Discorsi 2005-13 31055

DURANTE LA CELEBRAZIONE MARIANA PER LA CONCLUSIONE DEL MESE DI MAGGIO IN VATICANO Grotta della Madonna di Lourdes nei Giardini Vaticani Martedì, 31 maggio 2005

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Cari Fratelli e Sorelle!

Con grande gioia mi unisco a voi al termine di questo incontro di preghiera, promosso dal Vicariato della Città del Vaticano. Vedo con piacere che siete in molti radunati nei Giardini Vaticani, per la conclusione del mese di maggio. In particolare, tra voi ci sono tante persone che vivono o lavorano in Vaticano e le loro famiglie. Saluto tutti cordialmente; in special modo i Signori Cardinali ed i Vescovi, iniziando da Monsignor Angelo Comastri, che ha guidato quest’incontro di preghiera. Saluto poi i sacerdoti, i religiosi, le religiose presenti, con un pensiero anche alle Suore contemplative del Monastero Mater Ecclesiae a noi unite spiritualmente.

Cari amici, siete saliti alla Grotta di Lourdes recitando il santo Rosario, quasi rispondendo all’invito della Vergine ad elevare lo spirito verso il Cielo. La Madonna ci accompagna ogni giorno nella nostra preghiera. Nello speciale Anno dell’Eucaristia, che stiamo vivendo, Maria ci aiuta soprattutto a scoprire sempre più il grande sacramento dell’Eucaristia. L’amato Papa Giovanni Paolo II nell’ultima Enciclica - Ecclesia de Eucharistia – ce l’ha presentata come “donna eucaristica” nell’intera sua vita (cfr n. 53). “Donna eucaristica” in profondità, a partire dal suo atteggiamento interiore: dall’Annunciazione, quando offrì se stessa per l’incarnazione del Verbo di Dio, fino alla croce e alla risurrezione; “donna eucaristica” nel tempo dopo la Pentecoste, quando ricevette nel Sacramento quel Corpo che aveva concepito e portato in grembo.

In particolare oggi, con la liturgia, ci soffermiamo a meditare il mistero della Visitazione della Vergine a santa Elisabetta. Maria si reca dall’anziana cugina Elisabetta, che tutti dicevano sterile e che invece era giunta al sesto mese di una gravidanza donata da Dio (cfr
Lc 1,36), portando in grembo Gesù appena concepito. E’ una giovane ragazza, ma non ha paura, perché Dio è con lei, dentro di lei. In un certo modo possiamo dire che il suo viaggio è stato – ci piace sottolinearlo in questo Anno dell’Eucaristia - la prima “processione eucaristica” della storia. Tabernacolo vivente del Dio fatto carne, Maria è l’arca dell’Alleanza, nella quale il Signore ha visitato e redento il suo popolo. La presenza di Gesù la ricolma di Spirito Santo. Quando entra nella casa di Elisabetta, il suo saluto è traboccante di grazia: Giovanni sussulta nel grembo della madre, quasi avvertendo la venuta di Colui che dovrà un domani annunciare ad Israele. Esultano i figli, esultano le madri. Quest’incontro pervaso dalla gioia dello Spirito trova la sua espressione nel cantico del Magnificat.

Non è forse questa anche la gioia della Chiesa, che incessantemente accoglie Cristo nella santa Eucaristia e lo porta nel mondo con la testimonianza della carità operosa, permeata di fede e di speranza? Sì, accogliere Gesù e portarlo agli altri è la vera gioia del cristiano! Cari fratelli e sorelle, seguiamo ed imitiamo Maria, un’anima profondamente eucaristica, e tutta la nostra vita diventerà un Magnificat (cfr Ecclesia de Eucaristia, 58). Sia questa la grazia che insieme questa sera domandiamo alla Vergine Santissima, a conclusione del mese di maggio. A voi tutti la mia benedizione.






AI PELLEGRINI DELLA DIOCESI DI VERONA Aula Paolo VI Sabato, 4 giugno 2005

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Cari fratelli e sorelle della Diocesi di Verona!

Sono lieto di accogliervi in questo vostro pellegrinaggio alle Tombe degli Apostoli. Tutti saluto cordialmente a cominciare dal vostro Vescovo, che ringrazio per essersi fatto interprete dei comuni sentimenti. Saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i responsabili delle associazioni e dei movimenti ecclesiali, come pure le autorità civili che hanno voluto essere presenti a quest’incontro. Con l’odierno pellegrinaggio alla Sede Apostolica, voi volete esprimere, al termine del Sinodo diocesano, i vincoli di comunione che legano la Comunità diocesana di Verona alla Chiesa di Roma, e ribadire la vostra piena adesione al magistero del Successore di Pietro, costituito da Cristo "pastore di tutti i fedeli per promuovere sia il bene comune della Chiesa universale, sia il bene delle singole Chiese" (Decr. Christus Dominus
CD 2). Siete venuti per essere confermati nella fede ed io, da poco chiamato a questo grave compito, sono felice di salutare, attraverso di voi, un’antica ed insigne Comunità ecclesiale quale è quella di san Zeno, e di incoraggiarvi a perseverare nell’impegno di testimonianza cristiana nel mondo di oggi.

Il vostro Sinodo, iniziato 3 anni or sono, ha conosciuto la sua fase culminante nell’Anno dell’Eucaristia. Questa felice coincidenza aiuta a meglio comprendere che è l’Eucaristia il cuore della Chiesa e della vita cristiana. "Ecclesia de Eucharistia" - "la Chiesa vive dell’Eucaristia" -, così ci ha lasciato scritto il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella sua ultima Enciclica. La vostra Diocesi deve vivere dell ’Eucaristia in tutte le sue espressioni: dalle famiglie, piccole chiese domestiche, ad ogni articolazione sociale e pastorale delle parrocchie e del territorio. "Nell’Eucaristia - ho voluto ricordare a Bari domenica scorsa, al termine del Congresso Eucaristico Nazionale - Cristo è realmente presente tra noi. La sua non è una presenza statica. E’ una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a sé. Cristo ci attira a sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. In questo modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli e la comunione con il Signore è sempre anche comunione con le sorelle e con i fratelli". E’ vero: la nostra vita spirituale dipende essenzialmente dall’Eucaristia. Senza di essa la fede e la speranza si spengono, la carità si raffredda. Per questo, cari amici, vi esorto a curare sempre più la qualità delle celebrazioni eucaristiche, specialmente di quelle domenicali, affinché la domenica sia veramente il Giorno del Signore e conferisca pienezza di significato alle vicende e alle attività di tutti i giorni.

La famiglia è giustamente uno dei temi principali del vostro Sinodo, come lo è negli orientamenti pastorali della Chiesa, in Italia e nel mondo intero. Nella vostra Diocesi, infatti, come del resto anche altrove, sono aumentati i divorzi e le unioni irregolari, e ciò costituisce per i cristiani un urgente richiamo a proclamare e testimoniare in tutta la sua interezza il vangelo della vita e della famiglia. La famiglia è chiamata ad essere "intima comunità di vita e d’amore" (Cost. past. Gaudium et spes GS 48), perché fondata sul matrimonio indissolubile. Nonostante le difficoltà e i condizionamenti sociali e culturali dell’attuale momento storico, gli sposi cristiani non cessino di essere con la loro vita segno dell’amore fedele di Dio; collaborino attivamente con i sacerdoti nella pastorale dei fidanzati, delle giovani coppie, delle famiglie e nell’educazione delle nuove generazioni.

Cari fratelli e sorelle, abbiamo celebrato ieri la solennità del Sacro Cuore di Cristo: solo da questa fonte inesauribile di amore potrete attingere l’energia necessaria per la vostra missione. Dal Cuore del Redentore, dal suo costato trafitto è nata la Chiesa, che incessantemente si rinnova mediante i Sacramenti. Sia vostra preoccupazione alimentarvi spiritualmente con la preghiera e con un’ intensa vita sacramentale; approfondite la personale conoscenza di Cristo e tendete con ogni sforzo a quella "misura alta della vita cristiana" che è la santità, come amava dire il caro Giovanni Paolo II. Maria Santissima, del cui Cuore Immacolato facciamo oggi memoria, ottenga in dono per tutti i membri della vostra Diocesi la totale fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. All’intercessione della celeste Madre del Redentore e al sostegno dei santi e beati della vostra Terra affido il cammino post-sinodale che vi attende. Quanto a me, vi assicuro un ricordo nella preghiera, mentre con affetto imparto al vostro Vescovo, a voi e all’intera Comunità diocesana una speciale Benedizione Apostolica.





ALL’APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA SU FAMIGLIA E COMUNITÀ CRISTIANA Basilica di San Giovanni in Laterano Lunedì, 6 giugno 2005

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Cari fratelli e sorelle,

ho accolto molto volentieri l’invito a introdurre con una mia riflessione questo nostro Convegno Diocesano, anzitutto perché ciò mi dà la possibilità di incontrarvi, di avere un contatto diretto con voi, e poi anche perché posso aiutarvi ad approfondire il senso e lo scopo del cammino pastorale che la Chiesa di Roma sta percorrendo.

Saluto con affetto ciascuno di voi, Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, e in particolare voi laici e famiglie che assumete consapevolmente quei compiti di impegno e testimonianza cristiana che hanno la loro radice nel sacramento del battesimo e, per coloro che sono sposati, in quello del matrimonio. Ringrazio di cuore il Cardinale Vicario e i coniugi Luca e Adriana Pasquale per le parole che mi hanno rivolto a nome di voi tutti.

Questo Convegno, e l’anno pastorale di cui esso fornirà le linee guida, costituiscono una nuova tappa del percorso che la Chiesa di Roma ha iniziato, sulla base del Sinodo diocesano, con la Missione cittadina voluta dal nostro tanto amato Papa Giovanni Paolo II, in preparazione al Grande Giubileo del 2000. In quella Missione tutte le realtà della nostra Diocesi - parrocchie, comunità religiose, associazioni e movimenti - si sono mobilitate, non solo per una missione al popolo di Roma, ma per essere esse stesse "popolo di Dio in missione", mettendo in pratica la felice espressione di Giovanni Paolo II "parrocchia, cerca te stessa e trova te stessa fuori di te stessa": nei luoghi cioè nei quali la gente vive. Così, nel corso della Missione cittadina, molte migliaia di cristiani di Roma, in gran parte laici, si sono fatti missionari e hanno portato la parola della fede dapprima nelle famiglie dei vari quartieri della città e poi nei diversi luoghi di lavoro, negli ospedali, nelle scuole e nelle università, negli spazi della cultura e del tempo libero.

Dopo l’Anno Santo, il mio amato Predecessore vi ha chiesto di non interrompere questo cammino e di non disperdere le energie apostoliche suscitate e i frutti di grazia raccolti. Perciò, a partire dal 2001, il fondamentale indirizzo pastorale della Diocesi è stato quello di dare forma permanente alla missione, caratterizzando in senso più decisamente missionario la vita e le attività delle parrocchie e di ogni altra realtà ecclesiale. Voglio dirvi anzitutto che intendo confermare pienamente questa scelta: essa infatti si rivela sempre più necessaria e senza alternative, in un contesto sociale e culturale nel quale sono all’opera forze molteplici che tendono ad allontanarci dalla fede e dalla vita cristiana.

Da ormai due anni l’impegno missionario della Chiesa di Roma si è concentrato soprattutto sulla famiglia, non solo perché questa fondamentale realtà umana oggi è sottoposta a molteplici difficoltà e minacce e quindi ha particolare bisogno di essere evangelizzata e concretamente sostenuta, ma anche perché le famiglie cristiane costituiscono una risorsa decisiva per l’educazione alla fede, l’edificazione della Chiesa come comunione e la sua capacità di presenza missionaria nelle più diverse situazioni di vita, oltre che per fermentare in senso cristiano la cultura diffusa e le strutture sociali. Su queste linee proseguiremo anche nel prossimo anno pastorale e perciò il tema del nostro Convegno è "Famiglia e comunità cristiana: formazione della persona e trasmissione della fede".

Il presupposto dal quale occorre partire, per poter comprendere la missione della famiglia nella comunità cristiana e i suoi compiti di formazione della persona e trasmissione della fede, rimane sempre quello del significato che il matrimonio e la famiglia rivestono nel disegno di Dio, creatore e salvatore. Questo sarà dunque il nocciolo della mia riflessione di questa sera, richiamandomi all’insegnamento dell’Esortazione Apostolica Familiaris consortio (Parte seconda, nn. 12-16).

Il fondamento antropologico della famiglia

Matrimonio e famiglia non sono in realtà una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui. Non può essere separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: chi sono? cosa è l’uomo? E questa domanda, a sua volta, non può essere separata dall’ interrogativo su Dio: esiste Dio? e chi è Dio? qual è veramente il suo volto? La risposta della Bibbia a questi due quesiti è unitaria e consequenziale: l’uomo è creato ad immagine di Dio, e Dio stesso è amore. Perciò la vocazione all’amore è ciò che fa dell’uomo l’autentica immagine di Dio: egli diventa simile a Dio nella misura in cui diventa qualcuno che ama.

Da questa fondamentale connessione tra Dio e l’uomo ne consegue un’altra: la connessione indissolubile tra spirito e corpo: l’uomo è infatti anima che si esprime nel corpo e corpo che è vivificato da uno spirito immortale. Anche il corpo dell’uomo e della donna ha dunque, per così dire, un carattere teologico, non è semplicemente corpo, e ciò che è biologico nell’uomo non è soltanto biologico, ma è espressione e compimento della nostra umanità. Parimenti, la sessualità umana non sta accanto al nostro essere persona, ma appartiene ad esso. Solo quando la sessualità si è integrata nella persona, riesce a dare un senso a se stessa.

Così, dalle due connessioni, dell’uomo con Dio e nell’uomo del corpo con lo spirito, ne scaturisce una terza: quella tra persona e istituzione. La totalità dell’uomo include infatti la dimensione del tempo, e il "sì" dell’uomo è un andare oltre il momento presente: nella sua interezza, il "sì" significa "sempre", costituisce lo spazio della fedeltà. Solo all’interno di esso può crescere quella fede che dà un futuro e consente che i figli, frutto dell’amore, credano nell’uomo. La libertà del "sì" si rivela dunque libertà capace di assumere ciò che è definitivo: la più grande espressione della libertà non è allora la ricerca del piacere, senza mai giungere a una vera decisione; è invece la capacità di decidersi per un dono definitivo, nel quale la libertà, donandosi, ritrova pienamente se stessa.

In concreto, il "sì" personale e reciproco dell’uomo e della donna dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e al tempo stesso è destinato al dono di una nuova vita. Perciò questo "sì" personale non può non essere un "sì" anche pubblicamente responsabile, con il quale i coniugi assumono la responsabilità pubblica della fedeltà. Nessuno di noi infatti appartiene esclusivamente a se stesso: pertanto ciascuno è chiamato ad assumere nel più intimo di sé la propria responsabilità pubblica. Il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori; è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale.

Le varie forme odierne di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il "matrimonio di prova", fino allo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso, sono invece espressioni di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell’uomo. Una tale pseudo-libertà si fonda su una banalizzazione del corpo, che inevitabilmente include la banalizzazione dell’uomo. Il suo presupposto è che l’uomo può fare di sé ciò che vuole: il suo corpo diventa così una cosa secondaria dal punto di vista umano, da utilizzare come si vuole. Il libertinismo, che si fa passare per scoperta del corpo e del suo valore, è in realtà un dualismo che rende spregevole il corpo, collocandolo per così dire fuori dall’autentico essere e dignità della persona.

Matrimonio e famiglia nella storia della salvezza

La verità del matrimonio e della famiglia, che affonda le sue radici nella verità dell’uomo, ha trovato attuazione nella storia della salvezza, al cui centro sta la parola: "Dio ama il suo popolo". La rivelazione biblica, infatti, è anzitutto espressione di una storia d’amore, la storia dell’alleanza di Dio con gli uomini: perciò la storia dell’amore e dell’unione di un uomo ed una donna nell’alleanza del matrimonio ha potuto essere assunta da Dio quale simbolo della storia della salvezza. Il fatto inesprimibile, il mistero dell’amore di Dio per gli uomini, riceve la sua forma linguistica dal vocabolario del matrimonio e della famiglia, in positivo e in negativo: l’accostarsi di Dio al suo popolo viene presentato infatti nel linguaggio dell’amore sponsale, mentre l’infedeltà di Israele, la sua idolatria, è designata come adulterio e prostituzione.

Nel Nuovo Testamento Dio radicalizza il suo amore fino a divenire Egli stesso, nel suo Figlio, carne della nostra carne, vero uomo. In questo modo l’unione di Dio con l’uomo ha assunto la sua forma suprema, irreversibile e definitiva. E così viene tracciata anche per l’amore umano la sua forma definitiva, quel "sì" reciproco che non può essere revocato: essa non aliena l’uomo, ma lo libera dalle alienazioni della storia per riportarlo alla verità della creazione. La sacramentalità che il matrimonio assume in Cristo significa dunque che il dono della creazione è stato elevato a grazia di redenzione. La grazia di Cristo non si aggiunge dal di fuori alla natura dell’uomo, non le fa violenza, ma la libera e la restaura, proprio nell’innalzarla al di là dei suoi propri confini. E come l’incarnazione del Figlio di Dio rivela il suo vero significato nella croce, così l’amore umano autentico è donazione di sé, non può esistere se vuole sottrarsi alla croce.

Cari fratelli e sorelle, questo legame profondo tra Dio e l’uomo, tra l’amore di Dio e l’amore umano, trova conferma anche in alcune tendenze e sviluppi negativi, di cui tutti avvertiamo il peso. Lo svilimento dell’amore umano, la soppressione dell’autentica capacità di amare si rivela infatti, nel nostro tempo, l’ arma più adatta e più efficace per scacciare Dio dall’uomo, per allontanare Dio dallo sguardo e dal cuore dell’uomo. Analogamente, la volontà di "liberare" la natura da Dio conduce a perdere di vista la realtà stessa della natura, compresa la natura dell’uomo, riducendola a un insieme di funzioni, di cui disporre a piacimento per costruire un presunto mondo migliore e una presunta umanità più felice.

I figli

Anche nella generazione dei figli il matrimonio riflette il suo modello divino, l’amore di Dio per l’uomo. Nell’uomo e nella donna la paternità e la maternità, come il corpo e come l’amore, non si lasciano circoscrivere nel biologico: la vita viene data interamente solo quando con la nascita vengono dati anche l’amore e il senso che rendono possibile dire sì a questa vita. Proprio da qui diventa del tutto chiaro quanto sia contrario all’amore umano, alla vocazione profonda dell’uomo e della donna, chiudere sistematicamente la propria unione al dono della vita, e ancora più sopprimere o manomettere la vita che nasce.

Nessun uomo e nessuna donna, però, da soli e unicamente con le proprie forze, possono dare ai figli in maniera adeguata l ’amore e il senso della vita. Per poter infatti dire a qualcuno "la tua vita è buona, per quanto io non conosca il tuo futuro", occorrono un’autorità e una credibilità superiori a quello che l’individuo può darsi da solo. Il cristiano sa che questa autorità è conferita a quella famiglia più vasta che Dio, attraverso il Figlio suo Gesù Cristo e il dono dello Spirito Santo, ha creato nella storia degli uomini, cioè alla Chiesa. Egli riconosce qui all’opera quell’amore eterno e indistruttibile che assicura alla vita di ciascuno di noi un senso permanente. Per questo motivo l’edificazione di ogni singola famiglia cristiana si colloca nel contesto della più grande famiglia della Chiesa, che la sostiene e la porta con sé. E reciprocamente la Chiesa viene edificata dalle famiglia, "piccole Chiese domestiche", come le ha chiamate il Concilio Vaticano II (Lumen gentium
LG 11 AA 11), riscoprendo un’antica espressione patristica (San Giovanni Crisostomo, In Genesim serm. VI, 2; VII,1). Nel medesimo senso la Familiaris consortio afferma che "Il matrimonio cristiano… è il luogo naturale nel quale si compie l’inserimento della persona umana nella grande famiglia della Chiesa" (n. 14).

La famiglia e la Chiesa

Da tutto ciò scaturisce una conseguenza evidente: la famiglia e la Chiesa, in concreto le parrocchie e le altre forme di comunità ecclesiale, sono chiamate alla più stretta collaborazione per quel compito fondamentale che è costituito, inseparabilmente, dalla formazione della persona e dalla trasmissione della fede. Sappiamo bene che per un’autentica opera educativa non basta una teoria giusta o una dottrina da comunicare. C’è bisogno di qualcosa di molto più grande e umano, di quella vicinanza, quotidianamente vissuta, che è propria dell’amore e che trova il suo spazio più propizio anzitutto nella comunità familiare, ma poi anche in una parrocchia, o movimento o associazione ecclesiale, in cui si incontrino persone che si prendono cura dei fratelli, in particolare dei bambini e dei giovani, ma anche degli adulti, degli anziani, dei malati, delle stesse famiglie, perché, in Cristo, vogliono loro bene. Il grande Patrono degli educatori, San Giovanni Bosco, ricordava ai suoi figli spirituali che "l’educazione è cosa del cuore e che Dio solo ne è il padrone" (Epistolario, 4,209).

Centrale nell’opera educativa, e specialmente nell’educazione alla fede, che è il vertice della formazione della persona e il suo orizzonte più adeguato, è in concreto la figura del testimone: egli diventa punto di riferimento proprio in quanto sa rendere ragione della speranza che sostiene la sua vita (cfr 1P 3,15), è personalmente coinvolto con la verità che propone. Il testimone, d’altra parte, non rimanda mai a se stesso, ma a qualcosa, o meglio a Qualcuno più grande di lui, che ha incontrato e di cui ha sperimentato l’affidabile bontà. Così ogni educatore e testimone trova il suo modello insuperabile in Gesù Cristo, il grande testimone del Padre, che non diceva nulla da se stesso, ma parlava così come il Padre gli aveva insegnato (cfr Jn 8,28).

Questo è il motivo per il quale alla base della formazione della persona cristiana e della trasmissione della fede sta necessariamente la preghiera, l’amicizia con Cristo e la contemplazione in Lui del volto del Padre. E la stessa cosa vale, evidentemente, per tutto il nostro impegno missionario, in particolare per la pastorale familiare: la Famiglia di Nazareth sia dunque, per le nostre famiglie e per le nostre comunità, oggetto di costante e fiduciosa preghiera, oltre che modello di vita.

Cari fratelli e sorelle, e specialmente voi, cari sacerdoti, conosco la generosità e la dedizione con cui servite il Signore e la Chiesa. Il vostro lavoro quotidiano per la formazione alla fede delle nuove generazioni, in stretta connessione con i sacramenti dell’iniziazione cristiana, come anche per la preparazione al matrimonio e per l’accompagnamento delle famiglie nel loro spesso non facile cammino, in particolare nel grande compito dell’educazione dei figli, è la strada fondamentale per rigenerare sempre di nuovo la Chiesa e anche per vivificare il tessuto sociale di questa nostra amata città di Roma.

La minaccia del relativismo

Continuate dunque, senza lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà che incontrate. Il rapporto educativo è per sua natura una cosa delicata: chiama in causa infatti la libertà dell’altro che, per quanto dolcemente, viene pur sempre provocata a una decisione. Né i genitori, né i sacerdoti o i catechisti, né gli altri educatori possono sostituirsi alla libertà del fanciullo, del ragazzo o del giovane a cui si rivolgono. E specialmente la proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola alla fede e alla conversione. Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione. Dentro a un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità; prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune.

E’ chiaro dunque che non soltanto dobbiamo cercare di superare il relativismo nel nostro lavoro di formazione delle persone, ma siamo anche chiamati a contrastare il suo predominio nella società e nella cultura. E’ molto importante perciò, accanto alla parola della Chiesa, la testimonianza e l’impegno pubblico delle famiglie cristiane, specialmente per riaffermare l’intangibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale, il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di provvedimenti legislativi e amministrativi che sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli, compito essenziale per il nostro comune futuro. Anche per questo impegno vi dico un grazie cordiale.

Sacerdozio e vita consacrata

Un ultimo messaggio che vorrei affidarvi riguarda la cura delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata: sappiamo tutti quanto la Chiesa ne abbia bisogno! Perché queste vocazioni nascano e giungano a maturazione, perché le persone chiamate si mantengano sempre degne della loro vocazione, è decisiva anzitutto la preghiera, che non deve mai mancare in ciascuna famiglia e comunità cristiana. Ma è anche fondamentale la testimonianza di vita dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, la gioia che essi esprimono per essere stati chiamati dal Signore. Ed è ugualmente essenziale l’esempio che i figli ricevono all’interno della propria famiglia e la convinzione delle famiglie stesse che, anche per loro, la vocazione dei propri figli è un grande dono del Signore. La scelta della verginità per amore di Dio e dei fratelli, che è richiesta per il sacerdozio e la vita consacrata, sta infatti insieme con la valorizzazione del matrimonio cristiano: l’uno e l’altra, in due maniere differenti e complementari, rendono in qualche modo visibile il mistero dell’alleanza tra Dio e il suo popolo.

Cari fratelli e sorelle, vi affido queste riflessioni come contributo al vostro lavoro nelle serate del Convegno e poi durante il prossimo anno pastorale. Chiedo al Signore di darvi coraggio ed entusiasmo, perché questa nostra Chiesa di Roma, ciascuna parrocchia, comunità religiosa, associazione o movimento partecipi più intensamente alla gioia e alle fatiche della missione e così ogni famiglia e l’intera comunità cristiana riscopra nell’amore del Signore la chiave che apre la porta dei cuori e che rende possibile una vera educazione alla fede e formazione delle persone. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnano oggi e per il futuro.







ALLA DELEGAZIONE DELL’INTERNATIONAL JEWISH COMMITTEE ON INTERRELIGIOUS CONSULTATIONS Giovedì, 9 giugno 2005

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Distinti ospiti,
Cari amici,

sono lieto di accogliere in Vaticano la Delegazione dell'International Jewish Committee on Interreligious Consultations.

Il nostro incontro si svolge durante questo anno che segna il quarantesimo anniversario della Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate, il cui insegnamento ha costituito, da allora, la base del rapporto della Chiesa con il popolo ebraico. Il Concilio ha affermato il convincimento della Chiesa che, nel mistero dell'elezione divina, gli inizi della sua fede debbano trovarsi già in Abramo, Mosè e i Profeti. Partendo da questo patrimonio spirituale e dall'insegnamento del Vangelo, ha esortato a una maggiore comprensione e stima reciproche fra cristiani ed ebrei e ha deplorato tutte le manifestazioni di odio, di persecuzione e di antisemitismo (cfr Nostra aetate
NAE 4). All'inizio del mio Pontificato desidero assicurarvi del fatto che la Chiesa resta fermamente impegnata, nella sua catechesi e in ogni aspetto della sua vita, a realizzare questo insegnamento decisivo.

Negli anni successivi al Concilio, i miei predecessori Papa Paolo VI e, in particolare, Papa Giovanni Paolo II hanno compiuto passi significativi per migliorare i rapporti con il popolo ebraico. È mia intenzione continuare su questa via. La storia dei rapporti fra le nostre due comunità è stata complessa e spesso dolorosa, ma sono convinto che il "patrimonio spirituale" accumulato da cristiani ed ebrei sia di per sé la fonte della sapienza e dell'ispirazione in grado di guidarci verso un "futuro pieno di speranza" (cfr Jr 29,11). Al contempo, il ricordo del passato resta per entrambe le comunità un imperativo morale e una fonte di purificazione nei nostri sforzi per pregare e operare per la riconciliazione, la giustizia, il rispetto per la dignità umana e per quella pace che è definitivamente il dono del Signore stesso. Per sua stessa natura questo imperativo deve includere una riflessione permanente sulle profonde questioni storiche, morali e teologiche sollevate dall'esperienza della Shoá.

Negli ultimi trentacinque anni lo International Jewish Committee on Interreligious Consultations ha incontrato diciotto volte delegazioni della Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, come nell'incontro di Buenos Aires del luglio 2004 sul tema "Giustizia e carità".

Rendo grazie al Signore per i progressi di questi anni e vi incoraggio a perseverare nel vostro importante compito gettando le fondamenta di un dialogo costante ed edificando un mondo riconciliato, un mondo sempre più in armonia con la volontà del Creatore. Su di voi e sui vostri cari invoco di tutto cuore le benedizioni divine di sapienza, forza e pace.





AI VESCOVI DI SUD AFRICA, BOTSWANA, SWAZILAND, NAMIBIA E LESOTHO IN OCCASIONE DELLA VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Venerdì, 10 giugno 2005



Cari Fratelli Vescovi,

1. "Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!" (Ps 133,1). In questo spirito di armonia vi porgo il benvenuto con gioia e con affetto, Vescovi di Sud Africa, Botswana, Swaziland, Namibia e Lesotho. Mediante voi estendo i miei cordiali saluti al clero, ai religiosi e ai laici nei vostri Paesi. In questo anno dedicato all'Eucaristia avete ricevuto la benedizione di compiere la vostra solenne visita ad limina Apostolorum. "L'Eucaristia, cuore della vita cristiana e sorgente della missione evangelizzatrice della Chiesa, non può non costituire il centro permanente la fonte del servizio petrino" (Messaggio in occasione della Missa pro Ecclesia, 20 aprile 2005, n. 4). Parimenti, essa deve essere sempre al centro del vostro ministero episcopale e un'ispirazione per quanti vi assistono nel vostro compito sacro.

2. La comunione con Cristo è la fonte inesauribile di ogni elemento di vita ecclesiale "in primo luogo la comunione fra tutti i fedeli, l'impegno di annuncio e di testimonianza del Vangelo, l'ardore della carità verso tutti, specialmente verso i poveri e i piccoli" (ibidem). I cattolici nella vostra regione costituiscono una minoranza. Ciò rappresenta molte sfide che richiedono dedizione da parte della Chiesa nell'accudire il gregge efficacemente e, al contempo, nel restare fedele al suo impegno missionario. Per questo motivo è essenziale che i Vescovi promuovano l'opera cruciale di catechesi per garantire che il popolo di Dio sia veramente pronto a testimoniare con le parole e con le azioni l'insegnamento autentico del Vangelo. Se guardo alla Chiesa in Africa, e a tutto ciò che è stato ottenuto nel corso dell'ultimo secolo, rendo grazie al nostro Padre celeste per i numerosi sacerdoti, religiosi e laici, uomini e donne, che hanno dedicato la propria vita a questo nobile compito. I Vescovi hanno la responsabilità particolare di garantire che questi "insostituibili evangelizzatori" ricevano la necessaria preparazione spirituale, dottrinale e morale (cfr Ecclesia in Africa ).

3. Sebbene la vostra regione abbia ancora bisogno di più sacerdoti, non possiamo che ringraziare Dio per l'elevato numero di vocazioni al sacerdozio di cui siete testimoni nell'Africa sub-sahariana. Quali Pastori del gregge di Cristo, avete la grave responsabilità di aiutarli a divenire uomini dell'Eucaristia. I sacerdoti sono chiamati a lasciare tutto e a divenire sempre più devoti al Santissimo Sacramento, conducendo uomini e donne a questo mistero e alla pace che esso reca con sé (cfr Omelia della Domenica di Pentecoste 2005). Vi incoraggio, quindi, nei vostri sforzi costanti volti a selezionare coscienziosamente candidati al sacerdozio. Parimenti questi giovani uomini dovrebbero essere formati con grande zelo per garantire che siano pronti alle numerose sfide che dovranno affrontare, aiutandoli a manifestare con le parole e con le azioni la pace e la gioia di Nostro Signore e Salvatore. Un mondo pieno di tentazioni ha bisogno di sacerdoti totalmente dediti alla propria missione. Di conseguenza viene richiesto loro in modo molto speciale di aprirsi completamente al servizio degli altri come fece Cristo accogliendo il dono del celibato. I Vescovi dovrebbero assisterli assicurando che tale dono non diviene mai un fardello, ma resta sempre donatore di vita. Un modo per raggiungere questo obiettivo è di riunire i ministri della Parola e dei Sacramenti affinché ricevano un'educazione permanente e partecipino a ritiri e a giornate di raccoglimento.

4. La vita familiare è sempre stata un elemento unificatore della società africana. Infatti, è all'interno della "Chiesa domestica", "costruita sulle solide basi culturali e sui ricchi valori della tradizione familiare africana" che i bambini possono apprendere la centralità dell'Eucaristia nella vita cristiana (cfr Ecclesia in Africa ). Preoccupa molto il fatto che il tessuto della vita africana, la sua stessa fonte di speranza e di stabilità, sia minacciato dal divorzio, dall'aborto, dalla prostituzione, dal traffico di esseri umani e dalla mentalità a favore della contraccezione, che contribuiscono al crollo della morale sessuale. Fratelli Vescovi, condivido la vostra profonda preoccupazione per la devastazione causata dal virus dell'Aids e dalle malattie ad esso legate. Prego in particolare per le vedove, per gli orfani, per le giovani madri e per le persone la cui vita è stata ridotta in frantumi da questa crudele epidemia. Vi esorto a proseguire i vostri sforzi per combattere questo virus che non solo uccide, ma minaccia seriamente la stabilità economica e sociale del continente. La Chiesa cattolica è sempre stata in prima linea nella prevenzione e nella cura di questa malattia.

L'insegnamento tradizionale della Chiesa ha dimostrato di essere l'unico modo intrinsecamente sicuro per prevenire la diffusione dell'Hiv/Aids. Per questo motivo "l'affetto, la gioia, la felicità e la pace procurati dal matrimonio cristiano e dalla fedeltà, così come la sicurezza della castità, devono essere continuamente presentati ai fedeli, soprattutto ai giovani" (Ecclesia in Africa ).

5. Cari Fratelli, mentre continuate a celebrare un anno dedicato alla Santa Eucaristia, prego affinché siate sostenuti dalla promessa del Signore "Io sono con voi tutti i giorni" (Mt 28,19). Che la vostra testimonianza di uomini pieni di speranza eucaristica aiuti le vostre greggi a pervenire a un apprezzamento sempre più grande di questo mistero. A ognuno di voi e a quanti sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.






Discorsi 2005-13 31055