Discorsi 2005-13 11062

ALLA COMUNITÀ DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA Sala dei Papi Lunedì, 11 giugno 2012

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Venerato Fratello nell’Episcopato,
Cari Sacerdoti,

ringrazio anzitutto Mons. Beniamino Stella per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti i presenti, come pure per il prezioso servizio che svolge. Saluto con grande affetto l’intera comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Sono lieto di accogliervi anche quest’anno, nel momento in cui si concludono i corsi di studi e, per alcuni di voi, si avvicina il giorno della partenza per il servizio nelle Rappresentanze Pontificie sparse in tutto il mondo. Il Papa conta anche su di voi, per essere assistito nello svolgimento del suo universale ministero. Vi invito a non avere timore, preparandovi con diligenza e impegno alla missione che vi attende, confidando nella fedeltà di Colui che da sempre vi conosce e vi ha chiamato alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo (cfr
1Co 1,9).

La fedeltà di Dio è la chiave e la sorgente della nostra fedeltà. Oggi vorrei richiamare la vostra attenzione proprio su questa virtù, che bene esprime il legame tutto particolare che si stabilisce tra il Papa e i suoi diretti collaboratori, tanto nella Curia Romana come nelle Rappresentanze Pontificie: un legame che per molti si radica nel carattere sacerdotale del quale sono investititi, e si specifica poi nella peculiare missione affidata a ciascuno a servizio del Successore di Pietro.

Nel contesto biblico la fedeltà è anzitutto un attributo divino: Dio si fa conoscere come colui che è fedele per sempre all’alleanza che ha stretto con il suo popolo, nonostante l’infedeltà di questo. In quanto fedele, Dio garantisce di condurre a termine il suo disegno di amore, e per questo Egli è anche degno di fede e veritiero. È questo atteggiamento divino a creare nell’uomo la possibilità di essere, a sua volta, fedele. Applicata all’uomo, la virtù della fedeltà è profondamente legata al dono soprannaturale della fede, divenendo espressione di quella solidità propria di chi ha fondato in Dio tutta la vita. Nella fede troviamo infatti l’unica garanzia della nostra stabilità (cfr Is 7,9), e solo a partire da essa possiamo a nostra volta essere veramente fedeli: anzitutto a Dio, quindi alla sua famiglia, la Chiesa che è madre e maestra, e in essa alla nostra vocazione, alla storia in cui il Signore ci ha inseriti.

Cari amici, in questa ottica vi incoraggio a vivere il legame personale con il Vicario di Cristo come parte della vostra spiritualità. Si tratta, certamente, di un elemento proprio di ogni cattolico, ancor più di ogni sacerdote. Tuttavia, per quanti operano presso la Santa Sede esso assume un carattere particolare, dal momento che essi pongono al servizio del Successore di Pietro buona parte delle proprie energie, del proprio tempo e del proprio ministero quotidiano. Si tratta di una grave responsabilità, ma anche di un dono speciale, che con il passare del tempo va sviluppando un legame affettivo con il Papa, di interiore confidenza, un naturale idem sentire, che è ben espresso proprio dalla parola «fedeltà».

E dalla fedeltà a Pietro, che vi invia, deriva anche una particolare fedeltà verso coloro ai quali siete inviati: si richiede infatti ai Rappresentanti del Romano Pontefice, e ai loro collaboratori, di farsi interpreti della sua sollecitudine per tutte le Chiese, come anche della partecipazione e dell’affetto con cui egli segue il cammino di ogni popolo. Dovrete pertanto alimentare un rapporto di profonda stima e benevolenza, direi di vera amicizia, verso le Chiese e le comunità alle quali sarete inviati. Anche rispetto ad esse avete un dovere di fedeltà, che si concretizza nell’assidua dedizione al lavoro quotidiano, nella presenza in mezzo ad esse nei momenti lieti e tristi, talora persino drammatici della loro storia, nell’acquisizione di una conoscenza approfondita della loro cultura, del cammino ecclesiale, nel saper apprezzare quanto la grazia divina è andata operando in ogni popolo e nazione.

Si tratta di un prezioso aiuto per il ministero petrino, a riguardo del quale così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI: «Con l’affidare al suo Vicario la potestà delle chiavi e con il costituirlo pietra e fondamento della sua Chiesa, il Pastore eterno gli attribuì pure il mandato di “confermare i propri fratelli”: ciò si avvera non solo col guidarli e tenerli uniti nel suo nome, ma anche col sostenerli e confortarli, certamente con la sua parola, ma in qualche modo anche con la sua presenza» (Lett. ap. Sollicitudo omnium ecclesiarum, 24 giugno 1969: AAS 61 (1969) 473-474).

In questo modo incoraggerete e stimolerete anche le Chiese particolari a crescere nella fedeltà al Romano Pontefice, e a trovare nel principio di comunione con la Chiesa universale un sicuro orientamento per il proprio pellegrinaggio nella storia. E, non da ultimo, aiuterete lo stesso Successore di Pietro ad essere fedele alla missione ricevuta da Cristo, consentendogli di conoscere più da vicino il gregge a lui affidato e di raggiungerlo più efficacemente con la sua parola, la sua vicinanza, il suo affetto. Penso in questo momento con gratitudine all’aiuto che ricevo quotidianamente dai molti collaboratori della Curia romana e delle Rappresentanze Pontificie, come anche al sostegno che mi viene dalla preghiera di innumerevoli fratelli e sorelle di tutto il mondo.

Cari amici, nella misura in cui sarete fedeli, sarete anche degni di fede. Sappiamo del resto che la fedeltà che si vive nella Chiesa e nella Santa Sede non è una lealtà «cieca», poiché essa è illuminata dalla fede in Colui che ha detto: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Impegnamoci tutti in questo cammino affinché possiamo sentirci rivolgere, un giorno, le parole della parabola evangelica: «Servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone» (cfr Mt 25,21).

Con questi sentimenti, rinnovo a Mons. Presidente, ai suoi Collaboratori, alle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino e alla comunità tutta della Pontificia Accademia Ecclesiastica il mio saluto, mentre di cuore vi benedico.




AI PARTECIPANTI AL XV SEMINARIO MONDIALE DEI CAPPELLANI CATOLICI DELL'AVIAZIONE CIVILE E DEI MEMBRI DELLE CAPPELLANIE AEROPORTUALI Sala del Concistoro Lunedì, 11 giugno 2012

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Signor Cardinale,
Cari Cappellani ed operatori pastorali dell’Aviazione Civile,
Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di accogliervi all’apertura del XV Seminario Internazionale dei Cappellani cattolici e membri delle Cappellanie dell’Aviazione Civile, promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti sul tema «La Nuova Evangelizzazione nel mondo dell’Aviazione Civile». Rivolgo un cordiale saluto al Presidente del Dicastero, il Cardinale Antonio Maria Vegliò, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Con affetto saluto tutti voi, che partecipate a queste giornate di preghiera, di studio e di condivisione per riaffermare e approfondire le motivazioni spirituali che vi spingono a portare avanti con rinnovato zelo ed entusiasmo il vostro peculiare servizio ecclesiale.

Ho appreso con piacere che, in questo Seminario, intendete riflettere, grazie anche all’aiuto di autorevoli relatori, su nuovi metodi e nuove espressioni dell’opera di evangelizzazione nell’ambito in cui svolgete il vostro ministero. Cari amici, siate sempre ben consapevoli di essere chiamati a rendere presente, negli aeroporti del mondo, la missione stessa della Chiesa, che è quella di portare Dio all’uomo e guidare l’uomo all’incontro con Dio. E gli aeroporti sono luoghi che rispecchiano sempre di più la realtà globalizzata del nostro tempo. In essi si incontrano persone differenti per nazionalità, cultura, religione, stato sociale ed età, ma si incontrano anche situazioni umane variegate e non facili, che richiedono sempre maggiore attenzione; penso, ad esempio, a coloro che vivono un’attesa piena di angoscia nel tentativo di transitare senza i documenti necessari, in qualità di migranti o di richiedenti asilo; penso ai disagi causati dalle misure per contrastare gli atti terroristici. Anche nelle comunità aeroportuali si rispecchia poi la crisi di fede che tocca molte persone: i contenuti della dottrina cristiana e i valori che essa insegna non sono più considerati punti di riferimento, pure in Paesi che hanno una lunga tradizione di vita ecclesiale. è in questo contesto umano e spirituale che siete chiamati ad annunciare con forza rinnovata la Buona Novella, con la parola, con la vostra presenza, con il vostro esempio e con la vostra testimonianza, ben consapevoli che, pur nell’occasionalità degli incontri, la gente sa riconoscere un uomo di Dio e che spesso anche un piccolo seme in un terreno accogliente può germogliare e produrre frutti abbondanti.

Nelle aerostazioni, inoltre, voi avete la possibilità di venire a contatto ogni giorno con tante persone, uomini e donne, che lavorano in un ambiente in cui sia la mobilità continua, sia la tecnologia costantemente in progresso, rischiano di oscurare la centralità che deve avere l’essere umano; spesso l’attenzione maggiore viene riservata all’efficienza e alla produttività, a scapito dell’amore del prossimo e della solidarietà, che devono, invece, caratterizzare sempre i rapporti umani. Anche in questo la vostra presenza è importante e preziosa: è una testimonianza viva di un Dio che è vicino all’uomo; ed è un richiamo a non essere mai indifferenti verso chi si incontra, ma a trattarlo con disponibilità e con amore. Vi incoraggio ad essere segno luminoso di questa carità di Cristo, che porta serenità e pace.

Cari amici, abbiate cura che ogni persona, qualunque sia la sua nazionalità o condizione sociale, trovi in voi un cuore accogliente, capace di ascoltare e di comprendere. Tutti possano sperimentare, attraverso la vostra vita cristiana e sacerdotale, l’amore che viene da Dio, affinché ognuno sia condotto ad un rapporto rinnovato e approfondito con Cristo, che non manca di parlare a quanti si aprono con fiducia a Lui, specialmente nella preghiera. Da qui l’importanza delle cappelle aeroportuali, come luoghi di silenzio e di ristoro spirituale.

In questo vostro servizio pastorale avete come modello e protettrice la Vergine Santa, che voi venerate con il titolo di Madonna di Loreto, patrona di tutti i viaggiatori in aereo, in ossequio alla tradizione che attribuisce agli angeli il trasporto da Nazaret a Loreto della Casa di Maria. C’è però un altro «volo» di cui quella santa Casa è testimone, ben più significativo per l’umanità intera, quello dell’arcangelo Gabriele, il quale recò a Maria il lieto annuncio che sarebbe diventata Madre del Figlio dell’Altissimo (cf. Lc
Lc 1,26-32). Così l’Eterno è entrato nel tempo, Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (Jn 1,14). È la manifestazione dell’infinito amore di Dio per la sua creatura. Mentre eravamo ancora peccatori Dio ha mandato il suo Figlio, Gesù Cristo, per redimerci con la sua morte e risurrezione. Egli non è rimasto nell’«alto dei cieli», ma si è immerso nelle gioie e nelle angosce degli uomini del suo tempo e di tutti i tempi, condividendo la loro sorte e ridonando loro la speranza.

Questa è la missione della Chiesa: annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, «missione – come diceva il Servo di Dio Papa Paolo VI - che i vasti e profondi mutamenti della società attuale non rendono meno urgente» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). Infatti, anche ai nostri giorni «avvertiamo l’urgenza di promuovere, con nuova forza e rinnovate modalità, l’opera di evangelizzazione in un mondo in cui l’abbattimento delle frontiere e i nuovi processi di globalizzazione rendono ancora più vicine le persone e i popoli, sia per lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, sia per la frequenza e la facilità con cui sono resi possibili spostamenti di singoli e di gruppi» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2012).

Cari fratelli e sorelle, l’incontro quotidiano con il Signore Gesù nella Celebrazione eucaristica e nella preghiera personale, vi dia l’entusiasmo e la forza di essere annunciatori della novità evangelica, che trasforma i cuori e fa nuove tutte le cose. Vi assicuro il mio orante ricordo, affinché possiate essere strumenti efficaci nell’aiutare le persone affidate alle vostre cure pastorali a varcare la «porta fidei», accompagnandole nell’incontro con Cristo vivo ed operante in mezzo a noi. Con questi auspici ben volentieri vi imparto la Benedizione Apostolica, che estendo a quanti condividono il vostro ministero, come pure a coloro che fanno parte del vasto mondo dell’aviazione civile.




CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA Basilica di San Giovanni in Laterano Lunedì, 11 giugno 2012

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"LECTIO DIVINA" DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI



Eminenza,
cari fratelli nel Sacerdozio e nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle,

per me è una grande gioia essere qui, nella Cattedrale di Roma con i rappresentanti della mia diocesi, e ringrazio di cuore il Cardinale Vicario per le sue buone parole.

Abbiamo già sentito che le ultime parole del Signore su questa terra ai suoi discepoli, sono state: «Andate, fate discepoli tutti i popoli e battezzateli nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo» (cfr
Mt 28,19). Fate discepoli e battezzate. Perché non è sufficiente per il discepolato conoscere le dottrine di Gesù, conoscere i valori cristiani? Perché è necessario essere battezzati? Questo è il tema della nostra riflessione, per capire la realtà, la profondità del Sacramento del Battesimo.

Una prima porta si apre se leggiamo attentamente queste parole del Signore. La scelta della parola «nel nome del Padre» nel testo greco è molto importante: il Signore dice «eis» e non «en», cioè non «in nome» della Trinità – come noi diciamo che un vice prefetto parla «in nome» del prefetto, un ambasciatore parla «in nome» del governo: no. Dice: «eis to onoma», cioè una immersione nel nome della Trinità, un essere inseriti nel nome della Trinità, una interpenetrazione dell’essere di Dio e del nostro essere, un essere immerso nel Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, così come nel matrimonio, per esempio, due persone diventano una carne, diventano una nuova, unica realtà, con un nuovo, unico nome.

Il Signore ci ha aiutato a capire ancora meglio questa realtà nel suo colloquio con i sadducei circa la risurrezione. I sadducei riconoscevano dal canone dell’Antico Testamento solo i cinque Libri di Mosè e in questi non appare la risurrezione; perciò la negavano. Il Signore, proprio da questi cinque Libri dimostra la realtà della risurrezione e dice: Voi non sapete che Dio si chiama Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe? (cfr Mt 22,31-32). Quindi, Dio prende questi tre e proprio nel suo nome essi diventano il nome di Dio. Per capire chi è questo Dio si devono vedere queste persone che sono diventate il nome di Dio, un nome di Dio, sono immersi in Dio. E così vediamo che chi sta nel nome di Dio, chi è immerso in Dio, è vivo, perché Dio – dice il Signore – è un Dio non dei morti, ma dei vivi, e se è Dio di questi, è Dio dei vivi; i vivi sono vivi perché stanno nella memoria, nella vita di Dio. E proprio questo succede nel nostro essere battezzati: diventiamo inseriti nel nome di Dio, così che apparteniamo a questo nome e il Suo nome diventa il nostro nome e anche noi potremo, con la nostra testimonianza – come i tre dell’Antico Testamento –, essere testimoni di Dio, segno di chi è questo Dio, nome di questo Dio.

Quindi, essere battezzati vuol dire essere uniti a Dio; in un’unica, nuova esistenza apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso. Pensando a questo, possiamo subito vedere alcune conseguenze.

La prima è che Dio non è più molto lontano per noi, non è una realtà da discutere – se c’è o non c’è –, ma noi siamo in Dio e Dio è in noi. La priorità, la centralità di Dio nella nostra vita è una prima conseguenza del Battesimo. Alla questione: «C’è Dio?», la risposta è: «C’è ed è con noi; centra nella nostra vita questa vicinanza di Dio, questo essere in Dio stesso, che non è una stella lontana, ma è l’ambiente della mia vita». Questa sarebbe la prima conseguenza e quindi dovrebbe dirci che noi stessi dobbiamo tenere conto di questa presenza di Dio, vivere realmente nella sua presenza.

Una seconda conseguenza di quanto ho detto è che noi non ci facciamo cristiani. Divenire cristiani non è una cosa che segue da una mia decisione: «Io adesso mi faccio cristiano». Certo, anche la mia decisione è necessaria, ma soprattutto è un’azione di Dio con me: non sono io che mi faccio cristiano, io sono assunto da Dio, preso in mano da Dio e così, dicendo «sì» a questa azione di Dio, divento cristiano. Divenire cristiani, in un certo senso, è passivo: io non mi faccio cristiano, ma Dio mi fa un suo uomo, Dio mi prende in mano e realizza la mia vita in una nuova dimensione. Come io non mi faccio vivere, ma la vita mi è data; sono nato non perché io mi sono fatto uomo, ma sono nato perché l’essere umano mi è donato. Così anche l’essere cristiano mi è donato, è un passivo per me, che diventa un attivo nella nostra, nella mia vita. E questo fatto del passivo, di non farsi da se stessi cristiani, ma di essere fatti cristiani da Dio, implica già un po’ il mistero della Croce: solo morendo al mio egoismo, uscendo da me stesso, posso essere cristiano.

Un terzo elemento che si apre subito in questa visione è che, naturalmente, essendo immerso in Dio, sono unito ai fratelli e alle sorelle, perché tutti gli altri sono in Dio e se io sono tirato fuori dal mio isolamento, se io sono immerso in Dio, sono immerso nella comunione con gli altri. Essere battezzati non è mai un atto solitario di «me», ma è sempre necessariamente un essere unito con tutti gli altri, un essere in unità e solidarietà con tutto il Corpo di Cristo, con tutta la comunità dei suoi fratelli e sorelle. Questo fatto che il Battesimo mi inserisce in comunità, rompe il mio isolamento. Dobbiamo tenerlo presente nel nostro essere cristiani.

E finalmente, ritorniamo alla Parola di Cristo ai sadducei: «Dio è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe» (cfr Mt 22,32), e quindi questi non sono morti; se sono di Dio sono vivi. Vuol dire che con il Battesimo, con l’immersione nel nome di Dio, siamo anche noi già immersi nella vita immortale, siamo vivi per sempre. Con altre parole, il Battesimo è una prima tappa della Risurrezione: immersi in Dio, siamo già immersi nella vita indistruttibile, comincia la Risurrezione. Come Abramo, Isacco e Giacobbe essendo «nome di Dio» sono vivi, così noi, inseriti nel nome di Dio, siamo vivi nella vita immortale. Il Battesimo è il primo passo della Risurrezione, l’entrare nella vita indistruttibile di Dio.

Così, in un primo momento, con la formula battesimale di san Matteo, con l’ultima parola di Cristo, abbiamo visto già un po’ l’essenziale del Battesimo. Adesso vediamo il rito sacramentale, per poter capire ancora più precisamente che cosa è il Battesimo.

Questo rito, come il rito di quasi tutti i Sacramenti, si compone da due elementi: da materia – acqua – e dalla parola. Questo è molto importante. Il cristianesimo non è una cosa puramente spirituale, una cosa solamente soggettiva, del sentimento, della volontà, di idee, ma è una realtà cosmica. Dio è il Creatore di tutta la materia, la materia entra nel cristianesimo, e solo in questo grande contesto di materia e spirito insieme siamo cristiani. Molto importante è, quindi, che la materia faccia parte della nostra fede, il corpo faccia parte della nostra fede; la fede non è puramente spirituale, ma Dio ci inserisce così in tutta la realtà del cosmo e trasforma il cosmo, lo tira a sé. E con questo elemento materiale – l’acqua – entra non soltanto un elemento fondamentale del cosmo, una materia fondamentale creata da Dio, ma anche tutto il simbolismo delle religioni, perché in tutte le religioni l’acqua ha qualcosa da dire. Il cammino delle religioni, questa ricerca di Dio in diversi modi – anche sbagliati, ma sempre ricerca di Dio – diventa assunta nel Sacramento. Le altre religioni, con il loro cammino verso Dio, sono presenti, sono assunte, e così si fa la sintesi del mondo; tutta la ricerca di Dio che si esprime nei simboli delle religioni, e soprattutto – naturalmente – il simbolismo dell’Antico Testamento, che così, con tutte le sue esperienze di salvezza e di bontà di Dio, diventa presente. Su questo punto ritorneremo.

L’altro elemento è la parola, e questa parola si presenta in tre elementi: rinunce, promesse, invocazioni. Importante è che queste parole quindi non siano solo parole, ma siano cammino di vita. In queste si realizza un decisione, in queste parole è presente tutto il nostro cammino battesimale – sia pre-battesimale, sia post-battesimale; quindi, con queste parole, e anche con i simboli, il Battesimo si estende a tutta la nostra vita. Questa realtà delle promesse, delle rinunce, delle invocazioni è una realtà che dura per tutta la nostra vita, perché siamo sempre in cammino battesimale, in cammino catecumenale, tramite queste parole e la realizzazione di queste parole. Il Sacramento del Battesimo non è un atto di un’ora, ma è una realtà di tutta la nostra vita, è un cammino di tutta la nostra vita. In realtà, dietro c’è anche la dottrina delle due vie, che era fondamentale nel primo cristianesimo: una via alla quale diciamo «no» e una via alla quale diciamo «sì».

Cominciamo con la prima parte, le rinunce. Sono tre e prendo anzitutto la seconda: «Rinunciate alle seduzioni del male per non lasciarvi dominare dal peccato?». Che cosa sono queste seduzioni del male? Nella Chiesa antica, e ancora per secoli, qui c’era l’espressione: «Rinunciate alla pompa del diavolo?», e oggi sappiamo che cosa era inteso con questa espressione «pompa del diavolo». La pompa del diavolo erano soprattutto i grandi spettacoli cruenti, in cui la crudeltà diventa divertimento, in cui uccidere uomini diventa una cosa spettacolare: spettacolo, la vita e la morte di un uomo. Questi spettacoli cruenti, questo divertimento del male è la «pompa del diavolo», dove appare con apparente bellezza e, in realtà, appare con tutta la sua crudeltà. Ma oltre a questo significato immediato della parola «pompa del diavolo», si voleva parlare di un tipo di cultura, di una way of life, di un modo di vivere, nel quale non conta la verità ma l’apparenza, non si cerca la verità ma l’effetto, la sensazione, e, sotto il pretesto della verità, in realtà, si distruggono uomini, si vuole distruggere e creare solo se stessi come vincitori. Quindi, questa rinuncia era molto reale: era la rinuncia ad un tipo di cultura che è un’anti-cultura, contro Cristo e contro Dio. Si decideva contro una cultura che, nel Vangelo di san Giovanni, è chiamata «kosmos houtos», «questo mondo». Con «questo mondo», naturalmente, Giovanni e Gesù non parlano della Creazione di Dio, dell’uomo come tale, ma parlano di una certa creatura che è dominante e si impone come se fosse questo il mondo, e come se fosse questo il modo di vivere che si impone. Lascio adesso ad ognuno di voi di riflettere su questa «pompa del diavolo», su questa cultura alla quale diciamo «no». Essere battezzati significa proprio sostanzialmente un emanciparsi, un liberarsi da questa cultura. Conosciamo anche oggi un tipo di cultura in cui non conta la verità; anche se apparentemente si vuol fare apparire tutta la verità, conta solo la sensazione e lo spirito di calunnia e di distruzione. Una cultura che non cerca il bene, il cui moralismo è, in realtà, una maschera per confondere, creare confusione e distruzione. Contro questa cultura, in cui la menzogna si presenta nella veste della verità e dell’informazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio, diciamo «no». Conosciamo bene anche da tanti Salmi questo contrasto di una cultura nella quale uno sembra intoccabile da tutti i mali del mondo, si pone sopra tutti, sopra Dio, mentre, in realtà, è una cultura del male, un dominio del male. E così, la decisione del Battesimo, questa parte del cammino catecumenale che dura per tutta la nostra vita, è proprio questo «no», detto e realizzato di nuovo ogni giorno, anche con i sacrifici che costa opporsi alla cultura in molte parti dominante, anche se si imponesse come se fosse il mondo, questo mondo: non è vero. E ci sono anche tanti che desiderano realmente la verità.

Così passiamo alla prima rinuncia: «Rinunciate al peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio?». Oggi libertà e vita cristiana, osservanza dei comandamenti di Dio, vanno in direzioni opposte; essere cristiani sarebbe come una schiavitù; libertà è emanciparsi dalla fede cristiana, emanciparsi – in fin dei conti – da Dio. La parola peccato appare a molti quasi ridicola, perché dicono: «Come! Dio non possiamo offenderlo! Dio è così grande, che cosa interessa a Dio se io faccio un piccolo errore? Non possiamo offendere Dio, il suo interesse è troppo grande per essere offeso da noi». Sembra vero, ma non è vero. Dio si è fatto vulnerabile. Nel Cristo crocifisso vediamo che Dio si è fatto vulnerabile, si è fatto vulnerabile fino alla morte. Dio si interessa a noi perché ci ama e l’amore di Dio è vulnerabilità, l’amore di Dio è interessamento dell’uomo, l’amore di Dio vuol dire che la nostra prima preoccupazione deve essere non ferire, non distruggere il suo amore, non fare nulla contro il suo amore perché altrimenti viviamo anche contro noi stessi e contro la nostra libertà. E, in realtà, questa apparente libertà nell’emancipazione da Dio diventa subito schiavitù di tante dittature del tempo, che devono essere seguite per essere ritenuti all’altezza del tempo.

E finalmente: «Rinunciate a Satana?». Questo ci dice che c’è un «sì» a Dio e un «no» al potere del Maligno che coordina tutte queste attività e si vuol fare dio di questo mondo, come dice ancora san Giovanni. Ma non è Dio, è solo l’avversario, e noi non ci sottomettiamo al suo potere; noi diciamo «no» perché diciamo «sì», un «sì» fondamentale, il «sì» dell’amore e della verità. Queste tre rinunce, nel rito del Battesimo, nell’antichità, erano accompagnate da tre immersioni: immersione nell’acqua come simbolo della morte, di un «no» che realmente è la morte di un tipo di vita e risurrezione ad un’altra vita. Su questo ritorneremo. Poi, la confessione in tre domande: «Credete in Dio Padre onnipotente, Creatore; in Cristo e, infine, nello Spirito Santo e la Chiesa?». Questa formula, queste tre parti, sono state sviluppate a partire dalla Parola del Signore «battezzare in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»; queste parole sono concretizzate ed approfondite: che cosa vuol dire Padre, cosa vuol dire Figlio – tutta la fede in Cristo, tutta la realtà del Dio fattosi uomo – e che cosa vuol dire credere di essere battezzati nello Spirito Santo, cioè tutta l’azione di Dio nella storia, nella Chiesa, nella comunione dei Santi. Così, la formula positiva del Battesimo è anche un dialogo: non è semplicemente una formula. Soprattutto la confessione della fede non è soltanto una cosa da capire, una cosa intellettuale, una cosa da memorizzare - certo, anche questo - tocca anche l’intelletto, tocca anche il nostro vivere, soprattutto. E questo mi sembra molto importante. Non è una cosa intellettuale, una pura formula. E’ un dialogo di Dio con noi, un’azione di Dio con noi, e una risposta nostra, è un cammino. La verità di Cristo si può capire soltanto se si è capita la sua via. Solo se accettiamo Cristo come via incominciamo realmente ad essere nella via di Cristo e possiamo anche capire la verità di Cristo. La verità non vissuta non si apre; solo la verità vissuta, la verità accettata come modo di vivere, come cammino, si apre anche come verità in tutta la sua ricchezza e profondità. Quindi, questa formula è una via, è espressione di una nostra conversione, di un’azione di Dio. E noi vogliamo realmente tenere presente questo anche in tutta la nostra vita: che siamo in comunione di cammino con Dio, con Cristo. E così siamo in comunione con la verità: vivendo la verità, la verità diventa vita e vivendo questa vita troviamo anche la verità.

Adesso passiamo all’elemento materiale: l’acqua. E’ molto importante vedere due significati dell’acqua. Da una parte, l’acqua fa pensare al mare, soprattutto al Mar Rosso, alla morte nel Mar Rosso. Nel mare si rappresenta la forza della morte, la necessità di morire per arrivare ad una nuova vita. Questo mi sembra molto importante. Il Battesimo non è solo una cerimonia, un rituale introdotto tempo fa, e non è nemmeno soltanto un lavaggio, un’operazione cosmetica. E’ molto più di un lavaggio: è morte e vita, è morte di una certa esistenza e rinascita, risurrezione a nuova vita. Questa è la profondità dell’essere cristiano: non solo è qualcosa che si aggiunge, ma è una nuova nascita. Dopo aver attraversato il Mar Rosso, siamo nuovi. Così il mare, in tutte le esperienze dell’Antico Testamento, è divenuto per i cristiani simbolo della Croce. Perché solo attraverso la morte, una rinuncia radicale nella quale si muore ad un certo tipo di vita, può realizzarsi la rinascita e può realmente esserci vita nuova. Questa è una parte del simbolismo dell’acqua: simboleggia - soprattutto nelle immersioni dell’antichità - il Mar Rosso, la morte, la Croce. Solo dalla Croce si arriva alla nuova vita e questo si realizza ogni giorno. Senza questa morte sempre rinnovata, non possiamo rinnovare la vera vitalità della nuova vita di Cristo.

Ma l’altro simbolo è quello della fonte. L’acqua è origine di tutta la vita; oltre al simbolismo della morte, ha anche il simbolismo della nuova vita. Ogni vita viene anche dall’acqua, dall’acqua che viene da Cristo come la vera vita nuova che ci accompagna all’eternità.

Alla fine rimane la questione - solo una parolina – del Battesimo dei bambini. E’ giusto farlo, o sarebbe più necessario fare prima il cammino catecumenale per arrivare ad un Battesimo veramente realizzato? E l’altra questione che si pone sempre è: «Ma possiamo noi imporre ad un bambino quale religione vuole vivere o no? Non dobbiamo lasciare a quel bambino la scelta?». Queste domande mostrano che non vediamo più nella fede cristiana la vita nuova, la vera vita, ma vediamo una scelta tra altre, anche un peso che non si dovrebbe imporre senza aver avuto l’assenso del soggetto. La realtà è diversa. La vita stessa ci viene data senza che noi possiamo scegliere se vogliamo vivere o no; a nessuno può essere chiesto: «vuoi essere nato o no?». La vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo, ci viene donata così e non possiamo decidere prima «sì o no, voglio vivere o no». E, in realtà, la vera domanda è: «E’ giusto donare vita in questo mondo senza avere avuto il consenso – vuoi vivere o no? Si può realmente anticipare la vita, dare la vita senza che il soggetto abbia avuto la possibilità di decidere?». Io direi: è possibile ed è giusto soltanto se, con la vita, possiamo dare anche la garanzia che la vita, con tutti i problemi del mondo, sia buona, che sia bene vivere, che ci sia una garanzia che questa vita sia buona, sia protetta da Dio e che sia un vero dono. Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita. E perciò il Battesimo come garanzia del bene di Dio, come anticipazione del senso, del «sì» di Dio che protegge questa vita, giustifica anche l’anticipazione della vita. Quindi, il Battesimo dei bambini non è contro la libertà; è proprio necessario dare questo, per giustificare anche il dono – altrimenti discutibile – della vita. Solo la vita che è nelle mani di Dio, nelle mani di Cristo, immersa nel nome del Dio trinitario, è certamente un bene che si può dare senza scrupoli. E così siamo grati a Dio che ci ha donato questo dono, che ci ha donato se stesso. E la nostra sfida è vivere questo dono, vivere realmente, in un cammino post-battesimale, sia le rinunce che il «sì» e vivere sempre nel grande «sì» di Dio, e così vivere bene. Grazie.





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