Discorsi 2005-13 26016
26016
Cari fratelli e sorelle!
Con gioia vi do il benvenuto e vi ringrazio per la vostra presenza. Saluto ciascuno di voi e, attraverso voi, saluto le Conferenze episcopali, le comunità e gli organismi ecumenici dell'Europa. Un saluto speciale rivolgo ai Presidenti del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa e della Conferenza delle Chiese europee e li ringrazio perché hanno voluto farsi interpreti dei vostri fraterni sentimenti. La vostra visita è un'ulteriore occasione per porre in luce i vincoli di comunione che ci legano in Cristo, e rinnovare la volontà di operare insieme perché quanto prima si giunga alla piena unità.
Sono particolarmente contento quest'oggi di incontrarvi nuovamente dopo aver partecipato ieri nella Basilica di san Paolo alla conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani. Voi avete voluto iniziare il pellegrinaggio ecumenico europeo, che avrà il suo culmine nell'assemblea di Sibiu, in Romania, nel settembre 2007, proprio qui da Roma, dove ebbero luogo la predicazione e il martirio degli apostoli Pietro e Paolo. E questo è quanto mai significativo perché gli Apostoli ci hanno per primi annunciato quel Vangelo che, come cristiani, siamo chiamati a proclamare e testimoniare all'Europa di oggi. È proprio per dare maggior efficacia a tale annuncio che noi vogliamo procedere con coraggio nel cammino della ricerca della piena comunione. Il tema che avete scelto per tale itinerario spirituale - "La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e unità in Europa" - indica che è questa la vera priorità per l'Europa: impegnarsi perché la luce di Cristo risplenda e illumini con rinnovato vigore i passi del Continente europeo all'inizio del nuovo millennio. Mi auguro che ogni tappa di questo pellegrinaggio sia segnata dalla luce di Cristo e che la prossima Assemblea Ecumenica Europea possa contribuire a rendere più consapevoli i cristiani dei nostri Paesi circa il dovere di testimoniare la fede nell'odierno contesto culturale, spesso segnato dal relativismo e dall'indifferenza. È questo un servizio indispensabile da rendere alla Comunità Europea, che in questi anni ha allargato i suoi confini.
In effetti, perché sia fruttuoso il processo di unificazione che ha avviato, l'Europa ha bisogno di riscoprire le sue radici cristiane, dando spazio ai valori etici che fanno parte del suo vasto e consolidato patrimonio spirituale. Tocca a noi discepoli di Cristo il compito di aiutare l'Europa a prendere coscienza di questa sua peculiare responsabilità nel consesso dei popoli. Tuttavia la presenza di noi cristiani sarà incisiva e illuminante solo se avremo il coraggio di percorrere con decisione la via della riconciliazione e dell'unità. Mi risuona nella mente l'interrogativo che l'amato Predecessore Giovanni Paolo II ebbe a porsi nell'Omelia durante la celebrazione ecumenica in occasione della prima Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Europa il 7 dicembre 1991: "Nell'Europa in cammino verso l'unità politica possiamo forse ammettere che sia proprio la Chiesa di Cristo un fattore di disunione e di discordia? Non sarebbe questo uno degli scandali più grandi del nostro tempo?" (Insegnamenti, XIV/2, 1991, p. 1330). Quanto importante è trovare in Cristo la luce per avanzare in maniera concreta verso l'unità! Questo sforzo è richiesto a tutti, cari rappresentanti delle Chiese e delle Comunità ecclesiali in Europa, perché tutti abbiamo una specifica responsabilità per quanto concerne il cammino ecumenico dei cristiani nel nostro Continente e nel resto del mondo. Dopo la caduta del muro, che divideva i Paesi dell'Oriente e dell'Occidente in Europa, è più facile l'incontro tra i popoli; ci sono più opportunità per accrescere la conoscenza e la stima reciproca, con un arricchente mutuo scambio di doni; si avverte il bisogno di affrontare uniti le grandi sfide del momento, a iniziare da quella della modernità e della secolarizzazione. L'esperienza dimostra ampiamente che il dialogo sincero e fraterno genera fiducia, elimina le paure e i preconcetti, scioglie le difficoltà e apre al confronto sereno e costruttivo.
Cari amici, per quanto mi concerne rinnovo qui la decisa volontà, manifestata all'inizio del mio Pontificato, di assumermi come prioritario impegno quello di lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Vi ringrazio ancora per la vostra gradita visita e chiedo a Dio di accompagnare con il suo Spirito i vostri sforzi per preparare la prossima Assemblea Ecumenica Europea a Sibiu. Il Signore benedica le vostre famiglie, le Comunità, le Chiese e quanti in ogni regione d'Europa si proclamano discepoli di Cristo.
27016
Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell'Episcopato,
Sono lieto di porgervi i miei saluti fraterni, mentre realizzate la vostra visita ad limina Apostolorum. Essendo venuti a rafforzare i vostri vincoli di comunione con il Vescovo di Roma, e di conseguenza con tutto il Collegio Episcopale, desiderate manifestare il vostro attaccamento, come anche quello di tutti i vostri fedeli, al Successore di Pietro. Auspico che la vostra preghiera comune sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e gli incontri con la Curia Romana apportino gioia e conforto al vostro ministero e vi conferiscano nuovo slancio. Saluto con affetto i Pastori e i fedeli delle Provincie Ecclesiastiche di Kinshasa, di Mbandaka-Bikoro e di Kananga, nelle quali avete il compito di edificare il Corpo di Cristo e di guidare il popolo di Dio. Mentre i cattolici della Repubblica Democratica del Congo, uniti a tutti gli uomini di buona volontà, si apprestano a vivere eventi importanti per il futuro della loro nazione, desidero manifestare la mia vicinanza spirituale, elevando al Signore una preghiera fervente affinché perseverino, senza perdersi d'animo, nell'edificazione della pace e della fraternità!
In questi ultimi anni il vostro Paese ha vissuto al ritmo di conflitti cruenti che hanno lasciato profonde cicatrici nella memoria dei popoli. Nel corso di questa tragedia, che ha colpito in modo particolare l'est del Paese, voi vi siete preoccupati di denunciare, con vigorosi messaggi, le angherie commesse, esortando le autorità locali a dare prova di responsabilità e di coraggio, affinché le popolazioni potessero vivere in pace e in sicurezza. Incoraggio la Conferenza Episcopale, con un lavoro concertato e audace, a restare vigile per seguire i progressi in corso.
I tempi forti della vita ecclesiale hanno scandito questi anni. Lei ricorda, Signor Cardinale, il Grande Giubileo dell'Incarnazione. Menziona anche l'anno 2005, nel corso del quale è stato celebrato il decimo anniversario della pubblicazione dell'Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa. Convocando questa Assemblea, Papa Giovanni Paolo II desiderava promuovere una solidarietà pastorale organica nel continente africano, affinché la Chiesa offrisse un messaggio di fede, di speranza e di carità credibile a tutti gli uomini di buona volontà, per un nuovo slancio missionario delle Chiese particolari. Mentre alcune Diocesi celebrano il centenario della loro evangelizzazione, auspico che ognuno di voi si adoperi per fare il punto sulla questione centrare della proposta del Vangelo e ne tragga le conseguenze pastorali per la vita delle comunità locali, affinché l'ardore apostolico dei Pastori e dei fedeli ne risulti rinnovato e la riedificazione morale, spirituale e materiale unisca le comunità in una sola famiglia, segno di fraternità per i vostri contemporanei.
È con un'attenzione sempre più grande alla chiamata dello Spirito e in un'intimità sempre più profonda con Cristo che la Chiesa compie la sua missione profetica di annunciare il Vangelo con coraggio ed entusiasmo. Questa missione, alla quale il Signore risorto chiama i suoi discepoli, che non possono sottrarsi ad essa, vi corrisponde in modo particolare, cari Fratelli nell'Episcopato, poiché "l'attività evangelizzatrice del Vescovo, mirante a condurre gli uomini alla fede e ad irrobustirli in essa, costituisce una manifestazione preminente della sua paternità" (Pastores gregis ).
Vi incoraggio dunque, con l'esempio e la probità della vostra vita strettamente unita a Cristo, a proclamare senza posa il Vangelo di Cristo e a lasciarvi rinnovare da Lui, ricordandovi che la Chiesa vive del Vangelo, traendone incessantemente orientamenti per il suo cammino. Il Vangelo può illuminare in profondità le coscienze e trasformare dall'interno le culture solo se ogni fedele si lascia raggiungere nella sua vita personale e sociale dalla Parola di Cristo, che invita, attraverso una conversione autentica e duratura, a una risposta di fede personale e adulta, in vista di una fecondità sociale e di una fraternità fra tutti. Che la vostra carità, la vostra umiltà e la vostra semplicità di vita costituiscano anche per i vostri sacerdoti e i vostri fedeli una testimonianza stimolante, affinché tutti progrediscano in verità lungo il cammino della santità!
Voi sottolineate la necessità di adoperarsi per un'evangelizzazione profonda dei fedeli. Le comunità ecclesiali vive, presenti in ogni punto delle vostre Diocesi, riflettono bene questa evangelizzazione di vicinanza che rende i fedeli sempre più adulti nella loro fede, in uno spirito di fraternità evangelica secondo il quale tutti si sforzano di ponderare insieme i diversi aspetti della vita ecclesiale, in particolare la preghiera, l'evangelizzazione, l'attenzione ai più poveri e l'autofinanziamento delle parrocchie. Queste comunità costituiscono anche un prezioso baluardo contro l'offensiva delle sette che sfruttano la credulità dei fedeli e li confondono proponendo loro una falsa visione della salvezza e del Vangelo, e una morale accomodante.
In questa prospettiva, vi incoraggio a vegliare con estrema attenzione sulla qualità della formazione permanente dei responsabili di queste comunità, in particolare dei catechisti di cui lodo la dedizione e lo spirito ecclesiale, e a fare in modo che dispongano delle condizioni spirituali, intellettuali e materiali che permettano loro di compiere al meglio la propria missione, sotto la responsabilità dei Pastori. Vegliate sempre affinché queste Comunità ecclesiali vive siano veramente missionarie, desiderose non solo di accogliere il Vangelo di Cristo, ma anche di renderne testimonianza dinanzi agli uomini. Alimentati dalla Parola di Cristo e dai Sacramenti della Chiesa, i fedeli troveranno la gioia e la forza necessarie per una testimonianza coraggiosa della speranza cristiana. Che possiate, in modo speciale, in questi tempi particolarmente decisivi per la vita del vostro Paese, ricordare altresì ai fedeli laici l'urgenza di dedicarsi al rinnovamento dell'ordine temporale, esortandoli a "esercitare sul tessuto sociale un influsso volto a trasformare non soltanto le mentalità, ma le stesse strutture della società in modo che vi si rispecchino meglio i disegni di Dio sulla famiglia umana" (Ecclesia in Africa ).
Il mio pensiero si volge affettuosamente a tutti i vostri sacerdoti, diocesani e membri di Istituti, collaboratori dell'ordine episcopale, stabiliti da Cristo come ministri al servizio del popolo di Dio e di tutti gli uomini. Conosco le difficili condizioni in cui molti di essi esercitano la loro missione e li ringrazio per il loro servizio spesso eroico, in vista della crescita spirituale del popolo di Dio. Con la vostra presenza costante nelle vostre Diocesi, mostrate loro la vostra vicinanza, sviluppando una capacità di dialogo fiducioso nei loro confronti e mostrandovi attenti alla loro crescita umana, intellettuale e spirituale, affinché siano, attraverso la ricerca della santità nell'esercizio stesso del loro ministero, autentici educatori della fede e modelli di carità per i fedeli.
Spetta parimenti a voi esortare i vostri sacerdoti all'eccellenza nella vita spirituale e morale, ricordando loro in particolare il vincolo unico che unisce il sacerdote a Cristo Capo e il cui celibato sacerdotale, vissuto nella castità perfetta, manifesta la profondità e il carattere vitale. Vegliate anche sulla loro formazione permanente affinché possano costantemente penetrare più a fondo nel mistero di Cristo. Possano essi illuminare la coscienza dei fedeli ed edificare comunità cristiane salde e missionarie che abbiano le loro radici e il loro centro nell'Eucaristia, che essi presiedono in nome di Cristo!
"Tutti i presbiteri, insieme ai Vescovi, partecipano in tal grado dello stesso e unico sacerdozio e ministero di Cristo, che la stessa unità di consacrazione e di missione esige la comunione gerarchica dei presbiteri con l'ordine dei Vescovi" (Presbyterorum ordinis PO 7). In questa prospettiva, vi incoraggio anche a sviluppare sempre più i vincoli di comunione in seno al vostro presbiterio diocesano.Come voi indicate nei vostri resoconti quinquennali, il perpetuarsi dei conflitti a volte condiziona negativamente l'unità del presbiterio, favorendo lo sviluppo del tribalismo e di lotte di potere nefaste per l'edificazione del Corpo di Cristo, e fonte di confusione per i fedeli. Esorto ognuno a ritrovare quella profonda fraternità sacerdotale che è propria dei ministri ordinati, affinché realizzino l'unità che attrae gli uomini a Cristo. Che possiate incoraggiare i vostri sacerdoti ad esercitare reciprocamente la carità fraterna, proponendo loro in particolari alcune forme di vita comunitaria, per aiutarli a crescere insieme in santità nella fedeltà alla loro vocazione e alla loro missione, in una piena comunione con voi!
Spetta a voi rivolgere un'attenzione costante alla qualità della formazione dei futuri sacerdoti. Insieme a voi, rendo grazie per la generosità di numerosi giovani che, avendo udito la chiamata di Cristo a servirlo come sacerdoti nella Chiesa, sono ammessi a proseguire il loro discernimento nei seminari. Tuttavia è importante - è un'esigenza pastorale per il Vescovo, primo rappresentante di Cristo nella formazione sacerdotale - che la Chiesa eserciti sempre più la sua grave responsabilità nell'accompagnamento e nel discernimento delle vocazioni sacerdotali.
Ciò vale in particolare per la scelta dei formatori, di cui lodo qui l'esigente lavoro, attorno ai quali, sotto l'autorità del rettore, si edifica la comunità del seminario. Che la loro maturità umana e spirituale, il loro amore per la Chiesa e la loro saggezza pastorale li aiutino a esercitare con equità e sicurezza la bella missione di verificare le capacità spirituali, umane e intellettuali dei candidati al sacerdozio. Per concludere, faccio mie le osservazioni che i Padri sinodali hanno formulato molto correttamente sugli atteggiamenti fondamentali da acquisire in vista di un ministero sacerdotale fecondo: "Ci si preoccuperà di formare i futuri sacerdoti ai veri valori culturali dei rispettivi Paesi, al senso dell'onestà, della responsabilità e della fedeltà alla parola data... così da essere sacerdoti spiritualmente solidi e disponibili, votati alla causa del Vangelo, capaci di gestire con trasparenza i beni della Chiesa e di condurre una vita semplice in conformità al loro ambiente" (Ecclesia in Africa ).
Cari Fratelli nell'Episcopato, al termine del nostro incontro, vi invito alla speranza. Da oltre un secolo, la Buona Novella è annunciata nella vostra terra. Rendo grazie al Signore per il lavoro generoso di tutti gli artefici dell'evangelizzazione, fra i quali vi sono numerosi missionari, che hanno permesso il radicamento e la crescita della vostra Chiesa. Oggi, vi esorto a proseguire coraggiosamente l'evangelizzazione che i vostri predecessori hanno avviato. Chiesa di Dio nella Repubblica Democratica del Congo, non perdere mai la gioia di credere e di far conoscere il Vangelo di Cristo Salvatore! Possano le vostre comunità, incoraggiate dai testimoni della fede nel vostro Paese, soprattutto dalla beata Marie-Clémentine Anuarite Nengapeta e dal beato Isidore Bakanja, essere segni profetici di un'umanità rinnovata da Cristo, umanità liberata dal rancore e dalla paura! Affidandovi alla materna intercessione della Vergine Maria, vi imparto volentieri un'affettuosa Benedizione Apostolica, che estendo ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai catechisti e a tutti i fedeli laici delle vostre Diocesi.
27116
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari Membri delle ACLI!
Ci incontriamo quest'oggi in occasione del sessantesimo anniversario della fondazione delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani. Saluto il Presidente Luigi Bobba, ringraziandolo cordialmente per le cortesi parole rivoltemi che mi hanno veramente toccato; saluto gli altri dirigenti e ciascuno di voi. Un saluto speciale porgo ai Vescovi e ai sacerdoti che vi accompagnano e si preoccupano della vostra formazione spirituale. La nascita del vostro sodalizio si deve all'intuizione lungimirante del Papa Pio XII, di venerata memoria, che volle dare corpo a una visibile e incisiva presenza dei cattolici italiani nel mondo del lavoro, avvalendosi della preziosa collaborazione dell'allora Sostituto della Segreteria di Stato, Giovanni Battista Montini. Dieci anni più tardi, il 1° maggio 1955, lo stesso Pontefice avrebbe istituito la festa di san Giuseppe artigiano, per indicare a tutti i lavoratori del mondo la strada della personale santificazione attraverso il lavoro, e restituire così alla fatica quotidiana la prospettiva di un'autentica umanizzazione. Anche oggi la questione del lavoro, al centro di cambiamenti rapidi e complessi, non cessa di interpellare la coscienza umana, ed esige che non si perda di vista il principio di fondo che deve orientare ogni scelta concreta: il bene cioè di ogni essere umano e dell'intera società.
All'interno di questa basilare fedeltà al progetto originario di Dio, vorrei ora brevemente rileggere con voi e per voi le tre "consegne" o "fedeltà", che storicamente vi siete impegnati ad incarnare nella vostra multiforme attività. La prima fedeltà che le ACLI sono chiamate a vivere è la fedeltà ai lavoratori. È la persona "il metro della dignità del lavoro" (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 271). Per questo il Magistero ha sempre richiamato la dimensione umana dell'attività lavorativa riconducendola alla sua vera finalità, senza dimenticare che il coronamento dell'insegnamento biblico sul lavoro è il comandamento del riposo. Esigere dunque che la domenica non venga omologata a tutti gli altri giorni della settimana è una scelta di civiltà.
Dal primato della valenza etica del lavoro umano, derivano ulteriori priorità: quella dell’uomo sullo stesso lavoro (cfr Laborem exercens LE 12), del lavoro sul capitale (ibidem), della destinazione universale dei beni sul diritto alla proprietà privata (ivi, 14): insomma la priorità dell’essere sull’avere (ivi, 20). Questa gerarchia di priorità mostra con chiarezza come l’ambito del lavoro rientri a pieno titolo nella questione antropologica. Emerge oggi, su questo versante, un nuovo e inedito risvolto della questione sociale connesso alla tutela della vita. Viviamo un tempo in cui la scienza e la tecnica offrono possibilità straordinarie per migliorare l’esistenza di tutti. Ma un uso distorto di questo potere può provocare gravi e irreparabili minacce per il destino della vita stessa. Va, pertanto, ribadito l’insegnamento dell’amato Giovanni Paolo II, che ci ha invitati a vedere nella vita la nuova frontiera della questione sociale (cfr. Enc. Evangelium vitae EV 20). La tutela della vita dal concepimento al suo termine naturale, e ovunque questa sia minacciata, offesa o calpestata, è il primo dovere in cui si esprime un’autentica etica della responsabilità, che si estende coerentemente a tutte le altre forme di povertà, di ingiustizia e di esclusione.
La seconda consegna a cui vorrei sollecitarvi è - conformemente allo spirito dei vostri padri fondatori - la fedeltà alla democrazia, che sola può garantire l’uguaglianza e i diritti per tutti. Si dà infatti una sorta di reciproca dipendenza tra democrazia e giustizia, che spinge tutti a impegnarsi in modo responsabile perché venga salvaguardato il diritto di ciascuno, specie se debole o emarginato. La giustizia è il banco di prova di un’autentica democrazia. Ciò posto, non va dimenticato che la ricerca della verità costituisce al contempo la condizione di possibilità di una democrazia reale e non apparente: “Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (Centesimus annus CA 46). Di qui l’invito a lavorare perché cresca il consenso attorno a un quadro di riferimenti condivisi. Diversamente l’appello alla democrazia rischia di essere una mera formalità procedurale, che perpetua le differenze ed esaspera le problematiche.
La terza consegna è la fedeltà alla Chiesa. Solo un’adesione cordiale ed appassionata al cammino ecclesiale garantirà quella necessaria identità che sa farsi presente in ogni ambito della società e del mondo, senza perdere il sapore e il profumo del Vangelo. Non a caso le parole che Giovanni Paolo II vi ha rivolto il 1° maggio 1995 - “Solo il Vangelo fa nuove le ACLI” - segnano ancora oggi la via maestra per la vostra associazione, in quanto vi incoraggiano a porre al centro della vita associativa la Parola di Dio e a considerare l’evangelizzazione parte integrante della vostra missione. La presenza poi dei sacerdoti, quali accompagnatori della vita spirituale, vi aiuta a valorizzare il rapporto con la Chiesa locale e a rafforzare l’impegno ecumenico e di dialogo interreligioso. Da laici e lavoratori cristiani associati, curate sempre la formazione dei vostri soci e dirigenti, nella prospettiva del peculiare servizio a cui siete chiamati. Come testimoni del Vangelo e tessitori di legami fraterni, siate coraggiosamente presenti negli ambiti cruciali della vita sociale.
Cari amici, il filo conduttore della celebrazione dei vostri 60 anni è stato quello di reinterpretare queste storiche ‘fedeltà’ valorizzando la quarta consegna con cui il venerato Giovanni Paolo II vi ha esortato ad “allargare i confini della vostra azione sociale” (Discorso alle ACLI, 27 aprile 2002). Tale impegno per il futuro dell’umanità sia sempre animato dalla speranza cristiana. Così anche voi, quali testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo, contribuirete ad imprimere nuovo dinamismo alla grande tradizione delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, e potrete cooperare, sotto l’azione dello Spirito Santo, a rinnovare la faccia della terra. Iddio vi accompagni e la Vergine Santa protegga voi, le vostre famiglie e ogni vostra iniziativa. Con affetto vi benedico, assicurando uno speciale ricordo nella mia preghiera.
28016
Illustri Giudici, Officiali e Collaboratori
del Tribunale Apostolico della Rota Romana!
E’ passato quasi un anno dall’ultimo incontro del vostro Tribunale con il mio amato predecessore Giovanni Paolo II. Fu l’ultimo di una lunga serie. Dell’immensa eredità che egli ci ha lasciato anche in materia di diritto canonico, vorrei oggi particolarmente segnalare l’Istruzione Dignitas connubii, sulla procedura da seguire nelle cause di nullità matrimoniale. Con essa si è inteso stendere una sorta di vademecum, che non solo raccoglie le norme vigenti in questa materia, ma le arricchisce con ulteriori disposizioni, necessarie per la corretta applicazione delle prime. Il maggior contributo di questa Istruzione, che auspico venga applicata integralmente dagli operatori dei tribunali ecclesiastici, consiste nell’indicare in che misura e modo devono essere applicate nelle cause di nullità matrimoniale le norme contenute nei canoni relativi al giudizio contenzioso ordinario, in osservanza delle norme speciali dettate per le cause sullo stato delle persone e per quelle di bene pubblico.
Come ben sapete, l’attenzione dedicata ai processi di nullità matrimoniale trascende sempre più l’ambito degli specialisti. Le sentenze ecclesiastiche in questa materia, infatti, incidono sulla possibilità o meno di ricevere la Comunione eucaristica da parte di non pochi fedeli. Proprio quest’aspetto, così decisivo dal punto di vista della vita cristiana, spiega perché l’argomento della nullità matrimoniale sia emerso ripetutamente anche durante il recente Sinodo sull’Eucaristia. Potrebbe sembrare a prima vista che la preoccupazione pastorale riflessa nei lavori del Sinodo e lo spirito delle norme giuridiche raccolte nella Dignitas connubii divergano profondamente tra di loro, fin quasi a contrapporsi. Da una parte, parrebbe che i Padri sinodali abbiano invitato i tribunali ecclesiastici ad adoperarsi affinché i fedeli non canonicamente sposati possano al più presto regolarizzare la loro situazione matrimoniale e riaccostarsi al banchetto eucaristico. Dall’altra parte, invece, la legislazione canonica e la recente Istruzione sembrerebbero, invece, porre dei limiti a tale spinta pastorale, come se la preoccupazione principale fosse quella di espletare le formalità giuridiche previste, con il rischio di dimenticare la finalità pastorale del processo. Dietro a questa impostazione si cela una pretesa contrapposizione tra diritto e pastorale in genere. Non intendo ora riprendere approfonditamente la questione, già trattata da Giovanni Paolo II a più riprese, soprattutto nell’allocuzione alla Rota Romana del 1990 (cfr AAS, 82 [1990], PP 872-877). In questo primo incontro con voi preferisco concentrarmi piuttosto su ciò che rappresenta il fondamentale punto di incontro tra diritto e pastorale: l’amore per la verità. Con questa affermazione, peraltro, mi ricollego idealmente a quanto lo stesso mio venerato Predecessore vi ha detto, proprio nell’allocuzione dell’anno scorso (cfr AAS, 97 [2005], PP 164-166).
Il processo canonico di nullità del matrimonio costituisce essenzialmente uno strumento per accertare la verità sul vincolo coniugale. Il suo scopo costitutivo non è quindi di complicare inutilmente la vita ai fedeli né tanto meno di esacerbarne la litigiosità, ma solo di rendere un servizio alla verità. L’istituto del processo in generale, del resto, non è di per sé un mezzo per soddisfare un interesse qualsiasi, bensì uno strumento qualificato per ottemperare al dovere di giustizia di dare a ciascuno il suo. Il processo, proprio nella sua struttura essenziale, è istituto di giustizia e di pace. In effetti, lo scopo del processo è la dichiarazione della verità da parte di un terzo imparziale, dopo che è stata offerta alle parti pari opportunità di addurre argomentazioni e prove entro un adeguato spazio di discussione. Questo scambio di pareri è normalmente necessario, affinché il giudice possa conoscere la verità e, di conseguenza, decidere la causa secondo giustizia. Ogni sistema processuale deve tendere, quindi, ad assicurare l’oggettività, la tempestività e l’efficacia delle decisioni dei giudici.
Di fondamentale importanza, anche in questa materia, è il rapporto tra ragione e fede. Se il processo risponde alla retta ragione, non può meravigliare il fatto che la Chiesa abbia adottato l’istituto processuale per risolvere questioni intraecclesiali d’indole giuridica. Si è andata consolidando così una tradizione ormai plurisecolare, che si conserva fino ai giorni nostri nei tribunali ecclesiastici di tutto il mondo. Conviene tener presente, inoltre, che il diritto canonico ha contribuito in maniera assai rilevante, all’epoca del diritto classico medioevale, a perfezionare la configurazione dello stesso istituto processuale. La sua applicazione nella Chiesa concerne anzitutto i casi in cui, essendo la materia del contendere disponibile, le parti potrebbero raggiungere un accordo che risolverebbe la lite, ma per vari motivi ciò non avviene. Il ricorso alla via processuale, nel cercare di determinare ciò che è giusto, non solo non mira ad acuire i conflitti, ma a renderli più umani, trovando soluzioni oggettivamente adeguate alle esigenze della giustizia. Naturalmente questa soluzione da sola non basta, poiché le persone hanno bisogno di amore, ma, quando risulta inevitabile, rappresenta un passo significativo nella giusta direzione. I processi, poi, possono vertere anche su materie che esulano dalla capacità di disporre delle parti, nella misura in cui interessano i diritti dell’intera comunità ecclesiale. Proprio in questo ambito si pone il processo dichiarativo della nullità di un matrimonio: il matrimonio infatti, nella sua duplice dimensione naturale e sacramentale, non è un bene disponibile da parte dei coniugi né, attesa la sua indole sociale e pubblica, è possibile ipotizzare una qualche forma di autodichiarazione.
A questo punto viene da sé la seconda osservazione. Nessun processo è a rigore contro l’altra parte, come se si trattasse di infliggerle un danno ingiusto. L’obiettivo non è di togliere un bene a nessuno, bensì di stabilire e tutelare l’appartenenza dei beni alle persone e alle istituzioni. A questa considerazione, valida per ogni processo, nell’ipotesi di nullità matrimoniale se ne aggiunge un’altra più specifica. Qui non vi è alcun bene conteso tra le parti, che debba essere attribuito all’una o all’altra. L’oggetto del processo è invece dichiarare la verità circa la validità o l’invalidità di un concreto matrimonio, vale a dire circa una realtà che fonda l’istituto della famiglia e che interessa in massima misura la Chiesa e la società civile. Di conseguenza si può affermare che in questo genere di processi il destinatario della richiesta di dichiarazione è la Chiesa stessa. Attesa la naturale presunzione di validità del matrimonio formalmente contratto, il mio predecessore, Benedetto XIV, insigne canonista, ideò e rese obbligatoria la partecipazione del difensore del vincolo a detti processi (cfr Cost. ap. Dei miseratione, 3 novembre 1741). In tal modo viene garantita maggiormente la dialettica processuale, volta ad accertare la verità.
Il criterio della ricerca della verità, come ci guida a comprendere la dialettica del processo, così può servirci per cogliere l’altro aspetto della questione: il suo valore pastorale, che non può essere separato dall’amore alla verità. Può avvenire infatti che la carità pastorale sia a volte contaminata da atteggiamenti compiacenti verso le persone. Questi atteggiamenti possono sembrare pastorali, ma in realtà non rispondono al bene delle persone e della stessa comunità ecclesiale; evitando il confronto con la verità che salva, essi possono addirittura risultare controproducenti rispetto all’incontro salvifico di ognuno con Cristo. Il principio dell’indissolubilità del matrimonio, riaffermato da Giovanni Paolo II con forza in questa sede (cfr i discorsi del 21 gennaio 2000, in AAS, 92 [2000], PP 350-355 pp. 350-355; e del 28 gennaio 2002, in AAS, 94 [2002], PP 340-346), appartiene all’integrità del mistero cristiano. Oggi purtroppo ci è dato di constatare che questa verità è talvolta oscurata nella coscienza dei cristiani e delle persone di buona volontà. Proprio per questo motivo è ingannevole il servizio che si può offrire ai fedeli e ai coniugi non cristiani in difficoltà rafforzando in loro, magari solo implicitamente, la tendenza a dimenticare l’indissolubilità della propria unione. In tal modo, l’eventuale intervento dell’istituzione ecclesiastica nelle cause di nullità rischia di apparire quale mera presa d’atto di un fallimento.
La verità cercata nei processi di nullità matrimoniale non è tuttavia una verità astratta, avulsa dal bene delle persone. È una verità che si integra nell’itinerario umano e cristiano di ogni fedele. È pertanto assai importante che la sua dichiarazione arrivi in tempi ragionevoli. La Provvidenza divina sa certo trarre il bene dal male, anche quando le istituzioni ecclesiastiche trascurassero il loro dovere o commettessero degli errori. Ma è un obbligo grave quello di rendere l’operato istituzionale della Chiesa nei tribunali sempre più vicino ai fedeli. Inoltre, la sensibilità pastorale deve portare a cercare di prevenire le nullità matrimoniali in sede di ammissione alle nozze e ad adoperarsi affinché i coniugi risolvano i loro eventuali problemi e trovino la via della riconciliazione. La stessa sensibilità pastorale dinanzi alle situazioni reali delle persone deve però portare a salvaguardare la verità e ad applicare le norme previste per tutelarla nel processo.
Mi auguro che queste riflessioni giovino a far comprendere meglio come l’amore alla verità raccordi l’istituzione del processo canonico di nullità matrimoniale con l’autentico senso pastorale che deve animare tali processi. In questa chiave di lettura, l’Istruzione Dignitas connubii e le preoccupazioni emerse nell’ultimo Sinodo si rivelano del tutto convergenti. Carissimi, attuare quest’armonia è il compito arduo ed affascinante per il cui discreto svolgimento la comunità ecclesiale vi è tanto grata. Con il cordiale auspicio che la vostra attività giudiziale contribuisca al bene di tutti coloro che si rivolgono a voi e li favorisca nell’incontro personale con la Verità che è Cristo, con riconoscenza ed affetto vi benedico.
Febbraio 2006
Discorsi 2005-13 26016