e si apra sulla vita eterna.

Questa è la mia cordiale esortazione, che vi lascio insieme con il mio augurio e la mia benedizione.




Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

Desidero ora rivolgere il mio più cordiale saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli, qui presenti.

CARISSIMI, IL MISTERO della Morte e Risurrezione di Cristo, che stiamo rivivendo durante questi giorni santi, è la più alta manifestazione dell’amore di Dio per noi ed è il dono più prezioso che Egli ci offre per la nostra salvezza.

Rinnoviamo dunque, durante questa Settimana Santa, la nostra disponibilità ad imitare e seguire Cristo nella via della obbedienza a Dio e dell’amore ai fratelli, sicuri che in tal modo otterremo da Lui quella Vita che Egli ha guadagnato per tutti e per ciascuno di noi, mediante l’evento pasquale.





Mercoledì, 29 marzo 1989

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Carissimi.

1. “Cristo nostra Pasqua, si è immolato sulla Croce per i nostri peccati ed è risorto glorioso: facciamo festa nel Signore!”.

É questo il sentimento che pervade la liturgia in questi giorni, dopo la celebrazione della Pasqua; e in questi giorni noi ripetiamo con giubilo, nella santa Messa, le parole della sequenza: “Mors et vita duello conflixere mirando - dux vitae mortuus regnat vivus!”: “Morte e vita si sono affrontate in un duello prodigioso: il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa!”.

Cristo, vittorioso sulla morte, è attivamente presente anche nella storia di oggi.

Il cristianesimo continua il suo cammino, perché può contare sull’azione del Verbo incarnato, che si è fatto uomo, è morto in Croce, è stato sepolto, ed è risorto, come aveva predetto. “La fede cristiana - ha scritto il noto teologo Romano Guardini - tiene o si perde a seconda che si crede o no alla risurrezione del Signore. La risurrezione non è un fenomeno marginale di questa fede e nemmeno uno sviluppo mitologico che la fede abbia attinto dalla storia e che più tardi si sia potuto sciogliere senza danno per il suo contenuto: essa è il suo cuore” (Il Signore, Parte VI: Risurrezione e trasfigurazione).

E così la Chiesa, presso il sepolcro vuoto, sempre ammonisce gli uomini: “Non cercate tra i morti Colui che è vivo! Non è qui: è risuscitato!”. “Ricordatevi - dice la Chiesa con le parole degli angeli alle pie donne impaurite davanti alla pietra rotolata - come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno” (
Lc 24,6-7).

Pietro, entrato con Giovanni nel sepolcro vuoto, aveva visto “le bende per terra e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte” (Jn 20,6-7). Egli, poi, con gli apostoli e i discepoli, lo aveva visto risorto e con lui si era intrattenuto, come affermò nel discorso in casa del centurione Cornelio: “I giudei lo uccisero appendendolo ad una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che Egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio” (Ac 10,39-42).

Pietro, gli apostoli e i discepoli compresero perfettamente che a loro spettava il compito di essere essenzialmente e soprattutto i “testimoni” della Risurrezione di Cristo, perché da questo avvenimento unico e strepitoso doveva dipendere la fede in lui e l’accettazione del suo messaggio salvifico.

2. Anche il cristiano, nell’epoca e nel luogo in cui vive, è un testimone del Cristo risorto: egli vede con gli occhi stessi di Pietro e degli apostoli; si convince della Risurrezione gloriosa di Cristo crocifisso e perciò crede totalmente in lui, via, verità, vita e luce del mondo, e lo annunzia con serenità e coraggio. La “testimonianza pasquale” diventa così la caratteristica specifica del cristiano.

Così scrive san Paolo ai Colossesi: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra! Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,1-3).

In un discorso sui sacramenti, sant’Ambrogio osservava giustamente: “Dio, dunque, ti ha unto, Cristo ti ha segnato col suo sigillo. In che modo? Perché tu sei stato segnato per ricevere l’impronta della sua Croce, per configurarti alla sua passione. Hai ricevuto il sigillo che ti ha reso simile a lui, affinché tu possa risorgere a immagine di lui, vivere imitando lui, che è stato crocifisso al peccato e vive per Dio. E il tuo uomo vecchio è stato immerso nel fonte, è stato crocifisso nel peccato, ma è risorto per Dio” (Discorso VI, 2, 7).

Il Concilio Vaticano II, nella costituzione sulla Chiesa, trattando della vocazione universale alla santità, scrive: “Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato. Perciò tutti si sforzino di rettamente dirigere i propri affetti, affinché dall’uso delle cose di questo mondo e dall’attaccamento alle ricchezze non siano impediti di tendere alla carità perfetta” (Lumen Gentium ).

3. Obbligato alla “testimonianza pasquale”, il cristiano ha indubbiamente una grande dignità, ma anche una forte responsabilità; egli infatti deve rendersi sempre credibile con la chiarezza della dottrina e con la coerenza della vita.

La “testimonianza pasquale” pertanto si esprime prima di tutto mediante il cammino di ascesi spirituale, e cioè mediante la tensione costante e decisa verso la perfezione, in coraggiosa adesione alle esigenze del Battesimo e della Cresima; si esprime, poi, mediante l’“impegno apostolico”, accettando con sano realismo le tribolazioni e le persecuzioni, memori sempre di ciò che disse Gesù: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me . . . Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!” (Jn 15,18 Jn 16,33); si esprime, infine, mediante l’“ideale della carità”, per il quale, pur soffrendo per le tante dolorose situazioni in cui si trova l’umanità, il cristiano, come il buon samaritano, si trova sempre impegnato in qualche modo nelle opere di misericordia temporale e spirituale, rompendo costantemente il muro dell’egoismo e manifestando così in modo concreto l’amore del Padre.

4. Carissimi!

Tutta la vita del cristiano deve essere Pasqua! Portate nelle vostre famiglie, nel vostro lavoro, nei vostri interessi; portate nel mondo della scuola, della professione e del tempo libero, come della sofferenza, la serenità e la pace, la gioia e la fiducia che nascono dalla certezza della Risurrezione di Cristo! Maria santissima vi accompagni e vi conforti in questa vostra “testimonianza pasquale”!

“Scimus Christum surrexisse a mortuis vere: tu nobis, victor Rex, miserere!”: “Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza!”.


Ai componenti del coro della parrocchia di Yukinoshita, in Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

SALUTO I COMPONENTI del coro della parrocchia di Yukinoshita, guidati dall’Ecc.mo Vescovo Mons. Hamao, e saluto gli altri pellegrini provenienti da ogni parte del Giappone.

Innanzi tutto vi rinnovo l’augurio pasquale, e ad esso aggiungo il mio ardente auspicio: che i vostri canti e le vostre preghiere contribuiscano all’avvento del Regno di Dio nel vostro paese, nel quale Gesù, il Redentore di tutti, non è ancora conosciuto dalla maggior parte della popolazione.

Con questo auspicio vi benedico paternamente.

Sia lodato Gesù Cristo!



Ai numerosi gruppi italiani

DESIDERO ORA porgere il mio saluto a tutti i pellegrini di lingua italiana, ed in particolare al numeroso gruppo giovanile del movimento “Shalom”, della Diocesi di San Miniato, accompagnato dal Vescovo di quella città, Monsignor Edoardo Ricci. Cari giovani, mi compiaccio per le generose iniziative della vostra organizzazione, e per lo spirito di comunione ecclesiale che vi anima. Un particolare augurio, quindi, per il vostro impegno missionario, ecumenico e di volontariato, per l’attività dei vostri “recitals”, che promuovete come forma di evangelizzazione, per le occasioni di catechesi e di vita associativa che offrite ai ragazzi che hanno ricevuto la cresima.
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SALUTO CON AFFETTO i giovani diaconi della Compagnia di Gesù e dei Frati Minori Conventuali, studenti degli atenei romani. A voi tutti il mio augurio fervido e cordiale per la vostra ascesa verso il sacerdozio e per il ministero che vi attende nelle diverse nazioni di provenienza. Vi benedico insieme con i vostri Cari, che qui vi hanno accompagnati.
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UN PENSIERO anche alle ragazze che, presso le suore della Congregazione di San Giuseppe Cottolengo, stanno partecipando ad un incontro di orientamento vocazionale.
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IL MIO PENSIERO va poi ai Maestri Cattolici dell’AIMC, presenti a Roma in questi giorni per un corso di formazione. Vi rivolgo l’invito a prodigarvi per l’importante missione che vi attende nella scuola ed il mio compiacimento per la riflessione che vi siete proposti sull’esortazione Apostolica Christifideles Laici.
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IN FINE UN SALUTO affettuoso ai partecipanti del convegno ecumenico, promosso dal Centro “Uno” del Movimento dei Focolari. Un fraterno pensiero al rappresentante del Patriarca di Costantinopoli, il fratello Vescovo Spyridon di Apamea, ed ai rappresentanti delle Comunità ecclesiali delle diverse nazioni convocate per tale incontro. A tutti auguro che l’amore fraterno sia l’anima ed il fondamento spirituale del comune impegno verso l’unità.

Con questi pensieri imparto la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Mi rivolgo ora ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli.

CARISSIMI, il Signore chiede a voi una sorta di missione profetica, che vi associa a quella degli Apostoli: Siate testimoni della vittoria di Gesù sulla morte, per essere a vostra volta capaci di sviluppare nella nuova società una cultura di vita, contro ogni insorgente cultura di morte.

Con la vostra giovinezza, la vostra sofferenza, le vostre nuove famiglie, gridate al mondo la vostra fede, per aiutare gli uomini a riconoscere che “il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa” (Seq. Pasc.).

A tutti la mia Benedizione Apostolica.

Un invito alla preghiera nel ricordo dei Padri Campanella e Bortolotti i due missionari Cappuccini trucidati lunedì scorso in Mozambico, è rivolto questa mattina dal Santo Padre ai numerosi fedeli raccolti in Piazza San Pietro per l’udienza generale. Il Papa esprime anche la sua solidarietà alla Chiesa in Mozambico ed a tutta la benemerita Famiglia dei Missionari Cappuccini. Queste le sue parole.

Il nostro ricordo si rivolge, ora, ai padri Camillo Campanella e Francesco Bortolotti, missionari cappuccini italiani, che hanno tragicamente perso la vita, lunedì 27 marzo, nel corso di eventi bellici che hanno coinvolto la loro missione nella diocesi di Quelimane, in Mozambico.

Desidero invitare voi tutti ad unirvi a me nella preghiera e nel suffragio per i due generosi francescani scomparsi, e perché il Signore, nella sua misericordia, possa consolare e confortare i familiari delle vittime, come pure l’Ordine dei Francescani Cappuccini per questa dolorosa e grave perdita che ha colpito anche la Chiesa di quel giovane Paese africano.

Voglio altresì esprimere il voto che il sacrificio di questi due zelanti missionari non vada disperso ma la loro memoria induca tutti coloro che possono a ricercare con tenacia e perseveranza la strada della pace per l’intera provata diletta Nazione mozambicana.

Un appello per la pacificazione nella “diletta terra jugoslava” è rivolto questa mattina dal Santo Padre durante l’udienza generale in Piazza San Pietro.

Invito tutti i presenti a voler ricordare nella preghiera un’altra terra a noi così vicina, qual è la diletta terra jugoslava, dalla quale provengono in questi giorni notizie dolorose di conflitti, che hanno portato lutto e sofferenze in tante famiglie.

In questo tempo pasquale chiediamo al Signore che conforti con la sua grazia le famiglie che piangono la perdita dei loro cari, mentre imploriamo la luce di Cristo risorto su tutti coloro che hanno la responsabilità del bene comune, perché favoriscano una convivenza serena e pacifica di tutti i cittadini della diletta terra jugoslava.





Mercoledì, 5 aprile 1989

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1. I più antichi simboli di fede fanno seguire all’articolo sulla Risurrezione di Cristo, quello sulla sua Ascensione. Al riguardo, i testi evangelici riferiscono che Gesù risorto, dopo essersi intrattenuto per quaranta giorni con i suoi discepoli con più apparizioni e in diversi luoghi, si sottrasse pienamente e definitivamente alle leggi del tempo e dello spazio, per salire al cielo, completando così il “ritorno al Padre” già iniziato con la Risurrezione da morte.

Nella presente catechesi vediamo come Gesù preannunziò la sua Ascensione (o ritorno al Padre) parlandone con la Maddalena e con i discepoli nei giorni pasquali e pre-pasquali.

2. Incontrando la Maddalena dopo la Risurrezione, Gesù le dice “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: «Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»” (
Jn 20,17).

Quello stesso annunzio Gesù rivolse più volte ai suoi discepoli nel periodo pasquale. Lo fece specialmente durante l’ultima Cena, “sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre . . ., sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava” (Jn 13,1-3). Gesù aveva certo in mente la sua morte ormai vicina, e tuttavia egli guardava oltre e diceva quelle parole nella prospettiva della sua prossima dipartita, del suo ritorno al Padre mediante l’Ascensione al cielo: “Vado da colui che mi ha mandato” (Jn 16,5); “Vado al Padre e non mi vedrete più” (Jn 16,10). I discepoli non compresero bene, allora, che cosa Gesù avesse in mente, tanto più che egli parlava in modo misterioso: “Vado e tornerò a voi” - e anzi aggiungeva: “Se mi amaste vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me” (Jn 14,28). Dopo la Risurrezione quelle parole diventarono per i discepoli più comprensibili e trasparenti, come preannunzio della sua Ascensione in cielo.

3. Se vogliamo brevemente esaminare il contenuto degli annunci riportati, possiamo anzitutto notare che l’Ascensione al cielo costituisce la tappa finale della peregrinazione terrena di Cristo, Figlio di Dio, consostanziale al Padre, che si è fatto uomo per la nostra salvezza. Ma quest’ultima tappa rimane strettamente connessa con la prima, cioè con la “discesa dal cielo”, avvenuta nell’Incarnazione. Cristo “uscito dal Padre” (Jn 16,28) e venuto nel mondo mediante l’Incarnazione, ora, dopo la conclusione della sua missione, “lascia il mondo e va al Padre” (cf. Jn 16,28). È un modo unico di “ascesa”, come di “discesa”. Solamente colui che è uscito dal Padre nel modo di Cristo può ritornare al Padre nel modo di Cristo. Lo mette in evidenza Gesù stesso nel colloquio con Nicodemo: “Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo” (Jn 3,13). Solo lui possiede l’energia divina e il diritto di “salire al cielo”, nessun altro. L’umanità lasciata a se stessa, alle sue forze naturali, non ha accesso a quella “casa del Padre” (Jn 14,2), alla partecipazione alla vita e alla felicità di Dio. Solo Cristo può dischiudere all’uomo questo accesso: lui, il Figlio che è “disceso dal cielo”, che è “uscito dal Padre” proprio per questo.

Ed ecco un primo risultato della nostra analisi: l’Ascensione s’integra nel mistero dell’Incarnazione, di cui è il momento conclusivo.

4. L’Ascensione al cielo è dunque strettamente connessa alla “economia della salvezza”, che si esprime nel mistero dell’Incarnazione, e soprattutto nella morte redentrice di Cristo sulla Croce. Proprio nel colloquio già citato con Nicodemo, Gesù stesso, riferendosi a un fatto simbolico e figurativo riferito dal libro dei Numeri (NM 21,4-9), asserisce: “Come Mosé innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato (ossia crocifisso) il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Jn 3,14).

E verso la fine del suo ministero, in prossimità della Pasqua, Gesù ripete chiaramente che è lui ad aprire all’umanità l’accesso alla “casa del Padre” per mezzo della sua Croce: “Io quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Jn 12,32). L’“innalzamento” sulla Croce è il particolare segno e il definitivo annuncio dell’altro “innalzamento”, che avverrà tramite l’Ascensione al cielo. Il Vangelo di Giovanni vede questa “esaltazione” del Redentore già sul Golgota. La Croce è l’inizio dell’Ascensione al cielo.

5. Ritroviamo la stessa verità nella lettera agli Ebrei, dove si legge che Gesù Cristo, l’unico sacerdote della nuova ed eterna alleanza, “non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo . . . ma nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi ora al cospetto di Dio in nostro favore” (He 9,24). Ed entrò “con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna”: “entrò una volta per sempre” (He 9,12). Entrò come Figlio “che è irradiazione della gloria (del Padre) e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si è assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli” (He 1,3).

Questo testo della lettera agli Ebrei e quello del colloquio con Nicodemo (Jn 3,13), coincidono nel contenuto sostanziale, ossia nell’affermazione del valore redentivo dell’Ascensione al cielo al culmine dell’economia della salvezza, in connessione col principio fondamentale già posto da Gesù: “Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo” (Jn 3,13).

6. Altre parole di Gesù, pronunciate nel Cenacolo, si riferiscono alla sua morte, ma in prospettiva dell’Ascensione: “Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma . . . dove vado io voi (ora) non potete venire” (Jn 13,33). In seguito però egli dice: “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto” (Jn 14,2).

È un discorso rivolto agli apostoli, ma che va esteso ben al di là della loro cerchia. Gesù Cristo va dal Padre - alla casa del Padre - per “introdurvi” gli uomini, i quali senza di lui non vi potrebbero “entrare”. Solo lui può aprirne l’accesso a tutti: lui che “è disceso dal cielo” (Jn 3,13), che è “uscito dal Padre” (Jn 16,28) e ora ritorna al Padre “con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna” (He 9,12). Egli stesso afferma: “Io sono la via . . . Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Jn 14,6).

7. Per questa ragione Gesù aggiunge pure, la stessa sera della vigilia della Passione: “È bene per voi che io me ne vada”. Sì. È bene, è necessario, è indispensabile dal punto di vista dell’eterna economia salvifica. Gesù lo spiega fino in fondo agli apostoli: “È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Jn 16,7). Sì. Cristo deve porre termine alla sua presenza terrena, alla visibile presenza terrena, alla visibile presenza del Figlio di Dio fatto uomo nel mondo, perché egli possa rimanere in modo invisibile, in forza dello Spirito di verità, del consolatore paraclito. E dunque promette ripetutamente: “Vado e tornerò a voi” (Jn 14,1-3 Jn 14,28).

Qui ci troviamo dinanzi a un duplice mistero: quello della eterna disposizione o predestinazione divina, che fissa i modi, i tempi, i ritmi della storia della salvezza con un disegno mirabile, ma per noi insondabile; e quello della presenza di Cristo nel mondo umano mediante lo Spirito Santo, santificatore e vivificante: come l’umanità del Figlio agisca mediante lo Spirito Santo nelle anime e nella Chiesa - verità chiaramente insegnata da Gesù - rimane avvolto nella caligine transluminosa del mistero trinitario e cristologico, e richiede il nostro umile e sapiente atto di fede.

8. L’invisibile presenza di Cristo si attua nella Chiesa anche in modo sacramentale. Al centro della Chiesa si trova l’Eucaristia. Quando Gesù per la prima volta ne annunziò l’istituzione, molti “si scandalizzarono” (cf. Jn 6,61) poiché parlava di “mangiare il suo Corpo e di bere il suo Sangue”. Ma fu allora che Gesù ribattè: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla” (Jn 6,62-63).

Gesù parla qui della sua Ascensione al cielo: quando il suo corpo terreno verrà messo a morte sulla Croce, si manifesterà lo Spirito “che dà la vita”. Cristo salirà al Padre, affinché venga lo Spirito. E, il giorno di Pasqua, lo Spirito glorificherà il corpo di Cristo nella Risurrezione. Il giorno della Pentecoste lo Spirito discenderà sugli apostoli e sulla Chiesa perché, rinnovando nell’Eucaristia il memoriale della morte di Cristo, possiamo partecipare alla nuova vita del suo corpo glorificato dallo Spirito - e in questo modo prepararci ad entrare nelle “dimore eterne”, dove il nostro Redentore ci ha preceduti per prepararci un posto nella “casa del Padre” (Jn 14,2).



Si è così rivolto ai numerosi gruppi di giovani studenti italiani

A voi, giovani studenti delle varie scuole di Roma e dell’Italia, rivolgo il mio saluto e il ringraziamento per questo incontro così significativo nel clima spirituale del tempo di Pasqua.

Sono lieto di vedervi, perché la vostra presenza vuol esprimere anche e soprattutto i sentimenti della vostra fede e della vostra adesione alla vita delle comunità cristiane, a cui appartenete.

Vi auguro di camminare sempre sulla strada del Cristo risorto e di aiutare gli altri vostri coetanei a conoscerlo e ad amarlo. Cristo è morto ed è risorto per tutti: ma, purtroppo, quanti sono ancora lontani dal suo sentiero! Questa è la preoccupazione della Chiesa e deve essere anche la vostra preoccupazione. Siate messaggeri della Buona Novella, siate testimoni della gioia di Cristo risorto. Date un senso cristiano a tutta la vostra vita ed a tutta la realtà umana, nella quale siete chiamati a vivere: al vostro studio, che avete ripreso dopo la pausa delle feste pasquali, alla vostra vita associativa ed a quella sportiva, di modo che possiate sempre diffondere la gioia pasquale che trabocca dal vostro cuore.

A tutti voi, cari giovani, ai vostri genitori ed educatori imparto di cuore la mia Benedizione.



A diversi gruppi di visitatori provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

DILETTISSIME SUORE, studentesse e pellegrini provenienti da varie località del Giappone, due giorni fa abbiamo celebrato la solennità della Annunciazione del Signore. Vi invito a dire sempre il vostro “Fiat!” alla volontà di Dio, seguendo l’esempio della Madonna. Con questo auspicio, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ad alcuni giovani ungheresi

VORREI SALUTARE nella loro lingua 45 giovani cattolici ungheresi, presenti all’udienza odierna.


Ai fedeli italiani

Desidero ora rivolgere il mio cordiale benvenuto al gruppo corale “Esti Project”, proveniente dall’Estonia sovietica, il quale si esibirà in un canto religioso. Mi compiaccio vivamente, cari fratelli e sorelle, per la vostra visita e vi auguro che la vostra permanenza a Roma vi sia di grande soddisfazione. Vi esorto a continuare la vostra testimonianza cristiana nella vostra Patria.
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Saluto anche i partecipanti al “Symposium intercongregazionale Sacra Famiglia”, che riunisce i rappresentanti di una ventina di Istituti religiosi. Possa il vostro incontro alimentare negli animi l’amore ed il rispetto per i valori più alti dell’istituzione familiare.
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Anche a voi, Religiosi dell’Istituto Missioni Consolata, va ora il mio affettuoso saluto! Giunti da tutti i continenti, siete riuniti a Roma per riflettere sulle vostre rispettive responsabilità nei confronti dei grandi temi della giustizia e della pace. Vi auguro ogni buon esito ai vostri lavori.
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Un pensiero rivolgo pure alle delegazioni delle città di Subiaco ed Ochsenhausen, che in questi giorni, nel nome di San Benedetto da Norcia, hanno stipulato un patto di gemellaggio. Mi compiaccio per questa iniziativa, e mi auguro che essa possa dare un nuovo impulso alla spiritualità benedettina, che non cessa di dare il suo specifico contributo al progresso morale dei popoli europei ed anche extraeuropei.
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Saluto di cuore i gruppi delle scuole alberghiere di Gyöngyös in Ungheria, e quello di Soverato, in provincia di Catanzaro, da tempo uniti da un felice gemellaggio. Vi auguro di progredire nella vostra preparazione e di avere successo nel vostro futuro.
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Infine, una parola di plauso ai componenti la Compagnia del Teatro Stabile Dialettale ed il gruppo folkloristico “I Dragoni del Molise” di Agnone, in Diocesi di Trivento. So che vi apprestate a festeggiare la beatificazione del Vescovo Antonio Lucci; considero la vostra presenza qui come un’anticipazione di tale significativo avvenimento ecclesiale. Vi esprimo il mio compiacimento per la vostra attività artistica augurandovi ogni successo.

A tutti imparto la mia Benedizione.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Mi rivolgo ora ai giovani, ai malati, alle coppie degli sposi novelli presenti a questa Udienza.

Carissimi, il cammino iniziato con la Domenica di Pasqua ci insegna che, seguendo il Redentore, sulla via della carità, accettando di condividere con lui la fatica ed il peso della Croce, noi possiamo raccogliere la pienezza del suo dono, lo Spirito Santo, datore di ogni bene, perfezionatore delle nostre anime.

In questi giorni, dunque, che segnano per la Chiesa un momento forte di riflessione e di preghiera in attesa della Pentecoste, sappiate rafforzare la vostra fede, offrendo a Cristo l’impegno della vostra giovinezza, la croce della vostra sofferenza, il proposito di una nuova famiglia santificata dal Signore.

A tutti la mia Benedizione Apostolica.

Ai Paesi amici del Libano il Papa chiede di favorire anzitutto “una solida e durevole tregua”. Alle forze non libanesi presenti nel territorio nazionale chiede che si astengano dal fomentare la lotta. Facendosi interprete di tutti i figli dello sventurato Paese martoriato da anni da una guerra che in questi ultimi giorni sta infuriando con rinnovata carica distruttrice, il Santo Padre ancora una volta leva il suo appello alla pacificazione, oggi, nel corso della settimanale udienza generale.
Queste le parole del Papa.

È qui con noi un numeroso gruppo di Libanesi, che saluto con particolare affetto.

La loro presenza richiama alla memoria l’intero popolo del Libano, che da tre settimane sta vivendo un’ulteriore tragica esperienza di violenza distruttrice. I terribili bombardamenti, che ancora in questi giorni hanno colpito soprattutto la capitale e importanti centri vitali del Paese, hanno causato numerose vittime e reso molto difficili i soccorsi. La popolazione inerme rischia di essere privata dei fondamentali generi di sopravvivenza. Sono notizie che destano grande pena e profonda preoccupazione.

Desidero fare mio l’appello di questi e di tutti i figli del Libano che, insieme con la pace, invocano un aiuto concreto per mettere fine a questa grave prova e per salvare il loro Paese dai pericoli che ne minacciano l’indipendenza e la stessa esistenza.

Invito caldamente i paesi amici del Libano e difensori dei diritti fondamentali dei popoli, in particolare i paesi vicini del Libano ad accogliere questo appello e a favorire innanzitutto una solida e durevole tregua.

Mi auguro anche che le forze non libanesi presenti nel territorio nazionale si astengano dal fomentare la lotta e prendano quelle decisioni che possono invece avviare verso la riconciliazione e l’intesa nazionale.

Preghiamo perché il Signore conceda conforto alle persone e alle famiglie che piangono la perdita dei loro cari.

Preghiamo perché il Signore illumini tutti coloro che sono interessati alla vicenda del Libano e faccia prevalere la buona volontà e lo spirito di responsabilità.

La Vergine santa sostenga i Libanesi e sorregga tutti gli sforzi diretti a restituire ad essi la pace e a mantenere la loro Patria nella libertà e nella dignità.







Catechesi 79-2005 15389