Catechesi 79-2005 19121

Mercoledì 19 dicembre 2001

19121

1. La Novena del Natale, che stiamo celebrando in questi giorni, ci sprona a vivere in modo intenso e profondo la preparazione alla grande festa, ormai vicina, della nascita del Salvatore. La Liturgia traccia un sapiente itinerario per incontrare il Signore che viene, proponendo giorno per giorno spunti di riflessione e di preghiera. Ci invita alla conversione e alla docile accoglienza del mistero del Natale.

Nell'Antico Testamento i profeti avevano preannunciato la venuta del Messia e avevano tenuto desta l'attesa vigilante del popolo eletto. Con gli stessi sentimenti siamo invitati a vivere anche noi questo tempo, per poter così assaporare la gioia delle ormai imminenti feste natalizie.

La nostra attesa si fa voce delle speranze dell'intera umanità e si esprime in una serie di suggestive invocazioni, che troviamo nella celebrazione eucaristica prima del Vangelo e nella recita dei Vespri prima del cantico del Magnificat. Sono le cosiddette antifone "O", nelle quali la Chiesa si rivolge a Colui che sta per venire con titoli altamente poetici, che ben manifestano il bisogno di pace e di salvezza dei popoli, bisogno che solamente nel Dio fatto uomo trova appagamento pieno e definitivo.

2. Come l'antico Israele, la Comunità ecclesiale si fa voce degli uomini e delle donne di tutti i tempi per cantare l'avvento del Salvatore. Di volta in volta prega: "O Sapienza che esce dalla bocca dell'Altissimo", "o Guida della casa d'Israele", "o Radice di Iesse", "o Chiave di Davide", "o Astro sorgente", "o Sole di giustizia", "o Re delle genti, Emmanuele, Dio-con-noi".

In ciascuna di queste appassionate invocazioni, cariche di riferimenti biblici, s'avverte l'ardente desiderio che i credenti hanno di vedere compiersi le loro attese di pace. Per questo implorano il dono della nascita del Salvatore promesso. Al tempo stesso, però, avvertono con chiarezza che ciò implica un concreto impegno a predisporgli una dimora degna non soltanto nel loro animo, ma pure nell'ambiente circostante. In una parola, invocare la venuta di Colui che reca la pace al mondo comporta aprirsi docilmente alla verità liberante e alla forza rinnovatrice del Vangelo.

3. In quest'itinerario di preparazione all'incontro con Cristo, che nel Natale viene incontro all'umanità, si è inserita la speciale giornata di digiuno e di preghiera che venerdì scorso abbiamo celebrato, al fine di chiedere a Dio il dono della riconciliazione e della pace. E' stato un momento forte dell'Avvento, un'occasione per approfondire le cause della guerra e le ragioni della pace. Di fronte alle tensioni e alle violenze che, purtroppo, funestano anche in questi giorni varie parti della terra, compresa la Terra Santa, testimone singolare del mistero della Nascita di Gesù, occorre che noi cristiani facciamo risuonare ancora più forte il messaggio di pace che proviene dalla grotta di Betlemme.

Dobbiamo convertirci alla pace; dobbiamo convertirci a Cristo, nostra pace, certi che il suo amore disarmante nel presepe vince ogni cupa minaccia e progetto di violenza. E occorre con fiducia proseguire nel domandare al Bambino, nato per noi dalla Vergine Maria, che l'energia prodigiosa della sua pace scacci l'odio e la vendetta che si annidano nell'animo umano. Dobbiamo chiedere a Dio che il male sia sconfitto dal bene e dall'amore.

4. Come ci suggerisce la Liturgia dell'Avvento, imploriamo dal Signore il dono di "prepararci con gioia al mistero del suo Natale", affinché la nascita di Gesù ci trovi "vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode" (Prefazio dell'Avvento II). Solo così il Natale sarà festa di gioia e incontro con il Salvatore che ci dona la pace.

Non è proprio questo l'augurio che ci vorremmo scambiare nelle prossime feste natalizie? A tal fine più intensa e corale si faccia in questa settimana la nostra preghiera. "Christus est pax nostra - Cristo è la nostra pace". La sua pace rinnovi ogni ambito del nostro vivere quotidiano. Riempia i cuori, perché si aprano all'azione della sua grazia trasformante; permei le famiglie, perché davanti al presepe o raccolte attorno all'albero di Natale rinsaldino la loro fedele comunione; regni nelle città, nelle nazioni e nella comunità internazionale e si diffonda in ogni angolo del mondo.

Come i pastori nella notte di Betlemme, affrettiamo i passi verso Betlemme. Contempleremo nel silenzio della Notte santa il "Bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia", insieme con Giuseppe e Maria (
Lc 2,12 Lc 2,16). Lei, che ha accolto il Verbo di Dio nel suo grembo verginale e lo ha stretto tra le sue braccia materne, ci aiuti a vivere con più intenso impegno quest'ultimo tratto dell'itinerario liturgico dell'Avvento.

Con questi sentimenti, formulo con affetto i miei auguri a tutti voi, qui presenti, alle vostre famiglie e a quanti vi sono cari.

Buon Natale a tutti!

Saluti:


Traduzione italiana del saluto in lingua croata

Cari pellegrini croati, vi saluto tutti. Benvenuti!

L'imminente solennità del Natale riempia i vostri cuori della gioia evangelica. Il Mistero del Figlio di Dio che, incarnandosi, divenne nostro fratello, ispiri il vostro impegno per la costruzione di una società sempre più umana. La nascita di Cristo è, infatti, fonte di quella speranza che non delude mai e che siamo chiamati ad annunciare e testimoniare.

Imparto di cuore la Benedizione Apostolica a ciascuno di voi ed alle vostre famiglie.

Siano lodati Gesù e Maria!



Traduzione italiana del saluto in lingua slovacca

Rivolgo un cordiale saluto al gruppo dei pellegrini provenienti da Bratislava.

Cari fratelli e sorelle, l’Avvento è il periodo di gioiosa attesa del Signore. In questo tempo di grazia chiediamo alle Spirito Santo che ci trasformi in testimoni dell’amore di Dio e portatori di pace.

Volentieri benedico voi ed i vostri familiari in patria.

Sia lodato Gesù Cristo!



Traduzione italiana del saluto in lingua polacca

Voglio oggi, in modo particolare, salutare i pellegrini dalla Polonia ed i Polacchi abitanti a Roma e in Italia, che sono giunti qui per il nostro prefestivo incontro di auguri. Sono lieto e vi ringrazio che mantenete il bel costume polacco di condividere il pane di Natale (oplatek) e di scambiarsi gli auguri. Questo costume racchiude in sé un segno e una parola.

Il segno è il condividere il pane, che è innanzitutto espressione dello scambio del bene nello spirito dell'amore e della pace. Riferendosi però al mistero dell'Incarnazione, che si è compiuto a Betlemme - parola che significa "Casa del pane" - esprime anche la fede nel fatto che il datore del vero amore e della vera pace sia il neonato Figlio di Dio.

La parola è l’augurio, che porta in sé benevolenza e cordialità. Anche questa parola è radicata nel mistero della notte di Betlemme. E’ per così dire l’eco dell'augurio che gli angeli, lodando Dio, hanno portato agli uomini di tutti i tempi: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14).

Il segno e la parola. Insieme esprimono i più profondi sentimenti, i sublimi desideri e la fiduciosa speranza che il vivere nello spirito della fede il mistero della nascita di Cristo diventi fonte di grazie e di benedizione, pegno del rinnovamento spirituale, dal quale nascono la pace, la gioia e la felicità. Con questa speranza e con questi auguri mi rivolgo oggi a voi, cari Connazionali, affidando al Bambino Gesù ciascuno e ciascuna di voi, le vostre famiglie, le comunità sacerdotali e religiose, e tutti coloro ai quali vorrete consegnare gli auguri a mio nome. Dio vi benedica!
* * * * *


Saluto in lingua italiana

Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, ricordando, in modo speciale, i fedeli della Parrocchia Santa Maria Imperatrice in Anagni e il Gruppo del 7° Reggimento Bersaglieri di Bari, come pure l’Associazione "Amici del Presepio vivente" di Piubega e la Comunità "Passaggi" di Roma.

Desidero, poi, salutare i giovani, i malati e gli sposi novelli.

Carissimi, vi ringrazio tutti per la vostra partecipazione a questo incontro. A pochi giorni dalla solennità del Natale, possa l’amore, che Dio manifesta all’umanità nella nascita di Cristo, accrescere in voi, cari giovani, il desiderio di servire i fratelli. Sia per voi, cari malati, di conforto e di serenità, perché il Signore viene a visitarci, recando consolazione e speranza. Ispiri voi, cari sposi novelli, a consolidare la vostra promessa di amore e reciproca fedeltà.







Mercoledì 2 gennaio 2002

20132

1. In questo primo incontro del nuovo anno, all'indomani della solennità di Maria Madre di Dio e della Giornata Mondiale della Pace, vogliamo rinnovare il rendimento di grazie a Dio per gli innumerevoli benefici con cui Egli arricchisce ogni giorno la nostra vita. A1 tempo stesso, prolunghiamo la contemplazione del grande mistero dell'Incarnazione, che stiamo vivendo in questi giorni e che costituisce un autentico fulcro del tempo liturgico.

Riprendendo l'espressione di Giovanni "Il Verbo si fece carne" (
Jn 1,14), la riflessione dottrinale della Chiesa ha coniato il termine «incarnazione» per indicare il fatto che il Figlio di Dio ha assunto pienamente e completamente la natura umana per realizzare in essa e attraverso di essa la nostra salvezza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda che la fede nella reale incarnazione del Figlio di Dio è il "segno distintivo" della fede cristiana (cfr CEC 463).

E' quanto del resto professiamo con le parole del Credo niceno-costantinopolitano: "Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo".

2. Nella nascita del Figlio di Dio dal grembo verginale di Maria, i cristiani riconoscono l'infinita condiscendenza dell'Altissimo verso l'uomo e verso l'intero creato. Con l'Incarnazione, Dio viene a visitare il suo popolo: "Benedetto il Signore Dio d'Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide, suo servo" (Lc 1,68-69). E la visita di Dio non è mai inefficace: libera dall'afflizione e dona speranza, porta salvezza e gioia.

Nel racconto della nascita di Gesù, vediamo che il lieto annuncio della venuta del Salvatore atteso viene recato prima di tutto ad un gruppo di poveri pastori, come riferisce il Vangelo lucano: "Un angelo del Signore si presentò davanti ai pastori" (Lc 2,9). In tal modo san Luca, che in un certo senso potremmo definire l’"evangelista" del Natale, vuole sottolineare la benevolenza e la delicatezza di Dio verso i piccoli e gli umili, ai quali egli si manifesta e che sono solitamente meglio disposti a riconoscerlo e ad accoglierlo.

Il segno dato ai pastori, la manifestazione dell'infinita maestà di Dio in un bambino, è carico di speranze e di promesse: "Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia" (Lc 2,12).

Un simile messaggio trova eco immediata nel cuore umile e disponibile dei pastori. Per essi, la parola che il Signore ha fatto loro conoscere è sicuramente qualcosa di reale, un «avvenimento» (cfr Lc 2,15). Accorrono, quindi, senza indugio, trovano il segno loro promesso e subito diventano i primi missionari del Vangelo, diffondendo nei dintorni la buona notizia della nascita di Gesù.

3. In questi giorni abbiamo riascoltato il canto degli angeli a Betlemme: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14). Questo canto deve diffondersi nel mondo anche in questo nostro tempo, portatore di grandi speranze e di straordinarie aperture in ogni campo, ma carico anche di forti tensioni e difficoltà. Affinché nel nuovo anno appena iniziato l'umanità possa procedere in modo più spedito e sicuro sulle vie della pace, occorre il fattivo contributo di tutti.

Per questo ieri, in occasione della Giornata Mondiale della Pace, ho voluto sottolineare il legame che intercorre tra la pace, la giustizia e il perdono. Davvero "non c'è pace senza giustizia" e "non c'è giustizia senza perdono"! Deve, pertanto, crescere in tutti un forte desiderio di riconciliazione, sorretto da una sincera volontà di perdono. Lungo tutto l'anno la nostra preghiera si faccia più forte e insistente, per ottenere da Dio il dono della pace e della fraternità, specialmente nelle aree più travagliate del Pianeta.

4. Entriamo così nel nuovo anno con fiducia, imitando la fede e la docile disponibilità di Maria, che custodisce e medita nel proprio cuore (cfr Lc 2,19) tutte le cose meravigliose che stanno accadendo sotto i suoi occhi. Dio stesso realizza attraverso il suo Figlio unigenito la piena e definitiva salvezza per l'intera umanità.

Contempliamo la Vergine mentre accoglie tra le proprie braccia Gesù per donarlo a tutti gli uomini. Come Lei, pure noi guardiamo con attenzione e custodiamo nel cuore le grandi cose che Dio compie ogni giorno nella storia. Impareremo così a riconoscere, nella trama della vita quotidiana, l'intervento costante della divina Provvidenza, che tutto guida con saggezza ed amore.

Ancora una volta Buon Anno a tutti!

Saluti:

...

[Saluto cordialmente il Coro parrocchiale «Santa Cecilia» di Kistanje, gli operai della Ditta edile «Zitex» di Donji Miholjac, e gli altri pellegrini croati qui presenti.

Carissimi, auspico che il nuovo anno del Signore appena iniziato sia per ciascuno di voi e per le vostre famiglie una nuova tappa di crescita nella fede, come pure un nuovo periodo di grazia, di speranza e di concordia. Volentieri imparto a tutti la Benedizione Apostolica.

Siano lodati Gesù e Maria!]
* * * * *


Rivolgo un cordiale saluto ai Legionari di Cristo, che oggi hanno voluto essere presenti con tutta la loro Comunità di Roma, in particolare con i sacerdoti novelli e le consacrate di "Regnum Christi". Carissimi, il mistero dell’Incarnazione celebrato in questo tempo liturgico vi illumini nel cammino della fedeltà a Cristo. Sull’esempio di Maria, sappiate custodire, meditare e seguire il Verbo che a Betlemme si è fatto carne, per diffondere con entusiasmo il messaggio della salvezza.

Un pensiero speciale va poi al gruppo di coniugi della parrocchia S. Michele in Solofra, che ricordano gli anniversari del loro matrimonio. Carissimi, nel rilevare il gesto gentile che la vostra comunità parrocchiale ha compiuto, offrendo una medaglia d’oro a L’Osservatore Romano nel 140° anniversario di fondazione, vi esorto a perseverare nell’impegno di generosa testimonianza cristiana.

A tutti i pellegrini di lingua italiana presenti a questa prima Udienza generale del 2002 porgo un affettuoso augurio di serenità e di bene per il nuovo anno.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli.

A voi, cari giovani, auguro di saper considerare ogni giorno come un dono di Dio, da accogliere con riconoscenza e vivere con rettitudine. Per voi, cari malati, il nuovo anno porti consolazione nel corpo e nello spirito. E voi, cari sposi novelli, sforzatevi di imitare la Santa Famiglia di Nazareth, realizzando un’autentica comunione di vita e d’amore.




Mercoledì 9 gennaio 2002: Salmo 150 - Ogni vivente dia lode al Signore - Lodi Domenica 2ª settimana

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1. L’inno che ora ha sostenuto la nostra preghiera è l’ultimo canto del Salterio, il Salmo 150. La parola finale che risuona nel libro della preghiera di Israele è l’alleluia, cioè la pura lode di Dio e per questo il Salmo viene riproposto due volte nella Liturgia delle Lodi, la seconda e la quarta domenica.

Il breve testo è scandito da un rincorrersi di dieci imperativi che ripetono la stessa parola “hallelû”, “lodate!”. Quasi musica e canto perenne, essi sembrano non spegnersi mai, così come accadrà anche nel celebre alleluia del Messia di Haendel. La lode a Dio diventa una sorta di respiro dell’anima, che non conosce sosta. Come è stato scritto, “questa è una delle ricompense dell’essere uomini: la quieta esaltazione, la capacità di celebrare. È bene espressa in una frase che rabbí Akiba ha offerto ai suoi discepoli: Un canto ogni giorno, / un canto per ogni giorno” (A. J. Heschel, Chi è l’uomo?, Milano 1971, p. 198).

2. Il Salmo 150 sembra svolgersi in un triplice momento. In apertura, nei primi due versetti (
Ps 150,1-2), lo sguardo si fissa sul “Signore” nel “suo santuario”, sulla “sua potenza”, i “suoi prodigi”, la “sua grandezza”. In un secondo momento - simile ad un vero e proprio movimento musicale - nella lode è coinvolta l’orchestra del tempio di Sion (cfr Ps 150,3-5), che accompagna il canto e la danza sacra. Infine nell’ultimo versetto del Salmo (cfr Ps 150,5c) è di scena l’universo, rappresentato da “ogni vivente” o, se si vuole ricalcare maggiormente l’originale ebraico, da “tutto ciò che respira”. La vita stessa si fa lode, una lode che sale dalle creature al Creatore.

3. Noi ora, in questo nostro primo incontro col Salmo 150, ci accontenteremo di soffermarci sul primo e sull’ultimo momento dell’inno. Essi fanno quasi da cornice al secondo momento, che occupa il cuore della composizione e che esamineremo in futuro, quando il Salmo verrà riproposto dalla Liturgia delle Lodi.

La prima sede in cui si dipana il filo musicale e orante è quella del “santuario” (cfr Ps 150,1). L’originale ebraico parla dell’area “sacra”, pura e trascendente in cui Dio dimora. Vi è, quindi, un riferimento all’orizzonte celeste e paradisiaco, ove, come preciserà il Libro dell’Apocalisse, si celebra l’eterna e perfetta liturgia dell’Agnello (cfr ad esempio Ap 5,6-14). Il mistero di Dio, nel quale i santi vengono accolti per una piena comunione, è un ambito di luce e di gioia, di rivelazione e di amore. Non per nulla, sia pure con qualche libertà, l’antica traduzione greca dei Settanta e la stessa traduzione latina della Vulgata hanno proposto, invece di “santuario”, la parola “santi”: “Lodate il Signore tra i suoi santi”.

4. Dal cielo il pensiero passa implicitamente alla terra con l’accento ai “prodigi” operati da Dio, i quali manifestano “la sua immensa grandezza” (Ps 150,2). Questi prodigi vengono descritti nel Salmo 104, il quale invita gli Israeliti a “meditare tutti i prodigi” di Dio (Ps 104,2), a ricordare “le meraviglie che ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca” (Ps 104,5); il salmista allora ricorda “l’alleanza stretta con Abramo” (Ps 104,9), la storia straordinaria di Giuseppe, i prodigi della liberazione dall’Egitto e della traversata del deserto, e infine il dono della terra. Un altro Salmo parla di situazioni angosciose dalle quali il Signore libera coloro che “gridano” a lui; le persone liberate vengono invitate ripetutamente al rendimento di grazie per i prodigi compiuti da Dio: “Ringrazino il Signore per la sua misericordia, per i suoi prodigi a favore degli uomini” (Ps 106,8 Ps 106,15 Ps 106,21 Ps 106,31).

Si può capire così, nel nostro Salmo, il riferimento alle “opere forti”, come dice l’originale ebraico, cioè ai “prodigi” potenti (cfr Ps 104,2), che Dio dissemina nella storia della salvezza. La lode diviene professione di fede in Dio Creatore e Redentore, celebrazione festosa dell’amore divino, che si dispiega creando e salvando, donando la vita e la liberazione.

5. Giungiamo, così, all’ultimo verso del Salmo 150 (cfr Ps 150,5c). Il vocabolo ebraico usato per indicare i “viventi” che lodano Dio rimanda al respiro, come si diceva, ma anche a qualcosa di intimo e profondo, insito nell’uomo.

Se si può pensare che tutta la vita del creato sia un inno di lode al Creatore, è però più preciso ritenere che una posizione di primato in questo coro venga riservata alla creatura umana. Attraverso l’essere umano, portavoce dell’intera creazione, tutti i viventi lodano il Signore. Il nostro respiro di vita, che dice anche autocoscienza, consapevolezza e libertà (cfr Pr 20,27), diventa canto e preghiera di tutta la vita che pulsa nell’universo.

Perciò noi tutti intratteniamoci a vicenda “con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore” con tutto il nostro cuore (Ep 5,19).

6. Trascrivendo i versi del Salmo 150, i manoscritti ebraici riproducono spesso la Menorah, il famoso candelabro a sette braccia, posto nel Santo dei Santi del tempio di Gerusalemme. Suggeriscono così una bella interpretazione di questo Salmo, vero e proprio Amen nella preghiera di sempre dei nostri “fratelli maggiori”: tutto l’uomo, con tutti gli strumenti e le forme musicali che il suo stesso genio ha inventato - “tromba, arpa, cetra, timpani, danze, corde, flauti, cembali sonori, cembali squillanti”, come dice il Salmo - ma anche “ogni vivente”, è invitato ad ardere come la Menorah di fronte al Santo dei Santi, in costante preghiera di lode e di ringraziamento.

Uniti col Figlio, voce perfetta di tutto il mondo da Lui creato, diventiamo anche noi preghiera incessante davanti al trono di Dio.

Saluti:

Traduzione italiana del saluto in lingua ceca:

Un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dalla Repubblica Ceca.

In questo tempo di Natale risuona nelle nostre anime il canto angelico: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14). Possiate anche voi diffondere la pace di Cristo sulla terra.

Con questo auspicio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!
* * * * *


Rivolgo un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i seminaristi della diocesi di Massa Carrara-Pontremoli, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Eugenio Bini. Carissimi, vi esorto ad attingere ogni giorno vigore spirituale all’inesauribile amore di Cristo, mediante la preghiera, per prepararvi ad essere domani maestri di spiritualità a servizio del Popolo di Dio.

Saluto le juniores della Congregazione “Suore Benedettine della divina Provvidenza”, che in questo anno faranno la professione perpetua. Abbraccio spiritualmente i bambini bielorussi con i loro genitori affidatari, accolti dall’Associazione “Kuore” di Tropea.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Carissimi, in questi giorni che seguono la festa dell’Epifania, continuiamo a meditare sulla manifestazione di Gesù a tutti i popoli. La Chiesa invita voi, cari giovani, ad essere testimoni entusiasti di Cristo tra i vostri coetanei; esorta voi, cari malati, a diffondere ogni giorno la sua luce con serena pazienza; e sprona voi, cari sposi novelli, a essere segno della sua presenza rinnovatrice col vostro amore fedele.






Mercoledì 16 gennaio 2002: Salmo 41: Desiderio del Signore e del suo tempio - Lodi Lunedì 2a Settimana

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(Lettura:
Ps 41,2-3 Ps 41,11-12)

1. Una cerva assetata, con la gola riarsa, lancia il suo lamento davanti al deserto arido, anelando alle fresche acque di un ruscello. Questa celebre immagine apre il Salmo 41, che è stato poc’anzi cantato. Vi possiamo vedere quasi il simbolo della profonda spiritualità di questa composizione, vero gioiello di fede e di poesia. In realtà, secondo gli studiosi del Salterio, il nostro Salmo è da unire strettamente al successivo, il 42, dal quale fu diviso quando i Salmi furono messi in ordine per formare il libro di preghiera del Popolo di Dio. Infatti entrambi i Salmi - oltre ad essere uniti per tema e per sviluppo - sono scanditi dalla stessa antifona: "Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio" (Ps 41,6 Ps 41,12 Ps 42,5). Questo appello, ripetuto due volte nel nostro Salmo, e una terza volta nel Salmo successivo, è un invito rivolto dall’orante a se stesso in vista di respingere la malinconia per mezzo della fiducia in Dio, che certamente si manifesterà di nuovo come Salvatore.

2. Ma ritorniamo all’immagine di partenza del Salmo, che piacerebbe meditare col sottofondo musicale del canto gregoriano o di quel capolavoro polifonico che è il Sicut cervus di Pierluigi da Palestrina. La cerva assetata è, infatti, il simbolo dell’orante che tende con tutto se stesso, corpo e spirito, verso il Signore sentito come lontano e insieme necessario: "La mia anima ha sete di Dio, del Dio vivente"(Ps 41,3). In ebraico una sola parola, nefesh, indica contemporaneamente l’"anima" e la "gola". Quindi possiamo dire che anima e corpo dell’orante sono coinvolti nel desiderio primario, spontaneo, sostanziale di Dio (cfr Ps 62,2). Non per nulla, c’è una lunga tradizione che descrive la preghiera come "respiro": essa è originaria, necessaria, fondamentale come l’alito vitale.

Origene, grande autore cristiano del terzo secolo, mostrava che la ricerca di Dio da parte dell’uomo è un’impresa mai terminata, perché nuovi progressi sono sempre possibili e necessari. In una delle sue Omelie sui Numeri egli scrive: "Coloro che percorrono la strada della ricerca della sapienza di Dio non costruiscono case stabili, ma tende mobili, perché vivono di viaggi continui progredendo sempre in avanti, e quanto più progrediscono, tanto più si apre il cammino davanti a loro, prospettando un orizzonte che si perde nell’immensità" (Omelia XVII, In Numeros, GCS VII, 159-160).

3. Cerchiamo ora di intuire la trama di questa supplica, che potremmo immaginare affidata a tre atti, due dei quali sono all’interno del nostro Salmo, mentre l’ultimo si aprirà nel Salmo successivo, il 42, che in seguito considereremo. La prima scena (cfr Ps 41,2-6) esprime la profonda nostalgia suscitata dal ricordo di un passato reso felice da belle celebrazioni liturgiche ormai inaccessibili: "Questo io ricordo, e il mio cuore si strugge: attraverso la folla avanzavo tra i primi fino alla casa di Dio, in mezzo ai canti di gioia di una moltitudine in festa" (Ps 41,5).

"La casa di Dio" con la sua liturgia è quel tempio di Gerusalemme che il fedele un tempo frequentava, ma è anche la sede dell’intimità con Dio, "sorgente d’acqua viva", come canta Geremia (Jr 2,13). Ora l’unica acqua che affiora alle sue pupille è quella delle lacrime (Ps 41,4) per la lontananza dalla fonte della vita. La preghiera festosa di allora, elevata al Signore durante il culto nel tempio, è sostituita adesso dal pianto, dal lamento, dall’implorazione.

4. Purtroppo, un presente triste si oppone a quel passato gioioso e sereno. Il Salmista si trova ora lontano da Sion: l’orizzonte che lo circonda è quello della Galilea, la regione settentrionale della Terra Santa, come suggerisce la menzione delle sorgenti del Giordano, della vetta dell’Ermon da cui sgorga questo fiume, e di un’altra montagna a noi ignota, il Mizar (cfr Ps 41,7). Siamo, quindi, più o meno nell’area in cui si trovano le cateratte del Giordano, le cascatelle con le quali si avvia il percorso di questo fiume che attraversa tutta la Terra promessa. Queste acque, però, non sono dissetanti come quelle di Sion. Agli occhi del Salmista sono piuttosto simili alle acque caotiche del diluvio che tutto distruggono. Egli le sente piombare addosso come un torrente impetuoso che annienta la vita: "Tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati" (Ps 41,8). Nella Bibbia, infatti, il caos e il male o lo stesso giudizio divino sono raffigurati come un diluvio che genera distruzione e morte (Gn 6,5-8 Ps 68,2-3).

5. Questa irruzione è definita successivamente nella sua valenza simbolica: sono i perversi, gli avversari dell’orante, forse anche i pagani che abitano in questa regione remota dove il fedele è relegato. Essi disprezzano il giusto e deridono la sua fede chiedendogli ironicamente: "Dov’è il tuo Dio?" (Ps 41,11; cfr Ps 41,4). Ed egli lancia a Dio la sua angosciosa domanda: "Perché mi hai dimenticato?" (Ps 41,10). Il "perché?" rivolto al Signore, che sembra assente nel giorno della prova, è tipico delle suppliche bibliche.

Di fronte a queste labbra secche che urlano, di fronte a quest’anima tormentata, a questo volto che sta per essere sommerso da un mare di fango, Dio potrà restare muto? Certamente no! L’orante si anima quindi di nuovo alla speranza (cfr Ps 41,6 Ps 41,12). Il Terzo atto, racchiuso nel Salmo successivo, il 42, sarà una fiduciosa invocazione rivolta a Dio (Ps 42,1 Ps 42,2a Ps 42,3a Ps 42,4b) e userà espressioni liete e riconoscenti: "Verrò all’altare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo".

Saluti:

* * * * *


Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Dirigenti di società e imprese che sostengono L’Osservatore Romano, qui presenti insieme con i loro familiari. Carissimi, vi ringrazio per la generosa disponibilità con cui vi adoperate per far sì che il messaggio evangelico, la voce del Successore di Pietro e il Magistero della Chiesa raggiungano il maggior numero possibile di credenti. Iddio renda feconda questa vostra collaborazione.

Saluto poi i Rappresentanti della "Casa Pio XII" di Pozzuoli ed auguro a ciascuno di continuare con rinnovato slancio il servizio di amore verso i più bisognosi, sull’esempio luminoso di san Vincenzo de Paoli.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La festa del Battesimo del Signore, che abbiamo celebrato la scorsa domenica, ridesti in voi, cari giovani, il ricordo del vostro battesimo e vi sia di stimolo a testimoniare con gioia la fede in Cristo; costituisca per voi, cari malati, conforto nella sofferenza; aiuti voi, cari sposi novelli, ad approfondire e testimoniare coraggiosamente la fede per trasmetterla poi fedelmente ai vostri figli. A tutti la mia Benedizione.







Mercoledì 23 gennaio 2002: Cantico Sir 36, 1-5.10-13 : Preghiera per il popolo santo di Dio - Lodi Lunedì 2a Settimana

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(Lettura:
Si 36,1-2 Si 36,4-5 Si 36,12-13).

1. All’interno dell’Antico Testamento non esiste solo il libro ufficiale della preghiera del Popolo di Dio, cioè il Salterio. Molte pagine bibliche sono costellate di cantici, inni, salmi, suppliche, orazioni, invocazioni che salgono al Signore, come in risposta alla sua parola. La Bibbia si rivela, così, un dialogo tra Dio e l’umanità, un incontro che è posto sotto il sigillo della parola divina, della grazia, dell’amore.

È il caso della supplica che ora abbiamo rivolto al "Signore Dio dell’universo" (Si 36,1). Essa è contenuta nel libro del Siracide, un sapiente che raccolse le sue riflessioni, i suoi consigli, i suoi canti probabilmente attorno al 190-180 a.C., alle soglie dell’epopea di liberazione vissuta da Israele sotto la guida dei fratelli Maccabei. Un nipote di questo sapiente nel 138 a.C. tradusse in greco, come si narra nel prologo apposto al volume, l’opera del nonno così da offrire questi insegnamenti a una cerchia più ampia di lettori e discepoli.

Il libro del Siracide è chiamato "Ecclesiastico" dalla tradizione cristiana. Non essendo stato accolto nel canone ebraico, questo libro finì col caratterizzare, insieme ad altri, la cosiddetta "veritas christiana". In tal modo i valori proposti da quest’opera sapienziale entrarono nell’educazione cristiana dell’età patristica, soprattutto in ambito monastico, divenendo come un manuale del comportamento pratico dei discepoli di Cristo.

2. L’invocazione del capitolo 36 del Siracide, assunta come preghiera delle Lodi dalla Liturgia delle Ore in una forma semplificata, si muove lungo alcune linee tematiche.

Vi troviamo, dapprima, l’implorazione che Dio intervenga a favore d’Israele e contro le nazioni straniere che l’opprimono. Nel passato, Dio ha mostrato la sua santità quando ha castigato le colpe del suo popolo, mettendolo in mano ai nemici. Adesso l’orante prega Dio di mostrare la sua grandezza col reprimere la prepotenza degli oppressori e con l’instaurare una nuova era dai colori messianici.

Certo, la supplica riflette la tradizione orante di Israele, ed in realtà è carica di reminiscenze bibliche. Per certi versi, essa può considerarsi come un modello di preghiera da usare per il tempo della persecuzione e dell’oppressione, com’era quello in cui viveva l’autore, sotto il dominio piuttosto aspro e severo dei sovrani stranieri siro-ellenistici.

3. La prima parte di questa orazione è aperta da un appello ardente rivolto al Signore perché abbia pietà e guardi (cfr Si 36,1). Ma subito l’attenzione è protesa verso l’azione divina, che è esaltata attraverso una serie di verbi molto suggestivi: "Abbi pietà… guarda… infondi il timore… alza la mano… mostrati grande… rinnova i segni… compi prodigi… glorifica la tua mano e il tuo braccio destro…".

Il Dio della Bibbia non è indifferente nei confronti del male. E anche se le sue vie non sono le nostre vie, i suoi tempi e progetti sono diversi dai nostri (cfr Is 55,8-9), tuttavia Egli si schiera dalla parte delle vittime e si presenta come giudice severo dei violenti, degli oppressori, dei trionfatori che non conoscono pietà.

Ma questo suo intervento non tende alla distruzione. Mostrando la sua potenza e la sua fedeltà nell’amore, Egli può generare anche nella coscienza del malvagio un fremito che lo porti a conversione. "Ti riconoscano, come noi abbiamo riconosciuto che non c’è un Dio fuori di te, Signore" (Si 36,4).

4. La seconda parte dell’inno apre una prospettiva più positiva. Infatti, mentre la prima parte chiede l’intervento di Dio contro i nemici, la seconda non parla più dei nemici, ma chiede i favori di Dio per Israele, implora la sua pietà per il popolo eletto e per la città santa, Gerusalemme.

Il sogno di un ritorno di tutti gli esiliati, compresi quelli del regno settentrionale, diventa l’oggetto della preghiera: "Raduna tutte le tribù di Giacobbe, rendi loro il possesso come era al principio" (Si 36,10). Viene richiesta così una specie di rinascita dell’intero Israele, come ai tempi felici dell’occupazione di tutta la Terra Promessa.

Per rendere la preghiera più pressante, l’orante insiste sulla relazione che lega Dio a Israele e a Gerusalemme. Israele viene designato come "il popolo chiamato con il tuo nome", quello "che hai trattato come un primogenito"; Gerusalemme è la "tua città santa", la "tua dimora". Il desiderio espresso poi è che la relazione diventi ancor più stretta e quindi più gloriosa: "Riempi Sion della tua maestà, il tuo popolo della tua gloria" (Si 36,13). Col riempire della sua maestà il Tempio di Gerusalemme, che attirerà a sé tutte le nazioni (cfr Is 2,2-4 Mi 4,1-3), il Signore riempirà il suo popolo della sua gloria.

5. Nella Bibbia il lamento dei sofferenti non si esaurisce mai nella disperazione, ma è sempre aperto alla speranza. Alla base c’è la certezza che il Signore non abbandona i suoi figli, non lascia cadere dalle sue mani coloro che Egli ha plasmato.

La selezione fatta dalla Liturgia ha tralasciato un’espressione felice nella nostra preghiera. Essa chiede a Dio di rendere "testimonianza alle creature che sono tue fin dal principio" (Si 36,14). Fin dall’eternità Dio ha un progetto di amore e di salvezza destinato a tutte le creature, chiamate a divenire suo popolo. È un disegno che san Paolo riconoscerà "rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito:… disegno eterno che Dio ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore" (Ep 3,5-11).

Saluti:


Traduzione italiana del saluto in lingua slovacca:

Saluto di cuore gli studenti prossimi alla maturità del Liceo tecnico "Pier Giorgio Frassati" da Bratislava.

Cari giovani, dopodomani termina l’Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani. Non cessiamo di pregare per la piena comunione fra i credenti in Cristo e per la pace nel mondo.

Volentieri Benedico voi ed i vostri cari.

Sia lodato Gesù Cristo!
* * * * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto il gruppo dei non udenti appartenenti all’Ente Nazionale Sordomuti, che provengono da diverse Regioni italiane. Carissimi, vi ringrazio per la vostra presenza così numerosa e vi assicuro la mia preghiera, perché si rafforzi in voi il desiderio di conoscere e seguire Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo.

Saluto, inoltre, i partecipanti alla giornata di studio sull’Enciclica "Laborem exercens", promosso dalla Federazione Agricola Ambientale Alimentare Industriale. Cari Fratelli e Sorelle, mentre esprimo apprezzamento per questa iniziativa, auspico che essa accresca il vostro impegno di testimonianza evangelica nella società.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Carissimi, in questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sia intensa la nostra invocazione perché quanto prima si giunga alla piena comunione di tutti i discepoli di Cristo.

In questo spirito, invito voi, cari giovani, ad essere ovunque, specialmente con i vostri coetanei, testimoni di unità nell’adesione al vangelo; chiedo a voi, cari malati, di offrire le vostre sofferenze per il raggiungimento di questa meta; esorto voi, cari sposi novelli, a essere all’interno della vostra famiglia un cuor solo ed un’anima sola.

Come sapete, domani mi recherò ad Assisi, dove, insieme con Esponenti di Chiese e Comunità ecclesiali e con Rappresentanti di altre religioni, vivremo una giornata dedicata alla preghiera per la pace nel mondo. Si tratterà di un pellegrinaggio di speranza, sulle orme di san Francesco d'Assisi, profeta e testimone di pace.

Confido che tale iniziativa, oltre agli effetti spirituali che sfuggono alle misure umane, possa contribuire a orientare gli animi e le decisioni verso sinceri e coraggiosi propositi di giustizia e di perdono. Se così sarà, avremo contribuito a consolidare le basi di una pace autentica e duratura.

Invito, pertanto, i fedeli cattolici ad unire la loro preghiera a quella che domani, ad Assisi, eleveremo insieme come cristiani, coltivando al tempo stesso nel loro cuore sentimenti di simpatia per i seguaci di altre religioni convenuti nella città di San Francesco a pregare per la pace.

A tutti, singoli e comunità, esprimo fin d'ora la mia cordiale riconoscenza.







Catechesi 79-2005 19121