Agostino - Commento Gv 16
16
(Jn 4,43-53)
Il mio discorso è rivolto al popolo di Dio. Quali segni abbiamo visto noi tutti che abbiamo creduto? Abbiamo ascoltato il Vangelo, lo abbiamo accolto, e per mezzo di esso abbiamo creduto in Cristo, senza vedere né pretendere alcun segno.
1. 1. Il brano evangelico che ci proponiamo di spiegare oggi, è una continuazione di quello di ieri. E in questo non ci sono significati difficili da ricercare, ma tali che meritano menzione, ammirazione e lode. perciò, più che spiegarne le difficoltà, raccomanderemo questo passo alla vostra attenzione. Gesù, dopo i due giorni trascorsi in Samaria, parti per la Galilea, dove era cresciuto. L'evangelista continua: perché egli stesso aveva attestato che un profeta non è onorato nella propria patria (Jn 4,43-44). Gesù non lascio dopo due giorni la Samaria perché non vi era stato onorato: non era la Samaria la sua patria, ma la Galilea. Ma, dopo aver lasciato così presto quella regione per venire in Galilea, dov'egli era cresciuto, come poteva affermare che un profeta non è onorato nella sua patria? Mi sembra che sarebbe risultato più evidente che un profeta non è onorato nella sua patria, se egli fosse rimasto in Samaria, anziché tornare in Galilea.
2. La vostra Carità si renda conto che ci si presenta un mistero non trascurabile, che io cerchero di esporvi con l'aiuto e il suggerimento del Signore. Conoscete i termini del problema: ora si tratta di cercarne la soluzione. Ma vogliamo richiamarlo per stimolare in voi il desiderio della soluzione. Lo ha sollevato la frase dell'evangelista: Gesù stesso aveva attestato che un profeta non è onorato nella sua patria. Spinti da questa frase, ci rifacciamo ad un'altra precedente per vedere a che scopo l'evangelista abbia detto tale cosa, e vediamo che prima si parla del fatto che Gesù lascio la Samaria dopo due giorni, per tornare in Galilea. Ora io domando all'evangelista: perché racconti che Gesù ha detto che nessun profeta è onorato nella sua patria? forse perché dopo due giorni lascio la Samaria e torno in Galilea? Vedrei infatti più coerente che Gesù, non ricevendo onore nella sua patria, non si fosse affrettato a raggiungerla lasciando la Samaria. Ma se non mi sbaglio, - e non mi sbaglio perché è vero - l'evangelista vedeva meglio di me ciò che racconta, meglio di me vedeva la verità, egli che la bevve dal cuore del Signore. Si tratta, infatti, dell'evangelista Giovanni che, unico fra tutti i discepoli, stava appoggiato sul petto del Signore (Jn 13,25), e che il Signore, affettuosissimo con tutti, amava più degli altri (Jn 21,20). Dovrei dunque pensare che l'evangelista si sia sbagliato e che io sono nel giusto? Che anzi, se davvero sono animato da un sentimento di reverenza, ascoltero volentieri ciò che egli ha detto per meritare di condividere la sua opinione.
(Condiscepoli in una medesima scuola.)
2. 3. E cosi, o carissimi, accogliete la mia opinione: senza pregiudizio per ogni altra migliore interpretazione vostra. Tutti noi abbiamo, infatti, un solo maestro, e tutti siamo condiscepoli in una medesima scuola. Il mio pensiero è questo: vedete voi se è vero, o se almeno si accosta alla verità. Il Signore si fermo due giorni in Samaria e i Samaritani credettero in lui; in Galilea, invece, era rimasto tanti giorni e i Galilei non avevano creduto in lui. Ricordate e ripensate a ciò che vi è stato letto e commentato ieri. Giunse in Samaria, dove la prima ad annunciarlo fu quella
donna, con la quale egli tratto grandi misteri presso il pozzo di Giacobbe. I Samaritani, dopo averlo visto e udito, credettero in lui, dapprima per le parole della donna e poi, più fermamente e in maggior numero, per le parole stesse del Signore. Così è scritto. Dopo essersi trattenuto colà due giorni (e in questo numero di giorni sono misticamente raffigurati i due precetti della carità nei quali sono riassunti tutta la Legge e i Profeti (Mt 22,37-40), come ieri abbiamo ricordato), passo in Galilea e giunse a Cana, dove aveva cambiato l'acqua in vino (Jn 4,46). E li, quando cambio l'acqua in vino, come scrive il medesimo Giovanni, credettero in lui solo i suoi discepoli (Jn 2,1-11); eppure la casa era piena d'invitati! Egli fece un miracolo così grande, ma in lui credettero soltanto i suoi discepoli. Ora il Signore torna in questa stessa città della Galilea. E c'era un ufficiale regio, il cui figlio era ammalato ... si reco da lui e lo pregava di scendere (in città o nella sua casa) a guarirgli il figliolo; era, infatti, moribondo. Colui che pregava, non credeva? Che cosa aspetti di sentire da me? Chiedi al Signore quel che pensava di lui. Egli, infatti, alla preghiera di quell'uomo rispose: Se non vedete segni e prodigi, non credete, dunque! (Jn 4,46-48). Egli rimprovera quell'uomo tiepido o freddo nella fede, se non addirittura privo di fede, desideroso soltanto di vedere alla prova, attraverso la guarigione del figlio, chi fosse il Cristo, quale fosse la sua natura, quanta fosse la sua potenza. Abbiamo sentito la preghiera, ma non vediamo la diffidenza del cuore; ce l'ha rivelata colui che ha udito le parole e ha scrutato il cuore. Dal canto suo nel seguito della sua narrazione, l'evangelista ci fa vedere che colui che voleva che il Signore si recasse a casa sua per guarirgli il figlio, non credeva ancora. Infatti, dopo che gli fu annunziato che il figlio era guarito, e costato che aveva cominciato a star meglio proprio nell'ora in cui Gesù gli aveva detto: Va', il tuo figlio vive, allora, credette - dice l'evangelista -lui e tutta la sua casa (Jn 4,50 Jn 53). Ora, se credette lui con tutta la sua casa perché gli fu annunziato che suo figlio stava bene, e confronto l'ora precisata dai servitori con quella in cui Gesù gli diede il preannuncio, vuol dire che quando pregava non credeva ancora. I Samaritani non avevano preteso alcun segno, avevano creduto unicamente sulla sua parola; i concittadini di Gesù, invece, meritarono il rimprovero: Voi, se non vedete segni e prodigi, non credete. Inoltre, dopo un così grande miracolo credettero in lui solamente quell'ufficiale e la sua casa. In Samaria, moltissimi avevano creduto ascoltando le sue parole: qui, di fronte a quel miracolo, credette in lui solo quella casa dove avvenne il miracolo. Quale insegnamento, o fratelli, il Signore vuole che noi raccogliamo da questo fatto? La Galilea era allora la patria del Signore, perché vi era cresciuto. Ma ora noi ci troviamo di fronte ad un presagio, al preannuncio di qualche cosa: i prodigi, infatti, non sono chiamati così a caso; è perché fanno presagire qualcosa: prodigio corrisponde a porrodicium, che significa un giudizio (iudicium) fatto prima (porro), cioè una previsione, un presagio di cosa futura. Se dunque tutti questi fatti contenevano un presagio del futuro, erano come predizioni di quanto sarebbe accaduto in seguito. Ammettiamo per un momento che la patria del Signore nostro Gesù Cristo secondo la carne (perché egli non ebbe patria in terra se non secondo la carne che rivesti in terra), fosse il popolo giudeo. Ecco che nella sua patria egli non è onorato. Considera ora questo popolo giudeo, questa nazione dispersa in tutto il mondo, strappata dalle sue radici; guarda quei rami stroncati, infranti, dispersi, inariditi: e, stroncati quei rami, fu innestato l'olivo selvatico (Rm 11,17). Che dice ora questa moltitudine di Giudei? Dice: colui che voi onorate, colui che voi adorate, era fratello nostro. E noi rispondiamo: Un profeta non è onorato in patria sua. Essi videro il Signore Gesù camminare sulla terra, lo videro compiere miracoli, illuminare i ciechi, aprire le orecchie ai sordi, sciogliere la lingua ai muti, ridar vigore alle membra dei paralitici; lo videro camminare sulle acque, comandare ai venti e ai flutti, risuscitare i morti; lo videro compiere tanti segni, eppure così pochi credettero. Mi rivolgo ora al popolo di Dio: noi, che in così gran numero abbiamo creduto, quali miracoli abbiamo veduto? Dunque, ciò che accadde allora era il presagio di ciò che ora accade. I Giudei furono, e sono, simili ai Galilei, così come noi siamo simili a quei Samaritani. Abbiamo udito il Vangelo, abbiamo aderito al Vangelo e per mezzo del Vangelo abbiamo creduto in Cristo: non abbiamo visto alcun prodigio, non pretendiamo alcun prodigio. (Al posto dei rami stroncati.)
1. 4. Benché fosse uno dei dodici eletti e santi, quel Tommaso che pretendeva mettere il dito nel posto delle ferite era un israelita, uno cioè del popolo del Signore. E il Signore lo rimprovero come aveva rimproverato l'ufficiale regio. A questi aveva detto: Voi, se non vedete segni e prodigi, non credete. A Tommaso disse: Hai creduto, perché hai veduto (Jn 20,29). Il Signore si era recato dai Galilei dopo essere stato presso i Samaritani. Questi avevano creduto alla sua parola senza aver assistito ad alcun miracolo. E presto li lascio, sicuro della fermezza della loro fede, perché, se egli se ne andava, non li privava della sua presenza divina. perciò, quando il Signore disse a Tommaso: Vieni, metti qua la tua mano, e non voler essere incredulo ma fedele, e quello esclamo, dopo aver toccato il posto delle ferite: Signor mio, e Dio mio, il Signore lo rimprovero: Hai creduto, perché hai veduto (Jn 20,27-29). E perché questo? Perché un profeta non è onorato nella sua patria. Ma siccome questo profeta presso gli stranieri viene onorato, ecco la dichiarazione: Beati quelli che credono senza aver veduto (Jn 20,29). Questa beatitudine è per noi; è in noi che il Signore si è degnato realizzare ciò che allora esalto. Quelli che lo crocifissero lo videro e lo palparono, e così pochi credettero; noi non abbiamo visto e non abbiamo toccato con mano: abbiamo udito e abbiamo creduto. Possa realizzarsi in noi fino alla perfezione la beatitudine che egli ha promesso qui, ora, perché siamo stati preferiti alla sua patria; nel secolo futuro, poiché siamo stati innestati al posto dei rami stroncati.
2. 5. Il Signore fece capire che avrebbe stroncato quei rami e che avrebbe innestato l'olivo selvatico quando rimase commosso per la fede del centurione. Il centurione gli disse: Non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' una parola e il mio servo sarà guarito; poiché anch'io, benché sia un subalterno, ho sotto di me dei soldati, e dico ad uno: "Vai" ed egli va; e a un altro: "Vieni" e viene; e al mio servo: "Fa' questo" e lo fa. Il Signore, rivoltosi alla folla che lo seguiva, disse: Vi dico: neppure in Israele ho trovato tanta fede (Mt 8,8-11 Lc 7,6-9). Perché in Israele non aveva trovato tanta fede? Perché un profeta non è onorato nella sua patria. Non poteva dire, il Signore, a quel centurione ciò che disse all'ufficiale regio: Va', il tuo figliolo vive (Jn 4,50)? Notate la differenza: questo ufficiale voleva che il Signore scendesse a casa sua, mentre il centurione se ne riteneva indegno. Al centurione il Signore dice: Io verro a guarirlo (Mt 8,7), all'ufficiale dice: Va', il tuo figliolo vive. Ad uno promette una sua visita, all'altro concede la guarigione con la sola parola. Eppure questi pretendeva che il Signore andasse da lui, quello non si reputava degno di tanto onore. In un caso il Signore cede alla pressione, nell'altro si arrende all'umiltà. All'ufficiale sembra voler dire: Va', il tuo figliolo vive, non mi tediare oltre; voi, se non vedete segni e prodigi, non credete; tu pretendi che io venga personalmente in casa tua, quando è sufficiente che io comandi con la parola; non pretendere segni per credere; il centurione, che è straniero, ha ritenuto sufficiente la mia parola e ha creduto prima ancora che io operassi, mentre voi, se non vedete segni e prodigi, non credete. Allora, se è cosi, vengano stroncati i rami superbi e venga innestato l'umile olivo selvatico; tuttavia, recisi quei rami e innestati altri, rimanga la radice. Dove è la radice? Nei Patriarchi. La patria di Cristo è infatti il popolo d'Israele, poiché secondo la carne egli proviene da quel popolo; pero la radice di quell'albero sono i santi patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe. E dove sono adesso i patriarchi? Sono nella pace presso Dio, grandemente onorati: è nel seno di Abramo che il povero Lazzaro fu portato dopo la sua morte, ed è nel seno di Abramo che lo vide, da lontano, il ricco superbo (Lc 16,22-23). La radice dunque rimane, la radice viene esaltata. I rami superbi meritarono di essere recisi e di inaridire, mentre l'umile olivo selvatico è stato inserito al posto dei rami recisi (Rm 11,17).
3. 6. Vedi come vengono recisi i rami naturali e come viene innestato l'olivo selvatico nel caso
stesso del centurione, che ho voluto ricordare per confrontarlo con l'ufficiale regio. In verità, -disse il Signore -in verità vi dico, non ho trovato tanta fede in Israele; perciò vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente. Come si era esteso sulla terra l'olivo selvatico! Fino allora il mondo era una selva aspra; ma, grazie all'umiltà, grazie a quel non son degno che tu entri sotto il mio tetto, molti verranno dall'oriente e dall'occidente. E quando verranno, che cosa sarà di loro? Perché se verranno, vuol dire che sono già stati recisi dalla selva; e dove saranno innestati perché non abbiano a inaridire? Siederanno a mensa -dice il Signore -con Abramo, Isacco e Giacobbe. A quale banchetto? Forse dove non ci sarà da vivere sempre, ma da bere molto? Siederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dove? Nel regno dei cieli. E che sarà della discendenza della stirpe di Abramo? che sarà dei rami di cui era denso l'albero? Saranno recisi, affinché quegli altri vengano innestati. Ecco la prova che saranno recisi: I figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre (Mt 8,11-12).
7. Sia onorato, dunque, presso di noi questo profeta che non è stato onorato nella sua patria. Non è stato onorato nella patria in cui è cresciuto: sia onorato nella patria che egli ha fondato. In quella il Creatore di tutti è stato creato secondo la forma di servo; ed egli stesso creo quella città in cui è stato creato, creo Sion, creo il popolo giudeo; egli stesso fondo Gerusalemme, essendo il Verbo di Dio presso il Padre: tutto fu fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto. Di quell'uomo, dunque, di cui oggi abbiamo sentito parlare, unico mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (1Tm 2,5), anche il salmo aveva già parlato cantando: Un uomo chiamerà Sion sua madre (Ps 86,5). Un uomo, mediatore tra Dio e gli uomini, chiama Sion sua madre. Perché chiama Sion sua madre? Perché è da Sion che ha ricevuto la carne, è da Sion che discende la vergine Maria, nel cui grembo rivesti la forma di servo, nella quale si degno apparire tra noi umilissimo. Un uomo chiama Sion sua madre, e quest'uomo che dice madre a Sion è stato fatto in essa, l'uomo che in essa fu fatto. Come Dio era prima di essa, come uomo fu fatto in essa. Quest'uomo che nacque in essa, ne è il fondatore, non in quanto umilissimo, ma in quanto Altissimo (Ps 8,5). Come uomo fatto in lei è umilissimo, perché il Verbo si è fatto carne e abito fra noi. Ed egli stesso, come Altissimo, l'ha fondata, perché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; tutto per mezzo di lui fu fatto (Jn 1,14 Jn 1 Jn 3). Poiché, dunque, egli ha fondato questa patria, è giusto che in essa sia onorato. La patria in cui è stato generato lo ha rifiutato: lo accolga la patria che egli ha rigenerato.
17
(Jn 4,43-53)
Discendere nell'acqua agitata significava credere umilmente nella passione del Signore. In essa veniva guarito uno solo per significare l'unità. Non veniva guarito nessun altro, perché chiunque si separi dall'unità, non può essere guarito.
(Il paralitico guarito simbolo di unità.)
1. 1. Non ci si dovrebbe meravigliare che Dio abbia compiuto un miracolo; ci sarebbe da meravigliarsi se lo avesse compiuto un uomo. Dovrebbe riempirci di meraviglia e di gaudio più il fatto che il Signore e salvatore nostro Gesù Cristo sia diventato uomo, che non il fatto che egli abbia compiuto cose divine in mezzo agli uomini. E' più importante per la nostra salvezza ciò che egli si è fatto per gli uomini, che non ciò che ha fatto tra gli uomini; e conta più l'aver guarito i vizi delle anime che non l'aver guarito le malattie dei corpi mortali. Ma siccome l'anima stessa non conosceva colui che doveva guarirla, e aveva nella carne occhi per vedere i fatti fisici mentre non aveva ancora occhi sani nel cuore per conoscere Dio che era nascosto, il Signore fece delle cose che essa poteva vedere, per guarire quegli altri occhi che non erano capaci di vederlo. Egli entro in un luogo dove giaceva una grande moltitudine d'infermi, ciechi, zoppi, paralitici; e siccome era il medico delle anime e dei corpi, ed era venuto per guarire tutte le anime dei credenti in lui, fra tutti ne scelse uno da guarire, a significare l'unità. Se consideriamo superficialmente e secondo il modo umano d'intendere e di conoscere le cose, non troveremo qui né un grande miracolo se pensiamo alla potenza di lui, né un atto di grande bontà se pensiamo alla sua benignità. Erano tanti, gli infermi, e uno solo fu guarito: eppure il Signore, con una sola parola, avrebbe potuto rimetterli tutti in piedi. Che cosa dobbiamo concludere, se non che quella potenza e quella bontà operavano più con lo scopo che le anime intendessero attraverso i suoi gesti il senso che essi possiedono in ordine alla salute eterna, che non allo scopo di procurare un qualche beneficio ai corpi in ordine alla salute temporale? Perché la salute dei corpi, quella vera, che attendiamo dal Signore, si otterrà alla fine dei secoli quando risorgeranno i morti: allora, ciò che vivrà non morrà più, ciò che sarà guarito non si ammalerà più; chi sarà stato saziato non avrà più né fame né sete, ciò che allora sarà rinnovato non invecchierà più. Se consideriamo, adesso, i fatti operati dal Signore e salvatore nostro Gesù Cristo, vediamo che gli occhi dei ciechi che egli apri, furono richiusi dalla morte, e le membra dei paralitici da lui ricompaginate, furono nuovamente disgregate dalla morte; e così tutta la salute ridonata temporaneamente alle membra mortali, alla fine è venuta meno, mentre l'anima che ha creduto è passata alla vita eterna. Con la guarigione di questo infermo il Signore ha voluto offrire un grande segno all'anima che avrebbe creduto, i cui peccati egli era venuto a rimettere e le cui infermità era venuto a guarire con la sua umiliazione. Intendo parlare come posso del profondo mistero di questo fatto e di questo segno, secondo che il Signore mi vorrà concedere, contando sulla vostra attenzione e sulla vostra preghiera in soccorso alla mia debolezza. Alla mia insufficienza supplirà il Signore, con l'aiuto del quale io faccio quello che posso.
2. 2. So di avervi parlato più d'una volta di questa piscina che aveva cinque portici, nei quali giaceva una grande moltitudine di infermi: quanto diro non sarà una cosa nuova per molti di voi. Non è inutile pero ritornare sulle cose già dette: così chi non le conosce ancora potrà apprenderle, e chi le conosce potrà approfondirle. Non sarà necessario soffermarci a lungo:
basterà una breve esposizione. Penso che quella piscina e quell'acqua significhino il popolo giudaico. Che le acque simboleggiano i popoli ce lo dice chiaramente Giovanni nell'Apocalisse, quando, essendogli state mostrate molte acque e avendo egli chiesto che cosa significassero, gli fu risposto che le acque sono i popoli (Ap 17,15). Quell'acqua, dunque, cioè quel popolo, era circondato dai cinque libri di Mosè come da cinque portici. Ma quei libri erano destinati a rivelare l'infermità, non a guarire gli infermi. La legge infatti costringeva gli uomini a riconoscersi peccatori, ma non li assolveva. perciò, la lettera senza la grazia creava dei colpevoli, che, riconoscendosi tali, sarebbero stati liberati dalla grazia. E' quanto dice l'Apostolo: Se infatti fosse stata concessa una legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla legge. Perché, allora, è stata data la legge? Continua l'Apostolo: La Scrittura pero ha tutto rinchiuso sotto il peccato, affinché ai credenti la promessa fosse concessa in virtù della fede in Gesù Cristo (Ga 3,21-22). Niente di più chiaro. Non ci danno, forse, queste parole, la spiegazione dei cinque portici e della moltitudine degli infermi? I cinque portici rappresentano la legge. Perché i cinque portici non riuscivano a guarire gli infermi? Perché se fosse stata concessa una legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla legge. Perché non riuscivano a guarire quelli che contenevano? Perché la Scrittura ha rinchiuso tutto sotto il peccato, affinché ai credenti la promessa fosse concessa in virtù della fede in Gesù Cristo.
3. E come mai guarivano nell'acqua agitata, quanti non riuscivano a guarire nei portici? Infatti, si vedeva l'acqua improvvisamente agitata e non si vedeva chi era ad agitarla. E' da credere che ciò avvenisse per virtù angelica, non senza allusione ad un mistero. Non appena l'acqua veniva agitata, il primo malato che riusciva ad immergervisi, guariva; dopo di lui, chiunque altro si gettasse nell'acqua, lo faceva inutilmente. Che significa questo, se non che è venuto un solo Cristo per il popolo giudaico e, con le sue grandi opere, con i suoi insegnamenti salutari, ha turbato i peccatori; con la sua presenza ha agitato le acque provocando la sua passione? Ma agito l'acqua rimanendo nascosto. Infatti, se l'avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1Co 2,8). Scendere nell'acqua agitata significa, dunque, credere umilmente nella passione del Signore. Nella piscina veniva guarito uno solo a significare l'unità. Chiunque arrivasse dopo, non veniva guarito perché fuori dell'unità non si può guarire.
(Il significato sacro del numero quaranta.)
2. 4. Vediamo ora che cosa ha voluto significare il Signore con quell'uno che solo fra tutti i malati guari, allo scopo, come abbiamo già detto, di conservare il mistero dell'unità. Riscontro negli anni della sua malattia un numero che simboleggiava l'infermità. Era ammalato da trentotto anni (Jn 5,5). Va spiegato un po' meglio come questo numero si riferisca più alla malattia che alla guarigione. Fate attenzione, vi prego: il Signore mi aiuterà a parlare in modo adeguato, sicché voi possiate sentire quanto basta. Il quaranta è un numero sacro ed è simbolo di perfezione. Credo che ciò sia noto a vostra Carità. Lo attestano insistentemente le divine Scritture. Il digiuno, come sapete, ricevette il suo carattere sacro da questo numero. Mosè digiuno quaranta giorni (Ex 34,28), altrettanto Elia (cf. 1R 19,8), e lo stesso Signore e salvatore Gesù Cristo con il suo digiuno arrivo a questo numero di giorni (Mt 4,2). Ora, Mosè rappresenta la Legge, Elia i Profeti, il Signore il Vangelo. Per questo apparvero tutti e tre su quel monte, dove il Signore si mostro ai discepoli sfolgorante nel volto e nella veste (Mt 17,1-3). Egli apparve in mezzo a Mosè ed Elia, quasi a significare che il Vangelo riceveva testimonianza dalla Legge e dai Profeti (Rm 3,21). Tanto nella Legge, dunque, quanto nei Profeti e nel Vangelo, il numero quaranta appare legato al digiuno. Ora, il digiuno vero e completo, il digiuno perfetto, consiste nell'astenersi dall'iniquità e dai piaceri illeciti del mondo: affinché rinnegando l'empietà e le cupidigie del secolo, si viva in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà. Quale
ricompensa, secondo l'Apostolo, è riservata a tale digiuno? Continua dicendo: aspettando quella beata speranza e la manifestazione della gloria del beato Iddio, e Salvatore nostro Gesù Cristo (Tt 2,12-13). Noi celebriamo in questo mondo come una quarantena di astinenza quando viviamo bene, quando ci asteniamo dalla iniquità e dai piaceri illeciti; e siccome questa astinenza non sarà senza una ricompensa, aspettiamo quella beata speranza e la manifestazione della gloria del grande Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo. In virtù di questa speranza, quando la speranza sarà diventata realtà, riceveremo in ricompensa un denaro. E' la ricompensa che, secondo il Vangelo, vien data agli operai della vigna (Mt 20,9-10). Ricordate? Spero infatti di non dovervi sempre ricordare tutto, come a gente rozza ed incolta. Si riceverà, dunque, come ricompensa un denaro corrispondente al numero dieci, che, addizionato a quaranta, fa cinquanta. Per questo celebriamo nella penitenza i quaranta giorni prima della Pasqua, e nella letizia, come chi ha ricevuto la ricompensa, i cinquanta giorni dopo la Pasqua. A questa salutare disciplina di opere buone, cui si riferisce il numero quaranta, si viene ad aggiungere il denaro del riposo e della felicità, e si ha così il numero cinquanta.
5. Lo stesso Signore Gesù ha voluto significare questo più chiaramente, quando, dopo la risurrezione, passo in terra quaranta giorni con i suoi discepoli (Ac 1,3); e, asceso al cielo nel quarantesimo giorno, dopo altri dieci giorni, invio il dono dello Spirito Santo (Ac 2,1-4). Questi misteri sono stati prefigurati, e i segni hanno preceduto la realtà. Di tali segni ci nutriamo, in attesa di giungere alle realtà permanenti. Siamo operai che ancora stanno lavorando nella vigna; terminato il giorno, compiuta l'opera, ci verrà data la ricompensa. Ma quale operaio può resistere fino alla ricompensa se non si nutre durante il lavoro? Tu non dai al tuo operaio soltanto la mercede, ma gli procuri altresi l'alimento necessario per ristorarsi durante la fatica. Si, nutri colui al quale darai la ricompensa. Con questi contenuti della Scrittura il Signore intende nutrire anche noi che ci affatichiamo a scoprirli. Se ci fosse negata la gioia che ci viene dall'intelligenza dei misteri, verremmo meno nella fatica e nessuno giungerebbe alla ricompensa.
(La carità compimento della legge.)
2. 6. In che senso, ora, il numero quaranta è simbolo dell'opera compiuta? Forse perché la legge è stata articolata in dieci precetti, e doveva essere predicata in tutto il mondo, il quale mondo si compone di quattro parti: oriente, occidente, mezzogiorno e settentrione; per cui, moltiplicando il numero dieci per quattro, abbiamo quaranta. Oppure, perché il Vangelo, che è in quattro libri, è il compimento della legge, secondo quanto nel Vangelo stesso è detto: Non sono venuto per abolire la legge, ma per compierla (Mt 5,17), Sia per una ragione, sia per l'altra, sia per un'altra ancora che a noi sfugge, anche se non sfugge a chi è più dotto, è certo che il numero quaranta indica una certa perfezione nelle buone opere, perfezione che consiste soprattutto nell'esercizio dell'astinenza dai desideri illeciti del mondo, cioè nel digiuno inteso nel senso più vero. Ascolta ancora l'Apostolo che dice: La carità è il compimento della legge (Rm 13,10). E donde nasce la carità? Dalla grazia di Dio, dallo Spirito Santo. Non proviene da noi, non ne siamo noi gli autori. E' dono di Dio, e grande dono di Dio: La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5,5). La carità, dunque, compie la legge, come giustamente è stato detto: La carità è il compimento della legge. Cerchiamola, questa carità, come il Signore ci raccomanda. Ricordate il mio proposito: spiegare il significato dei trentotto anni di quell'infermo; perché quel numero trentotto debba riferirsi piuttosto alla malattia che alla guarigione. La carità, dicevo, è il compimento della legge. Il numero quaranta indica il compimento della legge in tutte le azioni, e la carità ci vien presentata in due precetti. Fate attenzione, vi prego, e fissate nella vostra memoria quanto vi dico, per non esporvi al disprezzo
della parola, facendo diventare l'anima vostra una strada dove il seme gettato non germoglia: Verranno gli uccelli e se lo mangeranno (Mc 4,4). Accogliete e tutto custodite nel vostro cuore. Due sono i precetti della carità che il Signore raccomanda: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente; e amerai il prossimo tuo come te stesso. A questi due precetti si riduce tutta la Legge e i Profeti (Mt 22,37-40). A ragione quella povera vedova che mise due spiccioli nel tesoro del tempio per offerta a Dio, diede tutto ciò che aveva per vivere (Lc 21,2-4); cosi, per guarire quell'infermo ferito dai briganti, l'albergatore ricevette due monete (Lc 10,35); cosi, Gesù passo due giorni presso i Samaritani per rafforzarli nella carità (Jn 4,40). Essendo dunque il numero due simbolo di una cosa buona, per mezzo di esso viene soprattutto inculcata la carità distinta in due precetti. Ora, se il numero quaranta significa perfezione della legge, e se la legge non si compie se non mediante il duplice precetto della carità, ti fa meraviglia che quell'uomo fosse infermo da quarant'anni meno due?
7. Vediamo ora in che modo misterioso il Signore guari questo infermo. E' venuto infatti il Signore, maestro della carità, pieno di carità, a ricapitolare - come di lui era stato predetto -la parola sulla terra (Is 10,23 Is 28,22 Rm 9,28), e a mostrare che nei due precetti della carità tutta la Legge e tutti i Profeti sono riassunti. In questi due precetti sono racchiusi Mosè col suo digiuno di quaranta giorni, ed Elia con il suo; e questo numero anche il Signore scelse a propria testimonianza. Il paralitico è guarito dal Signore in persona; ma prima che cosa gli dice Gesù? Vuoi essere guarito? (Jn 5,6). Quello risponde che non ha un uomo che lo immerga nella piscina. Si, per essere guarito aveva assolutamente bisogno di un uomo, ma di un uomo che fosse anche Dio. Unico infatti è Iddio, unico anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (1Tm 2,5). E' venuto dunque l'uomo che era necessario; perché differire ancora la guarigione? Alzati - gli dice il Signore -prendi il tuo lettuccio e cammina (Jn 5,8). Tre cose gli ha detto: Alzati, prendi il tuo lettuccio, cammina. Ma la parola alzati, non espresse il comando di qualcosa da farsi, ma l'atto stesso della guarigione. All'infermo già guarito, il Signore ordina poi due cose: Prendi il tuo lettuccio e cammina. Ora io vi domando: non bastava ordinargli: cammina? oppure dire soltanto alzati? Una volta alzatosi guarito, sicuramente non sarebbe rimasto là. Non si sarebbe alzato per camminare? Mi colpisce anche il fatto che il Signore abbia comandato due cose a quell'uomo che egli aveva trovato infermo da quarant'anni meno due. Era come comandargli le altre due cose che gli mancavano per arrivare a quaranta.
(Per vedere Dio bisogna amare il prossimo.)
2. 8. Come, adesso, possiamo vedere simboleggiati in questi due ordini del Signore -Prendi il tuo lettuccio e cammina - i due precetti? Ricordiamo insieme, o fratelli, quali sono questi due precetti. Essi infatti debbono essere ben presenti in voi: non dovete richiamarli alla mente solo quando ve li ricordiamo; anzi, mai devono cancellarsi dai vostri cuori. Sempre, in ogni istante, dovete ricordarvi che si deve amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, e il prossimo come noi stessi (Lc 10,27). Questo è ciò che dovete pensare sempre, meditare sempre, ricordare sempre, praticare sempre, compiere sempre alla perfezione. L'amore di Dio è il primo che viene comandato, l'amore del prossimo è il primo che si deve praticare. Enunciando i due precetti dell'amore, il Signore non ti raccomanda prima l'amore del prossimo e poi l'amore di Dio, ma mette prima Dio e poi il prossimo. Ma siccome Dio ancora non lo vedi, meriterai di vederlo amando il prossimo. Amando il prossimo rendi puro il tuo occhio per poter vedere Dio come chiaramente dice Giovanni: Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (1Jn 4,20). Ti vien detto: ama Dio. Se tu mi dici: mostrami colui che devo amare, ti rispondero con Giovanni: Nessuno ha mai veduto Dio (Jn 1,18). Con ciò non devi assolutamente considerarti escluso dalla visione di Dio, perché l'evangelista afferma: Dio è carità, e chi rimane nella carità rimane in Dio (1Jn 4,16). Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l'amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possibile, Dio. Comincia dunque con l'amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame, e porta in casa tua chi è senza tetto; se vedi un ignudo, vestilo, e non disprezzare chi è della tua carne. Facendo cosi, che cosa succederà? Allora si che quale aurora eromperà la tua luce (Is 58,7-8). La tua luce è il tuo Dio. Egli è per te luce mattutina, perché viene a te dopo la notte di questo mondo. Egli non sorge né tramonta, risplende sempre. Sarà luce mattutina per te che ritorni, lui che per te era tramontato quando t'eri perduto. Dunque, con quel prendi il tuo lettuccio e cammina, mi sembra che il Signore voglia dire: ama il tuo prossimo.
1. 9. Rimane oscuro e richiede spiegazione, a mio parere, il fatto che il Signore comanda l'amore del prossimo nell'atto in cui ordina di prendere il lettuccio, non sembrandoci conveniente che il prossimo venga paragonato ad una cosa piuttosto banale e inanimata, come è un lettuccio. Non si offenda il prossimo, se il Signore ce lo raccomanda per mezzo di una cosa priva di anima e di intelligenza. Lo stesso Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo fu chiamato pietra angolare, destinato a riunire in sé due muri, cioè due popoli (Ep 2,14-20). Fu chiamato anche rupe, da cui scaturi l'acqua: E quella rupe era Cristo (1Co 10,4). Che meraviglia, dunque, se il prossimo è simboleggiato nel legno del lettuccio, dal momento che Cristo fu simboleggiato nella rupe? Non qualsiasi legno, tuttavia, è simbolo del prossimo, come non qualsiasi rupe era simbolo di Cristo, ma quella rupe da cui scaturiva l'acqua per gli assetati; né una qualunque pietra, ma la pietra angolare che uni in sé i due muri di opposta provenienza. Così non devi vedere il simbolo del prossimo in qualsiasi legno, ma nel lettuccio. Ora io ti domando: perché proprio nel lettuccio viene simboleggiato il prossimo, se non perché quel tale mentre era infermo veniva portato nel lettuccio, e, una volta guarito, era lui a portare il lettuccio? Cosa dice l'Apostolo? Portate i pesi gli uni degli altri, e così voi adempirete la legge di Cristo (Ga 6,2). La legge di Cristo è la carità, e la carità non si compie se non portiamo i pesi gli uni degli altri. Sopportatevi a vicenda con amore, - aggiunge l'Apostolo -e studiatevi di conservare l'unita dello spirito mediante il vincolo della pace (Ep 4,2-3). Quando tu eri infermo venivi portato dal tuo prossimo; adesso che sei guarito devi essere tu a portare il tuo prossimo: Portate i pesi gli uni degli altri, e così voi adempirete la legge di Cristo. E' cosi, o uomo, che tu completerai ciò che ti mancava. Prendi, dunque, il tuo lettuccio. E quando l'avrai preso, non fermarti, cammina! Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. Quale cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini, per giungere a Colui con il quale desideri rimanere per sempre. Prendi, dunque, il tuo lettuccio e cammina.
2. 10. Così fece quello, e i Giudei si scandalizzarono. Essi vedevano un uomo portare il suo giaciglio di sabato e non osavano prendersela col Signore che lo aveva guarito di sabato, perché temevano che rispondesse: Chi di voi, se un giumento gli cade nel pozzo, non lo tira fuori in giorno di sabato, e non lo salva? (Lc 14,5). perciò non rimproveravano lui d'aver guarito un uomo di sabato, ma facevano osservazione a quell'uomo perché portava il suo giaciglio. Ammesso che non si dovesse rinviare la guarigione, era lecito dare quell'ordine? perciò dicevano: Non ti è lecito fare quello che fai, portar via il tuo lettuccio. E quello appellandosi all'autore della sua guarigione: Chi mi ha guarito, mi ha detto: Prendi il tuo letto e cammina. Potevo non accettare un ordine da chi avevo ricevuto la guarigione? E quelli: Chi è quell'uomo che ti ha detto: Prendi il tuo letto e cammina? (Jn 5,10-12).
3. 11. Il guarito non sapeva chi fosse l'uomo che gli aveva dato quell'ordine. Gesù infatti - dopo aver compiuto il miracolo e dato l'ordine -era scomparso tra la folla (Jn 5,13). Notate questo particolare. Noi portiamo il prossimo e camminiamo verso Dio; e allo stesso modo che noi non vediamo ancora Colui verso il quale camminiamo, così quello non conosceva ancora Gesù. E' un mistero che ci viene suggerito: noi crediamo in Colui che ancora non vediamo, ed Egli per non esser visto, scompare tra la folla. E' difficile scorgere Cristo in mezzo alla folla. La nostra anima ha bisogno di solitudine. Nella solitudine, se l'anima è attenta, Dio si lascia vedere. La folla è chiassosa: per vedere Dio è necessario il silenzio. Prendi il tuo lettuccio, porta il tuo prossimo, dal quale sei stato portato; e cammina, per raggiungere Dio. Non cercare Gesù tra la folla, perché egli non è uno della folla: ha preceduto in tutti i modi la folla. Quel grande Pesce sali per primo dal mare, e siede in cielo ad intercedere per noi: egli solo, come grande sacerdote, è penetrato nel Santo dei Santi oltre il velo, mentre la folla rimane fuori. Cammina, tu che porti il prossimo; purché abbia imparato a portarlo, tu che eri abituato a farti portare. Insomma, tu ancora non conosci Gesù, ancora non vedi Gesù; ma ascolta ciò che segue. Siccome quello non abbandono il suo lettuccio e seguitava a camminare, poco dopo Gesù lo incontro nel tempio. Non lo aveva incontrato in mezzo alla folla, lo incontro nel tempio. Il Signore Gesù vedeva lui sia tra la folla, sia nel tempio; l'infermo non riconobbe Gesù tra la folla, ma solo nel tempio. Quello, dunque, raggiunse il Signore: lo incontro nel tempio, nel luogo sacro, nel luogo santo. E che cosa si senti dire? Ecco, sei guarito; non peccare più, affinché non ti succeda di peggio (Jn 5,14).
12. Allora quell'uomo, dopo che ebbe visto Gesù e seppe che era lui l'autore della sua guarigione, senza indugio corse ad annunciare chi aveva visto: se ne ando a dire ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo (Jn 5,15). Quell'annuncio li riempi di furore: egli proclamava la sua salvezza, ma quelli non cercavano la propria.
(Il mistero del sabato.)
4. 13. 1 Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva queste cose di sabato. Sentiamo che cosa risponde il Signore ai Giudei. Vi ho già detto cosa era solito rispondere, a proposito delle guarigioni operate di sabato: che loro non lasciavano perire, di sabato, i loro animali, alzandoli se caduti o nutrendoli. A proposito del giaciglio portato di sabato che cosa risponde? Agli occhi dei Giudei appariva senz'altro un'opera corporale, non la guarigione del corpo, ma l'attività del corpo, tanto più che questa non sembrava così necessaria come la guarigione. Ci riveli, dunque, il Signore, il mistero del sabato e il significato dell'osservanza di quel giorno di riposo temporaneamente prescritta ai Giudei, e ci insegni come questo mistero abbia trovato in lui il suo compimento. Il Padre mio - dice -continua ad agire ed anch'io agisco (Jn 5,16-17). Provoco in mezzo ad essi un grande tumulto: l'acqua è agitata dalla venuta del Signore, ma colui che la agita rimane nascosto. Tuttavia per l'agitazione dell'acqua, cioè per la passione del Signore, il mondo intero, come un solo grande malato, ottiene la guarigione.
5. 14. Vediamo dunque la risposta della Verità: Il Padre mio continua ad agire e anch'io agisco. Allora non è vero quello che dice la Scrittura, che Dio si riposo nel settimo giorno da tutte le sue opere (Gn 2,2)? E il Signore contraddirebbe questa Scrittura, dovuta a Mosè, quando egli stesso dice ai Giudei: Se credeste a Mosè, credereste anche a me; di me infatti egli ha scritto (Jn 5,46)? Vediamo, dunque, se le parole di Mosè: nel settimo giorno Dio si riposo, non abbiano un altro significato. Dio infatti non aveva cessato di lavorare sospendendo l'opera della creazione, né aveva bisogno di riposo come l'uomo. Come poteva stancarsi colui che aveva fatto tutto mediante la parola? Tuttavia è vero che nel settimo giorno Iddio si riposo, ed è ugualmente
vero ciò che dice Gesù: il Padre mio continua ad agire. Ma come potrà spiegare questo mistero un uomo ad altri uomini come lui, deboli come lui, come lui ignoranti e desiderosi di apprendere? E ammesso che un uomo abbia capito qualcosa, come potrà esprimerlo e spiegarlo a chi tanto difficilmente intende anche quando si riesce ad esprimere ciò che si capisce? Chi riuscirà, o miei fratelli, a spiegare a parole come possa Dio operare senza affaticarsi e riposarsi continuando ad operare? Aspettate, vi prego, di aver fatto ulteriori progressi nella via di Dio. Per vedere questo bisogna essere arrivati nel tempio di Dio, nel luogo santo. Caricatevi del prossimo e camminate. Arriverete a vedere Dio là dove non avrete più bisogno di parole umane.
1. 15. Credo si possa dire, piuttosto, che il riposo di Dio nel settimo giorno era un grande segno misterioso dello stesso Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, il quale dichiaro: Il Padre mio continua ad agire, e anch'io agisco. Anche il Signore Gesù è Dio. Egli è il Verbo di Dio, e voi avete sentito che in principio era il Verbo; e non un verbo qualsiasi, ma il Verbo era Dio, e tutte le cose furono fatte per mezzo di lui (Jn 1,1 Jn 3). Qui forse c'è il significato del riposo di Dio da tutte le sue opere nel settimo giorno. Leggete infatti il Vangelo e vedrete quante cose mirabili Gesù ha compiuto. Ha operato sulla croce la nostra salvezza, affinché si compissero in lui tutti gli oracoli dei profeti; fu coronato di spine, fu appeso alla croce; disse: Ho sete (Jn 19,28), e prese l'aceto di cui era imbevuta la spugna, affinché si adempisse la profezia: Nella mia sete mi hanno abbeverato con aceto (Ps 68,22). Ma quando tutte le sue opere furono compiute, nel giorno sesto, reclino il capo e rese lo spirito, e il sabato si riposo nel sepolcro da tutte le sue fatiche. Quindi è come se dicesse ai Giudei: Perché vi aspettate che io non operi di sabato? La legge del sabato vi è stata data in riferimento a me. Volgete l'attenzione alle opere di Dio: io ero presente quando esse venivano compiute e tutte sono state compiute per mio mezzo. Io so che il Padre mio continua ad agire. Il Padre ha creato la luce; egli disse: Sia fatta la luce (Gn 1,3); ma, se disse, vuol dire che opero per mezzo del Verbo. Ed io ero, io sono il suo Verbo; per mezzo mio attraverso quelle opere il mondo è stato creato, e per mezzo mio attraverso queste opere il mondo è governato. Il Padre mio opero allora, quando creo il mondo, e ancora adesso opera governando il mondo. Creando ha creato per mezzo mio, governando governa per mezzo mio. Questo ha detto il Signore, ma a chi? A dei sordi, a dei ciechi, a degli zoppi, a dei malati che non volevano saperne del medico, e nella loro pazzia volevano ucciderlo.
2. 16. Proseguendo l'evangelista dice: Per questo, a maggior ragione, i Giudei volevano ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo proprio Padre. E non chiamava Dio suo padre in senso generico, ma in senso preciso e unico: facendosi uguale a Dio (Jn 5,18). Infatti anche noi diciamo a Dio: Padre nostro che sei nei cieli (Mt 6,9); dalla Scrittura sappiamo anche che i Giudei dicevano a Dio: Sei tu il nostro padre (Is 63,16 Is 64,8). Non reagivano perché chiamava Dio suo padre in questo senso, ma perché lo chiamava padre suo in un senso assolutamente diverso da come lo chiamano gli uomini. I Giudei hanno capito ciò che invece gli Ariani non capiscono. Gli Ariani dicono che il Figlio non è uguale al Padre, e di qui l'eresia che affligge la Chiesa. Ecco, gli stessi ciechi, gli stessi che giunsero a uccidere Cristo, compresero il senso delle parole di Cristo. Non compresero che era lui il Cristo, tanto meno che era il Figlio di Dio, e tuttavia hanno compreso che con quelle parole egli si presentava come Figlio di Dio, uguale a Dio. Non sapevano chi fosse, ma si rendevano conto che si presentava come Figlio di Dio, perché chiamava Dio suo padre, facendosi uguale a Dio. Ma forse che non era uguale a Dio? Non era lui a farsi uguale a Dio, ma era Dio che lo aveva generato uguale a sé. Se di sua iniziativa si fosse fatto uguale a Dio, tale usurpazione lo avrebbe fatto cadere in disgrazia di Dio. Colui, infatti, che pretese di farsi uguale a Dio, senza esserlo, cadde in disgrazia (Is 14,135), e da angelo divento diavolo, e propino all'uomo il veleno della superbia per cui questi fu cacciato dal paradiso. Infatti, cosa suggeri all'uomo, che invidiava perché era rimasto in piedi mentre lui era caduto? Gustate il frutto, e diventerete come dèi (Gn 3,5); cioè, carpite con la
frode ciò che non siete, come ho fatto io che, avendo tentato di usurpare la natura divina, sono stato cacciato. Non si esprimeva proprio cosi, ma questo era il contenuto della sua tentazione. Cristo invece non era diventato, ma era nato uguale al Padre: è stato generato dalla stessa sostanza del Padre, come ce lo ricorda l'Apostolo: Egli, pur essendo della stessa forma di Dio, non stimo un'usurpazione l'essere uguale a Dio. Che significa non stimo un'usurpazione? Significa che non usurpo la sua uguaglianza con Dio, poiché la possedeva già fin dalla nascita. E noi, come potremo pervenire a colui che è uguale a Dio? Egli anniento se stesso col prendere forma di servo (Ph 2,6-7). Anniento se stesso, non perdendo ciò che era, ma assumendo ciò che non era. I Giudei disprezzando questa forma di servo, erano incapaci di comprendere che Cristo Signore era uguale al Padre, benché non potessero dubitare che questo di sé egli affermava: anzi per questo lo perseguitavano. Gesù, tuttavia, li sopportava e cercava di guarire quelli che si accanivano contro di lui.
Agostino - Commento Gv 16