Paolo VI Catechesi 10574

Mercoledì, 1° maggio 1974

10574
La nostra riflessione, quest’oggi 1° Maggio, si rivolge con grande interesse verso il lavoro, tema immenso e oggetto di tanti studi e di non finite controversie. Noi ci limitiamo, in questa sede, a qualche citazione, che riprendiamo semplicemente dal Concilio, con intenzione chiarificatrice ed elogiativa.

Rimane certamente nel nostro ricordo e nella nostra esperienza la sentenza di Dio a punizione di Adamo, dopo il primo fatale peccato: «ti guadagnerai il pane col sudore della tua fronte» (Gen. 3, 19), sentenza che aggrava e inasprisce il rapporto fra l’uomo e le cose necessarie alla sua vita; il rapporto non sarà più facile e giocondo, ma sarà stentato e faticoso; lo sappiamo, anche dopo l’invenzione meravigliosa, propria dell’uomo moderno, di strumenti potenti e perfezionatissimi, che diminuiscono, ma alla fine non annullano la fatica dell’uomo dominatore della natura per la propria utilità. Il lavoro è quindi maledetto? No; è l’uomo che subisce il castigo dello sforzo penoso; non, per sé, il lavoro, che rientra nel disegno provvido e sapiente di Dio in ordine all’esercizio delle facoltà umane e al progressivo umano sviluppo. Dice infatti il Concilio: «l’attività umana, individuale e collettiva, ossia quel poderoso sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso, corrisponde al disegno di Dio . . Gli uomini . . . col loro lavoro prolungano l’opera del Creatore, . . . e dànno un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia» (Gaudium et Spes
GS 33). Sia dunque promosso e benedetto il lavoro, e sia consolato l’uomo che lo compie, non senza grave suo sforzo e copioso sudore.

Un’altra citazione del Concilio ci istruisce sulle finalità superiori e trascendenti del lavoro. Noi ci domandiamo: il lavoro è fine a se stesso? È chiaro che no. Il lavoro tende direttamente al profitto economico, il quale a sua volta tende alla soddisfazione dei bisogni umani. Alcuni si fermano a questa visione immediata del lavoro, e ne fanno la sorgente della liberazione umana, diventata la parola-vertice e magica di tanti movimenti ideologici, sociali, economici e politici, ed anche perfino spirituali e religiosi. Può dunque qualificarsi il lavoro come la sorgente della liberazione umana, cioè delle somme aspirazioni della vita?

La domanda, buona e legittima in radice, in quanto riconosce nel lavoro e nella prosperità economica, che ne può derivare, uno dei coefficienti indispensabili alle necessità e alla dignità della vita umana, non è soddisfacente nella sua risposta, se questa si limita ai beni temporali, che possono scaturire dal lavoro orientato alla soddisfazione materialista o edonista dei desideri dell’uomo. Dice il Concilio : «Alcuni attendono dai soli sforzi umani una vera e propria liberazione del genere umano e sono persuasi che il futuro regno dell’uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del loro cuore . . . Con tutto ciò diventano sempre più numerosi quelli che, di fronte all’evoluzione attuale del mondo, si pongono o avvertono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: che cosa è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che nonostante tanto progresso continuano a sussistere? . . . nella luce di Cristo . . . il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell’uomo e per aiutare a trovare la soluzione dei principali problemi del nostro tempo» (Gaudium et Spes GS 10).

Così il Concilio. Noi possiamo concludere con un’osservazione: la filosofia della vita, che restringesse nel solo lavoro rivolto al possesso del mondo esteriore e materiale la sua sapienza, non sarebbe sufficiente, non sarebbe soddisfacente, e alla fine non sarebbe invulnerabile dalla critica del pensiero, dall’esperienza della storia; e fin da ora dalla parola, sì, veramente liberatrice, di Cristo: «Non di solo pane vive l’uomo, ma d’ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4 Mt 4).

Il lavoro, cioè l’attività dell’uomo, solo tesa al possesso e al dominio del benessere temporale, ha bisogno d’un elemento complementare indispensabile, quello autentico dello spirito, quello della fede, quello del dono della vita soprannaturale. L’antica formula di San Benedetto è sempre valida: ora et labora; prega e lavora; è la formula, sempre moderna, della vita cristiana, quale noi oggi auguriamo a tutto il mondo del lavoro, con la nostra Benedizione Apostolica. Vorremmo oggi, 1° Maggio, festa del lavoro, entrata anche nel nostro calendario liturgico, cioè del pensiero e del culto cattolico, mandare un saluto a tutti i Lavoratori.

Vorremmo far sentire a tutti, con umile ma sincera affezione, che la Chiesa pensa a loro. Essa guarda alla loro aspirazione di giustizia e di progresso con solidale simpatia.

Essa teme soltanto che l’ansia della loro lotta metta lo spirito di odio, di vendetta, di violenza nei loro cuori, e chiuda sopra i loro occhi la visione vera e totale dei beni spirituali, che non meno di quelli economici, sono necessari alla loro vita e sono degni della loro condizione sociale: Cristo fu povero, Cristo fu egli pure lavoratore, Cristo ha incontrato l’opposizione e l’incomprensione dei suoi contemporanei, Cristo ha sofferto ed è morto per liberare noi tutti dai nostri peccati, e per renderci tutti fratelli, ed eredi d’una vita immortale, che supera i confini di questa nostra vita mortale presente. ssa, la Chiesa, mantiene e svolge le parole e le promesse, che i Papi, specialmente da un secolo ad oggi, hanno pronunciate per la causa giusta e rinnovatrice delle classi operaie.

Essa oggi vi saluta e vi benedice nei vostri posti di lavoro: vede tanti di voi impegnati in fatiche molto dure ed estenuanti; la fatica fisica è la vostra prova ed il vostro onore.

Vede altri di voi addetti a imprese rischiose, che spesso richiedono un coraggio acrobatico e una straordinaria padronanza di sé, che merita il plauso di tutti. Vede molti di voi occupati in lavori monotoni ed alienanti, ed ammira la vostra bravura e la vostra pazienza. E quanti di voi passano la loro giornata in officine accecanti ed assordanti; quanti sono obbligati a lavori notturni e a turni di lavoro che rompono ogni ritmo tranquillo alle vostre giornate: la Chiesa non vi dimentica.

E ancora quanti non ricavano più dall’austera e georgica vita dei campi un benessere sufficiente ad un’esistenza civile, non inferiore a quella dei compaesani che hanno preferito il lavoro industriale e più sicuramente retribuito: la Chiesa è ancora con i laboriosi coltivatori della terra e allevatori di armenti e di greggi.

E vediamo i mille e mille di voi, che hanno lasciato la casa e la patria per cercare all’estero un ingrato lavoro e un po’ di fortuna: cari esuli, la Chiesa pensa agli emigranti.

Vediamo le vostre famiglie ancora in povere case, spesso con figli senza scuola vicina, e prive della sufficiente assistenza sanitaria e sociale di cui avrebbero bisogno: la Chiesa è sempre casa per la vostra famiglia cristiana ed onesta.

Vediamo le vostre chiese quasi abbandonate, le vostre parrocchie dalle campane talvolta senza voce, e le vostre feste locali quasi deserte.

Vediamo spesso voi tutti affascinati da idee, spesso venute da lontano, col fascino della rivolta, ma senza garanzia di verità e di felicità . . .

Lavoratori! oggi noi guardiamo a voi con nessun altro interesse che la vostra giustizia, la vostra prosperità, la vostra fedeltà a Cristo, nostro Salvatore e nostra pace.

È vicino a noi un vostro collega e vostro protettore, San Giuseppe, che insegnò a Gesù il mestiere del fabbro; e con lui, sempre nel nome di Cristo, tutti vi salutiamo e vi benediciamo.

L’Apostolato della Preghiera

Our special greeting goes to the National Secretaries of the Apostleship of Prayer who have assembled in Rome. We are mindful of the efforts and accomplishments of your Association to promote holiness through the daily offering of one’s life to God.

As we encourage you to persevere in the love of Jesus Christ and in authentic Christian prayer, we thank you and all our beloved sons and daughters who are especially mindful of the intentions of our universal ministry. We are happy to repeat with Saint Paul: “Pray perseveringly, be attentive to prayer, and pray in a spirit of thanksgiving. Pray for us too . . .” (Col 4,2-3). With our Apostolic Blessing in the Lord.

Pellegrinaggio de «La Vie Montante»



Mercoledì, 8 maggio 1974

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Ancora noi proseguiamo a celebrare in noi stessi il mistero pasquale, cioè l’estensione alle nostre singole vite personali del dramma redentore di Cristo. Egli è morto, Egli è risuscitato, per noi, e questa sua morte e questa sua risurrezione si comunicano a noi, si celebrano misticamente, ma effettivamente in noi mediante due processi, che di fatto rigenerano la nostra umana esistenza: uno è la fede, l’altro è il battesimo; essi si integrano a vicenda, ed operano in noi la «giustificazione». Scrive San Paolo: «Voi siete tutti (diventati) figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, quanti siete stati battezzati in Cristo; siete stati rivestiti di Cristo» (
Ga 3,26-27). «Ignorate voi forse, riprende l’Apostolo scrivendo ai Romani, che quanti di noi siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati battezzati nella morte di lui? Noi siamo stati dunque sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del Padre, così anche noi camminiamo in novità di vita . . . Così anche voi fate conto d’essere morti al peccato e di vivere a Dio in Cristo Gesù» (Rm 6,3-11).

Questa dottrina è fondamentale per la nostra coscienza cristiana. Essa meriterebbe un’analisi biblica e teologica, tradotta poi in termini liturgici e morali di primaria importanza, sia spirituale che pratica (Cfr. F. PRAT, La théol. de St. Paul, I, 266; II, 266-268; 306; 312-315; etc.). A noi basti ora fermare l’attenzione sopra un punto-cardine di questa autentica e irrinunciabile concezione cristiana della nostra vita. Ed è questo: il nostro battesimo comporta un impegno morale: un forte, nuovo e stupendo impegno morale. Tutti possiamo ricordare le rinunce e le promesse fatte per il nostro battesimo. Un impegno morale? Cioè un dovere nuovo, un obbligo molto esigente? un vincolo alla nostra coscienza? una scelta determinata per la nostra libertà? Sì, un impegno morale, che investe tutta la nostra condotta. La vita cristiana, inaugurata col battesimo, che ci eleva ad un livello esistenziale nuovo, quello di figli adottivi di Dio, ci vuole «santi ed immacolati» (Ep 1,4). Sembra questa Un’esigenza eccessiva, un’utopia morale, un peso troppo grave. Eppure è così (Cfr. Lumen Gentium LG 40).

E se realmente noi vorremo proporci un programma di rinnovamento di vita cristiana, non potremo prescindere da questa imperativa esigenza, che deve caratterizzare l’autenticità e l’originalità della nostra esistenza. Bisogna davvero che essa sia vissuta in una grande riconoscenza a Dio per la santità già a noi conferita come suoi figli adottivi e in una tensione indefessa di perfezione. Ce lo aveva già detto il Signore: «Siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Ce lo ripete tutto l’insegnamento apostolico (Cfr. Rm 12,2 Ep 4,13 Col 1,28 Jc 1,4 etc.). Ce lo insegna continuamente la Chiesa, cosciente delle proprie umane deficienze e sempre sollecita a battersi il petto accusandosi della propria fragilità, ma instancabile maestra di santità, ci stimola e ci conforta con l’esempio e con l’assistenza di quei suoi figli migliori, che in questa vita scelgono per sé uno stile di perfezione morale, e che passati all’altra vita, quando l’epifania delle loro virtù e dei loro carismi risplende in modo particolare, ce li propone campioni alla nostra imitazione, alla nostra venerazione, alla nostra invocazione nella comunione dei Santi.

Impegno morale: ma una prima obiezione ci invita per ora ad una semplice osservazione di risposta. Obiezione: Cristo non è forse venuto per liberarci? Come può essere proposta la vita cristiana come un impegno nuovo e più grave? Qui occorrerebbe una lunga lezione (Cfr. Card. G. COLOMBO, Per la liberazione dell’uomo, Rusconi Ed., 1972); lunghissima anzi, tanto questa parola «liberazione» è diventata quasi magica, quasi una seducente scoperta, che esonera l’uomo moderno da ogni scrupolo, e lo autorizza a vivere secondo la spontaneità dei suoi istinti, delle sue passioni, della sua coscienza puramente psicologica, nella erronea e talora fatale illusione, che svincolare la propria condotta da ogni autorità, da ogni proibizione, da ogni inibizione sia il mezzo migliore per rendere facile e felice la vita. Non è così.

Il Signore, nell’economia del nuovo Testamento ha sì, liberato l’uomo dall’osservanza precettistica dell’antico Testamento (Cfr. Mt 12,1-8 Mc 2,27), ma ha perfezionato taluni precetti morali dell’antica legge (Cfr. discorso della montagna: Mt 5,17 ss.) e conservando quelli della legge naturale, del decalogo (Cfr. Rm 2,14 ss.), due principali innovazioni perfettive ha introdotto nella dottrina normativa della vita umana: la prima ha consistito nel rendere veramente interiore l’atto morale e nel portare nel cuore, cioè nella coscienza dell’uomo la vera osservanza del bene (Cfr. Mt 15,11 Lc 18,10 ss.; Mc 7,6); la seconda, ha concentrato nell’amore a Dio ed al prossimo «tutta la legge e i profeti» (Mt 22,40), facendo cioè dell’amore che così si dà, fino al sacrificio, il principio fondamentale e fecondo della legge universale della moralità umana (Cfr. Jn 13,35 Jn 15,13 Mt 25,31 ss.).Tutto questo ci fa pensare. Pensare quanto sia fuori strada la così detta «moralità permissiva», cioè l’affrancamento della condotta umana dalle norme assolute de! bene e del male; quanto sia incompleta una norma soggettiva suggerita dalla sola coscienza psicologica, avulsa da quella morale, da quella cioè guidata dalla legge di Dio e dal magistero autorizzato, che la propone; e quanto infine sia invece bella, gioiosa e forte una vita che fa del dovere sua guida, e il dovere ricava dalla luce e dall’impegno battesimale.

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Nuovi Diaconi del Collegio Americano del Nord

Our special welcome goes to the young men from the Pontifical North American College who will be ordained deacons tomorrow. We invoke in abundance upon each of you, dear sons, the outpouring of Christ’s Holy Spirit, that you may be wise and faithful in your ministry. Always remember that your ecclesial service to God’s holy people will be effective to the extent that your personal commitment to Jesus Christ remains strong and vital. For, in the words of Saint Peter: “Although you have never seen him, you love him, and, without seeing, you now believe in him and rejoice with inexpressible joy . . .” (1P 1,8). It must always be so, if you are to fulfill the destiny to which the Lord calls you. We congratulate your parents and families; may they always be proud of you.

To all of you we impart our Apostolic Blessing.

Partecipanti al corso di perfezionamento dell’IRI

Porgiamo ora il nostro cordiale e paterno benvenuto ai giovani provenienti da diverse Nazioni, che hanno concluso il Corso di perfezionamento indetto dall’Istituto per la Ricostruzione Industriale a favore dei Paesi in via di sviluppo. Vi esprimiamo la nostra sentita riconoscenza, figli carissimi, per avere voluto suggellare con questo incontro col Papa il vostro corso di studi, prima di ritornare nella vostra rispettiva patria.

La vostra presenza procura al nostro cuore una consolazione sincera e vi alimenta una grande speranza, perché ci offre un esempio eloquente di quella fraterna solidarietà e fattiva collaborazione tra i popoli, che la dottrina sociale della Chiesa e l’insegnamento pontificio hanno sempre vivamente raccomandato alla coscienza universale, come indispensabile condizione per la pace nel mondo.

Ci rallegriamo, pertanto, con voi che avete atteso con serio impegno ai vostri studi, e ci congratuliamo con quanti vi hanno dato la possibilità di perfezionare la vostra preparazione professionale con le nozioni tecniche più moderne, necessarie per lo sviluppo economico dei vostri Paesi.

Nel cammino che si apre davanti a voi, così pieno di promesse, vi guidi sempre l’amore disinteressato verso i vostri connazionali e il desiderio di rendervi utili ad essi in tutto ciò che concerne il retto progresso, la pace nell’ordine, la prosperità della vita familiare e sociale.

Ai nostri voti si aggiunge la Benedizione Apostolica, che di cuore estendiamo ai vostri cari e al benemerito Istituto per la Ricostruzione Industriale.

Economi ed amministratori di Famiglie religiose

Anche quest’anno abbiamo la gradita opportunità di rivolgere una parola di saluto e d’incoraggiamento ai numerosi Economi e Amministratori di Comunità Religiose, i quali partecipano, qui a Roma, al loro XIV Convegno Nazionale di studio nel quadro delle manifestazioni della Settimana della vita collettiva. Ci fa piacere veder questa schiera di persone, che nella loro consacrazione a Dio hanno altresì la responsabilità, oggi tanto delicata e complicata, della conduzione della vita economica delle rispettive Famiglie religiose, con tutti i problemi connessi: giuridici, tecnici, pratici, ecc. Vorremmo confortarvi in questo vostro impegno, affinché lo possiate vedere con gli occhi della fede, come un servizio - e quanto necessario! - alle vostre comunità, alle quali date in silenzio, con oculatezza e perizia, la possibilità di meglio dedicarsi alle proprie specifiche linee di azione e di contemplazione; vorremmo esortarvi a rendervi sempre maggiormente specializzati ed esperti in questo campo, che non ammette più improvvisazioni, empirismi, rischi, leggerezze, ma esige una impostazione diremmo scientifica del lavoro; ma vorremmo anche invitarvi a non lasciarvene assorbire pi; del necessario, sapendo che, se è pur doveroso e indispensabile avere una perfetta e qualificata organizzazione, rimane pur sempre superiore quell’optimam partem che il Signore ha lodato in Maria di Betania, seduta ai suoi piedi nell’ascolto della Parola, a differenza della troppo affaccendata sorella (Cfr. Lc 10,42).

E affinché siate sempre i ricercatori appassionati di questa «parte migliore», di cuore vi impartiamo la nostra Apostolica Benedizione, che estendiamo ai vostri Confratelli e alle vostre Consorelle.

Le Comunità neocatecumenali

Salutiamo il gruppo di sacerdoti e di laici che rappresentano il movimento delle Comunità Neocatecumenali, convenuti a Roma da molte diocesi d’Italia e di altri Paesi per un convegno sul tema della evangelizzazione nel mondo contemporaneo, lo stesso che sarà preso in esame dalla prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi.

Sappiamo, diletti figli, che nelle vostre comunità voi vi adoperate insieme a comprendere e a sviluppare le ricchezze del vostro battesimo e le conseguenze della vostra appartenenza a Cristo. Tale impegno vi porta a rendervi conto che la vita cristiana non è altro che una coerenza, un dinamismo permanente che derivano dall’aver accettato di essere con Cristo e di prolungare la Sua presenza e la Sua missione nel mondo.

Questo proposito, mentre per voi è un modo consapevole e autentico di vivere la vocazione cristiana, si traduce anche in una testimonianza efficace per gli altri, in uno stimolo alla riscoperta e al recupero di valori cristiani che potrebbero restare sopiti.

Vivere e promuovere questo risveglio è quanto voi chiamate una forma di catecumenato post-battesimale, che potrà rinnovare nelle odierne comunità cristiane quegli effetti di maturità e di approfondimento, che nella Chiesa primitiva erano realizzati dal periodo di preparazione al battesimo.

Siamo lieti di sapervi animatori di queste riprese di coscienza in tante parrocchie. Siamo lieti in modo particolare di sapere che in ogni vostra iniziativa siete sommamente attenti alla dipendenza dai vostri pastori e alla comunione con tutti i fratelli. Per questa sensibilità ecclesiale - che è sempre garanzia della presenza edificatrice dello Spirito - vi rivolgiamo il nostro incoraggiamento e vi impartiamo la nostra Benedizione.


Mercoledì, 15 maggio 1974

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In queste udienze successive alla Pasqua noi continuiamo a considerare la nostra partecipazione al mistero pasquale, il quale a tale influsso sulla nostra vita da elevarne l’esistenza ad un grado nuovo, che chiamiamo correntemente cristiano, e che effettivamente è soprannaturale; consiste in una rigenerazione, non soltanto simbolica, ma effettiva, che ha riflessi straordinari: sui nostri rapporti con Dio, sul nostro eterno destino, su certi modi di vivere anche in questo periodo temporale e mortale della nostra esistenza medesima, comportando così uno speciale stile della nostra condotta; abbiamo già detto qualche fugace, ma importante parola sugli impegni che la nostra qualifica esistenziale di cristiani comporta; l’impegno della fede, ad esempio, e l’impegno ad una coerente linea morale. Vi è un altro effetto, che deriva, mediante sempre il battesimo, dalla nostra vitale associazione al mistero pasquale, ed è l’impegno ecclesiale.

E ancor più che impegno dobbiamo chiamarlo fortuna, dono, vocazione, inserzione, appartenenza alla Chiesa di Cristo. Il battesimo infatti è la porta attraverso la quale gli uomini entrano nella Chiesa (Cfr. Lumen Gentium
LG 14). È il battesimo che ci fa simultaneamente cristiani e membri della Chiesa. Perché? perché il battesimo trasfonde in noi i misteri della morte e della risurrezione di Cristo; noi «siamo associati alle sue sofferenze, ... per essere con Lui glorificati» (Ibid, LG 7); noi diventiamo suo mistico corpo; non soltanto per un riferimento morale, ma reale, sebbene misterioso e soprannaturale, sui generis, mediante un vincolo vitale, che oltrepassa ogni umano particolarismo, e ci compagina in una comunione effettiva e visibile, in una società superiore, umana e sovrumana ad un tempo, che si chiama la Chiesa. Rileggiamo S. Paolo: «Voi siete infatti tutti figli di Dio, mediante la fede in Cristo Gesù; quanti siete stati battezzati in Cristo, siete stati rivestiti di Cristo. Non v’è più Giudeo, né Greco; non v’è schiavo, né libero; non v’è maschio, né femmina. Voi siete tutti uno solo in Cristo Gesù» (Ga 3,26-28 Ep 4,5 1Co 6,15 Col 3,15).

Qui verrebbe naturale uno studio, anche sommario, ma essenziale per avere un concetto esatto della vita cristiana, sul «corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa» (Cfr. la grande Enciclica di Papa Pio XII, del 1933; vedi JÉROME HAMER, L’Eglise est une communion, Cerf 1962), tema questo della più moderna teologia, ricchissima di magnifiche dottrine, come di interessantissime questioni, come quella della distinzione, convergente in una sostanziale identificazione fra «Popolo di Dio» e «Corpo mistico di Cristo», entrambi, sotto aspetti alquanto differenti, designanti la Chiesa (Cfr. HAMER, ibid., p. 45 e p. 50; Y. CONGAR, L’Eglise que j’aime, Cerf 1968, p. 31 ss.); come l’altra, immensa e affascinante questione sull’Ecumenismo: i battezzati non appartengono tutti alla Chiesa? e la Chiesa non è una sola? (Cfr. J. A. Moehler, V. Soloviev, A. S. Khomiokov, etc.) Sì, risponde il Concilio; ma l’appartenenza perfetta alla Chiesa richiede, oltre il battesimo, altre condizioni, come l’identica fede (Cfr. Ep 4,5 Jn 10,16), e l’unità di comunione (LumenGentium, LG 15; Unitatis Redintegratio, UR 2 UR 3, etc.), così che, insegna il Concilio, solo per mezzo della Chiesa cattolica di Cristo, ch’è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere la pienezza dei mezzi salvifici (Unitatis Redintegratio UR 3 W. BERTRAMS, Quaestiones Fundamentales Iuris Canonici, Gregoriana 1969, p. 242 ss.).

Ma lasciamo per ora questi problemi e fissiamo lo sguardo sopra la realtà, che ci preme fare risplendere con luce pasquale nelle nostre anime. La realtà è questa: noi siamo vitalmente inseriti nella Chiesa di Cristo. Egli è la vite, noi siamo i tralci (Jn 15): notate quante volte, in questo capitolo del Vangelo, il Signore ci raccomanda di «rimanere in Lui», come una necessità imprescindibile, come una necessità irrinunciabile, come un amore inscindibile. Egli è il nostro Capo, noi siamo le membra del suo corpo, la Chiesa (Cfr. Col 1,18). Il battesimo ci ha fatti Cristiani (Cfr. Jn 3,5 Ac 2,41 Ac 4,4 Ac 8,12 Ac 10,48): di questo avvenimento, che ha investito fino nelle profondità il nostro essere, non dovremmo mai dimenticarci.

E della comunione, visibile e misteriosa, storica ed escatologica, che il battesimo stabilisce fra noi e la Chiesa, quale realmente essa è, sia pur essa umana e perciò limitata e difettosa nelle sue contingenti espressioni, dovremmo essere custodi gelosi, fieri ed umili ad un tempo, pronti a sentirci esaltati nella nostra personalità, quando le siamo sinceramente, amorosamente devoti.

E una cosa ricordiamo e impariamo: amare la Chiesa! Come il Signore! (Ep 5,29) Com’è scritto, a Ginevra, quale sola epigrafe, sulla tomba del Cardinale Mermillod: dilexit Ecclesiam! E come scriveva il Rosmini: «La Chiesa di Gesù Cristo . . . è quella, che non si può amare mai troppo, né relativamente, né assolutamente . . .» (A. ROSMINI, Fedeltà alla Chiesa, Morcelliana 1963).

Amare la Chiesa! Con la nostra Apostolica Benedizione.



Gli eletti seguaci di S. Bernardo

Conferenza generale dei Fratelli Maristi

Religiose di lingua inglese

Our special welcome goes to the Sisters of the ARC Program, who are pursuing a course of renewal in Rome. It is always a joy for us to be able to greet a group of Religious, our beloved daughters in Christ Jesus. It is a special joy to greet a group like your own, for you will go out from this City to share with your respective communities the fruits of your study and prayer.

Our message to you and yours today is summed up in the word “fidelity”: fidelity to Jesus Christ and to life-giving word and sacrificial love, that is, fidelity to your Christian calling and religious consecration, fidelity in giving the edifying and joyful witness with which you promised to serve God’s people. The World turns to you and says what people in the Gospel said to Philip: “Me wish t o see Jesus” (Jn 12,21). And we say to you: Show Jesus to the World.

This is your mission, this is your life. With our Apostolic Blessing.

Giovani delle Opere Salesiane

Ci rivolgiamo con particolare simpatia al festoso gruppo di circa mille ragazzi, radunati a Roma dal Centro Nazionale delle Opere Salesiane.

Cari ragazzi; la vostra presenza a questo incontro ci colma di gioia e di gratitudine, perché pensiamo alle promesse di cui siete portatori per la Chiesa, voi, nella vostra fanciullezza e nella vostra incipiente giovinezza.

Vi trovate a Roma - «insieme e in allegria» - per un appuntamento che deve servire a ravvivare e a rinnovare i vostri impegni di bontà e di amicizia, sulle orme di un vostro giovane e bravo collega: san Domenico Savio. Ecco, avete nel vostro motto il programma per una esperienza e per una testimonianza cristiana che il mondo attende da voi con un’ansia immensa.

Sappiate «stare insieme», aiutandovi in tutto, accettandovi anche nelle diversità, perdonandovi nelle debolezze e stimolandovi sempre nella bontà. Sarà questo il vostro contributo alla pace. È questo il senso in cui «La pace dipende anche da te», cioè anche da ciascuno di voi: tema, anche questo, che avete voluto scegliere come atmosfera del vostro incontro romano.

E sappiate «stare in allegria, stare nella gioia»; quella allegria che proviene dalla consapevolezza di fare sempre il possibile per migliorare voi stessi e gli ambienti in cui vi trovate, e dall’animare la vita con l’amore, qualunque essa sia; quella gioia che è frutto della comunione con Dio, cioè della grazia, e che può essere distrutta solo dal peccato, vera causa di ogni tristezza.

Vi incoraggia e vi segue la Nostra Benedizione Apostolica, che vi impartiamo con tutto l’affetto.


Mercoledì, 22 maggio 1974

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Ancora trattiene la nostra attenzione il mistero pasquale, che abbiamo recentemente celebrato, e che, come una luce accesa sul cammino della nostra vita, ci invita a formarci una nuova concezione di Cristo, della nostra esistenza e del mondo, concezione che possiamo definire escatologica. Non ci spaventi la parola difficile, estranea alla terminologia degli antichi catechismi, i quali però usavano una parola, che possiamo dire equivalente, pur nel suo significato più ampio e più generico, quello di concezione cristiana della religione e della vita (Cfr. M. SHIMAUS, II problema escatologico nel cristianesimo, nel II vol. di Problemi e orientamenti di Teologia dogmatica, Marzotti 1957, p. 925 ss.).

Escatologia è un vocabolo che, come si sa, deriva dal greco, e vuol dire «ultimo», finale, estremo; e nel linguaggio biblico può avere un duplice significato, quello di ulteriore, di superiore, di superstite, di soprannaturale, quando si riferisce ad un’esistenza, che sorpassa, nella forma e nella durata la vita presente, temporale e mortale; ovvero può significare, e più normalmente, lo stato profetico riguardante la fine di questo mondo, la situazione cosmica e esistenziale, quale sarà al termine della storia, quando Cristo ritornerà, nella gloria, per giudicare « i vivi e i morti », come ci lascia immaginare il discorso di Cristo circa la scena grandiosa e misteriosa del giudizio finale e della discriminazione fatale dell’umanità (
Mt 25,11-36). I nostri testi tradizionali, sempre autentici, ci parlano di queste sublimi e tremende cose, in un trattato intitolato «i nuovissimi», che tratta quattro formidabili capitoli: morte, giudizio, paradiso e inferno, ai quali è unito quello del purgatorio, tutti documentati da precise riferenze e insegnamenti dogmatici del magistero ecclesiastico.

Come per tanti altri aspetti del mondo religioso, la materia si presenta assai abbondante, assai profonda e assai importante; merita certo ben più ampia riflessione che quella a noi possibile in questa sede e in questo momento. Ma noi ora limitiamo il nostro interesse a soli tre accenni su questo immenso quadro escatologico.

Primo. Circa la risurrezione di Cristo: realtà, e quale realtà? È noto come lo studio circa la risurrezione di Cristo abbia dato origine, proprio in questi anni, ad analisi d’ogni genere, proclivi alcune a contestare la realtà storica e fisica di questo avvenimento centrale e capitale della storia umana e della fede cristiana (Cfr. 1Co 15). La dottrina nostra: biblica, storica, teologica, liturgica, spirituale, - voi lo sapete - non ammette dubbi circa questo avvenimento: Gesù Cristo è veramente risorto; cioè dopo la morte, una vera morte, Egli, per divina virtù, è ritornato realmente in vita, anima e corpo, ma in uno stato nuovo, come «uomo celeste» (1Co 15,47), cioè vivificato anche nella sua umanità da una superiore azione dello Spirito divino.

Siamo, sì, nel surreale, ma nella verità, di cui alcuni (Ac 10,41), e non pochi (oltre cinquecento, dice San Paolo) (1Co 15,6), furono testimoni oculari, e di cui noi credenti dobbiamo essere non meno validi assertori (Cfr. F. PRAT, Théologie de St. Paul, 1, 157 ss.; circa le discussioni odierne: C. PORRO, La Risurrezione di Cristo oggi, ed. Paoline 1973). Certezza dunque, beata certezza sul fatto della risurrezione del Signore.

Secondo punto: il nostro personale ed ecclesiale rapporto con Cristo risorto. Questo dice la nostra dottrina: anche noi, come Cristo, in Cristo, risorgeremo. È straordinario. Ma è così: la fede in Cristo e il battesimo, da lui istituito, nel nome del Dio vivente, Padre e Figlio e Spirito Santo, ci assicurano, se noi siamo fedeli, una analoga vittoria sulla morte; diciamo, con immenso stupore e con immenso gaudio: sulla morte. La morte, la nostra suprema nemica, sarà vinta alla fine (1Co 15,26). Anche noi risusciteremo! Cristo è il principio di questo prodigio; Egli è la causa esemplare (in Cristo, come Lui dobbiamo risorgere); Egli è inoltre la causa meritoria (per Cristo, per causa sua, noi potremo risorgere). Questo è il compimento della sua missione messianica, questo è il miracolo della redenzione. Questa, se noi vogliamo corrispondere al disegno redentore, è la nostra sorte finale, la nostra escatologia. Il mistero pasquale domina perciò il nostro supremo destino.

Terzo punto. Noi ci domandiamo: ma come? ma quando? Ed ecco un altro aspetto di questo sommo fatto religioso: il riflesso cioè della concezione escatologica sulla esistenza presente. In altri termini: noi dobbiamo interrogarci sull’influsso che la nostra fede nella vita futura, quale da Cristo è stata annunciata e dalla Chiesa insegnata, abbia sulla nostra vita nel tempo. Una volta questo pensiero era vigilante, come un lume acceso nell’oscurità, tanto complessa e tanto insidiosa, del pellegrinaggio dell’uomo nel corso del tempo. Ora, invece, si direbbe che si fa di tutto per velare o per spegnere quel lume, per distogliere dalla mentalità umana quel pensiero della vita futura, e per abituare l’uomo moderno a formarsi una concezione puramente temporale, attualista, e a fare i calcoli direttivi della vita entro, e non oltre, l’orizzonte dell’ora presente. Il laicismo radicale chiude lo sguardo sul mistero e sul destino dell’immortalità dell’anima, e tanto più sulla visione della promessa risurrezione.

Noi cristiani invece, se abbiamo fede nella realtà e nella virtù del mistero pasquale, dobbiamo formarci una concezione, osiamo dire, ambivalente della nostra vita: essa è nel tempo, ma sarà un giorno nel regno celeste (non immaginato questo come il «cielo empireo» degli antichi, ma come uno stato ontologico nuovo, misteriosamente e meravigliosamente concepito dalla mente di Dio). Un regno celeste, al quale, per certi titoli, come la fede, la grazia, la carità, già apparteniamo. Noi siamo in parte di qui e in parte di là; noi siamo già «nuovi», già «vivi» d’una vita che la morte corporale non potrà spegnere. Dobbiamo saper vivere simultaneamente nel tempo e nel cielo. Ricordate ancora San Paolo: «Se dunque siete stati risuscitati con Cristo (nel battesimo), cercate le cose di lassù, non quelle della terra» (Col 3,1); e ancora: «come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del Padre, così anche noi dobbiamo camminare in novità di vita» (Rm 6,4). Una bella preghiera liturgica ce lo ricorda : inter mundanas varietates ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia.

E non sorga in noi il dubbio che l’orientamento della nostra vita verso il suo destino futuro, escatologico, ci renda inabili a compiere perfettamente e intensamente i nostri doveri nel tempo fuggente e presente, ché anzi aumenterà in noi il senso del suo inestimabile valore e la sapiente volontà di bene impiegarlo.

Con la nostra Apostolica Benedizione.



La piccola Opera della Redenzione

Ci sembra degno di particolare menzione, per il numero e per la qualità e per il significato, il pellegrinaggio indetto dalla Piccola Opera della Redenzione. Sono 1500 persone, la maggior parte ragazzi assistiti nei vari istituti, insieme con i sacerdoti e le religiose, loro educatori; li guidano il Vescovo di Nola, nella cui diocesi ebbe inizio l’opera assistenziale, e con lui i Vescovi di Calvi e Teano, di Avellino, di Albano; e il movente di questo incontro è la espressione di gratitudine a Dio, per gli inizi della Piccola Opera, a Visciano di Nola nel Natale del 1943, e per la sua progressiva affermazione, fino a giungere alla Colombia per la cura dei ragazzi più abbandonati di quella Nazione, a noi tanto cara.

Anche noi ringraziamo commossi il Signore per il bene che l’Opera ha compiuto in questi anni, con genuino amore evangelico ai piccoli, prediletti di Cristo, dando loro una adeguata qualificazione tecnica, che finora ha permesso a circa trentamila ragazzi di inserirsi nella società con diplomi specializzati e come stimati professionisti, oltre a quelli che sono diventati sacerdoti per continuare la missione santificatrice ed educatrice per cui l’Opera è nata.

Lode all’istituzione the ha rinnovato e prolungato nella società, nata dalle rovine de1 dopoguerra, una tradizione the nobilita la storia religiosa d’Italia. Auguriamo all’opera di progredire costantemente nel solco delle solide virtù del Vangelo, nell’impegno apostolico e nel culto della vita interiore, the quello garantisce assicurandone il frutto; e, in pegno dell’assistenza divina, impartiamo ai suoi membri, sacerdoti e religiosi, ai carissimi ospiti, agli ex-alunni, ai benefattori, la nostra particolare Benedizione Apostolica.

Corso di perfezionamento teologico di sacerdoti americani

Our special welcome goes to the priests of the Institute for Continuing Theological Education. We are grateful for your visit this morning, for we view it as an expression of your filial devotion and of your supernatural faith. It is our hope that these months have proved beneficial to you through prayerful reflection and an increased experience of sacerdotal solidarity and fraternity.

We urge you to continue on, united in spirit and ideals, towards the great goal of Christian renewal. We hope that, as you acquire a “fresh spiritual way of thinking” (Ep 3,23), you will remain steadfast in the joy and love of Christ Jesus.

Scintoisti giapponesi

We greet with cordial and warm affection the group of Shinto priests from Kyoto. May your stay in Rome and in the West be enjoyable for you, and may it be spiritually profitable.

Love is based on knowledge, and we pray this present experience of different cultures may give you a wider knowledge which will be a help in deepening your love for others. God bless you.

Capitolo Generale dell’ordine di N.S. della Mercede

Un saludo particular a los Religiosos de la Orden de Nuestra Señora de la Merced, que celebran en estos días su Capítulo General ordinario, destinado sobre todo al estudio de la renovación de la vida religiosa, según las directrices marcadas por el último Capítulo General especial.

Al perseguir estos objetivos, os invitamos, amadísimos hijos, a no perder de vista que para que la renovación de vuestra vida sea auténtica, debe ser ante todo una renovación interior (PerfectaeCaritatis, 2, 3), que partiendo de la inspiración primigenia de vuestro Instituto, os lleve a la vez a saber adaptar vuestra forma de vida, vuestras obras y métodos de apostolado a las necesidades del momento actual, para mejor ayudar así a los hombres de hoy y conducirles a Dios.

Dicha renovación no podrá ser conseguida sin que cada uno de vosotros tenga constantemente presente a Cristo como modelo y ejemplo de vida y sin que todos traten de unirse frecuentemente con el Señor a través de la oración personal, que será expresión de la propia fidelidad al sentido evangélico de la vida, que asegurará un aliento en el propósito de consagración total a Dios y al servicio de los hombres y que constituirá asimismo un sólido conforte en el cumplimiento del deber. Esa unión asidua con Dios inspirará igualmente vuestra vida común, para que no sea una mera convivencia externa, sino que se convierta en palestra de caridad fraterna y de mutuo apoyo para el apostolado.

Enriquecidos así vuestros espíritus, encontraréis en el servicio y promoción moral del ser humano un criterio válido para vuestra actividad en el momento presente. En efecto, el hombre de hoy necesita ser librado de esclavitudes humanas y sobre todo morales no menos graves de otras del pasado.

Con nuestros mejores votos para los trabajos de vuestro Capítulo General, os impartimos de corazón una especial Bendición Apostólica.


Mercoledì, 29 maggio 1974


Paolo VI Catechesi 10574