Catechesi 79-2005 15051
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1. Desidero esprimere la mia gratitudine alla misericordiosa Provvidenza divina, perché nel giorno del 13 maggio mi è stato dato di stare con l’immensa moltitudine dei pellegrini nel Santuario della Madre di Dio, a Fatima. Questa grande assemblea annuale di pellegrini è in relazione alle apparizioni che sono avvenute in quel luogo nel 1917. Il pellegrinaggio di quest’anno ha avuto uno scopo particolare: ringraziare per la salvezza della vita del Papa, il 13 maggio 1981, esattamente, quindi, dieci anni fa. Tutto questo decennio lo considero come dono gratuito fatto a me in modo speciale dalla Divina Provvidenza; per questo mi è stato dato particolarmente come compito, affinché io possa servire ancora la Chiesa, esercitando il ministero di Pietro. “Misericordiae Domini, quia non sumus consumpti” (Lm 3,22).
Il messaggio di Maria da Fatima si può sintetizzare in queste prime e chiare parole di Cristo: “Il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). Gli avvenimenti che si sono compiuti durante questo decennio sul nostro Continente europeo, particolarmente nell’Europa Centrale ed Orientale, permettono di dare nuova attualità a questa chiamata evangelica alle soglie del Terzo Millennio. Questi avvenimenti costringono anche a pensare in modo particolare a Fatima. Il cuore della Madre di Dio è il cuore della Madre che si prende cura non soltanto degli uomini, ma anche di interi popoli e di nazioni. Questo cuore è totalmente dedicato alla missione salvifica del Figlio: del Cristo Redentore del mondo, Redentore dell’uomo.
2. Desidero esprimere una cordiale gratitudine per l’invito a visitare il Portogallo proprio in questi giorni. Questa mia gratitudine la rivolgo ai miei fratelli nell’Episcopato portoghese con il Cardinale-Patriarca di Lisbona. La rivolgo, al tempo stesso, al Signor Presidente della Repubblica ed a tutte le Autorità statali e locali. Ringrazio per la così cordiale ospitalità, che ho sperimentato dappertutto sul cammino del mio pellegrinaggio. Ringrazio per la preparazione delle Cerimonie liturgiche e per la partecipazione, piena di fede, nel servizio sacramentale, per la Parola di Dio accolta con apertura di intelletto e di cuore. Mi riferisco con questo ai Sacerdoti e alle Famiglie religiose maschili e femminili. Mi riferisco a tutte le generazioni, dagli uomini più anziani ai bambini (proprio a dei bambini è stato affidato il messaggio di Fatima nel 1917). Mi riferisco, inoltre, ai malati e ai sani, ai coniugi, alle famiglie e alla gioventù. Che Dio vi ricompensi! Il Portogallo, situato sul limite occidentale del Continente europeo, ha una lunga e ricca storia. 500 anni fa i portoghesi furono tra i primi pionieri delle scoperte geografiche, che hanno cambiato il corso della storia sulla terra. Insieme con questo si sono aperti anche nuovi campi per l’evangelizzazione. Si è scoperta “molta messe” (cf. Mt 9,38) e si sono trovati “gli operai” che “il padrone manda nella sua messe”. Se non è possibile menzionare tutto, bisogna, per lo meno, ricordare la prima evangelizzazione dell’Angola, nell’Africa, e anche del Brasile, nel Sud America proprio cinque secoli fa.
3. Per questa ragione, quindi, il mio pellegrinaggio è cominciato col Sacrificio della Santa Messa, celebrata a Lisbona, nella capitale, come ringraziamento per i 500 anni della partecipazione del Portogallo alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Questo ringraziamento è, nello stesso tempo, chiamata e preghiera ardente per la nuova evangelizzazione. Quella, cioè, che i nostri tempi aspettano. Quella di cui parla, in modo così convincente, la recente Enciclica Redemptoris missio.
In relazione a questo, il cammino da Lisbona mi ha condotto verso le Isole portoghesi: esse costituivano come un primo scalo di quella epopea missionaria che cinquecento anni fa è nata sul suolo della Chiesa nell’antica Lusitania: prima l’Arcipelago delle Azzorre e, poi, Madeira - in mezzo all’Oceano Atlantico. In entrambi i luoghi la Chiesa vive radicata da secoli, unita attorno ai suoi Vescovi: la diocesi di Angra, nelle Azzorre, e la diocesi di Funchal di Madeira. Sono stato ospite dei Pastori e delle Comunità ecclesiali piene di vita, nel periodo della preparazione alla Pentecoste, quando la missione degli Apostoli e la vitalità, che la Chiesa riceve continuamente dalla venuta del Consolatore - lo Spirito di Verità -, rinasce in modo speciale.
È difficile ricordare tutti i particolari. Si è iscritta profondamente nel mio cuore la celebrazione della Parola in onore dell’“Ecce Homo” (Santo Cristo) a Ponta Delgada nelle Azzorre. Poi l’Isola di Madeira, con la splendida configurazione del terreno e il clima mite, è il luogo che ospita numerosi visitatori dell’Europa del Nord, specialmente anziani. La chiesa cattedrale, in stile gotico, costruita tra la fine del secolo XV e l’inizio del XVI, dà la testimonianza del grande passato missionario di questa sede vescovile, che divenne la madre di diverse Chiese del Nuovo Mondo (in particolare in terra brasiliana).
4. Tornando ancora una volta a Fatima, che costituiva l’ultima fase della visita in terra portoghese, è difficile resistere all’eloquenza della fede e all’affidamento di quella folla di un milione di persone che si è riunita la sera per la veglia, e, il giorno seguente, 13 maggio, ha riempito, ancor più, la spianata del Santuario durante la concelebrazione eucaristica. Oltre ai Pastori della Chiesa del Portogallo, era presente quasi tutto l’Episcopato dell’Angola, e anche tanti altri Cardinali e Vescovi, che sono venuti da diversi Paesi dell’Europa e da diversi Continenti.
In mezzo a questa grande comunità in preghiera abbiamo sentito in modo particolare “le grandi opere di Dio” (cf. Ac 2,11), che la Provvidenza iscrive nella storia dell’uomo, servendosi dell’umile “Serva del Signore” (cf. Lc 1,38). Ella, tuttavia, affida il suo messaggio evangelico e, al tempo stesso, materno molto volentieri alle anime semplici e pure: a tre poveri bambini. Ciò ha avuto luogo proprio a Fatima. Cosa che, prima, era accaduta a Lourdes: “perché di questi è il regno dei Cieli” (Mt 19,14), secondo le parole del Signore. Come non rimanere stupiti?
Quest’anno l’esperienza di Fatima, iniziando dal ringraziamento, ha assunto, contemporaneamente, la forma della supplica ardente. Perché le lancette, che sull’orologio dei secoli si spostano verso l’anno duemila, mostrano non soltanto i provvidenziali mutamenti nella storia di intere nazioni, ma anche le nuove e vecchie minacce. Basti ricordare quello che alcune settimane fa è stato trattato nel Concistoro Straordinario dei Cardinali a Roma.
Nella Liturgia di Fatima il libro dell’Apocalisse ci mostra non soltanto “una donna vestita di sole” (cf. Ap 12,1), ma, in pari tempo, la stessa “donna”, la quale condivide tutte le minacce mortali contro i suoi figli, che essa partorisce nel dolore. Perché la Madre di Dio è, come ha ricordato l’ultimo Concilio, il tipo della Chiesa-Madre.
5. Madre della Chiesa, il tuo servo sulla sede di Pietro Ti ringrazia per ogni bene che, nonostante tante minacce, trasforma la faccia della terra. Ti ringrazia anche per tutti questi anni del “ministerium petrinum”, durante i quali hai voluto essere di aiuto con la tua intercessione presso Cristo, l’unico ed eterno Pastore della storia dell’uomo.
A Lui la gloria nei secoli!
Ai fedeli
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Ai fedeli giapponesi
Sia lodato Gesù Cristo!
Dilettissimi fedeli della parrocchia di Kokura, nella diocesi di Fukuoka, siamo nel mese dedicato alla Madonna. Vi esorto a recitare ogni giorno il Rosario, chiedendo alla Vergine Maria la grazia di poterla imitare.
Affidandovi alla Madre di Dio e nostra, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.
Sia lodato Gesù Cristo!
Ai pellegrini di lingua spagnola...
Ai gruppi di lingua italiana
Saluto ora i numerosi gruppi di pellegrini di lingua italiana. Mi rivolgo in particolare ai Missionari e alle Missionarie appartenenti a diversi Istituti, i quali frequentano un corso di rinnovamento teologico-pastorale presso la Pontificia Università Urbaniana; saluto egualmente gli studenti dell’Associazione Nazionale Università della Terza Età, convenuti a Roma per una giornata di fraternità e di sincera amicizia. Vi auguro che da codesti incontri possiate trovare stimolo per un sempre maggiore impegno nella vostra vita spirituale e nella vostra benemerita attività missionaria. Il Signore benedica ogni vostra iniziativa tesa a fare della vostra esistenza un dono per gli altri.
Do inoltre un caloroso benvenuto ai giovani musulmani di diverse nazionalità, ospiti della “Domus Caritatis” della parrocchia della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, in Roma. La loro presenza mi è molto gradita e li ringrazio per il messaggio di pace e di solidarietà che mi hanno indirizzato.
Ai giovani, agli ammalati e alle coppie di sposi novelli
Desidero infine salutare, come di consueto, i giovani qui presenti, gli ammalati, che accolgo con affetto speciale, gli sposi che sono all’aurora della vita matrimoniale.
Carissimi,
consegno ciascuno di voi al Signore che ha l’autorità e la forza di farvi crescere nella fede e di donarvi tutto quello che ha promesso.
Gesù è necessario per la vostra vita, soltanto Lui sa comprendere le difficoltà, illuminare la vostra strada, rinnovare la vostra esistenza. Vi affido a Colui che, proclamando che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”, vi chiama ad essere realmente felici. A tutti imparto la mia Benedizione.
A lavoratori europei che celebrano il primo centenario della Rerum novarum .
Mentre imploro il dono dello Spirito Santo nell’imminenza della solennità di Pentecoste, saluto molto cordialmente i pellegrini e i visitatori di lingua tedesca. Il mio saluto particolare va ai partecipanti del Movimento Cattolico dei Lavoratori, provenienti da tutte le diocesi tedesche, così come dalla Repubblica austriaca e dal Granducato di Lussemburgo, i quali, in occasione del centenario della pubblicazione dell’Enciclica Rerum novarum sono giunti a Roma e hanno così manifestato la volontà di contribuire, attraverso la propria azione personale, all’edificazione di una civiltà della solidarietà e dell’amore
1. Nell'anima del cristiano c'è un nuovo amore, per il quale egli partecipa all'amore stesso di Dio: "L'amore di Dio - afferma San Paolo - è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato". E' un amore di natura divina, ben superiore perciò alle capacità connnaturali all'anima umana.
Nel linguaggio teologico esso prende il nome di carità. Quest'amore soprannaturale ha un ruolo fondamentale per la vita cristiana, come rileva per esempio San Tommaso, il quale sottolinea con chiarezza che la carità non solo è "la più nobile di tutte le virtù" (excellentissima omnium virtutum), ma è anche "la forma di tutte le virtù, poiché grazie ad essa i loro atti sono ordinati al debito ed ultimo fine". La carità è pertanto il valore centrale dell'uomo nuovo, "ricreato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera". Se si paragona la vita cristiana a un edificio in costruzione, è facile riconoscere nella fede il fondamento di tutte le virtù che lo compongono. E' la dottrina del Concilio di Trento, secondo il quale "la fede è l'inizio dell'umana salvezza, fondamento e radice di ogni giustificazione". Ma l'unione con Dio mediante la fede ha come scopo l'unione con Lui nell'amore di carità, amore divino partecipato all'anima umana come forza operante e unificatrice.
2. Nel comunicare il suo slancio vitale all'anima, lo Spirito Santo la rende atta ad osservare, in virtù della carità soprannaturale, il duplice comandamento dell'amore, dato da Gesù Cristo: per Dio e per il prossimo.
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore...". Lo Spirito Santo fa partecipe l'anima dello slancio filiale di Gesù verso il Padre, sicché - come dice San Paolo - "tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio". Fa amare il Padre come il Figlio lo ha amato, cioè con un amore filiale, che si manifesta nel grido "Abbà", ma si estende a tutto il comportamento di coloro che, nello Spirito, sono figli di Dio. Sotto l'influsso dello Spirito, tutta la vita diventa un omaggio al Padre, carico di riverenza e di amore filiale.
3. Dallo Spirito Santo deriva anche l'osservanza dell'altro comandamento: l'amore del prossimo. "Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati", comanda Gesù agli Apostoli e a tutti i suoi seguaci. In quelle parole: "Come io vi ho amati", vi è il nuovo valore dell'amore soprannaturale, che è partecipazione all'amore di Cristo per gli uomini, e quindi alla Carità eterna, nella quale ha la sua prima origine la virtù della carità. Come scrive San Tommaso d'Aquino, "l'essenza divina è per se stessa carità, come è sapienza e bontà. perciò, come si può dire che noi siamo buoni della bontà che è Dio, e sapienti della sapienza che è Dio, perché la bontà che ci rende formalmente buoni è la bontà di Dio, e la sapienza che ci rende formalmente sapienti è una partecipazione della divina sapienza; così la carità con la quale formalmente amiamo il prossimo è una partecipazione della carità divina". E tale partecipazione avviene ad opera dello Spirito Santo che ci rende così capaci di amare non solo Dio, ma anche il prossimo, come Gesù Cristo lo ha amato. Si, anche il prossimo: perché, essendo l'amore di Dio riversato nei nostri cuori, per esso possiamo amare gli uomini e anche, in qualche modo, le stesse creature irrazionali come le ama Dio.
4. L'esperienza storica ci dice quanto sia difficile l'attuazione concreta di questo precetto. E tuttavia esso è al centro dell'etica cristiana, come un dono che viene dallo Spirito e che bisogna chiedere a Lui. Lo ribadisce San Paolo, che nella Lettera ai Galati li esorta a vivere nella libertà data dalla nuova legge dell'amore, "purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri". "Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso". E dopo aver raccomandato: "Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne", segnala l'amore di carità (agape) come primo "frutto dello Spirito Santo". E' dunque lo Spirito Santo che ci fa camminare nell'amore e ci rende capaci di superare tutti gli ostacoli alla carità.
5. Nella prima Lettera ai Corinzi San Paolo sembra voler indugiare nell'elenco e nella descrizione delle doti della carità verso il prossimo. Infatti, dopo aver raccomandato di aspirare ai "carismi più grandi", fa l'elogio della carità, come di qualcosa di ben superiore a tutti i doni straordinari che può concedere lo Spirito Santo, e di più fondamentale per la vita cristiana. Sgorga così dalla sua bocca e dal suo cuore l'Inno alla carità, che si può considerare un inno all'influsso dello Spirito Santo sul comportamento umano. In esso la carità si configura in una dimensione etica con caratteri di concretezza operativa: "La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta". Nell'elencare i "frutti dello Spirito", si direbbe che San Paolo, correlativamente all'Inno, voglia indicare alcuni atteggiamenti essenziali della carità. Tra questi: 1) la "pazienza", innanzitutto. Si potrebbe osservare che lo Spirito dà lui stesso l'esempio della pazienza verso i peccatori e il loro difettoso comportamento, come nei Vangeli si legge di Gesù, che veniva chiamato "amico dei pubblicani e dei peccatori". E' un riflesso della stessa carità di Dio, osserva San Tommaso, "che usa misericordia per amore, perché ci ama come qualcosa di se stesso".
2) Frutto dello Spirito è, poi, la "benevolenza". E' anch'essa un riflesso della divina benevolenza verso gli altri, visti e trattati con simpatia e comprensione.
3) C'è poi la "bontà". Si tratta di un amore disposto a dare generosamente, come quello dello Spirito Santo che moltiplica i suoi doni e partecipa ai credenti la carità del Padre.
4) Infine la "mitezza". Lo Spirito Santo aiuta i cristiani a riprodurre le disposizioni del "cuore mite e umile" di Cristo, e ad attuare la beatitudine della mitezza da lui proclamata.
6. Con l'enumerazione delle "opere della carne", San Paolo chiarisce le esigenze della carità, da cui derivano doveri ben concreti, in opposizione alle tendenze dell'homo animalis, cioè vittima delle sue passioni. In particolare: evitare gelosie e invidie, volendo il bene del prossimo; evitare inimicizie, dissensi, divisioni, contese, promuovendo tutto ciò che conduce all'unità. A ciò allude il versetto dell'Inno paolino, secondo il quale la carità "non tiene conto del male ricevuto". Lo Spirito Santo ispira la generosità del perdono per le offese ricevute e i danni subiti, e ne rende capaci i fedeli, ai quali, come Spirito di luce e di amore, fa scoprire le esigenze illimitate della carità.
7. La storia conferma la verità di quanto esposto: la carità risplende nella vita dei santi e della Chiesa, dal giorno della Pentecoste ad oggi. Tutti i santi, tutte le epoche della Chiesa portano i segni della carità e dello Spirito Santo.
Si direbbe che in alcuni periodi storici la carità, sotto l'ispirazione e la guida dello Spirito, ha preso forme particolarmente caratterizzate dall'azione soccorritrice e organizzatrice degli aiuti per vincere la fame, le malattie, le epidemie di tipo antico e nuovo. Si sono avuti così i "Santi della carità", come sono stati denominati specialmente nell'Ottocento e nel nostro secolo. Sono Vescovi, Presbiteri, Religiosi e Religiose, laici cristiani: tutti "diaconi" della carità. Molti sono stati glorificati dalla Chiesa; molti altri dai biografi e dagli storici, che riescono a vedere con i loro occhi o a scoprire nei documenti la verace grandezza di quei seguaci di Cristo e servi di Dio. E tuttavia i più restano in quell'anonimato della carità che riempie di bene il mondo, continuamente ed efficacemente. Sia gloria anche a questi ignoti militi, a queste silenziose testimoni della carità! Dio li conosce, Dio li glorifica veramente! Noi dobbiamo essere loro grati, anche perché sono la riprova storica dell'"amore di Dio riversato nei cuori umani" dallo Spirito Santo, primo artefice e principio vitale dell'amore cristiano.
1. La pace è il grande desiderio dell'umanità nel nostro tempo. Lo è in due forme principali: l'esclusione della guerra come mezzo di soluzione delle contese tra i popoli - o tra gli Stati - e il superamento dei conflitti sociali mediante la realizzazione della giustizia. Come negare che già la diffusione di questi sentimenti rappresenti un progresso della psicologia sociale, della mentalità politica e della stessa organizzazione della convivenza nazionale e internazionale? La Chiesa, che - specialmente di fronte alle recenti, drammatiche esperienze - non fa che predicare e invocare la pace, non può non rallegrarsi quando costata le nuove acquisizioni del diritto, delle istituzioni sociali e politiche, e - più a fondo - della stessa coscienza umana circa la pace. Perdurano tuttavia, anche nel mondo d'oggi, conflittualità profonde, che sono all'origine di molte contese etniche e culturali, oltre che economiche e politiche. A essere realisti e leali, non si può non riconoscere la difficoltà, anzi la impossibilità di conservare la pace, senza un principio più alto, che agisca profondamente negli animi con forza divina.
2. Secondo la dottrina rivelata, questo principio è lo Spirito Santo, che comunica agli uomini la pace spirituale, la pace intima, la quale si espande come pace nella società. E' Gesù stesso che, parlando ai discepoli nel Cenacolo, annuncia la sua pace ("Vi do la mia pace"): pace comunicata ai discepoli col dono dello Spirito Santo, che stabilisce nei cuori tale pace. Nel testo di Giovanni, infatti, la promessa della pace segue la promessa della venuta del Paraclito. L'opera pacificatrice di Cristo si realizzerà per mezzo dello Spirito Santo, mandato per portare a pieno adempimento la missione del Salvatore.
3. E' da notare che la pace di Cristo viene annunciata e offerta con la remissione dei peccati, come si nota nelle parole di Gesù risorto ai discepoli: "Pace a voi... Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi".
Si tratta infatti della pace che è effetto del sacrificio redentore, consumato sulla Croce, che ha il suo compimento con la glorificazione di Cristo. Questa è la prima forma di pace di cui gli uomini hanno bisogno: la pace ottenuta col superamento dell'ostacolo del peccato. E' una pace che può venire solo da Dio, con la remissione dei peccati mediante il sacrificio di Cristo. Lo Spirito Santo, che attua nei singoli tale remissione, è per gli uomini principio operativo della pace fondamentale, quella della riconciliazione con Dio.
4. Secondo San Paolo la pace è un "frutto dello Spirito Santo", legato alla carità: "Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace...". Esso è contrapposto alle opere della carne, tra le quali - secondo l'Apostolo - vi sono "inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie...". Si tratta di un insieme di ostacoli prima di tutto interiori, che impediscono la pace dell'anima e la pace sociale. Proprio perché trasforma le intime disposizioni, lo Spirito Santo suscita un atteggiamento fondamentale di pace anche nel mondo. Paolo dice di Cristo che "è la nostra pace", e spiega che Cristo ha fatto la pace, riconciliando tutti gli uomini con Dio per mezzo del suo sacrificio, dal quale è nato un solo Uomo nuovo, sulle ceneri delle divisioni e inimicizie fra gli uomini. Ma l'Apostolo stesso aggiunge che questa pace si realizza nello Spirito Santo: "Per mezzo di Cristo possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito". E' sempre l'unica vera pace di Cristo, ma viene infusa e vissuta nei cuori sotto l'impulso dello Spirito Santo.
5. Nella Lettera ai Filippesi l'Apostolo parla della pace come di un dono concesso a coloro che, pur tra le angustie della vita, si rivolgono a Dio "con preghiere, suppliche e ringraziamenti...", ed assicura: "La pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori ed i vostri pensieri in Cristo Gesù". La vita dei Santi è una testimonianza e una riprova di questa origine divina della pace. Essi ci appaiono intimamente sereni in mezzo alle prove più dolorose e alle tempeste che sembrano travolgerli. Qualcosa - e anzi Qualcuno - è presente e agisce in loro per proteggerli non solo dai flutti delle vicende esterne, ma dalla loro stessa debolezza e paura. E' lo Spirito Santo, autore di quella pace, che è frutto della carità da lui infusa nei cuori.
6. Secondo San Paolo, infatti, "il regno di Dio... è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo". L'Apostolo formula questo principio quando ammonisce i cristiani a non giudicare malevolmente i più deboli tra loro, che non riuscivano a liberarsi da certe imposizioni di pratiche ascetiche, fondate su una falsa idea di purità, come il divieto di mangiare carne e bere vino, in uso presso taluni pagani (come i pitagorici) e taluni giudei (come gli esseni). Paolo invita a seguire la regola di una coscienza illuminata e certa, ma soprattutto l'ispirazione della carità, che deve regolare la condotta dei forti: "Nulla è immondo in se stesso. Ora, se per il tuo cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità.
Guardati perciò dal rovinare con il tuo cibo uno per il quale Cristo è morto! ...". Paolo dunque raccomanda di non creare disturbi nella comunità, di non suscitare conflitti, di non scandalizzare gli altri: "Diamoci... alle opere di pace e all'edificazione vicendevole", egli esorta. Ognuno deve preoccuparsi di conservare l'armonia evitando di usare la libertà del cristiano in modo tendenzioso, che urti e danneggi il prossimo. Il principio enunciato dall'Apostolo è questo: la carità deve regolare e disciplinare la libertà. Nel trattare di un problema particolare, Paolo enuncia il principio generale: "Il regno di Dio è pace nello Spirito Santo".
7. Nel cristiano ci dev'essere dunque l'impegno ad assecondare l'azione dello Spirito Santo, nutrendo nell'anima i "pensieri e desideri dello Spirito, che portano alla vita e alla pace". Di qui le ripetute esortazioni dell'Apostolo ai fedeli, a "conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace", a comportarsi "con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza... sopportandosi a vicenda con amore", ad abbandonare sempre più i "desideri della carne in rivolta contro Dio", e in conflitto con quelli dello Spirito che "portano alla pace". Solo se uniti nel "vincolo della pace", i cristiani si dimostrano "uniti nello Spirito", e veri seguaci di Colui che è venuto nel mondo per portare la pace. L'augurio dell'Apostolo è che ricevano da Dio il grande dono, che è un elemento essenziale della vita nello Spirito: "Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede... per la virtù dello Spirito Santo".
8. A conclusione di questa catechesi, voglio augurare anch'io a tutti i cristiani, a tutti gli uomini, la pace nello Spirito Santo. E ricordare ancora una volta che, secondo l'insegnamento di Paolo e la testimonianza delle anime sante, lo Spirito Santo fa riconoscere le sue ispirazioni mediante la pace intima che esse portano nel cuore. I suggerimenti dello Spirito Santo vanno nel senso della pace, non in quello del turbamento, della discordia, del dissenso e dell'ostilità nei confronti del bene. Si può anche avere una legittima diversità di opinioni su punti particolari e sui mezzi per raggiungere un fine comune: ma la carità, partecipazione dello Spirito Santo, spinge alla concordia e all'unione profonda nel bene voluto dal Signore. San Paolo è categorico: "Dio non è un Dio di disordine, ma di pace". Ciò vale, ovviamente, per la pace degli animi e dei cuori all'interno delle comunità cristiane. Ma quando lo Spirito Santo regna nei cuori, egli stimola a fare tutti gli sforzi per stabilire la pace nei rapporti con gli altri, a tutti i livelli: familiare, civico, sociale, politico, etnico, nazionale e internazionale. In particolare egli stimola i cristiani a un'opera di saggia mediazione per la riconciliazione tra le genti in conflitto e per l'adozione del dialogo, come mezzo da impiegare contro le tentazioni e le minacce della guerra.
Preghiamo perché i cristiani, la Chiesa, e tutti gli uomini di buona volontà si impegnino sempre più nella fedele obbedienza allo Spirito della pace!
Annunciato per il 28 Giugno un Concistoro unico
Ho ora la gioia di annunziare che, il prossimo 28 giugno, vigilia della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, avrà luogo un Concistoro, nel quale nominero 22 nuovi Cardinali. Nel medesimo Concistoro, inoltre, pubblichero la nomina cardinalizia, riservata "in pectore" nel Concistoro del 30 giugno 1979, di S. E. Rev. ma Monsignor Ignatius Gong Pin-mei, Vescovo di Shanghai. Nella lista dei nomi, carissimi fratelli e sorelle, si rispecchia in modo eloquente l'universalità della Chiesa: tra i nuovi Cardinali, infatti, vi sono Presuli di ogni continente, benemeriti nel servizio alla Sede Apostolica o nel ministero pastorale. Qualcuno ha pagato con un alto prezzo di sofferenza la propria fedeltà a Dio e alla Chiesa in momenti e condizioni difficili. Altre degnissime persone avrebbero meritato di essere elevate alla dignità cardinalizia: penso a tanti fedeli servitori della Santa Sede, a tanti venerati Pastori di chiese particolari sparse per il mondo, ed ad altre eminenti personalità ecclesiastiche. Il limite numerico, stabilito da Papa Paolo VI nella Costituzione Apostolica "De Summo Pontifice Eligendo" e che ritengo opportuno mantenere, non consente di concedere loro in questa circostanza quel riconoscimento che mi auguro possa essere dato in altra occasione.
Dalla Polonia un richiamo alla "novità della vita"
1. "Rendete grazie a Dio... Non spegnete lo Spirito". Desidero oggi, seguendo questa frase-guida, rendere umile rin graziamento alla Provvidenza divina per il pellegrinaggio in Polonia dal 1 al 9 giugno. Conforme all'idea dell'Episcopato, questo è stato, prima di tutto, il "pellegrinaggio di ringraziamento". Gli avvenimenti degli ultimi anni - particolarmente quelli dell'anno 1989 (50 anni dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, che inizio dall'invasione hitleriana e nello stesso tempo staliniana della Polonia) - sono diventati l'inizio di una situazione nuova. L'anno 1989 rimane una data importante non soltanto per la mia Patria, ma anche per l'intera Europa, in particolare per i Paesi dell'Europa centrale ed orientale. Ringrazio quindi per l'invito sia l'Episcopato con il Primate della Polonia, quale Presidente della Conferenza Episcopale, come anche le Autorità statali, il Presidente della Repubblica, il Governo e ambedue le Camere del Parlamento (la Dieta e il Senato).
Il percorso del pellegrinaggio nel segno del ringraziamento e del rinnovamento
2. Tutto il percorso di questo pellegrinaggio ha tenuto conto del ringraziamento: "Rendete grazie a Dio" e, simultaneamente, del rinnovamento della vita nella società mediante il servizio della Chiesa. L'itinerario conduceva da Koszalin-Koobrzeg al Mar Baltico, verso le regioni sud-est del Paese: Rzeszow-Przemysäl-Lubaczow, e poi al centro della Polonia meridionale: Kielce-Sandomierz/Radom, e di nuovo al nord-est: lomz§a-Biaystok-Olsztyn (Warmia) per dirigersi attraverso le antiche città e le sedi vescovili, situate nei pressi della Vistola: Wocawek e Pock, verso Varsavia, capitale del Paese. Durante questo pellegrinaggio ho potuto elevare alla gloria degli altari i tre nuovi Beati: a Rzeszow Giuseppe Sebastiano Pelczar, Vescovo della diocesi di Przemysal; a Biaystok la religiosa Bolesawa Lament, che si è distinta nel campo caritativo ed ecumenico, e a Varsavia il francescano conventuale Raffaele Chylinäski, grande padre dei poveri e dei malati. Durante questo pellegrinaggio il Papa ha potuto incontrare, per la prima volta, le Chiese situate lungo la frontiera orientale della Repubblica, il che ha reso possibile pure la partecipazione di molti gruppi dall'estero: dall'Ucraina, Bielorussia, ed anche dalla Lituania, e perfino dalle regioni ancora più distanti, all'Est. Occorre anche ringraziare Dio per la partecipazione dei Vescovi di tali Paesi (fino a Kasakhstan: i Vescovi da Caraganda e da Mosca), come dei Cardinali e dei Vescovi dell'Europa: austriaci, tedeschi, italiani, spagnoli e francesi, dei Vescovi cechi e slovacchi, ungheresi e rumeni. Ma anche dall'Africa (Costa d'Avorio) e dagli Stati Uniti: il pellegrinaggio ha avuto una dimensione europea nel senso in cui l'Europa si è aperta anche mediante gli avvenimenti degli ultimi anni.
Occorre ringraziare Dio per gli incontri tra le Nazioni
3. "Rendete grazie a Dio": occorre ringraziare Dio per gli incontri tra le Nazioni: il che è stato messo in rilievo particolarmente a lomz§a nei riguardi dei Lituani, ed anche a Przemysäl e Lubaczow nei riguardi degli Ucraini, e a Biaystok nei confronti dei Bielorussi. A Przemysäl, con la presenza del Cardinale Lubachivsky e dei Vescovi del rito bizantino-ucraino, è stata confermata la rinascita dell'eparchia di Przemysäl di tale rito in Polonia con l'istituzione della propria Cattedrale vescovile. Le Diocesi e le Cattedrali sono state istituite anche a Biaystok e Drohiczyn in relazione alla rinascita della gerarchia dall'altra parte delle frontiere a Vilno e a Pinäsk.
La dimensione ecumenica della visita pastorale
4. Occorre sottolineare, nello stesso tempo, la dimensione ecumenica del pellegrinaggio: la comune preghiera nella Cattedrale ortodossa di San Nicola a Biaystok, l'incontro con il Consiglio Ecumenico Polacco e la comune preghiera nel noto tempio luterano, dedicato alla Santissima Trinità a Varsavia. Infine l'incontro nella Nunziatura con i rappresentanti degli Ebrei polacchi, ai quali la Polonia è unita, con legami plurisecolari, dalla convivenza nella stessa terra e, dai tempi dell'ultima guerra, con la tragedia dell'olocausto causato dal programma razzista del totalitarismo di Hitler. L'incontro del Papa con gli Ebrei sulla terra polacca è sempre particolarmente cordiale poiché fa venire alla memoria e rinnova anche i legami personali del periodo dell'età giovanile e dei difficili anni dell'occupazione.
La Costituzione del 1791 diventa di nuovo il punto di riferimento per la Terza Repubblica
5. "Rendete grazie a Dio... Non spegnete lo Spirito". Il pellegrinaggio in Polonia si è tenuto durante il 200 anniversario della Costituzione del 3 Maggio (1791), che fu un grande atto di saggezza e di responsabilità politica. Nonostante fosse venuto troppo tardi e non abbia potuto evitare la tragedia della spartizione della Polonia, tale atto divenne tuttavia per le future generazioni come una testimonianza della sovranità della società e la bussola, che indicava la direzione verso la riconquista dell'indipendenza. Indipendenza avvenuta in conseguenza della prima guerra mondiale nel 1918. Da questo punto di vista è stato significativo l'incontro nel Castello Reale e il "Te Deum" nella Cattedrale di Varsavia, dedicata a San Giovanni Battista, come era avvenuto 200 anni fa. La venerabile Costituzione diventa di nuovo il punto di riferimento per la III Repubblica, data la costruzione della struttura portante istituzionale e legale della nuova società. L'opera di "Solidarnosch" è stata quella di trarre fuori la società dalle limitazioni totalitarie del sistema imposto alla Nazione contro la sua volontà, in conseguenza del patto unilaterale di Yalta dopo il 1945. E' necessario che su questo terreno così preparato sia costruito lo Stato pienamente sovrano e giusto. La frase-guida "Non spegnete lo Spirito" in questo contesto diventa particolarmente attuale. Seguendola ho accentrato il mio insegnamento in Polonia fondandolo sul Decalogo e sul Comandamento evangelico dell'amore. Sembra che questa sia la via più giusta verso la ricostruzione in base agli stessi principii sui quali si può proseguire in modo corretto la ricostruzione della vita degli uomini e della Nazione legata da mille anni al Cristianesimo. L'insegnamento del Concilio Vaticano II facilita l'attualizzazione di questo compito: l'intero programma dei diritti dell'uomo, cominciando dal diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa e dal diritto alla vita. così, la difesa del bambino non nato trova le basi nella legge naturale, confermata dal Decalogo e dal Vangelo.
Testimone della "novità della vita"
6. Sull'itinerario del mio pellegrinaggio sono stato testimone di molti fatti che dimostrano "la novità della vita". Per la prima volta in terra patria mi è stato dato di incontrarmi in comune preghiera con l'Esercito Polacco, che ha già il suo Vescovo castrense e i suoi Cappellani. Per la prima volta si è potuto anche trattare il tema per un incontro dell'insegnamento sistematico della religione (la catechesi) nella scuola. Una novità assoluta è stato l'incontro con il Corpo Diplomatico nella Nunziatura Apostolica a Varsavia, il primo nella storia dei miei pellegrinaggi in patria. Per la prima volta, inoltre, ho potuto visitare i detenuti nel carcere penitenziario. La Polizia ha mantenuto l'ordine in ogni luogo insieme con le altre forze guidate dalle Autorità ecclesiastiche. Bisogna qui sottolineare che sia l'Esercito che la Polizia hanno potuto manifestare palesemente la loro partecipazione alla liturgia accostandosi in divisa alla Comunione e prendendo parte alla processione della presentazione dei doni.
Ringrazio tutti i miei fratelli nell'Episcopato Polacco. Ringrazio tutti i sacerdoti - instancabili pastori - e le Famiglie Religiose maschili e femminili.
Ringrazio la folla immensa dei miei connazionali, che in tanti luoghi hanno accompagnato il mio pellegrinaggio con la preghiera. Ringrazio tutti i Movimenti e le Organizzazioni dell'apostolato dei laici; i rappresentanti del Governo e del Parlamento insieme con il Presidente della Repubblica. Tutti desideriamo rimanere uniti davanti ai comuni compiti e fedeli a questa, davvero, profetica chiamata: "Rendete grazie a Dio... Non spegnete lo Spirito".
Annunciata a tutta la chiesa la convocazione di un'"Assemblea speciale per il Libano del Sinodo dei vescovi"
Carissimi fratelli e sorelle, Vi invito ora ad unirvi a me e ai cari Patriarchi Cattolici del Liba no qui presenti per invocare dal Signore la Sua particolare assistenza su di una iniziativa che desidero oggi stesso annunciare a tutta la Chiesa: si tratta della prossima convocazione di un'"Assemblea Speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi". E' vivo desiderio che questo eccezionale avvenimento coinvolga tutta la Chiesa Cattolica: lo indica la forma stessa di Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi, prevista dal Motu Proprio "Apostolica Sollicitudo", con il quale il mio predecessore Paolo VI, di venerata memoria, il 15 settembre 1965, dava origine a questa nuova istituzione di comunione ecclesiale, presieduta dal Papa stesso. Si tratterà di un'Assemblea Speciale perché riguarda la Chiesa Cattolica di un determinato Paese, ma essa dovrà coinvolgere, anche se indirettamente, tutti i fedeli della Chiesa Universale. Sarà un Sinodo Pastorale, durante il quale le Chiese Cattoliche del Libano, davanti al Signore, si interrogheranno su se stesse, sulla loro fedeltà al Messaggio Evangelico e sul loro impegno a viverlo coerentemente. Tutta la Chiesa è invitata a vivere questa iniziativa con profondo spirito di solidarietà, invocando l'assistenza dello Spirito Santo sui Padri Sinodali, come anche sui Sacerdoti, Religiosi, Religiose e Laici libanesi, i quali affronteranno un periodo di profonda riflessione per il rinnovamento spirituale della loro comunità. Saranno soprattutto loro, i Pastori ed i fedeli cattolici del Libano, ad essere chiamati a preparare e a vivere intensamente questo particolare momento di grazia. Sarà un periodo che vedrà coinvolto ogni ambiente delle Chiese Cattoliche libanesi nella riscoperta delle radici della fede e nella ricerca del modo più autentico per testimoniarla in una società così profondamente sconvolta da 16 anni di guerra. A tale fine, faccio anche affidamento sull'aiuto dei fratelli delle altre Chiese Cristiane del Libano: in particolare, confido nella loro preghiera, ma anche in quei suggerimenti e apporti concreti di riflessione, ispirati dalla comune fede in Cristo. Insieme con i Vescovi, mi rivolgo pure ai libanesi di fede islamica, invitandoli ad apprezzare questo sforzo dei loro concittadini cattolici e a vedere in esso il desiderio di essere più vicini a loro, in una società di genuina convivenza e sincera collaborazione per la ricostruzione del Paese. Affido questa iniziativa alla Vergine Santissima, Nostra Signora del Libano e Madre del Buon Consiglio.
1. Abbiamo già più volte udito da San Paolo che "la gioia è frutto dello Spirito Santo", come lo sono l'amore e la pace, di cui abbiamo trattato nelle precedenti catechesi. E' chiaro che l'Apostolo parla della vera gioia, quella che colma il cuore umano, non certo di una gioia superficiale e transitoria, come è spesso quella mondana. Non è difficile, ad un osservatore che si muova anche solo sulla linea della psicologia e dell'esperienza, scoprire che il degrado, nel campo del piacere e dell'amore, è proporzionale al vuoto lasciato nell'uomo dalle fallaci e deludenti gioie cercate in quelle che San Paolo chiamava le "opere della carne": "Fornicazione, impurità, libertinaggio... ubriachezze, orge e cose del genere". A queste false gioie si possono aggiungere - e vi sono spesso collegate - quelle cercate nel possesso e nell'uso smodato della ricchezza, nel lusso, nell'ambizione del potere, insomma in quella passione e quasi frenesia dei beni terreni che facilmente produce cecità di mente, come avverte San Paolo, e lamenta Gesù.
2. Paolo si riferiva alla situazione del mondo pagano, per esortare i convertiti a guardarsi dalle nefandezze: "Voi non così avete imparato a conoscere Cristo, se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, per la quale dovete deporre l'uomo vecchio con la condotta di prima, l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera". E' la "nuova creatura", che è opera dello Spirito Santo, presente nell'anima e nella Chiesa. perciò l'Apostolo conclude così la sua esortazione alla buona condotta e alla pace: "Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno santo della redenzione". Se il cristiano "rattrista" lo Spirito Santo, vivente nell'anima, non può certo sperare di possedere la vera gioia, che viene da lui: "Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace...". Solo lo Spirito Santo dà la gioia profonda, piena e durevole, a cui aspira ogni cuore umano. L'uomo è un essere fatto per la gioia, non per la tristezza. Lo ha ricordato Paolo VI ai cristiani e a tutti gli uomini del nostro tempo con l'esortazione apostolica "Gaudete in Domino". E la gioia vera è dono dello Spirito Santo.
3. Nel testo della Lettera ai Galati Paolo ci ha detto che la gioia è legata alla carità. Essa non può quindi essere un'esperienza egoistica, frutto di un amore disordinato. La vera gioia include la giustizia del regno di Dio, del quale dice San Paolo che "è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo". Si tratta della giustizia evangelica, consistente nella conformità alla volontà di Dio, nell'obbedienza alle sue leggi, nella personale amicizia con Lui. Fuori di questa amicizia non c'è vera gioia. Anzi "la tristezza come male e vizio - spiega San Tommaso - è causata dall'amore disordinato di se stessi, il quale... è la radice generale dei vizi". Specialmente il peccato è fonte di tristezza, perché è una deviazione e quasi una distorsione dell'animo dal giusto ordine di Dio, che dà consistenza alla vita. Lo Spirito Santo, che opera nell'uomo la nuova giustizia nella carità, elimina la tristezza e dà la gioia: quella gioia che vediamo fiorire nel Vangelo.
4. Il Vangelo è un invito alla gioia e un'esperienza di gioia vera e profonda.
Così nell'Annunciazione, Maria viene invitata alla gioia: "Rallegrati (Khaire), piena di grazia". E' il coronamento di tutta una serie di inviti formulati dai profeti nell'Antico Testamento. La gioia di Maria si realizzerà con la venuta dello Spirito Santo, annunciata a Maria come motivo del "Rallègrati". Nella Visitazione, Elisabetta è piena di Spirito Santo e di gioia, nella partecipazione naturale e soprannaturale alla esultanza del figlio che è ancora nel suo seno: "Il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo". Elisabetta percepisce la gioia del figlio, e la manifesta, ma è lo Spirito Santo che, secondo l'evangelista, riempie ambedue di tale gioia. Maria, a sua volta proprio allora sente sgorgare dal cuore il canto di esultanza che esprime la gioia umile, limpida e profonda che la riempie quasi in attuazione del "Rallègrati" dell'Angelo: "Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore". Anche in queste parole di Maria echeggia la voce di gioia dei profeti, quale risuona nel Libro di Abacuc: "Io gioiro nel Signore, esultero in Dio mio salvatore". Un prolungamento di questa esultanza si ha durante la presentazione del bambino Gesù al Tempio, quando, all'incontro con lui, Simeone gioisce sotto l'impulso dello Spirito Santo che gli aveva fatto desiderare di vedere il Messia e lo aveva spinto a recarsi al Tempio; e a sua volta la profetessa Anna, così chiamata dall'evangelista, che pertanto la presenta come una donna consacrata a Dio e interprete dei suoi pensieri e comandi, secondo la tradizione d'Israele, esprime con la lode a Dio l'intima gioia che anche in lei ha origine dallo Spirito Santo.
5. Nelle pagine evangeliche riguardanti la vita pubblica di Gesù, leggiamo che, a un certo momento, egli stesso "esulto nello Spirito Santo". Gesù esprime gioia e gratitudine in una preghiera che celebra la benevolenza del Padre: "Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Si, Padre, perché così a te è piaciuto". In Gesù la gioia assume tutta la sua forza nello slancio verso il Padre. così è per le gioie stimolate e sostenute dallo Spirito Santo nella vita degli uomini: la loro carica di vitalità segreta li orienta nel senso di un amore pieno di gratitudine verso il Padre. Ogni vera gioia ha come ultimo termine il Padre. Ai discepoli Gesù rivolge l'invito a rallegrarsi, a vincere la tentazione della tristezza per la partenza del Maestro, perché questa partenza è condizione disposta nel disegno divino per la venuta dello Spirito Santo: "E' bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado non verrà a voi il Paraclito; ma quando me ne saro andato, ve lo mandero". Sarà il dono dello Spirito a procurare ai discepoli una gioia grande, anzi la pienezza della gioia, secondo l'intenzione espressa da Gesù. Il Salvatore, infatti, dopo aver invitato i discepoli a rimanere nel suo amore, aveva detto: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". E' lo Spirito Santo a mettere nel cuore dei discepoli la stessa gioia di Gesù, gioia della fedeltà all'amore che viene dal Padre. San Luca attesta che i discepoli, i quali al momento dell'Ascensione avevano ricevuto la promessa del dono dello Spirito Santo, "tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio". Negli Atti degli Apostoli risulta che, dopo la Pentecoste, si era creato negli Apostoli un clima di profonda gioia, che si comunicava alla comunità, in forma di esultanza e di entusiasmo nell'abbracciare la fede, nel ricevere il battesimo e nel vivere insieme, come dimostra quel "prendere i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo". Il libro degli Atti annota: "I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo".
6. Ben presto sarebbero venute le tribolazioni e persecuzioni predette da Gesù proprio nell'annunciare la venuta del Paraclito-Consolatore. Ma secondo gli Atti la gioia perdura anche nella prova: vi si legge infatti che gli Apostoli, tradotti davanti al Sinedrio, fustigati, ammoniti e rimandati a casa, se ne tornarono "lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù. E ogni giorno, nel tempio e a casa, non cessavano di insegnare e di portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo". Questa, del resto, è la condizione e la sorte dei cristiani, come ricorda San Paolo ai Tessalonicesi: "Voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione". I cristiani, secondo Paolo, ripetono in sé il mistero pasquale di Cristo, che ha come cardine la Croce. Ma il suo coronamento è la "gioia dello Spirito Santo" per coloro che perseverano nelle prove. E' la gioia delle beatitudini, e più particolarmente della beatitudine degli afflitti, e dei perseguitati. Non affermava forse l'apostolo Paolo: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi..."? E Pietro, per parte sua, esortava: "Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare". Preghiamo lo Spirito Santo perché accenda sempre più in noi il desiderio dei beni celesti e ce ne faccia godere un giorno la pienezza: "Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna". Amen.
1. Un dono di cui hanno bisogno gli uomini d'oggi, che si trovano particolarmente esposti agli assalti, alle insidie e alle seduzioni del mondo, è la fortezza: il dono, cioè, del coraggio e della costanza nella lotta contro lo spirito del male che cinge d'assedio chi vive sulla terra, per stornarlo dalla via del cielo.
Specialmente nelle ore della tentazione o della sofferenza, molti rischiano di vacillare e di cedere. Anche per i cristiani vi è sempre il rischio di questa caduta dall'altezza della loro vocazione, di questa deviazione dalla logica della grazia battesimale che è stata loro concessa come un germe di vita eterna. Proprio per questo ci è stato rivelato e promesso da Gesù lo Spirito Santo come confortatore e difensore. Da lui ci viene concesso il dono della fortezza soprannaturale, che è una partecipazione in noi della stessa potenza e saldezza dell'Essere divino.
2. Già nell'Antico Testamento troviamo molte testimonianze dell'azione dello Spirito divino che sosteneva i singoli personaggi, ma anche tutto il popolo, nelle difficili traversie della loro storia. Ma è soprattutto nel Nuovo Testamento che si rivela la potenza dello Spirito Santo e viene promessa ai credenti la sua presenza e azione in ogni lotta, fino alla vittoria finale. Ne abbiamo più volte parlato in precedenti catechesi. Qui mi limito a ricordare che nell'Annunciazione lo Spirito Santo è rivelato e concesso a Maria come "potenza dell'Altissimo", che dimostra che "nulla è impossibile a Dio". E nella Pentecoste, lo Spirito Santo, che manifesta la sua potenza col segno simbolico del vento impetuoso, comunica agli Apostoli e a quanti si trovano con loro in quello "stesso luogo" la nuova fortezza promessa da Gesù nel discorso d'addio e poco prima dell'Ascensione: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi...".
3. Si tratta di una forza interiore, radicata nell'amore, della quale San Paolo scrive ai fedeli di Efeso: il Padre "vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore".
Paolo prega il Padre di dare ai destinatari della sua lettera questa forza superiore, che la tradizione cristiana annovera tra i "doni dello Spirito Santo", in derivazione dal testo di Isaia che li elenca come proprietà del Messia. Lo Spirito Santo comunica ai seguaci di Cristo, tra i doni di cui è colma la sua anima santissima, anche la fortezza di cui egli fu il campione nella sua vita e nella sua morte. Si può dire che, al cristiano impegnato nel "combattimento spirituale", è partecipata la fortezza della Croce!Lo Spirito interviene con una azione profonda e continua in tutti i momenti e sotto tutti gli aspetti della vita cristiana, per orientare i desideri umani nella giusta direzione, che è quella dell'amore generoso, di Dio e del prossimo, sull'esempio di Gesù. A questo scopo lo Spirito Santo fortifica la volontà, rendendo l'uomo capace di resistere alle tentazioni, di riportare vittoria nelle lotte interiori ed esterne, di sconfiggere la potenza del male e particolarmente Satana, come Gesù condotto dallo Spirito nel deserto, e di compiere l'impresa di una vita secondo il Vangelo.
4. Lo Spirito Santo dà al cristiano la forza della fedeltà, della pazienza e della perseveranza sul cammino del bene e nella lotta contro il male. Già nell'Antico Testamento il profeta Ezechiele enunciava al popolo la promessa di Dio: "Io porro dentro di voi il mio Spirito", che aveva come scopo di ottenere la fedeltà del popolo nella nuova alleanza. San Paolo nella Lettera ai Galati enumera tra i "frutti dello Spirito Santo" la "pazienza", la "fedeltà", il "dominio di sé". Sono virtù necessarie per una vita cristiana coerente. Fra esse si distingue la "pazienza", che è una proprietà della carità. e viene infusa nell'anima dallo Spirito Santo con la carità stessa, come parte della fortezza da esercitare nell'affrontare i mali e le tribolazioni della vita e della morte. Ad essa s'affianca la "perseveranza", che è la continuità nell'esercizio delle opere buone con la vittoria sulla difficoltà rappresentata dalla lunga durata del cammino da percorrere; simile è la "costanza", che fa persistere nel bene contro tutti gli ostacoli esterni: entrambe sono frutto della grazia che dà all'uomo di giungere alla fine della vita sulla via del bene. Questo coraggioso esercizio della virtù è richiesto a ogni cristiano che, anche sotto il regime della grazia, conserva la fragilità della libertà, come sottolineava Sant'Agostino nella controversia con i seguaci di Pelagio; ma è lo Spirito Santo che dà la forza soprannaturale di eseguire la volontà divina e di conformare l'esistenza ai precetti promulgati da Cristo. Scrive San Paolo: "La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte". così i cristiani hanno la possibilità di "camminare secondo lo Spirito" e di adempiere "la giustizia della legge", cioè di compiere la volontà divina.
5. Lo Spirito Santo dà anche la forza di compiere la missione apostolica, affidata ai propagatori designati del Vangelo, e in qualche misura a tutti i cristiani. Per questo, al momento di mandare i suoi discepoli in missione, Gesù chiede loro di aspettare la Pentecoste al fine di ricevere la forza dello Spirito Santo: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi". Solo con questa forza essi potranno essere testimoni del Vangelo fino alle estremità della terra, secondo il mandato di Gesù. In tutti i tempi, e fino ad oggi, è lo Spirito Santo che dà di poter impegnare tutte le facoltà e risorse, di impiegare tutti i talenti, di spendere e, se necessario, consumare tutta la vita nella missione ricevuta. E' lo Spirito Santo che opera meraviglie nell'azione apostolica degli uomini di Dio e della Chiesa da lui scelti e mossi. E' lo Spirito Santo che - soprattutto - assicura l'efficacia di una simile azione, qualunque sia la misura di capacità umana dei chiamati. Lo diceva San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi parlando della sua stessa predicazione come di una "manifestazione dello Spirito e della sua potenza", di un apostolato, dunque, compiuto "con parole e opere, con la potenza di segni e prodigi, con la potenza dello Spirito". Paolo attribuisce il valore della sua opera di evangelizzazione a questa potenza dello Spirito. Anche tra le difficoltà, a volte enormi, che si incontrano nell'apostolato, è lo Spirito Santo che dà la forza di perseverare, rinnovando il coraggio e soccorrendo coloro che sono tentati di rinunciare al compimento della loro missione. E' l'esperienza già fatta nella prima comunità cristiana, dove i fratelli, sottoposti alle persecuzioni degli avversari della fede pregano: "Ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunziare con tutta franchezza la tua parola". Ed ecco: "Quand'ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremo e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza".
6. E' lo Spirito Santo che sostiene i perseguitati, ai quali lo stesso Gesù promette: "E' lo Spirito del Padre vostro che parla in voi". Specialmente il martirio, che il Concilio Vaticano II chiama "dono insigne e suprema prova di carità", è un eroico atto di fortezza, ispirato dallo Spirito Santo. Lo dimostrano i santi e le sante martiri di ogni tempo, che hanno affrontato la morte per l'abbondanza della carità che ferveva nei loro cuori. San Tommaso, che esamina un buon numero di casi di martiri antichi - anche di tenere fanciulle - e i testi dei Padri che li riguardano, conclude che il martirio è "l'atto umano più perfetto", perché prodotto dall'amore di carità, di cui dimostra al massimo la perfezione. E' ciò che afferma Gesù stesso nel Vangelo: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". E' doveroso un accenno, in chiusura, alla Cresima, sacramento in cui il dono dello Spirito Santo viene conferito ad robur: per la fortezza. Esso ha come finalità di comunicare la fortezza che sarà necessaria nella vita cristiana e nell'apostolato di testimonianza e di azione, a cui tutti i cristiani sono chiamati. E' significativo che il rito di benedizione del santo Crisma alluda all'unzione concessa dallo Spirito Santo ai martiri. Il martirio è la forma suprema di testimonianza. La Chiesa lo sa ed affida allo Spirito il compito di sostenere, se necessario, la testimonianza dei fedeli fino all'eroismo.
1. Tra i doni più grandi, che San Paolo indica ai Corinzi come permanenti, vi è la speranza (cfr. 1Co 12,31). Essa ha un ruolo fondamentale nella vita cristiana, come l'hanno la fede e la carità, benché "di tutte più grande sia la carità!" (cfr. 1Co 13,13). E' chiaro che la speranza non va intesa nel senso restrittivo di dono particolare o straordinario, concesso ad alcuni per il bene della comunità, ma come dono dello Spirito Santo offerto ad ogni uomo, che nella fede si apre a Cristo. A questo dono va prestata una particolare attenzione, specialmente nel nostro tempo, nel quale molti uomini - anche non pochi cristiani - si dibattono tra l'illusione e il mito di una infinita capacità di autoredenzione e realizzazione di sé, e la tentazione del pessimismo nell'esperienza delle frequenti delusioni e sconfitte. La speranza cristiana, pur includendo il moto psicologico dell'animo che tende al bene arduo, tuttavia si colloca al livello soprannaturale delle virtù derivate dalla grazia (cfr. III 7,2), come dono che Dio fa al credente, in ordine alla vita eterna. E', dunque, una virtù tipica dell'homo viator, dell'uomo pellegrino, che - anche se conosce Dio e la vocazione eterna per mezzo della fede - non è ancora giunto alla visione. La speranza in certo modo lo fa "passare al di là del velo", come dice la Lettera agli Ebrei (cfr. He 6,19).
2. Essenziale, perciò, in questa virtù è la dimensione escatologica. Nella Pentecoste lo Spirito Santo è venuto a compiere le promesse incluse nell'annuncio della salvezza, come leggiamo negli Atti degli Apostoli: "Gesù, innalzato alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso" (Ac 2,33). Ma questo compimento della promessa si proietta su tutta la storia, fino agli ultimi tempi. Per coloro che posseggono la fede nella parola di Dio risonata in Cristo e predicata dagli Apostoli, l'escatologia ha cominciato a realizzarsi, anzi può dirsi già realizzata nel suo aspetto fondamentale: la presenza dello Spirito Santo nella storia umana, che dall'evento della Pentecoste prende significato e slancio vitale in ordine alla meta divina di ogni uomo e dell'umanità intera. Mentre la speranza dell'Antico Testamento aveva come fondamento la promessa della perenne presenza e provvidenza di Dio, che si sarebbe manifestata nel Messia, nel Nuovo Testamento la speranza, per la grazia dello Spirito Santo che ne è all'origine, comporta già un possesso anticipativo della futura gloria. In questa prospettiva San Paolo afferma che il dono dello Spirito Santo è come una caparra della felicità futura: "Avete ricevuto - egli scrive agli Efesini - il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria" (Ep 1,13-14 cfr. Ep 4,30 2Co 1,22). Si può dire che nella vita cristiana sulla terra vi è come una iniziazione alla piena partecipazione alla gloria di Dio: ed è lo Spirito Santo a costituire la garanzia del raggiungimento della pienezza della vita eterna, quando per effetto della redenzione saranno vinti anche tutti i resti del peccato, come il dolore e la morte. così la speranza cristiana è non solo una garanzia, ma un anticipo della realtà futura.
3. La speranza accesa nel cristiano dallo Spirito Santo ha anche una dimensione che si direbbe cosmica, includente la terra e il cielo, lo sperimentabile e l'inaccessibile, il noto e l'ignoto. "La creazione stessa - scrive San Paolo - attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo" (cfr. Rm 8,19-23). Il cristiano, consapevole della vocazione dell'uomo e della destinazione dell'universo, coglie il senso di quella gestazione universale e scopre che si tratta della divina adozione per tutti gli uomini, chiamati a partecipare alla gloria di Dio che si riflette su tutto il creato. Di questa adozione il cristiano sa di possedere già le primizie nello Spirito Santo, e perciò guarda con serena speranza al destino del mondo, pur tra le tribolazioni del tempo. Illuminato dalla fede, egli capisce il significato e quasi sperimenta la verità del brano successivo della Lettera ai Romani, dove l'Apostolo ci assicura che "lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente chiedere, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio. Del resto noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno" (Rm 8,26-28).
4. Come si vede, è nel sacrario dell'anima che vive, prega e opera lo Spirito Santo, il quale ci fa entrare sempre più nella prospettiva del fine ultimo, Dio, conformando tutta la nostra vita al suo piano salvifico. perciò egli stesso ci fa pregare pregando in noi, con sentimenti e parole di figli di Dio (cfr. Rm 8,15 Rm 8,26-27 Ga 4,6 Ep 6,18), in intimo collegamento spirituale ed escatologico col Cristo che siede alla destra di Dio, dove intercede per noi (cfr. Rm 8,34 He 7,25 1Jn 2,1). così egli ci salva dalle illusioni e dalle false vie di salvezza, mentre, muovendo il cuore verso lo scopo autentico della vita, ci libera dal pessimismo e dal nichilismo, tentazioni particolarmente insidiose per chi non parta da premesse di fede o almeno di sincera ricerca di Dio. Occorre aggiungere che anche il corpo è coinvolto in questa dimensione di speranza, data dallo Spirito Santo alla persona umana. Ce lo dice ancora San Paolo: "Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" (Rm 8,11 cfr. 2Co 5,5). Per ora contentiamoci di aver fatto presente questo aspetto della speranza nella sua dimensione antropologica e personale, ma anche in quella cosmica ed escatologica, sulla quale dovremo ritornare nelle catechesi che, se a Dio piacerà, dedicheremo a suo tempo a questi articoli affascinanti e fondamentali del Credo cristiano: la risurrezione dei morti e la vita eterna dell'uomo intero, anima e corpo.
5. Un'ultima annotazione: l'itinerario terreno della vita ha un termine che, se raggiunto nell'amicizia con Dio, coincide col primo momento della vita beata.
Anche se l'anima dovesse in quel passaggio al Cielo subire la purificazione dalle ultime scorie mediante il purgatorio, essa è già piena di luce, di certezza, di gioia, perché sa di appartenere per sempre al suo Dio. A quel punto culminante l'anima è condotta dallo Spirito Santo, autore e datore non solo della "prima grazia" giustificante e della grazia santificante lungo tutta la vita terrena, ma anche della grazia glorificante in hora mortis. E'la grazia della perseveranza finale, secondo la dottrina del Concilio di Orange (cfr. DS 183 DS 199) e del Concilio di Trento (cfr. DS 806 DS 809 DS 832), fondata sull'insegnamento dell'Apostolo, secondo il quale appartiene a Dio concedere "il volere e l'operare" il bene (Ph 2,13), e l'uomo deve pregare per ottenere la grazia di fare il bene sino alla fine (cfr. Rm 14,4 1Co 10,12 Mt 10,22 Mt 24,13).
6. Le parole dell'apostolo Paolo ci insegnano a vedere nel dono della Terza Persona divina la garanzia del compimento della nostra aspirazione alla salvezza: "La speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5). E perciò: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo?". La risposta è decisa: nulla "potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore" (Rm 8,35 Rm 8,39). Pertanto l'auspicio di Paolo è che abbondiamo "nella speranza per virtù dello Spirito Santo" (Rm 15,13). Radica qui l'ottimismo cristiano: ottimismo sul destino del mondo, sulla possibilità di salvezza dell'uomo in tutti i tempi, anche nei più difficili e duri, sullo sviluppo della storia verso la glorificazione perfetta di Cristo ("Egli mi glorificherà": Jn 16,14), e la partecipazione piena dei credenti alla gloria dei figli di Dio.
Con questa prospettiva il cristiano può tener levato il capo e associarsi all'invocazione che secondo l'Apocalisse è il sospiro più profondo, suscitato nella storia dallo Spirito Santo: "Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni!" (Ap 22,17). Ed ecco l'invito finale dell'Apocalisse e del Nuovo Testamento: "Chi ascolta, ripeta: Vieni! Chi ha sete, venga, chi vuole, attinga gratuitamente l'acqua della vita... Vieni, Signore Gesù!" (Ap 22,17 Ap 22,20).
(Il Papa ha quindi rivolto un appello per la pace in Jugoslavia:) Cari fratelli e sorelle, v'invito oggi ad unirvi alla mia preghiera per implorare dal Signore la pace in Slovenia, in Croazia e in tutta la Jugoslavia.
Preghiamo Dio nostro Padre che voglia risparmiare nuove vittime innocenti ai popoli della Jugoslavia, a noi così vicini, e dare conforto a quanti sono nel lutto e nel dolore.
La ragione della forza tenta nuovamente di imporsi alla ragione del diritto, cercando di neutralizzare gli sforzi di quanti sul piano nazionale ed internazione si stanno adoperando per una soluzione pacifica ai gravi problemi esistenti.
La Comunità internazionale sta rinnovando i suoi appelli affinché si fermi una guerra fratricida e inutile. Noi, accompagniamo con la preghiera questi sforzi. Voglia Iddio illuminare tutti i Responsabili e muoverli ad ascoltare la voce delle popolazioni del Paese, rispettandone i diritti e le legittime aspirazioni. Voglia la Regina della Pace ispirare alle autorità civili iniziative atte a ristabilire l'ordine e a creare nuove condizioni di dialogo, per fermare il ciclo infernale della violenza e dell'odio.
Faccio appello anche a tutti i Credenti della Jugoslavia perché uniscano i loro sforzi e le loro preghiere per conseguire quella che oggi è la priorità assoluta: la cessazione di una guerra civile che potrebbe assumere proporzioni ancora più gravi.
Catechesi 79-2005 15051