Agostino Salmi 11810
11810 Ps 118
DISCORSO 9
Il superbo non ha il senso della giustizia.
410 1. [v 21.] Le parole che il salmo soggiunge e che ora dobbiamo esporre ci invitano a pensare all’origine della nostra miseria. Sopra ci aveva detto : L’anima mia ha bramato avere in ogni tempo il desiderio delle vie della tua giustizia, averlo cioè tanto nelle prosperità come nelle avversità, poiché il gusto della giustizia dobbiamo averlo anche in mezzo ai disagi e ai dolori. Non sarebbe infatti conveniente amare la giustizia quando viviamo giorni sereni per abbandonarla quando arriva la burrasca. Al contrario dobbiamo tenerci uniti a lei ininterrottamente. È quanto ci inculca il salmo aggiungendo immediatamente : Tu hai rimproverato i superbi ; maledetto chi si allontana dai tuoi comandamenti. Allontanarsi dai comandamenti di Dio è quel che fanno i superbi. Una cosa infatti, è trasgredire i comandamenti di Dio per fragilità o ignoranza e un’altra abbandonarli per superbia, come fecero i progenitori che, generandoci a questa vita mortale, ci immersero nei mali che sopportiamo. Li incantarono le parole : Sarete come dèi (Gn 3,5) e così si allontanarono dal comandamento di Dio. Sapevano cosa egli aveva ordinato e con estrema facilità potevano rispettare il suo comando, dato che non avevano in sé alcuna debolezza che li distogliesse o ostacolasse o ritardasse ; eppure per superbia lo trasgredirono. Sicché tutta la serie di malanni che rende dura e infelice la vita dei mortali è in certo qual modo un rimprovero continuato contro i superbi che si trasmette per eredità. In tal modo, quando Dio disse : Adamo, dove sei ? (Gn 3,9) non lo disse in quanto gli era sconosciuto il luogo dove l’uomo si nascondeva : era solo un rimprovero mosso a chi era stato superbo. Né voleva conoscere dove [spiritualmente] si trovasse, dopo il peccato, cioè lo stato di miseria a cui si era ridotto. Era solo una domanda con cui lo sgridava e richiamava [a sé]. E nota a questo riguardo cui come il salmo non dice : “Maledetti coloro che si allontanarono dai tuoi comandamenti”, come riferendosi esclusivamente al peccato dei primi uomini, ma dopo aver detto : Tu hai rimproverato i superbi, dice : Maledetto chi si allontana. Era infatti necessario che, sulla base di quel primo esempio, tutti gli uomini temessero di trasgredire i comandamenti di Dio e amassero ininterrottamente la giustizia, per ricevere, sia pure frammisti con gli stenti della vita presente, i beni che avevamo perduti quando si era nella felicità del paradiso.
Da schernitori del nome cristiano a testimoni di Cristo.
2. [v 22.] L’uomo però è superbo e non depone la sua alterigia nemmeno dopo la tremenda lezione che gli è toccata. Pur prostrato da una pena gravissima che lo condanna al lavoro e alla morte, egli si gonfia di superbia e vanità, scimmiottando l’ambizione di chi è destinato a cadere e beffandosi dell’umiltà di quanti si risollevano dalla caduta. Per uomini di questa sorta prega il corpo di, Cristo con le parole : Togli via da me lo scherno e il disprezzo, poiché ho ricercato le tue testimonianze. Testimonianza in greco si dice “ martirio ” : parola che noi usiamo ordinariamente in vece del corrispondente termine latino. Tanto è vero che, volendo designare coloro che affrontarono umiliazioni e tormenti al fine di rendere testimonianza a Cristo e lottarono fino alla morte in difesa della verità, noi li chiamiamo non “ testimoni ” (come occorrerebbe chiamarli con parola latina) ma “ martiri ”, che è una parola greca. Essendovi quindi l’espressione più che familiare e gradita, leggiamo le parole del salmo come se suonassero : Togli via da me lo scherno e il disprezzo, perché ho ricercato i tuoi martiri. Quando il corpo di Cristo pronuncia queste parole, dimostra forse di considerare una punizione il fatto che gli tocca subire obbrobri e derisioni da parte degli empi e dei superbi, mentre al contrario è per tali sofferenze che raggiunge la corona ? Perché allora chiede che gli siano risparmiate, quasi fossero un peso grave ed insopportabile ? Non dovremo per caso pensare che egli (come ho detto prima) preghi per i suoi stessi nemici, ai quali vede quanto sia dannoso il rinfacciare ai Cristiani la fedeltà al nome santo di Cristo quasi costituisca una vergogna ? O non sarà per loro una disgrazia il persistere nella superbia, anzi il crescervi, al segno da disprezzare quella croce che, sebbene derisa dai Giudei, conteneva tutta la medicina dell’umiltà cristiana, la quale unica è in grado di guarirci da quell’alterigia e gonfiezza che ci portò a cadere e, una volta caduti, ci ha riempiti di orgoglio ancora più grande ? Parli dunque il corpo di Cristo (ora infatti sa amare i suoi nemici (Cf. Mt 5,44)) e dica al Signore suo Dio : Togli via da me lo scherno e il disprezzo, perché ho ricercato i tuoi martiri. Cioè : togli via da me gli scherni che mi tocca udire per aver io ricercato i tuoi martiri e il disprezzo che per lo stesso motivo subisco. Tu mi comandi di amare i nemici, ma io vedo che questi miei nemici in un continuo crescendo disprezzano e calunniano in me i tuoi martiri. Comportandosi così, essi sprofondano sempre più nella morte e nella rovina, mentre invece, se riuscissero a venerare in me i tuoi martiri, certamente riconquisterebbero la vita e sarebbero [da te] ritrovati. Difatti è avvenuto esattamente così. È una cosa che tutti constatiamo. Ecco, ad esempio, il martirio di Cristo. Anche per i profani, anche per la gente di questo mondo non è più una vergogna ma titolo ambito di vanto. E guardiamo alla morte dei santi di Dio. Essa è preziosa non solo agli occhi del Signore (Cf. Ps 115,15), ma anche dinanzi agli uomini. I martiri non solo non vengono vilipesi ma si tributano loro onori insigni. Ripensiamo a quel figlio minore che, mentre se ne stava a pascere i porci (mentre cioè tributava il suo culto ai demoni), perseguitava la minuscola porzione [di eredità] che vedeva assegnata anzi tempo (secondo lui) ai pochissimi Cristiani. Eccolo ora predicare col massimo ardore religioso, fra tutti i popoli e in mezzo a nazioni sconfinate la gloria di quei martiri sui quali poc’anzi riversava gli insulti. Ora egli esalta con somme lodi coloro che prima disprezzava ; e se prima era veramente morto, poi è tornato in vita ; se era perduto, è stato ritrovato (Cf. Lc 15,15). È questo il grande profitto del ravvedimento, della conversione e della redenzione che viene offerto ai nemici del corpo di Cristo : profitto del quale or ora questo stesso corpo diceva : Togli via da me lo scherno e il disprezzo. E come se gli si chiedesse quale fosse il motivo d’un tale scherno e disprezzo, aggiunge : Poiché ho ricercato i tuoi martiri.
L’amore verso i nemici incantò e fece ravvedere i persecutori.
3. [vv 23.24.] Dove sono ora quello scherno e quel disprezzo ? Sono scomparsi, svaniti. Siccome i persecutori, un tempo perduti, ora sono stati ritrovati, lo scherno e il disprezzo sono stati eliminati. Quando invece la Chiesa così pregava, subiva ancora le umiliazioni. Dice : I principi sedevano e sentenziavano contro di me. La persecuzione era accanita, come dimostra il fatto che i principi la deliberavano seduti, cioè dall’alto della loro sede in Tribunale. Riferisci l’asserto al nostro Capo : troverai che i capi del giudaismo stavano seduti quando cercavano la maniera di uccidere Cristo (Cf. Mt 26,3). Riferiscila al suo corpo, cioè alla Chiesa : troverai re di questo secolo progettare e impartire ordini al fine di eliminare i Cristiani da tutto il mondo. I principi sedevano e sentenziavano contro di me ; il tuo servo però si esercitava nelle vie della tua giustizia. E se ti piace conoscere quale fosse l’esercizio a cui si dedicava, cerca di capire le parole che aggiunge : Difatti le tue testimonianze sono la mia meditazione e le vie della tua giustizia la norma delle mie scelte. Ricorda quanto sopra dicevo, e cioè che le testimonianze altro non sono se non i martiri. Ricorda ancora come, tra le vie di giustizia indicate dal Signore, nessuna è più ardua e più mirabile di quella di amare i nemici. Subito comprenderai come si esercitasse in quei momenti il corpo di Cristo : meditava i suoi martiri e amava coloro dai quali riceveva scherni e derisioni e che, proprio a causa di quei martiri, lo perseguitava (Cf. Mt 5,44). Come infatti abbiamo inculcato sopra, egli non prega per sé ma per i persecutori quando dice : Togli da me lo scherno e il disprezzo (Ps 118,22). Questa dunque la situazione : I principi sedevano e sentenziavano contro di me, ma il tuo servo si esercitava nelle vie della tua giustizia. In che modo ? Infatti le tue testimonianze sono la mia meditazione e le vie della tua giustizia la norma delle mie scelte. Deliberazione contro deliberazione. I principi si assidono e decretano di sbarazzarsi dei martiri di Cristo ; i martiri col loro soffrire decretano di riscattare i nemici ormai perduti. Gli uni rendono il male per il bene ; gli altri il bene per il male. Che sorpresa quindi che gli uni a furia di uccidere siano venuti meno, mentre gli altri morendo abbiano riportato vittoria ? Che sorpresa, dico, che i martiri abbiano sopportato con somma pazienza la morte temporale loro inflitta dall’infuriare del mondo pagano e che i pagani, proprio per le preghiere dei martiri, siano potuti arrivare alla vita eterna, se è vero che il corpo di Cristo affronta le prove meditando i [divini] martiri e nella sua preghiera invoca il bene a vantaggio degli efferati persecutori dei martiri ?
11811 Ps 118
DISCORSO 10
Liberarsi dall’asservimento alle cose terrene.
1. [v 25.] Continuando l’esposizione di questo salmo assai ampio, dobbiamo meditare e approfondire, con l’aiuto del Signore, il seguente versetto : La mia anima è stesa sul pavimento ; dammi la vita secondo la tua parola. Cosa vuol dire : La mia anima è stesa sul pavimento ? Lo si ricava dal seguito. Dicendo infatti : Dammi la vita secondo la tua parola, in quello che precede (cioè quando dice : La mia anima è stesa sul pavimento) esprime la causa che l’induce a chiedere d’essere riportato in vita. Chiede di tornare in vita perché la sua anima era stesa al suolo. Sarebbe quindi sorprendente che le sue parole si riferissero a un bene. In altri termini l’intera frase non significa altro che : “Io sono morto, ridammi la vita”. Ma allora cos’è quel pavimento [su cui è prostrato] ? Se volessimo raffigurarci il mondo come un’immensa casa, troveremmo che il cielo è, per così dire, la volta, mentre la terra ne è il pavimento. Pertanto il salmista esprime la volontà di essere liberato dall’asservimento alle cose terrene per poter dire con l’Apostolo : La nostra dimora è nel cielo (Ph 3,20). Sa infatti che l’attaccamento alle cose terrene è morte per l’anima e, contro questa sventura, egli chiede di vivere con le parole : Dammi la vita.
Superare le tendenze deteriori.
2. Il salmista aveva detto poc’anzi parole da cui traspariva piuttosto la sua unione con Dio, e non che fosse disteso sul pavimento : parole che indicavano come la sua dimora fosse non fra le cose terrene ma fra quelle celesti. In tale contesto dobbiamo qui indagare come convengano a lui le parole di questo versicolo. Come infatti può dirsi che stia immerso in cose terrene uno che dice : Il tuo servo però si esercitava nelle vie della tua giustizia ; difatti le tue testimonianze sono la mia meditazione e le tue prescrizioni la norma delle mie scelte (Cf. Jb 7, l) ? Queste sono le parole che precedono il nostro versicolo, dove, sviluppandosi il discorso, si afferma : La mia anima è stesa sul pavimento. Non dovremo quindi per caso intendere il testo nel senso che l’uomo, per quanto abbia progredito nelle vie del Signore, porta sempre con sé quell’inclinazione, insita nella sua carne mortale per cui si sente portato alle cose di questo mondo, le quali costituiscono per lui una continua tentazione finché rimane sulla terra (2Co 4,16) ? Da questa condizione di morte se uno con perseveranza cerca di sottrarsi, si può dire di lui che ogni giorno rivive ; e sorgente della sua vita è colui che con la sua grazia lo rinnova di giorno in giorno nell’uomo interiore (2Co 5,6). Situazione consimile troviamo anche nell’Apostolo. Quando diceva : Finché siamo nel corpo siamo esuli dal Signore (Ph 1,23), e quando esprimeva il desiderio di essere svincolato [dal corpo] per essere con Cristo, era come se la sua anima fosse stesa sul pavimento. Inoltre per “ pavimento ” possiamo intendere, senza cadere nell’assurdo, il nostro corpo in quanto tratto dalla terra. Difatti, siccome il corpo è corruttibile e appesantisce l’anima (Sg 9,15), a buon diritto finché si è uniti ad esso si geme e si grida a Dio : La mia anima è stesa sul pavimento ; dammi la vita secondo la tua parola. Questo non vuol dire che nell’eternità noi saremo con Dio senza il nostro corpo (1Th 4,12-16). Saremo col corpo ; ma siccome esso sarà incorruttibile, non appesantirà l’anima ; e quindi, se riflettiamo bene, non saremo noi che ci abbasseremo per unirci al corpo, ma sarà il corpo che si unirà a noi come noi a Dio. Di questo parlava quell’altro salmo che diceva : È per me cosa buona stare unito a Dio (Ps 72,28). Il nostro corpo pertanto vivrà di noi tenendosi unito a noi ; noi poi vivremo di Dio, poiché cosa buona è per noi stare uniti a Dio. Quanto invece all’unione a cui si riferiscono le parole del salmo : La mia anima è stesa sul pavimento, mi sembra che non sia quella esistente fra l’anima e il corpo (sebbene alcuni abbiano proposto questa interpretazione) ma quell’inclinazione deteriore per la quale la carne nutre brame opposte a quelle dello spirito (Cf. Ga 5,17). Ora, se s’intendono nel senso giusto le parole : La mia anima è stesa sul pavimento ; dammi la vita secondo la tua parola, chi pronuncia questa invocazione non chiede di essere liberato dal corpo mortale mediante la morte fisica (cosa riservata all’ultimo giorno della presente vita mortale, il quale non può essere distante se la vita nel suo insieme è tanto breve !), ma chiede che la concupiscenza che si ribella contro lo spirito perda continuamente vigore. Viceversa, deve svilupparsi costantemente il desiderio che lo spirito nutre contro la carne, sicché alla fine l’una si estingua totalmente in noi mentre l’altro ha da raggiungere la perfezione ad opera dello Spirito Santo che ci è stato donato.
Il Signore ci insegni le sue vie.
3. [v 26.] A ragione non dice : Dammi la vita secondo il mio merito ma secondo la tua parola, vale a dire, secondo la tua promessa. Vuole essere un figlio della promessa, non un orgoglioso, affinché rimanga stabile anche per lui la promessa, frutto della grazia, che dovrà estendersi all’intera figliolanza. Così infatti suona la parola della promessa : Da Isacco prenderà nome la tua posterità ; cioè : Non sono figli di Dio i figli della carne, ma come discendenza saranno considerati i figli della promessa (Rm 9,7-8 Gn 21,12). In realtà, cosa fosse il salmista di per se stesso lo dichiara nelle parole che seguono. Ti ho palesato le mie vie - dice - e tu mi hai esaudito. È vero che alcuni codici leggono : Le tue vie, ma la maggioranza, soprattutto dei greci, legge : Le mie vie, senza dubbio cattive. Non mi sembra quindi che voglia dir altro che questo : “ Io ti ho confessato i miei peccati e tu mi hai esaudito, cioè me li hai perdonati ”. Insegnami le vie della tua giustizia. Io ti ho confessato i miei traviamenti e tu me li hai totalmente perdonati ; ora insegnami tu le tue vie. Insegnamele in modo che le traduca in opere, e non soltanto perché io sappia cosa debba fare. Come infatti del nostro Signore si dice che non ha conosciuto il peccato (2Co 5,21), intendendosi con questo che non lo ha commesso, così dell’uomo si dice che conosce veramente la giustizia quando la pratica. È questa la preghiera di uno che sta avanzando [nel bene]. Se infatti non avesse incominciato per nulla a praticare la giustizia, non potrebbe esprimersi con le parole dette sopra : Il tuo servo si esercitava nelle vie della tua giustizia (Cf. Jb 7,24). Se quindi dal Signore vuol apprendere le sue vie, non saranno certamente quelle in cui già si viene esercitando ; è un desiderio di giungere, dalla mèta conseguita, ad altre superiori progredendo o, per così dire, crescendo in tale direzione.
411 Evitare lo scoraggiamento.
4. [vv 27.28.] Continuando dice : Suggeriscimi la tua via la via della tua giustizia o - come leggono alcuni codici - insegnami : senso che traspare più chiaramente dal testo greco ove si ha : Fammi comprendere. E io mi eserciterò nelle tue meraviglie. Chiama meraviglie di Dio le conquiste più ampie che egli intende raggiungere progredendo nella via della giustizia. Riteniamo quindi che nella giustizia divina ci siano delle vie talmente mirabili che non si possano battere, a causa dell’umana fragilità, da quanti non ne abbiano fatto esperimento. Il Salmista è provato : si sente in certo qual modo oppresso dalla loro stessa difficoltà, e quindi insiste : Per il tedio la mia anima si è addormentata ; rafforzami nelle tue parole. Che significa : Si è addormentata, se non che un freddo l’ha intirizzita al segno che essa ricusa di sperare quelle promesse che prima aveva fiducia di conseguire ? Ma continua : Rafforzami nelle tue parole, sicché non abbia ad addormentarmi né decada da quelle mete che mi sento d’aver conseguito. Rafforzami dunque nelle tue parole, che io già posseggo e pratico, affinché sulla loro base progredendo possa tendere ad altre mete.
Legge delle opere e legge della fede.
5. [v 29.] Ma cos’è che impedisce all’uomo d’avanzare sulla via della giustizia divina e di raggiungerne facilmente le mirabili o altezze ? Che cosa, se non quel che [il salmista] nel verso successivo invoca gli venga sottratto ? Eccolo infatti dire : Allontana da me la via dell’iniquità. E siccome la legge delle opere subentrò perché il delitto raggiungesse il colmo (Rm 5,20), egli proseguendo esclama : E nella tua legge abbi pietà di me. In quale tua legge se non quella della fede ? Ascolta l’Apostolo : Dov’è dunque il tuo vanto ? È eliminato. In forza di quale legge ? Forse quella delle opere ? No, ma per la legge della fede (Rm 3,27). Per questa legge della fede noi crediamo e preghiamo Dio che con la sua grazia ci doni la possibilità di compiere quel bene che con le nostre forze non siamo in grado di compiere ; e non succeda che noi, ignorando la giustizia di Dio e volendo stabilire una nostra giustizia, ci sottraiamo alla giustizia di Dio (Rm 10,3). In una parola, nella legge delle opere si esplica la giustizia di Dio che comanda, nella legge della fede al contrario la misericordia di Dio che soccorre.
Dono di Dio è agire non per forza ma per amore.
6. [vv 30-32.] Dopo aver detto : E nella tua legge abbi pietà di me, considerando come in prescrizione (se è lecito esprimersi così) i benefici divini ormai ottenuti, passa a chiedere quelli che gli resta ancora da ottenere. Dice : La via della verità ho scelto, i tuoi giudizi non dimentico. Mi sono attaccato alle tue testimonianze ; o Signore, non farmi arrossire. Ho scelto la via della verità per correre in essa ; non dimentico i tuoi giudizi, per i quali sono in grado di correre. Mi sono attaccato alle tue testimonianze mentre correvo. O Signore, non farmi arrossire, ma fa’ che io tenda continuamente alla meta della mia corsa e vi giunga. Non conta infatti né colui che vuole o né colui che corre, ma Dio che usa misericordia (Cf. Rm 9,16). E prosegue : Ho corso nella via dei tuoi comandamenti quando tu dilatasti il mio cuore. Non avrei corso se tu non mi avessi dilatato il cuore. In questo verso si descrive in base a che abbia potuto dire prima : La via della verità ho scelto, i tuoi giudizi non dimentico ; mi sono attaccato alle tue testimonianze. Si tratta di una corsa nella via dei comandamenti di Dio ; e il salmista l’ascrive non ai meriti propri ma ai numerosi benefici di Dio. Immagina che gli venga chiesto : Come hai fatto a percorrere codesta via ? Come l’hai scelta ? E come sei riuscito a non dimenticare le disposizioni di Dio e ad aderire alle sue testimonianze ? L’hai forse fatto con le tue forze ? No, risponde. Come allora ? Eccotelo ! Io ho corso nella via dei tuoi comandamenti - dice - quando tu dilatasti il mio cuore. Non dunque in forza del mio libero arbitrio, il quale sarebbe stato, per così dire, autosufficiente e non bisognoso del tuo soccorso, ma quando tu dilatasti il mio cuore. La dilatazione del cuore altro non è che il gusto per la giustizia ; e questo è un dono di Dio, mediante il quale camminiamo nei suoi precetti non compressi dal timore ma dilatati dall’amore e dall’attrattiva della giustizia. È questa dimensione della giustizia che ci promette Dio quando dice : Io abiterò in mezzo a loro e vi camminerò (2Co 6,16). Quanto dev’essere spazioso il luogo dove cammina Dio ! Data poi una tale ampiezza, si diffonde nei nostri cuori la carità ad opera dello Spirito Santo che ci è stato donato (Cf. Rm 5,5). Per cui è anche scritto : Le tue acque scorrano nelle tue piazze (Pr 5,16). Infatti “ piazza ” è un nome che, stando all’etimo greco, deriva da “ larghezza ”, cioè da , che vuol dire spazioso. A proposito di talli acque il Signore gridava : Chi ha sete venga a me ; e ancora : Chi crede in me, dal suo intimo scaturiranno fiumi di acqua viva. E l’Evangelista, spiegando il significato dell’espressione, scriveva : Diceva questo riguardo allo Spirito che avrebbero ricevuto coloro che avrebbero creduto in lui (Jn 7,37-38). Si potrebbero dire molte altre cose su questa dilatazione del cuore, ma già siamo oltre il limite consentito al presente discorso.
11812 Ps 118
DISCORSO 11
Legge che opprime e legge che dilata.
1. [v 33.] Ecco il testo di questo lungo salmo che con l’aiuto del Signore dobbiamo esaminare ed esporre. O Signore, imponimi la [tua] legge, [palesami la] via che conduce alla tua giustizia, e io la ricercherò sempre. Dice l’Apostolo : La legge non fu posta per i giusti ma per gli ingiusti e i ribelli e gli altri che elenca fino al punto dove dice : E per tutto quanto (se ce n’è ancora) si oppone alla sana dottrina, cioè alla dottrina conforme a quel Vangelo del la gloria del Dio beato che è stato affidato a me (1Tm 1,9-11). Orbene, l’uomo che esclama : O Signore, imponimi la legge, era forse simile a coloro ai quali il beato Paolo dice che fu necessario imporre la legge ? No davvero ! Se infatti fosse stato così peccatore, non avrebbe potuto dire più sopra : Ho corso nella via dei tuoi comandamenti, quando tu dilatasti il mio cuore. In che senso allora prega che il Signore gli imponga la legge, se la legge non si può imporre al giusto ? O non sarà piuttosto vero che la legge non viene imposta al giusto allo stesso modo come venne imposta a quel popolo ostinato, al quale la si diede scritta in tavole di pietra (Cf. Ex 31,18) e non su tavole di cuori umani (2Co 3,3) ? Sì, la legge che si esclude dal giusto è la legge tipo quella del Vecchio Testamento, stipulato sul monte Sinai e che genera alla schiavitù (Ga 4,24-25). Non è la legge che si adegua al Nuovo Testamento, del quale scriveva il profeta Geremia : Ecco venire i giorni - oracolo del Signore - e io stringerò con la casa di Israele e la casa di Giuda una nuova alleanza : non un’alleanza alla maniera di quella che avevo stretta coi loro padri, nel giorno che li presi per mano per condurli fuori dalla terra di Egitto, alleanza che essi violarono e [per questo] io li abbandonai, dice il Signore. Ma questa sarà l’alleanza che io stringerò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore ; Io metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò nel loro cuore (Jr 31,31-33). In questo senso il salmista vuole che il Signore gli imponga la legge. Non come fu imposta agli ingiusti e ai ribelli del Vecchio Testamento, cioè su tavole di pietra, ma come viene data ai santi, ai figli della donna libera, cioè della Gerusalemme celeste : i quali sono figli della promessa, figli dell’eredità eterna. A loro la legge viene comunicata interiormente e scritta nel cuore dallo Spirito Santo che opera come dito di Dio. Non sarà una legge che essi manderanno a memoria senza curarsene nella vita, ma una legge che conosceranno con la mente e tradurranno in opere mediante la forza dell’amore. Agiranno infatti mossi dall’amore che dilata, non dal timore che opprime. È certo che chi compie le opere della legge per timore della pena e non per amore della giustizia agisce contro voglia e, se fosse possibile, vorrebbe che tali opere non gli fossero comandate per niente. In tal modo però non può dirsi amico della legge, che vorrebbe abolita ; ne è infatti nemico, né può essere santificato con le opere essendo impuro nella volontà. Un uomo come questo non potrà mai dire le parole che poc’anzi pronunziava il salmista : Ho corso nella via dei tuoi comandamenti, quando tu dilatasti il mio cuore (Ps 118,32). Questa dilatazione del cuore è infatti l’amore, che, secondo l’Apostolo, è la pienezza della legge (Cf. Rm 13,10).
Il progresso nella via della salute.
2. In qual modo il salmista invoca che gli sia imposta la legge che già ha ricevuta, poiché senza di essa non avrebbe potuto correre con cuore dilatato sulla via dei comandamenti di Dio ? Ma egli parla da persona ormai avanti [nelle vie della giustizia], da persona consapevole che il suo progresso è dono di Dio. Pertanto, se ancora chiede che gli sia imposta la legge, cosa mai potrà chiedere se non un progresso ulteriore nella stessa legge ? È come quando tu tieni in mano un bicchiere pieno e t’appresti a darlo ad un assetato : egli lo vuota bevendo e col desiderio ti chiede [che glielo riempia ancora]. Quanto alla legge, quei trasgressori e ribelli (Cf. 1Tm 1,9) per i quali viene scritta su tavole di pietra, essa non li renderà certo figli della promessa ma li costituirà rei di violazione deliberata. Né molto diversamente è dell’uomo che, consapevole della legge, rifiuta di amarla : anch’egli è in qualche modo colpevole, in quanto il ricordo della legge è per lui come una pietra, su cui la legge stessa è scolpita, ma è una pietra che lo schiaccia, non che lo adorna ; è un peso opprimente, non un titolo onorifico. Questa legge nel salmo è chiamata via che conduce alla giustificazione divina, ne è diversa dalla via dei comandamenti che l’autore ha già prima confessato d’aver percorso quando il suo cuore era dilatato. Egli dunque ha corso ; ma corre ancora finché non abbia conseguito la palma della chiamata celeste rivoltagli da Dio (Cf. Ph 3,14). E per concludere notiamo come egli, dopo aver detto : O Signore, imponimi la [tua] legge, la via che conduce alla tua giustizia, aggiunge : E io la cercherò sempre. In che senso potrà ricercare una cosa che già possiede ? Non sarà forse perché, pur avendola quando la mette in pratica, la cerca ancora per progredirvi ?
Legge e verità di Dio.
412 3. Ma che significa : Sempre ? Forse che la ricerca non avrà fine, come quando diceva : La sua lode sarà sempre sulla mia bocca (Ps 33,2) ? Le quali parole significano che mai avrà fine la lode [del Signore]. Infatti senza fine loderemo Dio quando saremo giunti al suo regno eterno, come sta scritto : Beati coloro che abitano nella tua casa ; essi ti loderanno nei secoli dei secoli (Ps 83,5). O forse sempre è stato detto in riferimento alla vita presente perché è in tutta la vita che si deve progredire ? Dopo la vita presente, al contrario, sarà stabilizzato nella perfezione colui che in questa vita doveva progredire. In termini analoghi è detto di certe donne che stanno sempre imparando ; solo che esse imparano dottrine perverse, per cui proseguendo il sacro autore dice : Ma non pervengono mai alla verità (2Tm 2,7). Viceversa, colui che quaggiù progredisce senza soste dal bene al meglio arriverà alla meta dove tendono i suoi sforzi ed ivi non avrà più da progredire perché chi è perfetto gode d’una stabilità senza fine. Inoltre, anche di quelle donne di cui è detto che stanno sempre imparando, bisogna precisare che esse non potranno dopo morte continuare ad apprendere le cose inutili e vane di prima, poiché a scuole di tal fatta non succederanno scuole eterne ma pene eterne. In breve, quaggiù, finché si compiono progressi nella legge di Dio, la si ricerca mediante il desiderio di conoscerla e di amarla ; nell’aldilà se ne ha la pienezza e di essa si gode, e nulla rimane da ricercare ancora. In questo senso fu detta anche quella frase : Cercate sempre il suo volto (Ps 104,4). A cosa si riferisce, pertanto, quel sempre, se non al tempo presente ? Infatti nell’eternità, quando vedremo Dio faccia a faccia (Cf. 1Co 13,12), non cercheremo più il suo volto. Con altra accezione, se è giusto parlare di continua ricerca quando si ama una cosa senza provarne stanchezza e ci si industria per non perderla, è esatto anche dire che sempre, in maniera assoluta, senza fine noi ricercheremo la legge, cioè la verità, di Dio. Lo si dice in questo stesso salmo : La tua legge è verità. E riguardo alla verità, la si ricerca ora per ottenerla ; dopo la si possederà senza mai abbandonarla. In senso analogo, dello Spirito di Dio si dice che scruta ogni cosa, anche le altezze di Dio (Cf. 1Co 2,10) : non certo per trovare cose a lui ignote, ma perché non c’è assolutamente nulla che sfugga alla sua conoscenza.
I due precetti principali della Legge.
4. [v 34.] Si inculca a noi con estremo vigore la necessità della grazia di Dio quando ascoltiamo, da uno che conosce la legge del Signore secondo la lettera, chiedere che ancora gli venga imposta una legge. In realtà il Salmista, sapendo che la lettera uccide mentre lo Spirito dà vita (Cf. 2Co 3,6), prega che gli sia dato lo Spirito per realizzare nella pratica ciò che mediante la lettera conosce, affinché non gli succeda che, conoscendo il precetto e non potendolo osservare, gli si aggiunga alle altre la colpa della prevaricazione. Notiamo a questo punto che nessuno, se non ha ricevuto dal Signore il dono dell’intelletto, è in grado di conoscere adeguatamente la legge, cioè di comprendere cosa si prefigga la legge, per quale ragione sia stata imposta anche a coloro che non l’avrebbero osservata e che vantaggio abbia l’essere la legge subentrata perché abbondasse il delitto (Rm 5,20). Avendo dinanzi allo sguardo questa problematica prosegue dicendo : Dammi l’intelletto e scruterò la tua legge, e la custodirò con tutto il mio cuore. Quando uno ha scrutato la legge e ne ha raggiunto le sommità, dalle quali essa totalmente dipende, deve necessariamente amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente e il prossimo come se stesso. Da questi due precetti infatti dipendono tutta la Legge e i Profeti (Cf. Mt 22,37). Un tale risultato sembra promettere [il salmo] con le parole : E io la custodirò con tutto il mio cuore.
5. [v 35.] Per una tale conquista non gli sono sufficienti le proprie forze ma dev’essere aiutato da colui che, dopo avergli dato il precetto, lo sostenga nell’adempiere il precetto stesso. Per questo dice : Conducimi lungo il sentiero dei tuoi comandamenti, perché questo [sentiero] io ho prescelto. Insufficiente è la mia volontà se tu non mi conduci alla meta che mi sono prefisso. Si riferisce senza dubbio al sentiero, cioè alla via, dei comandamenti di Dio nella quale più avanti diceva di correre col cuore dilatato dal Signore ; e se la chiama sentiero, è perché si tratta della via stretta che conduce alla vita (Cf. Mt 7,14), in essa però, per quanto sia stretta, non corre se non chi ha largo il cuore.
Avarizia e amore disinteressato.
6. [v 36.] Il salmista è un proficiente, uno che ancora ha da correre ; e per questo implora l’aiuto di Dio con cui arrivare alla meta, perché il successo non è di chi vuole né di chi corre ma di Dio che usa misericordia (Cf. Rm 9,16). Ancora. Siccome lo stesso volere è di Dio che lo opera in noi (Cf. Ph 2,13) - dal Signore infatti viene preparata la volontà -, per questo prosegue e dice : Piega il mio cuore verso le tue testimonianze e non verso l’avarizia. Che significa avere il cuore rivolto ad una cosa se non volere quella tal cosa ? Egli dunque già prima la voleva, e ora prega per volerla. La voleva quando diceva : Conducimi nel sentiero dei tuoi comandamenti, perché questo ho prescelto ; prega per volerla ancora quando dice : Piega il mio cuore verso le tue testimonianze e non verso l’avarizia. Ovviamente prega per divenire più perfetto nella scelta della sua volontà. Quanto alle testimonianze di Dio, cos’altro sono se non le attestazioni che Dio dà di se stesso ? Infatti la testimonianza è qualcosa che serve a provare, e pertanto attraverso le testimonianze di Dio sono provate le vie della sua giustizia e i suoi comandamenti. Ogni cosa che Dio vuole farci accettare ce la presenta convalidata con le sue testimonianze. È verso queste testimonianze che il salmista chiede gli sia orientato il cuore, non verso l’avarizia. Infatti con le sue testimonianze Dio si propone di ottenere che noi lo serviamo disinteressatamente, mentre l’avarizia, radice di tutti i mali, tende proprio ad impedirci questo servizio. Nel nostro salmo l’avarizia è chiamata con un termine greco che permette di intenderla nella accezione più ampia e cioè nel senso di desiderio smodato di possedere. Infatti corrisponde al latino plus (= più) ed significa habitus (= abitudine) derivando dal verbo habere (= avere). La , dunque, deriva da “ avere di più ”, e i traduttori latini in questo passo scritturale l’hanno resa chi con interesse, chi con utilità, mentre altri meglio con avarizia. Ora l’Apostolo dice : Radice di ogni male è l’avarizia (1Tm 6,10) ; ma nel testo greco, dal quale le sue parole sono state prese per essere tradotte nella nostra lingua, non si legge , come nel testo del presente salmo, ma , termine che significa esattamente “ amore al denaro ”. Tuttavia, per interpretare bene le parole dell’Apostolo, occorre supporre che egli, usando questo termine, abbia voluto indicare il genere per la specie : cioè, menzionando l’amore al denaro, si sia voluto riferire all’avarizia in senso generale e universale, la quale è veramente la radice di tutti i mali. Tant’è vero che gli stessi progenitori non sarebbero stati ingannati dal serpente né decaduti [dal loro stato] se non avessero ambito di possedere più di quanto avevano ricevuto e di diventare superiori a quello che erano per creazione. Infatti questo avanzamento aveva loro promesso il serpente quando aveva detto : Sarete come dei (Gn 3,5). Per tale dunque andarono in rovina. Volendo ottenere più di quanto non avevano ricevuto, persero anche quello che avevano ricevuto. Traccia di questa verità, che è ormai patrimonio universale, è quel costume introdotto nel diritto forense per cui una causa cessa quando si chiede più [del dovuto]. Cioè : quando uno pretende più di quello che gli è dovuto perde anche quello che gli spettava. Quanto a noi, ogni avarizia è debellata quando si serve Dio con disinteresse. Come il santo Giobbe. A quali sentimenti lo incitava l’antico avversario quando nell’incalzare della tentazione diceva di lui : Forse che Giobbe serve Dio gratuitamente ? (Jb 1,9) Il diavolo immaginava che quell’uomo giusto nel servire Dio avesse il cuore piegato all’avarizia e, soddisfatto dei vantaggi e dell’utilità che gli provenivano dai beni temporali di cui il Signore l’aveva colmato, servisse Dio da mercenario, cioè in vista di tali emolumenti. Quando fu raggiunto dalla tentazione si poté constatare in che misura fosse disinteressato il culto che Giobbe rendeva a Dio. Allo stesso modo per noi. Se non abbiamo il cuore rivolto all’avarizia, serviremo Dio unicamente per suo amore, in modo cioè che del culto a lui prestato lui solo sia la ricompensa. Amiamo dunque il Signore ! Amiamolo in se stesso e in noi, e amiamolo nel nostro prossimo, che dobbiamo amare come noi stessi o perché è già in possesso di Dio o perché vogliamo che lo possegga. E siccome questo [atteggiamento spirituale] ci viene dato per un dono di Dio ‘ è esatto che gli si dica : Piega il mio cuore verso le tue testimonianze e non verso l’avarizia. Le parole successive debbono però essere trattate in un altro discorso.
Agostino Salmi 11810