Agostino - Commento Gv 66
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(Jn 13,36-38)
Rinnegando Cristo, Pietro mori, e piangendo ritorno alla vita. Mori a causa della sua vana presunzione, e ritorno alla vita perché il Signore lo guardo con bontà.
1. Dopo che il Signore aveva raccomandato ai discepoli di amarsi a vicenda di un amore santo, Simon Pietro gli disse: Signore dove vai? così disse il discepolo al Maestro, il servo al Signore quasi con l'animo disposto a seguirlo. Il Signore, che leggeva nel suo animo e vedeva perché Pietro gli aveva rivolto una tale domanda, risponde: Dove vado non puoi per ora seguirmi; come a dire: Quello di cui mi interroghi non è, ora, nelle tue possibilità. Non gli risponde: Non puoi, ma: non puoi per ora; gli prospetta una dilazione, non gli toglie la speranza; e questa speranza, che non gli toglie ma piuttosto gli dà, la rafforza con l'annuncio che fa seguire: Mi seguirai più tardi. Non aver fretta, Pietro. La Pietra non ti ha ancora consolidato con il suo Spirito. Non lasciarti innalzare dalla presunzione: non puoi per ora seguirmi; e non lasciarti abbattere dalla disperazione: mi seguirai più tardi. Ma cosa ribatte Pietro? Perché non posso seguirti adesso? Daro la mia vita per te! Il Signore vedeva la sincerità del suo desiderio, ma non vedeva in lui le forze necessarie per realizzarlo. L'infermo faceva assegnamento sulla sua volontà, il medico, invece, ne conosceva la debolezza; Pietro prometteva, Cristo vedeva già il futuro; l'incosciente era audace, mentre chi sapeva già tutto lo ammoniva. Pietro era tanto presuntuoso che contava sulla sua volontà ignorando i suoi limiti! Era tanto presuntuoso che, mentre il Signore era venuto a dare la sua vita per i suoi amici e perciò anche per lui, egli pretendeva di fare altrettanto per il Signore, illudendosi di poter offrire la sua vita per Cristo prima che Cristo offrisse la propria per lui. Gli risponde Gesù: Tu darai la tua vita per me? E così tu farai per me quanto io non ho ancora fatto per te? Tu darai la tua vita per me? Credi di potermi precedere, tu che non puoi seguirmi? Perché sei tanto presuntuoso? Che concetto hai di te? Cosa credi essere? Ascolta cosa sei: In verità, in verità ti dico: il gallo non canterà finché non mi avrai rinnegato tre volte (Jn 13,36-38). Ecco come presto apparirai ai tuoi stessi occhi, tu che ora dici grandi parole, e non sai di essere piccolo. Tu che prometti a me la tua morte, rinnegherai tre volte me, che sono la tua vita. Tu credi di essere già pronto a morire per me; sforzati invece di vivere prima per te: temendo infatti la morte della tua carne, darai la morte alla tua anima. Poiché come confessare Cristo è vivere, così rinnegare Cristo è morire.
2. 2. Taluni, mossi da falsa pietà, cercano di scusare l'apostolo Pietro, dicendo che egli non rinnego Cristo quando, interrogato dalla portinaia, rispose che non conosceva quell'uomo, così come espressamente attestano gli altri evangelisti. Come se rinnegare Cristo uomo, non sia rinnegare Cristo; rinnega Cristo chi rinnega in lui ciò che egli si è fatto per noi, alfine di salvare ciò che ha fatto. Chi, dunque, confessa che Cristo è Dio, ma lo rinnega come uomo, Cristo non è morto per lui, perché Cristo è morto come uomo. Chi rinnega l'umanità di Cristo, non può essere riconciliato con Dio per mezzo del mediatore. Unico infatti è Iddio, unico anche il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (1Tm 2,5). Chi rinnega l'uomo Cristo non può essere giustificato: Come infatti per la disubbidienza di un solo uomo la moltitudine fu costituita peccatrice, così pure per la obbedienza di un solo uomo la moltitudine sarà costituita giusta (Rm 5,19). Chi rinnega l'uomo Cristo, non risorgerà nella risurrezione della vita: poiché per mezzo di un uomo venne la morte, anche la risurrezione dei morti verrà per mezzo di un uomo. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così anche in Cristo tutti saranno vivificati (1Co 15,21-22). A quale titolo Cristo è capo della Chiesa, se non perché è uomo, se non perché il Verbo si è fatto carne, cioè perché il Figlio unigenito di Dio Padre e Dio egli stesso, si è fatto uomo? Come può dunque appartenere al corpo di Cristo chi rinnega l'uomo Cristo? Come può essere membro del corpo chi rinnega il capo? Ma perché continuare, dal momento che il Signore stesso ha eliminato ogni ambiguità di umana argomentazione? Infatti egli non dice: Non canterà il gallo, che tu non abbia rinnegato l'uomo; oppure, secondo un'espressione più familiare, che egli era solito usare quando parlava con gli uomini: Non canterà il gallo prima che tu non abbia rinnegato tre volte il Figlio dell'uomo. Egli invece dice: prima che tu non abbia rinnegato tre volte me. Che vuol dire me, se non ciò che egli era? e che cosa era se non il Cristo? Qualunque cosa, dunque, Pietro abbia rinnegato di lui, è lui che ha rinnegato, ha rinnegato Cristo, ha rinnegato il Signore Dio suo. Quando il suo condiscepolo Tommaso esclamo: Signor mio, e Dio mio, non tocco il Verbo ma la carne; non palpo con le sue mani investigatrici l'incorporea natura di Dio, ma il corpo dell'uomo (Jn 20,27-28). Egli tocco l'uomo, eppure riconobbe Dio. Se dunque Pietro ha rinnegato ciò che Tommaso ha toccato, Pietro ha offeso ciò che Tommaso ha confessato. Non canterà il gallo prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte (Mt 26,34 Lc 22,34). Sia che tu dica: Non conosco l'uomo, sia che tu dica: Non so, o uomo, che cosa vuoi dire (Mt 26,70 Lc 22,57), sia che tu dica: Non sono dei suoi discepoli (Mt 26,72 Lc 22,60), sempre, o Pietro, tu mi rinnegherai. Se Cristo disse questo - cosa che non si può mettere in dubbio - e predisse il vero, certamente Pietro rinnego Cristo. Non accusiamo Cristo, per voler difendere Pietro. La debolezza riconosca dunque il suo peccato, giacché non si può imputare alcuna menzogna alla Verità. Per la verità, la debolezza di Pietro riconobbe il suo peccato, lo riconobbe con lealtà: con le lacrime ha dato prova di aver capito quanto male aveva commesso, rinnegando Cristo. Egli stesso smentisce i suoi difensori, li smentisce con la prova delle sue lacrime. Non è che, dicendo cosi, noi proviamo gusto a condannare il primo degli Apostoli; ma dal suo esempio noi dobbiamo imparare che nessuno può fidarsi delle proprie forze. Che altro infatti si proponeva il nostro Maestro e Salvatore, se non dimostrare con l'esempio del primo degli Apostoli che nessuno deve presumere di sé? E così accadde a Pietro di provare nella sua anima ciò che egli si diceva disposto a patire nel suo corpo. Egli non riusci a precedere il Signore morendo per lui, come temerariamente presumeva, ma gli fu riservata una sorte diversa da quella che pensava: prima della morte e della risurrezione del Signore egli mori rinnegandolo, e, piangendo la sua colpa, ritorno alla vita; mori perché fu superbamente presuntuoso e ritorno alla vita perché il Signore guardo a lui con benignità.
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(Jn 14,1-3)
Dio è carità, e in virtù della carità ciò che hanno i singoli diventa comune a tutti. Quando uno ama, possiede nell'altro anche ciò che egli personalmente non ha. Non è possibile l'invidia là dove regna l'unità della carità.
1. Con maggiore intensità, fratelli, dobbiamo rivolgere a Dio la nostra attenzione, per poter intendere in qualche modo le parole del santo Vangelo che sono risuonate adesso alle nostre orecchie. Il Signore Gesù dice: Non si turbi il vostro cuore: credete in Dio, e credete in me (Jn 14,1). Affinché, come uomini, non dovessero temere la morte, turbandosi per lui, li consola affermando che anche lui è Dio. Credete in Dio - dice -e credete in me. Se credete in Dio, è logico che crediate anche in me; il che non sarebbe logico se Cristo non fosse Dio. Credete in Dio, e credete in colui che per natura, non per usurpazione, è alla pari con Dio, e che anniento se stesso prendendo forma di servo, tuttavia senza perdere la forma di Dio (cf. Ph 2,6). Voi paventate la morte per questa forma di servo: non si turbi il vostro cuore, perché la forma di Dio la risusciterà.
2. 2. Ma che vuol dire ciò che segue: Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore (Jn 14,2)? Proprio perché i discepoli temevano anche per se stessi, era necessario che il Signore dicesse loro: Non si turbi il vostro cuore. E chi di loro poteva essere senza timore dopo che il Signore aveva detto a Pietro, il più fiducioso e il meglio disposto tra loro: Non canterà il gallo prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte (Jn 13,38)? C'era di che esser turbati, come se dovesse loro toccare in sorte di doversi separare da lui. Ma sentendosi dire: Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore: se così non fosse, ve l'avrei detto: poiché vado a prepararvi un posto (Jn 14,2), si riprendono dal loro turbamento, sicuri e fiduciosi che al di là dei pericoli della prova rimarranno presso Dio, con Cristo. Uno potrà essere più forte di un altro, più sapiente, più giusto, più santo, ma nella casa del Padre vi sono molte dimore; nessuno verrà escluso da quella casa dove ciascuno riceverà la sua dimora secondo il merito. Il denaro che per ordine del padre di famiglia viene dato a quanti hanno lavorato nella vigna, senza distinzione tra chi ha faticato di più e chi di meno, è uguale per tutti (Mt 20,9); e questo denaro significa la vita eterna dove nessuno vive più di un altro, perché nell'eternità non vi può essere una diversa durata della vita; e le diverse mansioni rappresentano i diversi gradi di meriti che esistono nell'unica vita eterna. Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna, altro lo splendore delle stelle; si, perfino stella da stella differisce in splendore; così è per la risurrezione dei morti. Come le stelle in cielo, i santi hanno dimore diverse così come diverso è il loro splendore; ma in grazia dell'unico denaro nessuno viene escluso dal regno. E così Dio sarà tutto in tutti (1Co 15,46 1Co 28), perché, essendo Dio carità (cf. 1Jn 4,8), per effetto di questa carità ciò che ognuno possiede diventa comune a tutti. In questo modo, infatti, quando uno ama, possiede nell'altro ciò che egli non ha. La diversità dello splendore non susciterà invidia perché regnerà in tutti l'unità della carità.
3. 3. perciò, il cuore cristiano deve rigettare l'opinione di chi sostiene che le molte mansioni autorizzano a pensare che, al di fuori del regno dei cieli, esiste un altro luogo dove vivono felici gli innocenti che sono usciti da questa vita senza aver ricevuto il battesimo, non potendo senza di esso entrare nel regno dei cieli. Tale fede non è fede, perché non è fede vera e cattolica. E voi, uomini stolti e accecati da pensieri carnali, ben meritate di essere riprovati per aver separato dal regno dei cieli, non dico la dimora di Pietro e di Paolo o di qualsiasi altro apostolo, ma anche la dimora di un qualunque bambino battezzato: non credete di dover essere riprovati per aver distinto e separati da esso la casa di Dio Padre? Non dice infatti il Signore: Nel mondo intero, nell'universo creato, oppure nella vita o beatitudine eterna vi sono molte dimore. Egli dice: Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Non è forse questa l'abitazione che noi abbiamo da Dio, la dimora non costruita da mano d'uomo, ma eterna nel cielo (2Co 5,1)? Non è questa la casa di cui cantiamo, rivolti al Signore: Beati quelli che abitano nella tua casa; nei secoli dei secoli ti loderanno (Ps 83,5)? E voi osate dividere, non la casa di un qualunque fratello battezzato, ma la casa stessa di Dio Padre, al quale tutti noi fratelli diciamo: Padre nostro che sei nei cieli (Mt 6,9), e dividerla in modo che alcune sue dimore siano nel regno dei cieli e altre fuori di questo regno! Non sia mai che quanti vogliono abitare nel regno dei cieli, condividano con voi un'opinione così stolta! Non può essere, dico, che una qualunque parte della casa reale rimanga fuori del regno, dal momento che l'intera casa dei figli che regnano non rimarrà fuori del regno.
4. E quando saro partito - continua -e avro preparato un posto per voi, ritornero e vi prendero con me, affinché dove sono io siate anche voi. E voi conoscete dove vado e la via per andarvi (Jn 14,3-4). O Signore Gesù, in che senso vai a preparare il posto, se nella casa del Padre tuo, dove i tuoi abiteranno con te, vi sono già molte dimore? E in che senso dici che ritornerai per prenderli con te, se tu non ti allontani da loro? Se ci sforzassimo, o carissimi, di spiegare brevemente queste cose nei limiti consentiti al discorso di oggi, non risulterebbero chiare, e la brevità stessa le renderebbe più oscure; per cui preferiamo contrarre con voi un debito, nella speranza di poterlo pagare, con l'aiuto del Padre di famiglia, in momento più opportuno.
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Ci prepara un posto in sé, e si prepara un posto in noi. E' il senso delle sue parole: Rimanete in me ed io in voi.
1. Sappiamo di avere un debito con voi, o fratelli carissimi, che avevamo rinviato e che adesso dobbiamo pagare. Il debito consiste nel mostrare che nelle parole del Signore non vi è contraddizione. Ha detto: Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore; se così non fosse, vi avrei detto che vado a prepararvi un posto (Jn 14,2). Appare chiaro da queste parole che nella casa del Padre suo vi sono molte dimore e che non c'è bisogno di prepararne; ma subito dopo dice: E quando saro partito e avro preparato un posto per voi, ritornero e vi prendero con me, affinché dove sono io siate anche voi (Jn 14,3). Perché va a preparare il posto, se vi sono già molte dimore? Se così non fosse, avrebbe detto: Vado a prepararvelo. Se era invece ancora da preparare, perché non dire: vado a prepararvelo? Ovvero queste dimore vi sono, ma bisogna prepararle? Se così non fosse, non avrebbe detto: vado a prepararvi il posto. Queste dimore esistono, ma bisogna prepararle. Il Signore non va a prepararle come sono; ma quando sarà andato e le avrà preparate come si deve, allora tornerà per prendere i suoi con sé, affinché anch'essi siano dove è lui. In che senso dunque le dimore nella casa del Padre sono le stesse, non diverse, e sicuramente esistono già senza che debbano essere preparate, e insieme non sono ancora quali devono essere preparate? Nello stesso senso in cui il profeta dice che Dio ha fatto le cose che dovranno essere fatte. Il profeta non dice che Dio farà le cose che saranno, ma che ha fatto le cose che saranno (Is 45,11 sec. LXX). Cioè le ha fatte e insieme le farà. Esse non sarebbero state fatte, se egli non le avesse fatte; né saranno fatte se egli non le farà. Egli le ha fatte predestinandole all'esistenza, e le farà chiamandole all'esistenza. Così come il Signore ha eletto gli Apostoli in quel preciso momento in cui, secondo il Vangelo, li ha chiamati (Lc 6,13); e tuttavia l'Apostolo dice: Ci ha eletti prima della creazione del mondo (Ep 1,4), cioè ci ha eletti predestinandoci, non chiamandoci. Quelli poi che ha predestinati, li ha anche chiamati (Rm 8,30): li ha eletti predestinandoli prima della creazione del mondo, li ha eletti chiamandoli prima della fine del mondo. In questo senso ha preparato e prepara le dimore: prepara non altre dimore, ma le stesse preparate da lui che ha fatto le cose che saranno: egli va a preparare mediante la realizzazione le dimore che ha preparato mediante la predestinazione. Esse già esistono nella predestinazione; se così non fosse, avrebbe detto: vado a preparare, cioè a predestinare. Ma siccome nella realizzazione ancora non esistono, dice: E quando saro partito e avro preparato un posto per voi, ritornero e vi prendero con me.
2. 2. Si può dire che il Signore prepara le dimore preparando coloro che dovranno occuparle. In base alle sue parole: Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore, che cosa dobbiamo pensare che sia la casa di Dio se non il tempio di Dio? Se a questo proposito interroghiamo l'Apostolo, egli ci risponderà: Santo è il tempio di Dio, che siete voi (1Co 3,17). Si identifica anche col regno di Dio che il Figlio consegnerà al Padre, secondo quanto dice il medesimo Apostolo: Primizia è Cristo; poi coloro che sono di Cristo, al momento della sua Parusia; quindi la fine, allorquando egli consegnerà il regno al Dio e Padre (1Co 15,23-24); cioè, quelli che ha redenti col suo sangue li consegnerà al Padre perché lo possano contemplare per sempre. Questo è il regno dei cieli, di cui è detto: Il regno dei cieli è simile ad un uomo che semina il buon seme nel suo campo; il buon seme poi sono i figli del regno, che sono ora mescolati alla zizzania; ma alla fine del mondo il re manderà i suoi angeli, che toglieranno via dal suo regno tutti gli scandali. Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro (Mt 13,24 Mt 38-43). Il regno risplenderà nel regno, allorché sarà compiuto quel regno che adesso invochiamo dicendo: Venga il tuo regno! (Mt 6,10). Fin d'ora è chiamato regno, ma è ancora in formazione. Se non avesse già il nome di regno, il Signore non direbbe: Toglieranno via dal suo regno tutti gli scandali. Ma questo regno non regna ancora. E' già regno nel senso che quando da esso saranno eliminati tutti gli scandali, non avrà più soltanto il nome di regno, ma lo sarà nel senso pieno e definitivo. E a questo regno, collocato alla destra, il Signore dirà: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno (Mt 25,34); cioè, voi che eravate regno ma non regnavate, venite a regnare, si da essere in realtà ciò che siete stati nella speranza. Dunque, questa casa di Dio, questo tempio di Dio, questo regno di Dio, questo regno dei cieli, è ancora in costruzione, è ancora in formazione; ancora dev'essere preparato, ancora deve essere raccolto. In esso vi saranno quelle dimore che il Signore è andato a preparare; dimore che già esistono in quanto il Signore le ha già predestinate.
3. Ma perché egli se n'è andato per preparare queste dimore, dato che egli deve preparare noi, cosa che non può fare se ci lascia? Comprendo come posso, o Signore, ma il senso mi sembra questo: perché si preparino queste dimore, il giusto deve vivere di fede (Rm 1,17). Chi è infatti esule dal Signore ha bisogno di vivere di fede, perché è mediante la fede che si prepara alla visione beatifica (2Co 5,6-8). Beati - infatti -i mondi di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8). E un altro testo dice che è mediante la fede che Dio purifica i cuori (Ac 15,9). Il primo testo si trova nel Vangelo, il secondo negli Atti degli Apostoli. Ora la fede, per mezzo della quale vengono purificati i cuori di quelli che vedranno Dio, finché questi sono pellegrini, consiste nel credere ciò che ancora non si vede: quando tu vedrai, non avrai più bisogno di fede. Chi crede si guadagna dei meriti, e vedendo riceve il premio. Vada dunque il Signore a preparare il posto; vada per sottrarsi al nostro sguardo, si nasconda per essere creduto. Viene preparato il posto se si vive di fede. Dalla fede nasce il desiderio, il desiderio prepara al possesso, poiché la preparazione della celeste dimora consiste nel desiderio, frutto dell'amore. Si, o Signore, prepara ciò che sei andato a preparare; e prepara noi per te e prepara te per noi, preparandoti il posto in noi e preparando a noi il posto in te. Tu infatti hai detto: Rimanete in me e io rimarro in voi (Jn 15,4). Secondo che sarà più o meno partecipe di te, ciascuno avrà un merito, e quindi un premio, maggiore o minore. La molteplicità delle dimore è appunto in rapporto alla diversità dei meriti di coloro che dovranno occuparle, tutti pero avranno la vita eterna e la beatitudine infinita. Ma che significa, o Signore, il tuo andare e che significa il tuo venire? Se bene intendo, tu non ti sposti né andando né venendo: te ne vai nascondendoti, e vieni manifestandoti. Ma se non rimani con noi per guidarci, per farci progredire nella santità della vita, come potrai prepararci il posto dove potremo dimorare godendo di te? Basti questo come commento alle parole del Vangelo, che sono state lette fin dove il Signore dice: Ritornero e vi prendero con me. Il significato della frase seguente: Affinché dove sono io siate anche voi. E voi conoscete dove vado e la via per andarvi (Jn 14,4), in risposta alla domanda fattagli da un discepolo quasi a nome nostro, lo vedremo meglio e lo tratteremo a tempo più opportuno.
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(Jn 14,4-6)
L'apostolo, quando fece la sua domanda, aveva davanti a sé il Maestro, ma non avrebbe potuto comprendere la risposta se non avesse avuto anche dentro di sé il Maestro. E' necessario interrogare e ascoltare il Maestro che è dentro di noi e sopra di noi.
1. Nella risposta che, come avete udito, diede il Signore all'apostolo Tommaso, cerchiamo di comprendere meglio che possiamo, o carissimi, le prime parole del Signore attraverso le successive, le antecedenti attraverso le conseguenti. Poco prima il Signore, parlando delle diverse dimore che ci sono nella casa del Padre suo, aveva detto che egli andava a prepararle; e da ciò noi abbiamo dedotto che queste dimore esistono già nella predestinazione e che insieme vengono preparate quando, mediante la fede, vengono purificati i cuori di coloro che le occuperanno, poiché essi stessi sono la casa di Dio. Infatti, che altro vuol dire abitare nella casa di Dio se non appartenere al popolo di Dio, del quale si dice che è in Dio e Dio in lui? E' per preparare questa dimora che il Signore se ne va, affinché noi, credendo in lui che non si vede, ci si prepari mediante la fede a quella dimora permanente che consiste nella visione di Dio. perciò aveva detto: E quando saro partito e avro preparato un posto per voi, ritornero e vi prendero con me, affinché dove sono io siate anche voi. E voi conoscete dove vado e la via per andarvi. E' allora che Tommaso gli dice: Signore, noi non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via? (Jn 14,3-5). Il Signore aveva detto che essi conoscevano l'una e l'altra cosa, e Tommaso dice di non conoscere nessuna delle due cose: né il luogo dove egli va, né la via per andarci. Ma il Signore non può mentire: gli Apostoli dunque conoscevano ambedue le cose, ma non sapevano di conoscerle. Li convinca che essi sanno ciò che credono di non sapere. Gli dice Gesù: Io sono la via, la verità e la vita (Jn 14,6). Che significa questo, fratelli? Abbiamo sentito la domanda del discepolo, abbiamo sentito la risposta del Maestro, ma ancora non abbiamo compreso il contenuto della risposta, neppure dopo che abbiamo sentito il suono della voce. Ma che cosa non possiamo capire? Forse che gli Apostoli, con i quali si intratteneva, potevano dirgli: noi non ti conosciamo? Pertanto se lo conoscevano, dato che lui è la via, conoscevano la via; se lo conoscevano, dato che lui è la verità, conoscevano la verità; se lo conoscevano, dato che lui è la vita, conoscevano la vita. Ecco che si convincono di sapere ciò che credevano di non sapere.
2. 2. Cos'è dunque che noi in questo discorso non abbiamo capito? Che cosa, fratelli, se non le parole: E voi conoscete dove vado e la via per andarvi? Ci siamo resi conto che essi conoscevano la via, poiché conoscevano lui che è la via. Ma la via serve per camminare; forse che è anche il luogo dove si deve andare? Egli aveva detto che essi conoscevano l'una e l'altra cosa: e il luogo dove andava e la via. Era dunque necessario che egli dicesse: Io sono la via, per dimostrare che essi, conoscendo lui, conoscevano la via che credevano di non conoscere; ma era altrettanto necessario che dicesse: Io sono la via, la verità e la vita, perché, una volta conosciuta la via, restava da conoscere la meta. La via conduceva alla verità, conduceva alla vita. Egli, dunque, andava a se stesso attraverso se stesso. E noi dove andiamo, se non a lui? e per quale via camminiamo, se non per lui? Egli va a se stesso attraverso se stesso; noi andiamo a lui per mezzo di lui; o meglio, andiamo al Padre sia lui che noi. Infatti, parlando di se stesso, altrove dice: Vado al Padre (Jn 16,10); mentre qui, per noi dice: Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio (Jn 14,6). Egli dunque va, per mezzo di se stesso, a se stesso e al Padre; noi, per mezzo di lui, andiamo a lui e al Padre. Chi può capire questo, se non chi possiede l'intelligenza spirituale? E anche chi possiede l'intelligenza spirituale, fino a che punto può capire? Perché, o fratelli, mi chiedete che vi esponga queste cose? Rendetevi conto quanto siano elevate. Voi vedete ciò che sono io, io vedo ciò che siete voi: in tutti noi il corpo corruttibile appesantisce l'anima e la terrena dimora deprime la mente presa da molti pensieri (Sg 9,15). Credete che possiamo dire: Ho elevato l'anima mia a te che abiti in cielo (Ps 122,1)? Ma oppressi da tanto peso che ci fa gemere, come potro elevare la mia anima, se non la eleva con me colui che ha offerto la sua per me? Diro quello che posso, capisca chi puo. Colui che aiuta me a parlare aiuterà voi a capire e aiuterà almeno a credere chi non riuscirà a capire. Se non crederete - dice infatti il profeta -non capirete (Is 7,9 sec. LXX).
1. 3. Dimmi, o mio Signore, che diro ai servi tuoi e conservi miei? L'apostolo Tommaso, quando ti interrogava, ti aveva davanti a sé, e tuttavia non ti avrebbe capito se non ti avesse avuto dentro di sé. Io ti interrogo sapendo che tu sei sopra di me; pero ti interrogo in quanto posso effondere l'anima mia sopra di me, dove potro ascoltare te che mi insegni senza suono di parole. Dimmi, ti prego, in che modo vai a te? Forse che per venire a noi hai lasciato te, tanto più che non sei venuto da te ma ti ha mandato il Padre? So bene che ti sei annientato; ma solo perché hai preso la forma di servo (cf. Ph 2,7), non perché tu abbia deposto la forma di Dio si da doverla ricercare, o perché l'abbia perduta si da doverla riprendere. Comunque sei venuto, non soltanto rendendoti visibile agli occhi degli uomini ma facendoti perfino arrestare dalle loro mani. E come è stato possibile questo, se non perché avevi assunto la carne? Per mezzo di essa sei venuto tra noi pur rimanendo dov'eri, e per mezzo di essa sei ritornato dov'eri prima, senza tuttavia lasciare la terra dov'eri venuto. Se dunque è per mezzo della carne che sei venuto e sei ritornato via, è certamente per mezzo di essa che tu sei la via, non soltanto per noi, per venire a te, ma anche per te stesso sei diventato la via per venire a noi e ritornare al Padre. Quando pero sei andato alla vita che sei tu stesso, allora hai fatto passare questa tua carne dalla morte alla vita. Non sono certamente la medesima cosa il Verbo di Dio e l'uomo; ma il Verbo si è fatto carne, cioè uomo. E cosi, il Verbo e l'uomo non sono due persone diverse: l'uno e l'altro sono il Cristo che è una sola persona; e perciò, come quando la carne è morta, Cristo è morto, e quando la carne è stata sepolta, Cristo è stato sepolto (è questo infatti che col cuore crediamo per ottenere la giustizia, ed è questo che con la bocca professiamo per ottenere la salvezza (Rm 10,10)), così quando la carne è passata dalla morte alla vita, Cristo è passato alla vita. E siccome Cristo è il Verbo di Dio, Cristo è la vita. E' in un modo mirabile e ineffabile che egli, senza mai abbandonare o perdere se stesso, è tornato a se stesso. Per mezzo della carne, come si è detto, Dio è venuto tra gli uomini, la verità tra i menzogneri: Dio infatti è verace, mentre ogni uomo è menzognero (Rm 3,4). E quando si è sottratto alla vista degli uomini e ha portato la sua carne là dove nessuno mentisce, egli stesso, Verbo fatto carne, per mezzo di se stesso, cioè per mezzo della carne, ha fatto ritorno alla verità che è lui stesso. Verità alla quale sempre rese testimonianza, benché fra i menzogneri, anche di fronte alla morte: se c'è stato un tempo infatti in cui Cristo è stato soggetto alla morte, mai in nessun momento ha ceduto alla menzogna.
2. 4. Eccovi un esempio, alquanto diverso e molto inadeguato, che serve tuttavia per intendere in qualche modo Dio, partendo da quelle cose che più immediatamente dipendono da Dio. Ecco, io stesso, che non sono diverso da voi quanto all'anima, se taccio sto dentro di me; se invece parlo a voi in modo che mi possiate intendere, in qualche modo mi muovo verso di voi senza abbandonare me; mi avvicino a voi ma senza allontanarmi da me. Se smetto di parlare, in certo qual modo faccio ritorno a me stesso; e tuttavia rimango con voi, se voi custodite ciò che nel mio discorso avete ascoltato. Se ciò è possibile all'immagine che Dio ha creato, cosa non sarà possibile all'immagine di Dio che è Dio, non creata ma da Dio generata? Il suo corpo, per mezzo del quale è venuto a noi e nel quale da noi è ripartito, non si è disperso nell'aria come il suono delle mie parole, ma rimane là dove ormai non muore più e la morte non ha più alcun dominio sopra di lui (Rm 6,9). Forse si potevano e si dovevano dire ancora molte cose intorno a queste parole del Vangelo; ma non bisogna sovraccaricare troppo i vostri cuori di cibi spirituali, benché essi siano squisiti; soprattutto considerando che, se lo spirito è pronto, la carne invece è debole (Mt 26,41).
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(Jn 14,7-10)
Egli stesso è la vita eterna, che noi raggiungeremo quando ci prenderà con sé: la vita eterna è in lui, ecco perché dobbiamo essere dove egli è.
(Cristo è la vita eterna che dobbiamo raggiungere.)
1. 1. Le parole del santo Vangelo, o fratelli, potranno essere intese nel loro giusto senso, se si riesce a scoprire la loro armonia con quelle che precedono; perché, quando parla la verità, vi dev'essere pieno accordo tra ciò che precede e ciò che segue. Il Signore aveva detto: E quando saro partito e avro preparato un posto per voi, ritornero e vi prendero con me, affinché dove sono io siate anche voi; poi aveva aggiunto: E voi conoscete dove vado e la via per andarvi (Jn 14,3-4), mostrando che le sue parole non significavano altro se non che i discepoli lo conoscevano. Nel discorso precedente abbiamo già spiegato, come abbiamo potuto, in che modo egli vada a se stesso per mezzo di se stesso, e come anche ai discepoli conceda di andare a lui per mezzo di lui. Che vuol dire con quel che aggiunge: affinché anche voi siate dove sono io? Che essi non potranno essere se non in lui. Egli è in se stesso, e poiché essi saranno dove egli è, anch'essi saranno in lui. Egli è dunque la vita eterna nella quale noi saremo, quando ci avrà preso con sé; e la vita eterna che è lui, è in lui stesso, sicché anche noi saremo dove egli è, cioè in lui. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, e la vita che egli ha non è altro che egli stesso che possiede tale vita, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso (Jn 5,26), egli stesso essendo la vita che ha in se stesso. Forse anche noi saremo la vita che egli è, allorché cominceremo ad essere in quella vita, cioè in lui? No certamente; poiché egli esistendo come vita, è ciò che ha, e siccome la vita è in lui, egli è in se stesso; noi invece non siamo la vita eterna, ma soltanto partecipi della vita di lui. E noi saremo là dove egli è, ma non possiamo essere in noi ciò che egli è, in quanto non siamo la vita, ma avremo come vita lui, il quale ha se stesso come vita, essendo egli stesso la vita. Insomma, egli è in se stesso in modo immutabile e nel Padre in modo inseparabile; noi, invece, per aver preteso di essere in noi stessi, siamo in preda al turbamento, secondo quanto dice il salmo: L'anima mia è turbata in me (Ps 41,7). Cioè, cambiati in peggio, non siamo riusciti a rimanere nemmeno ciò che eravamo. Quando, pero, per mezzo di lui, andiamo al Padre, secondo la sua parola: Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio (Jn 14,6), noi dimoriamo in lui, e nessuno ci potrà separare dal Padre né da lui.
2. 2. Il Signore, collegando le parole seguenti con le precedenti, dice: Se aveste conosciuto me, conoscereste anche il Padre mio; cosa che equivale a quanto ha detto prima: Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio. E aggiunge: Ora lo conoscete e lo avete veduto (Jn 14,7). Ma Filippo, uno degli Apostoli, non comprendendo ciò che aveva sentito, dice: Signore, mostraci il Padre e ci basta. E il Signore gli risponde: Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto, Filippo? Chi vede me vede il Padre (Jn 14,8-9). Li rimprovera per non averlo ancora conosciuto dopo tanto tempo che era con loro. Ma non aveva detto prima: Sapete dove vado e conoscete la via? E siccome essi dicevano di non saperlo, egli non li aveva convinti, aggiungendo: Io sono la via, la verità e la vita? Come mai adesso dice: Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto, dato che essi sapevano dove andava e conoscevano la via, appunto perché conoscevano lui che è la via? E' facile risolvere questa difficoltà, supponendo che alcuni di loro lo conoscevano, altri, tra i quali era Filippo, non lo conoscevano; di modo che le parole: Sapete dove vado e conoscete la via, si riferiscono a quelli che sapevano, e non a Filippo, cui ora il Signore dice: Da tanto tempo sono con voi, e non mi avete, Filippo, ancora conosciuto? A coloro che già conoscevano il Figlio, fu anche detto a proposito del Padre: Ora lo conoscete e lo avete veduto. Si esprime così a motivo della perfetta somiglianza che esiste tra il Figlio e il Padre, per cui chi conosce il Figlio, che è uguale al Padre, può ben dire di conoscere il Padre. E' quindi certo che alcuni di loro, anche se non tutti, conoscevano già il Figlio; ed erano quelli ai quali egli aveva detto: Voi sapete dove vado e conoscete la via, poiché egli stesso è la via. Ma siccome non conoscevano il Padre, egli aggiunge: Se mi conosceste, conoscereste anche il Padre mio; si perché, per mezzo mio, conoscereste anche lui. Io sono una persona, lui un'altra. Ma affinché non lo ritenessero dissimile, dice: Ora lo conoscete e lo avete veduto. Essi vedevano il Figlio che era perfettamente simile al Padre, ma dovevano tener conto che il Padre, che essi ancora non vedevano, era tale e quale il Figlio che vedevano. E in questo senso vale cio che poi egli risponde a Filippo: Chi vede me vede il Padre. Non dice di essere nello stesso tempo il Padre e il Figlio, che è l'errore dei sabelliani o patripassiani, e che la fede cattolica condanna, ma che il Padre e il Figlio sono talmente somiglianti che conoscendone uno si conoscono ambedue. Infatti, quando parliamo di due persone che tra loro somigliano molto, diciamo anche noi a chi ne ha vista una e vorrebbe conoscere anche l'altra: hai visto questo, hai visto quello. In questo senso egli dice: Chi vede me vede il Padre; non certo perché il Padre sia la stessa persona del Figlio, ma perché il Figlio è tanto simile al Padre che non differisce in nulla da lui. Se il Padre e il Figlio non fossero due persone distinte, non avrebbe detto: Se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio. Appunto perché nessuno viene al Padre se non per mezzo mio; se conosceste me - dice -conoscereste il Padre mio, in quanto io, che sono l'unica via per andare al Padre, vi condurro a lui in modo che possiate conoscere anche lui. Ma siccome sono perfettamente simile a lui, conoscendo me conoscete lui; e lo avete veduto, se con gli occhi del cuore avete veduto me.
3. Perché dunque, Filippo, tu dici: Mostraci il Padre e ci basta? Da tanto tempo - dice -sono con voi e non mi avete ancora conosciuto, Filippo? Chi vede me vede il Padre. Se ti riesce difficile vedere questo, almeno credi ciò che non riesci a vedere. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Se hai visto me che sono perfettamente simile a lui, hai visto lui al quale io sono simile. E se non puoi vederlo, perché almeno non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? A questo punto Filippo poteva dire: Si, vedo te, e vedo che tu sei perfettamente simile al Padre; ma è forse da rimproverare e da condannare uno che, vedendo te, desideri vedere anche colui al quale tu somigli tanto? Si, io conosco chi gli somiglia, ma l'altro non lo conosco ancora direttamente; non mi basta, finché non avro conosciuto anche colui al quale questo è simile; ebbene, mostraci il Padre e ci basta. Ma il Maestro rimproverava il discepolo, perché vedeva in fondo al suo cuore. Filippo desiderava conoscere il Padre come se il Padre fosse superiore al Figlio; e perciò dimostrava di non conoscere neppure il Figlio, in quanto credeva ci fosse qualcosa a lui superiore. E' per correggere questa idea che il Signore gli dice: Chi vede me vede il Padre; come puoi dire: Mostraci il Padre? Io vedo perché lo dici; tu non chiedi di vedere colui che è simile a me, ma credi che egli sia a me superiore. Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? (Jn 14,10). Perché vuoi trovare differenza tra due che sono simili? Perché desideri conoscere separatamente due che sono inseparabili? Prosegue, rivolgendosi non soltanto a Filippo, ma a tutti gli Apostoli; e dice cose che noi, non volendo coartarle nei limiti del poco tempo che abbiamo, preferiamo esporle, col suo aiuto, con più calma.
Agostino - Commento Gv 66