Catechesi 79-2005 30980

Mercoledì, 3 settembre 1980: Il significato dell’adulterio trasferito dal corpo al cuore

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1. Nel discorso della montagna Cristo si limita a rievocare il comandamento: "Non commettere adulterio", senza valutare il relativo comportamento dei suoi ascoltatori. Ciò che abbiamo detto in precedenza riguardo a questo tema proviene da altre fonti (soprattutto dal discorso di Cristo con i farisei, in cui Egli si richiamava al "principio") (cfr
Mt 19,8 Mc 10,6). Nel Discorso della montagna Cristo omette tale valutazione o, piuttosto, la presuppone. Ciò che dirà nella seconda parte dell’enunciato, che inizia con le parole: "Ma io vi dico...", sarà qualcosa di più della polemica con i "dottori della Legge", ossia con i moralisti della Tora. E sarà anche qualcosa di più rispetto alla valutazione dell’ethos anticotestamentario. Sarà un diretto passaggio all’ethos nuovo. Cristo sembra lasciare da parte tutte le dispute circa il significato etico dell’adulterio sul piano della legislazione e della casistica, in cui l’essenziale rapporto interpersonale del marito e della moglie era stato notevolmente offuscato dal rapporto oggettivo di proprietà, ed acquista altra dimensione. Cristo dice: "Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (Mt 5,28) (dinanzi a questo passo viene sempre in mente l’antica traduzione: "l’ha già resa adultera nel cuore suo", versione che, forse meglio del testo attuale, esprime il fatto che qui si tratta di un puro atto interiore ed unilaterale). Così, dunque, "l’adulterio commesso nel cuore" viene in certo senso contrapposto all’"adulterio commesso nel corpo".

Dobbiamo interrogarci sulle ragioni per cui viene spostato il punto di gravità del peccato, e chiederci inoltre quale sia l’autentico significato dell’analogia: se infatti l’"adulterio", secondo il suo fondamentale significato, può essere solamente un "peccato commesso nel corpo", in qual senso ciò che l’uomo commette nel cuore merita anche di esser denominato adulterio? Le parole, con le quali Cristo pone il fondamento del nuovo ethos, esigono dal canto loro un profondo radicarsi nell’antropologia. Prima di soddisfare questi quesiti, soffermiamoci alquanto sull’espressione che, secondo Matteo Mt 5,27-28, effettua in certo modo il trasferimento ovvero lo spostamento del significato dell’adulterio dal "corpo" al "cuore". Sono parole che riguardano il desiderio.

2. Cristo parla della concupiscenza: "Chiunque guarda per desiderare". Appunto questa espressione richiede un’analisi particolare per comprendere l’enunciato nella sua interezza. Occorre qui riportarsi alla precedente analisi, che mirava, direi, a ricostruire l’immagine a dell’uomo della concupiscenza" già agli inizi della storia (cfr Gn 3). Quell’uomo di cui Cristo parla nel Discorso della montagna - l’uomo che guarda "per desiderare" - è indubbiamente uomo di concupiscenza. Proprio per questo motivo, perché partecipa della concupiscenza del corpo, egli "desidera" e "guarda per desiderare". L’immagine dell’uomo di concupiscenza, ricostruita nella fase precedente, ci aiuterà ora ad interpretare il "desiderio", di cui Cristo parla secondo Matteo 5,27-28. Si tratta qui non soltanto di una interpretazione psicologica, ma, in pari tempo, di un’interpretazione teologica. Cristo parla nel contesto dell’esperienza umana e contemporaneamente nel contesto dell’opera della salvezza. Questi due contesti in certo modo si sovrappongono e si compenetrano vicendevolmente: e ciò ha un significato essenziale e costitutivo per tutto l’ethos del Vangelo ed in particolare per il contenuto del verbo "desiderare" o "guardare per desiderare".

3. Servendosi di tali espressioni, il Maestro prima si richiama all’esperienza di quelli che lo stavano ad ascoltare direttamente, quindi si richiama anche all’esperienza e alla coscienza dell’uomo di ogni tempo e luogo. Difatti, sebbene il linguaggio evangelico abbia una comunicativa universale, tuttavia per un ascoltatore diretto, la cui coscienza era stata formata sulla Bibbia, il "desiderio" doveva collegarsi a numerosi precetti e moniti, presenti anzitutto nei Libri di carattere "sapienziale", nei quali apparivano ripetuti avvertimenti sulla concupiscenza del corpo e anche consigli dati al fine di preservarsene.

4. Com’è noto, la tradizione sapienziale aveva un particolare interesse per l’etica e il buon costume della società israelitica.Ciò che in questi avvertimenti e consigli, presenti ad esempio nel Libro dei Proverbi (cfr Pr 5,3-6 Pr 5,15-20 Pr 6,24-27 Pr 6,27 Pr 21,9 Pr 21,19 Pr 22,14 Pr 30,20) o del Siracide (cfr Si 7,19 Si 7,24-26 Si 9,1-9 Si 23,22-27 Si 25,13-26 Si 25,18 Si 36,21-25 Si 42,6 Si 42,9-14) o perfino di Qoèlet (cf. ex. gr. , Qo 7,26-28 Qo 9,9), ci colpisce in modo immediato è una certa loro unilateralità, in quanto gli ammonimenti sono soprattutto indirizzati agli uomini. Questo può significare che siano ad essi particolarmente necessari. Quanto alla donna, è vero che in questi avvertimenti e consigli essa appare più frequentemente come occasione di peccato o addirittura come seduttrice da cui guardarsi. Occorre, tuttavia, riconoscere che tanto il Libro dei Proverbi quanto il Libro del Siracide, oltre all’avvertimento di guardarsi dalla donna e dalla seduzione del suo fascino che trascinano l’uomo a peccare (cfr Pr 5,1-6 Pr 6,24-29 Si 26,9-12), fanno anche l’elogio della donna che è "perfetta" compagna di vita del proprio marito (cfr Pr 31,10), ed altresì elogiano la bellezza e la grazia di una buona moglie, che sa render felice il marito.


"Grazia su grazia è una donna pudica, non si può valutare il pregio di un’anima modesta. Il sole risplende sulle montagne del Signore, la bellezza di una donna virtuosa adorna la sua casa. Lampada che arde sul candelabro santo, così la bellezza del volto su giusta statura. Colonne d’oro su base d’argento, tali sono gambe graziose su solidi piedi... La grazia di una donna allieta il marito, la sua scienza gli rinvigorisce le ossa" (Si 26,15-18 Si 26,13).

5. Nella tradizione sapienziale un frequente monito contrasta col suddetto elogio della donna-moglie, ed è quello che si riferisce alla bellezza ed alla grazia della donna, che non è la propria moglie, ed è fomite di tentazione ed occasione di adulterio: "Non desiderare in cuor tuo la sua bellezza..." (Pr 6,25). Nel Siracide (cfr Si 9,1-9) il medesimo avvertimento viene espresso in modo più perentorio:

"Distogli l’occhio da una donna bella, non fissare una bellezza che non ti appartiene. Per la bellezza di una donna molti sono periti; per essa l’amore brucia come fuoco" (Si 9,8-9).

Il senso dei testi sapienziali ha prevalente significato pedagogico. Essi insegnano la virtù e cercano di proteggere l’ordine morale, riportandosi alla legge di Dio e all’esperienza largamente intesa. Inoltre, si distinguono per la particolare conoscenza del "cuore" umano. Diremmo che sviluppano una specifica psicologia morale, pur senza cadere nello psicologismo. In certo senso, sono vicini a quel richiamo di Cristo al "cuore" che Matteo ci ha tramandato (cfr Mt 5,27-28), sebbene non si possa affermare che rivelino tendenza a trasformare l’ethos in modo fondamentale. Gli autori di questi Libri utilizzano la conoscenza dell’interiorità umana per insegnare la morale piuttosto nell’ambito dell’ethos storicamente in atto e da loro sostanzialmente confermato. Talvolta qualcuno di essi, come per esempio Qoèlet, sintetizza tale conferma con la propria "filosofia" dell’esistenza umana, il che però, se influisce sul metodo con cui formula avvertimenti e consigli, non cambia la fondamentale struttura portante della valutazione etica.

6. Per tale trasformazione dell’ethos occorrerà attendere fino al Discorso della montagna. Nondimeno, quella conoscenza molto perspicace della psicologia umana presente nella tradizione "sapienziale" non era certamente priva di significato per la cerchia di coloro, i quali ascoltavano di persona ed immediatamente questo discorso. Se, in virtù della tradizione profetica, questi ascoltatori erano in certo senso preparati a comprendere in modo adeguato il concetto di "adulterio", altresì in virtù della tradizione "sapienziale" erano preparati a comprendere le parole che si riferiscono allo "sguardo concupiscente" ovvero all’"adulterio commesso nel cuore".

All’analisi della concupiscenza, nel Discorso della montagna, ci converrà tornare ulteriormente.

Saluti:

Ai Religiosi

Ai giovani delle diocesi di Aire, Dax e Reims

Ad un pellegrinaggio di Strasburgo e Metz

Ad un gruppo di malati e handicappati

Ad un pellegrinaggio di Irlandesi

Ad un pellegrinaggio tedesco

A due gruppi di Sacerdoti milanesi

Desidero rivolgere un saluto particolare a due gruppi di Sacerdoti provenienti dalla diocesi di Milano: i primi celebrano il 40° anniversario di sacerdozio; i secondi furono ordinati 25 anni or sono, dall’allora Arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, da pochi mesi chiamato a reggere la Chiesa ambrosiana.


Figli carissimi, nell’esprimervi la mia riconoscenza per questa visita, mi è caro esortarvi a ravvivare in voi la consapevolezza della dignità singolare a cui il Sacramento vi ha elevati, ed a rinnovare, al tempo stesso, i propositi di piena dedizione al servizio ministeriale, in spirito di filiale carità verso il vostro attuale Arcivescovo, l’amato Monsignor Carlo Maria Martini, e di comunione sincera con i problemi, le ansie, le speranze delle vostre popolazioni.

Vi benedico tutti, unitamente ai vostri familiari che vi hanno accompagnati, ed affido a ciascuno l’incarico di portare la mia Benedizione alle anime a cui vanno le sue cure pastorali.

Ad oltre 2000 Cooperatori Salesiani

Sono presenti all’Udienza Generale i 2000 Cooperatori e Cooperatrici Salesiani, partecipanti all’Incontro Nazionale di fraternità e di preghiera.

Carissimi, siete venuti ad incontrare il Papa, in rappresentanza anche di tutti i Cooperatori d’Italia, e ve ne ringrazio sentitamente. Desidero esprimervi riconoscenza per la preziosa vostra attività. Nel ricordo della visita compiuta alla tomba di S. Giovanni Bosco a Torino, nello scorso aprile, vi dico: continuate a vivere il meraviglioso ideale salesiano nella famiglia, nella società, sul lavoro, nella scuola, nella vita parrocchiale, nella struttura diocesana, nei Consigli pastorali, nell’organizzazione civile, nelle esigenze dei quartieri e delle città, nell’accoglienza alla vita nascente, nella cura degli ammalati e degli emarginati, nel fraterno aiuto a tutti coloro che soffrono.

Ma soprattutto non dimenticate mai la vostra vita spirituale corroborandola con la preghiera quotidiana e la frequenza dei Sacramenti. Così sarete veri "testimoni di Cristo", sotto la materna protezione di Maria Ausiliatrice e con l’intercessione dei santi Francesco di Sales e Giovanni Bosco.

Vi accompagni la mia Benedizione, che estendo a tutti i Cooperatori d’Italia.

Ai bambini di Pove del Grappa

Desidero ora rivolgere un saluto affettuoso ai giovanetti di Pove del Grappa. Carissimi, la fiaccola da me accesa che voi porterete nella vostra Parrocchia, affinché brilli durante le feste quinquennali in onore del Divin Crocifisso, sia per voi e per tutti l’emblema di un vivo amore a Cristo, fondamento autentico della vera pace. Con questi voti, imparto di cuore a voi, ai vostri familiari ed ai fedeli della vostra Comunità parrocchiale la mia propiziatrice Benedizione Apostolica.

Ai giovani

Cari giovani, anche oggi desidero riservare per voi un saluto e una esortazione. San Gregorio Magno, di cui oggi si celebra la memoria liturgica, in una sua Omelia così spiega la frase di Gesù: La messe è molta, ma gli operai sono pochi: "Per molta messe, vi sono pochi operai! Non possiamo parlare di questo senza grande dolore, perché, pur essendoci tante persone disposte ad ascoltare cose buone, mancano coloro che gliele dicono".


Dopo tanti secoli le parole del grande Papa sono tuttora attuali, e perciò vi esorto di cuore alla preghiera per le vocazioni e all’ascolto generoso e lieto della voce del Signore, che chiama alla sua sequela. In ciò, vi sia di aiuto e di incoraggiamento la mia propiziatrice Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

Carissimi ammalati, sempre vicino al vostro dolore e partecipe della vostra sofferenza, vi saluto con particolare affetto nel Signore!

Il mese di settembre, come sapete, è particolarmente contrassegnato dalla devozione a Maria Santissima, mediante alcune singolari festività, tra cui specialmente quella dedicata alla Madonna Addolorata.

Unite le vostre pene a quella di Maria Santissima per cooperare alla salvezza del mondo. Nel travagliato cammino dell’umanità, sempre così denso di ansie e di pericoli, il mondo ha bisogno di anime oranti e adoranti! Siatelo voi, e vi accompagni il conforto della mia Benedizione!

Alle coppie di sposi novelli

Giunga ora il mio affettuoso saluto anche a voi sposi novelli, che, iniziando la vostra nuova vita, avete voluto incontrarvi con il Papa, come segno di fede e come auspicio di santi propositi.

In questo mese di settembre inizierà qui, a Roma, il Sinodo dei Vescovi, che avrà come tema proprio la famiglia nella società attuale.

Proprio a voi, in particolare, cari sposi novelli, alle vostre preghiere, al vostro interessamento, voglio raccomandare il prossimo Sinodo e il suo buon esito, affinché possa essere veramente di vantaggio ad ogni famiglia. Con questi voti, tutti con affetto vi benedico.
***

Ricordo dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale



Nel corso dell’udienza generale del pomeriggio in piazza San Pietro, parlando ai suoi connazionali, il Papa ricorda l’anniversario dell’inizio della seconda guerra mondiale con le seguenti parole.
Traduzione italiana:

Desidero ora accennare a un problema molto importante per noi tutti.

Il 1° settembre ricorreva un altro anniversario, il 41°, dell’inizio della seconda guerra mondiale, una guerra che ha portato con sé enormi danni materiali e morali e che non cessa di essere una dolorosa ferita nella storia delle Nazioni, soprattutto delle Nazioni europee in questo secolo. E soprattutto una dolorosa ferita nella storia della nostra Nazione che, durante gli eventi bellici, a partire dal settembre 1939 non solamente è stata sottoposta alla terribile occupazione, come sappiamo, ma ha anche dato in olocausto 6 milioni di suoi figli e figlie, sui vari fronti, nei campi e nelle prigioni. Non possiamo dimenticare questa data.

Non possiamo dimenticarla anche perché la seconda guerra mondiale, attraverso l’enorme contributo della nostra Nazione, giustifica particolarmente il diritto morale alla indipendenza e alla sovranità dell’esistenza di questa Nazione. Sovranità significa giusto diritto all’autodeterminazione, il cui rispetto è richiesto dall’ordine morale internazionale.

Per questo motivo ritengo che, indipendentemente dalla circostanza che sono polacco, ho il diritto ed il dovere, nel quadro del mio ministero, di parlare di ciò.

In questi primi giorni di settembre che ogni anno ci ricordano l’orribile violenza arrecata alla nostra Patria solamente 20 anni dopo la riconquista dell’indipendenza succeduta alla spartizione della Polonia, dobbiamo pregare in modo particolare perché l’ordine morale internazionale sia rispettato in Europa e in tutto il mondo, perché né la nostra Patria né nessun’altra Nazione sia vittima dell’aggressione e della violenza di qualcuno. Dobbiamo pregare per questo, e testimoniare questo, d’altra parte tutti lo stiamo facendo, testimoniare e pregare perché le relazioni in Europa e nel mondo intero siano basate sul rispetto dei diritti di ogni Nazione che sono organicamente legati ai diritti dell’uomo. Queste sono, cari compatrioti, le riflessioni necessarie, legate ogni anno all’inizio di settembre. Le rivolgo a voi qui presenti, le rivolgo a tutti i nostri connazionali che sono in Patria, le rivolgo a tutti gli uomini di buona volontà del mondo. Queste sono le parole della pace; quella pace di cui la Chiesa, per la missione ricevuta da Cristo, vuol farsi servitrice per tutta l’umanità, per tutti gli uomini di buona volontà.




Castel Gandolfo

Mercoledì, 10 settembre 1980: La concupiscenza come distacco dal significato sponsale del corpo

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1. Riflettiamo sulle seguenti parole di Gesù tratte dal Discorso della montagna: "Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" ("l’ha già resa adultera nel suo cuore") (
Mt 5,28). Cristo pronunzia questa frase davanti ad ascoltatori, i quali, in base ai libri dell’Antico Testamento, erano, in un certo senso, preparati a comprendere il significato dello sguardo che nasce dalla concupiscenza. Già mercoledì scorso abbiamo fatto riferimento ai testi tratti dai cosiddetti Libri Sapienziali.

Ecco, ad esempio, un altro passo, in cui l’autore biblico analizza lo stato d’animo dell’uomo dominato dalla concupiscenza della carne:

"...una passione ardente come fuoco acceso / non si calmerà finché non sarà consumata; / un uomo impudico nel suo corpo / non smetterà finché non lo divori il fuoco; / per l’uomo impuro ogni pane è appetitoso, / non si stancherà finché non muoia. / L’uomo infedele al proprio letto / dice fra sé: "Chi mi vede? / Tenebra intorno a me e le mura mi nascondono; / nessuno mi vede, che devo temere? / Dei miei peccati non si ricorderà l’Altissimo". / Il suo timore riguarda solo gli occhi degli uomini; / non sa che gli occhi del Signore / sono miriadi di volte più luminosi del sole; / essi vedono tutte le azioni degli uomini / e penetrano fin nei luoghi più segreti. / ... / Così della donna che abbandona suo marito, / e gli presenta eredi avuti da un estraneo..." (Si 23,17-22).

2. Analoghe descrizioni non mancano nella letteratura mondiale (1). Certo, molte di esse si distinguono per una più penetrante perspicacia di analisi psicologica e per una più intensa suggestività e forza espressiva. Tuttavia, la descrizione biblica del Siracide (Si 23,17-22) comprende alcuni elementi che possono essere ritenuti "classici" nell’analisi della concupiscenza carnale. Un elemento del genere è, ad esempio, il paragone tra la concupiscenza della carne e il fuoco: questo, divampando nell’uomo, ne invade i sensi, eccita il corpo, coinvolge i sentimenti e in certo senso s’impossessa del "cuore". Tale passione, originata dalla concupiscenza carnale, soffoca nel "cuore" la voce più profonda della coscienza, il senso di responsabilità davanti a Dio; ed appunto ciò è particolarmente posto in evidenza nel testo biblico or ora citato. Persiste, d’altra parte, il pudore esteriore rispetto agli uomini - o piuttosto una parvenza di pudicizia - che si manifesta come timore delle conseguenze anziché del male in se stesso. Soffocando la voce della coscienza, la passione porta con sé inquietudine di corpo e di sensi: è l’inquietudine dell’"uomo esteriore". Quando l’uomo interiore è stato ridotto al silenzio, la passione, dopo aver ottenuto, per così dire, libertà d’azione, si manifesta come insistente tendenza alla soddisfazione dei sensi e del corpo.

Tale appagamento, secondo il criterio dell’uomo dominato dalla passione, dovrebbe estinguere il fuoco; ma, al contrario, esso non raggiunge le sorgenti della pace interiore e si limita a toccare il livello più esteriore dell’individuo umano. E qui l’autore biblico giustamente constata che l’uomo, la cui volontà è impegnata nel soddisfare i sensi, non trova quiete né ritrova se stesso, ma, al contrario, "si consuma".La passione mira al soddisfacimento; perciò ottunde l’attività riflessiva e disattende la voce della coscienza; così, senza avere in sé alcun principio di indistruttibilità, essa "si logora". Le è connaturale il dinamismo dell’uso, che tende ad esaurirsi. È vero che, ove la passione sia inserita nell’insieme delle più profonde energie dello spirito, essa può anche divenire forza creatrice; in tal caso, però, deve subire una trasformazione radicale. Se, invece, soffoca le forze più profonde del cuore e della coscienza (come avviene nel racconto del Siracide) (Si 23,17-22), "si consuma" e, in modo indiretto, in essa si consuma l’uomo che ne è preda.

3. Quando Cristo nel Discorso della montagna parla dell’uomo che "desidera", che "guarda con desiderio", si può presumere che abbia davanti agli occhi anche le immagini note ai suoi ascoltatori attraverso la tradizione "sapienziale". Tuttavia, contemporaneamente, si riferisce ad ogni uomo che, in base alla propria esperienza interiore, sappia che cosa voglia dire "desiderare", "guardare con desiderio". Il Maestro non analizza tale esperienza né la descrive, come aveva fatto, per esempio, il Siracide (Si 23,17-22); egli sembra presupporre, direi, una sufficiente conoscenza di quel fatto interiore, verso cui richiama l’attenzione degli ascoltatori, presenti e potenziali. È possibile che taluno di essi non sappia di che cosa si tratti? Se davvero non ne sapesse nulla, il contenuto delle parole di Cristo non lo riguarderebbe, né alcuna analisi o descrizione sarebbe in grado di spiegarglielo. Se invece sa - si tratta infatti in tal caso di una scienza del tutto interiore, intrinseca al cuore e alla coscienza - capirà subito quando le suddette parole si riferiscono a lui.

4. Cristo, quindi, non descrive né analizza ciò che costituisce l’esperienza del "desiderare", l’esperienza della concupiscenza della carne. Si ha perfino l’impressione che Egli non penetri questa esperienza in tutta l’ampiezza del suo interiore dinamismo, come accade, ad esempio, nel testo citato del Siracide, ma piuttosto si arresti alla sua soglia. Il "desiderio" non si è ancora trasformato in un’azione esteriore, ancora non è divenuto l’"atto del corpo"; è finora l’atto interiore del cuore: si esprime nello sguardo, nel modo di "guardare la donna". Tuttavia, già lascia intendere, svela il suo contenuto e la sua qualità essenziali.

Occorre che facciamo ora tale analisi. Lo sguardo esprime ciò che è nel cuore. Lo sguardo esprime, direi, l’uomo intero. Se in generale si ritiene che l’uomo "agisce conformemente a ciò che è" (operari sequitur esse), Cristo in questo caso vuol mettere in evidenza che l’uomo "guarda" conformemente a ciò che è: intueri sequitur esse. In un certo senso, l’uomo attraverso lo sguardo si rivela all’esterno e agli altri; soprattutto rivela ciò che percepisce all’"interno" (2).

5. Cristo insegna, dunque, a considerare lo sguardo quasi come soglia della verità interiore. Già nello sguardo, "nel modo in cui si guarda", è possibile individuare pienamente che cosa sia la concupiscenza. Cerchiamo di spiegarla. "Desiderare", "guardare con desiderio" indica un’esperienza del valore del corpo, in cui il suo significato sponsale cessa di essere tale proprio a motivo della concupiscenza. Cessa, altresì, il suo significato procreativo, di cui abbiamo parlato nelle nostre precedenti considerazioni, il quale - quando riguarda l’unione coniugale dell’uomo e della donna - è radicato nel significato sponsale del corpo e quasi organicamente ne emerge. Orbene, l’uomo, "desiderando", "guardando per desiderare" (Mt 5,27-28), sperimenta in modo più o meno esplicito il distacco da quel significato del corpo, che (come abbiamo già osservato nelle nostre riflessioni) sta alla base della comunione delle persone: sia fuori del matrimonio, sia - in modo particolare - quando l’uomo e la donna sono chiamati a costruire l’unione "nel corpo" (come proclama il "vangelo del principio" nel classico testo di Gn 2,24). L’esperienza del significato sponsale del corpo è subordinata in modo particolare alla chiamata sacramentale, ma non si limita ad essa. Tale significato qualifica la libertà del dono, che - come vedremo con più precisione nelle ulteriori analisi - può realizzarsi non solo nel matrimonio, ma anche in modo diverso.

Cristo dice: "Chiunque guarda la donna per desiderarla (cioè chi guarda con concupiscenza) ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" ("l’ha resa adultera nel cuore") (Mt 5,28). Non vuole forse egli dire con ciò che proprio la concupiscenza - come l’adulterio - è un distacco interiore dal significato sponsale del corpo? Non vuole rimandare i suoi ascoltatori alle loro esperienze interiori di tale distacco? Non è forse per questo che lo definisce "adulterio commesso nel cuore"?

Saluti:

Al pellegrinaggio di Rouen ed Havre

Ai membri del Capitolo Generale dei Crocigeri


A gruppi provenienti da Aachen, Monaco e Paderborn

Ai Sacerdoti Rogazionisti

Desidero rivolgere ora un saluto affettuoso ai Padri Rogazionisti qui presenti insieme col Superiore Generale, i quali hanno concluso di recente il VI Capitolo della Congregazione.

Cari Figli, la vostra opera rivolta all’implorazione ed alla animazione di vocazioni sacerdotali e religiose, raggiunge il cuore stesso della Chiesa, mettendo in pratica, mediante una speciale consacrazione, l’invito di Gesù: "Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe". La Chiesa ha bisogno di uomini completamente dedicati alla salvezza dei propri fratelli, di uomini che continuino il ministero della riconciliazione e della grazia, di uomini consacrati a Cristo ed al servizio del suo Regno, di uomini nei quali Cristo sia eternamente giovane, ed attraverso i quali egli ringiovanisce la Chiesa.

Sulla vostra missione, sui vostri propositi e sulle vostre persone invoco la pienezza dei doni celesti, che mi è caro propiziare con la mia preghiera e la mia Benedizione.


Ai partecipanti al VII Convegno Nazionale delle "Caritas" diocesane d’Italia

Un cordiale saluto desidero rivolgere ai partecipanti al settimo Convegno Nazionale delle "Caritas" diocesane d’Italia, che in questi giorni sono riuniti a Roma per approfondire il tema "Famiglia e Pastorale della Carità nella Chiesa locale".

A voi tutti, Fratelli carissimi, esprimo il mio compiacimento per questa iniziativa, la quale è in sintonia col grande tema della prossima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, ed altresì l’auspicio che la concezione cristiana dell’amore e della famiglia ispiri le idee ed il comportamento dell’uomo contemporaneo, alla ricerca di solide basi per la sua vita di relazione nella società.

Con questi voti imparto a tutti voi la mia Benedizione Apostolica.

Ai pellegrinaggi di Terracina-Latina, Priverno e Sezze

Desidero porgere il mio affettuoso saluto anche ai numerosi fedeli della Comunità diocesana pontina di Terracina-Latina, Priverno e Sezze, i quali hanno voluto celebrare con un pellegrinaggio alla Sede del Vicario di Cristo due date significative della loro vita ecclesiale: il cinquantesimo di ordinazione sacerdotale del loro zelante Vescovo, Monsignor Enrico Romolo Compagnoni, ed il sessantesimo di fondazione dell’Azione Cattolica diocesana.

Questo vostro gesto di fede, Fratelli e Sorelle carissimi, vi fa onore, in quanto avete voluto fondare sulla roccia di Pietro sia la filiale devozione al vostro Pastore sia il vostro impegno di apostolato laicale, che vi coinvolge nella vita stessa della Chiesa. Continuate col medesimo entusiasmo a dare una coerente testimonianza cristiana nei vostri specifici posti di lavoro, di professione o di studio, in piena serenità ed in fattiva generosità. Vi accompagni sempre la mia Benedizione Apostolica.

Ai partecipanti al pellegrinaggio organizzato dalla Stampa diocesana di Novara

Rivolgo poi un saluto ai partecipanti al Pellegrinaggio della Stampa Diocesana di Novara, responsabili, redattori ed amici, venuti a Roma per rinnovare sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo l’impegno di testimonianza cristiana nel settore tanto importante della Stampa.

Al vostro settimanale, con le sue dieci "Testate" al servizio delle diverse zone della vostra Diocesi, ai responsabili ed a quanti collaborano, vada il mio ringraziamento per il dono fattomi pervenire a favore dei fratelli bisognosi e la mia beneaugurante benedizione.

Ai giovani


Un caloroso saluto rivolgo ai giovani partecipanti a questa Udienza. In particolare desidero salutare i giovani e le giovani del camposcuola della rivista "Primavera".

Carissimi, la vostra presenza rappresenta sempre per il Papa "un dono", che mi è gradito ricambiare, additandovi - come faceva Giovanni Battista ai suoi seguaci presso il Giordano - la Persona di colui che è stato inviato, "donato" dal Padre Celeste all’Umanità, come Redentore unico e vero: Gesù Cristo! A Lui, che si presenta come Verità, rivolgete le vostre menti per esserne beneficamente illuminati; in Lui, che si propone come Via, orientate i vostri passi per non deviare mai dai sentieri della giustizia e della bontà; a Lui, che si afferma Vita, aprite le vostre anime per farle inondare della sua grazia santificante e del suo sublime amore. Con tali voti benedico voi e i vostri familiari.

Agli ammalati

Nel porgere il mio sempre affettuoso e riconoscente saluto a voi, carissimi ammalati, desidero assicurarvi che vi sono vicino col cuore e con la preghiera.

Ben consapevole della preziosità della vostra sofferenza, se accettata e vissuta con spirito di fede e di amore, vi esorto a fare della vostra malattia un’offerta completa e generosa al Signore, e del vostro letto un altare su cui vi immolate in unione a Cristo Redentore. Se così agirete, già comincerete a percepire la mercede ineffabile: il Signore comincerà a tergere fin d’ora ogni lacrima dai vostri occhi, donandovi serenità interiore, insieme ad un rafforzamento della vostra speranza di un gaudio senza fine. Con tale auspicio benedico voi e quanti amorevolmente vi assistono.

Alle coppie di sposi novelli

Ed ora un saluto cordiale e beneaugurante agli sposi novelli, che partecipano a questa Udienza. Voi volete dare inizio alla vostra nuova vita, alla nuova famiglia cristiana, con la benedizione del Papa, dopo quella ricevuta da Dio all’altare.

Ebbene, carissimi sposi, abbiate sempre davanti alla vostra coscienza il senso cristiano della missione, così grande e delicata, alla quale siete stati chiamati mediante il Sacramento del Matrimonio. Sappiate che il vostro amore ha elementi e forze tali da fare della vostra vita una comunione continua, che sarà motivo di reciproca letizia e sorgente di energia. Per voi felicemente avvenga che "là dove sono i due, ivi c’è anche Cristo". E’ questo il mio augurio, che accompagno con la mia Benedizione.

(1) Cf., ex. gr., S. Agostino, Confessiones, lib. VI, cap. XII, 21, 22: "Deligatus morbo carnis mortifera suavitate trahebam catenam meam, solvi timers, et quasi concusso vulnere repellens verba bene suadentis tamquam manum solventis. [...] Magna autem ex parte atque vehementer consuetudo satiandae insatiabilis concupiscentiae me captum excruciabat". "Et non stabam frui Deo meo, sed rapiebar ad te decore tuo; moxque deripiebar abs te pondere meo, et ruebam in iste cum gemitu: et pondus hoc, consuetudo carnalis" [Ivi, lib. VII, cap. XVII]. "Sic aegrotabam et excruciabar accusans memetipsum solito acerbius nimis, ac volvens et versans me in vinculo meo, donec abrumperetur totum, quo iam exiguo tenebar, sed tenebar tamen. Et instabas tu in occultis Domine, severa misericordia, flagella ingeminans timoris et pudoris, ne rursus cessarem, et non abrumperetur idipsum exiguum et tenue quod remanserat; et revalesceret iterum et me robustius alligaret..." [Ivi, lib. VIII, cap. XI].

Dante descrive questa frattura interiore e la considera meritevole di pena: "Quando giungon davanti alla ruina / quivi le strida, il compianto, il lamento; / bestemmian quivi la virtù divina. / Intesi che a così fatto tormento / enno dannati i peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento. / E come gli stornei ne portan l’ali / nel freddo tempo a schiera larga e piena, / così quel fiato gli spiriti mali: / di qua, di là, di giù, di su li mena; / nulla speranza li conforta mai, / non che di posa, ma di minor pena" [Dante Alighieri, La Divina Commedia, "Inferno", V, 37-43].

"Shakespeare has described the satisfaction of a tyrannous lust as something / Past reason hunted and, no sooner had, / past reason hated" [C. S. Lewis, The Four Loves, New York 1960, Harcourt, Brace, p. 28].

(2) L’analisi filologica conferma il significato dell’espressione ho blépõn "il guardante" o "chiunque guarda": Mt 5,28. Se "blépon" di Mt 5,28 ha il valore di percezione interna, equivalente a "penso, fermo l’attenzione, bado", più severo e più elevato risulta l’insegnamento evangelico nei riguardi dei rapporti interpersonali dei discepoli di Cristo. "Secondo Gesù non è necessario neppure uno sguardo lussurioso per far diventare adultera una persona. Basta anche un pensiero del cuore" [M. Adinolfi, Il desiderio della donna in Matteo 5, 28, in Fondamenti biblici della teologia morale, Atti della XXII Settimana Biblica Italiana, Paideia, Brescia 1973, p. 279].




Castel Gandolfo

Mercoledì, 17 settembre 1980: Il desiderio, riduzione intenzionale dell’orizzonte della mente e del cuore


Catechesi 79-2005 30980