Discorsi 2005-13 11359

VISITA AL MAUSOLEO DI YAD VASHEM Gerusalemme Lunedì, 11 maggio 2009

11359

“Io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome… darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato” (
Is 56,5).

Questo passo tratto dal Libro del profeta Isaia offre le due semplici parole che esprimono in modo solenne il significato profondo di questo luogo venerato: yad – “memoriale”; shem – “nome”. Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia sopravissuti e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente.

Uno può derubare il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di un altro essere umano.

La Sacra Scrittura ci insegna l’importanza dei nomi quando viene affidata a qualcuno una missione unica o un dono speciale. Dio ha chiamato Abram “Abraham” perché doveva diventare il “padre di molti popoli” (Gn 17,5). Giacobbe fu chiamato “Israele” perché aveva “combattuto con Dio e con gli uomini ed aveva vinto” (cfr Gn 32,29). I nomi custoditi in questo venerato monumento avranno per sempre un sacro posto fra gli innumerevoli discendenti di Abraham. Come avvenne per Abraham, anche la loro fede fu provata. Come per Giacobbe, anch’essi furono immersi nella lotta per discernere i disegni dell’Onnipotente. Possano i nomi di queste vittime non perire mai! Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà rimanere vigilante per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!

La Chiesa Cattolica, vincolata agli insegnamenti di Gesù e protesa ad imitarne l’amore per ogni persona, prova profonda compassione per le vittime qui ricordate. Alla stessa maniera, essa si schiera accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione – le loro sofferenze sono le sue e sua è la loro speranza di giustizia. Come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ribadisco – come i miei predecessori – l’impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi per assicurare che l’odio non regni mai più nel cuore degli uomini. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio della pace (cfr Ps 85,9).

Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose ed imperscrutabili vie. Egli ha rivelato se stesso e continua ad operare nella storia umana. Lui solo governa il mondo con giustizia e giudica con equità ogni popolo (cfr Ps 9,9).

Fissando lo sguardo sui volti riflessi nello specchio d’acqua che si stende silenzioso all’interno di questo memoriale, non si può fare a meno di ricordare come ciascuno di loro rechi un nome. Posso soltanto immaginare la gioiosa aspettativa dei loro genitori, mentre attendevano con ansia la nascita dei loro bambini. Quale nome daremo a questo figlio? Che ne sarà di lui o di lei? Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbero stati condannati ad un così lacrimevole destino!

Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente. Nel professare la nostra incrollabile fiducia in Dio, diamo voce a quel grido con le parole del Libro delle Lamentazioni, così cariche di significato sia per gli ebrei che per i cristiani:

“Le grazie del Signore non sono finite,
non sono esaurite le sue misericordie.
Si rinnovano ogni mattina,
grande è la sua fedeltà:
«Mia parte è il Signore – io esclamo –,
per questo in lui spero».
Buono è il Signore con chi spera in lui,
con colui che lo cerca.
È bene aspettare in silenzio
la salvezza del Signore” (3,22-26).

Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per pregare, un silenzio per sperare.





INCONTRO CON LE ORGANIZZAZIONI PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO Auditorium del Notre Dame of Jerusalem Center - Gerusalemme Lunedì, 11 maggio 2009

11459

Cari Fratelli Vescovi,
Distinti Capi Religiosi,
Cari Amici,

è motivo di grande gioia per me incontrarvi questa sera. Desidero ringraziare Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal per le sue gentili parole di benvenuto pronunciate a nome di tutti i presenti. Ricambio i calorosi sentimenti espressi e cordialmente saluto tutti voi e i membri dei gruppi ed organizzazioni che rappresentate.

“Il Signore disse ad Abramo, ‘Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò’... Allora Abramo partì... e prese la moglie Sarài” con sé (
Gn 12,1-5). L’irruzione della chiamata di Dio, che segna gli inizi della storia delle tradizioni della nostra fede, venne udita nel mezzo dell’ordinaria esistenza quotidiana dell’uomo. E la storia che ne conseguì fu plasmata, non nell’isolamento, ma attraverso l’incontro con la cultura Egiziana, Hittita, Sumerica, Babilonese, Persiana e Greca.

La fede è sempre vissuta in una cultura. La storia della religione mostra che una comunità di credenti procede per gradi di fedeltà piena a Dio, prendendo dalla cultura che incontra e plasmandola. Questa stessa dinamica si riscontra in singoli credenti delle tre grandi tradizioni monoteistiche: in sintonia con la voce di Dio, come Abramo, rispondiamo alla sua chiamata e partiamo cercando il compimento delle sue promesse, sforzandoci di obbedire alla sua volontà, tracciando un percorso nella nostra particolare cultura.

Oggi, circa quattro mila anni dopo Abramo, l’incontro di religioni con la cultura si realizza non semplicemente su un piano geografico. Certi aspetti della globalizzazione ed in particolare il mondo dell’internet hanno creato una vasta cultura virtuale il cui valore è tanto vario quanto le sue innumerevoli manifestazioni. Indubbiamente molto è stato realizzato per creare un senso di vicinanza e di unità all'interno dell’universale famiglia umana. Tuttavia, allo stesso tempo, l'uso illimitato di portali, attraverso i quali le persone hanno facile accesso a indiscriminate fonti di informazioni, può divenire facilmente uno strumento di crescente frammentazione: l’unità della conoscenza viene frantumata e le complesse abilità di critica, discernimento e discriminazione apprese dalle tradizioni accademiche ed etiche sono a volte aggirate o trascurate.

La domanda che poi sorge naturalmente è quale contributo porti la religione alle culture del mondo che contrasti la ricaduta di una così rapida globalizzazione. Mentre molti sono pronti a indicare le differenze tra le religioni facilmente rilevabili, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune.

Il primo passo di Abramo nella fede, e i nostri passi verso o dalla sinagoga, la chiesa, la moschea o il tempio, percorrono il sentiero della nostra singola storia umana, spianando la strada, potremmo dire, verso l’eterna Gerusalemme (cfr Ap 21,23). Similmente ogni cultura con la sua specifica capacità di dare e ricevere dà espressione all'unica natura umana. Tuttavia, ciò che è proprio dell’individuo non è mai espresso pienamente attraverso la cultura di lui o di lei, ma piuttosto lo trascende nella costante ricerca di qualcosa al di là. Da questa prospettiva, cari Amici, noi vediamo la possibilità di un’unità che non dipende dall’uniformità. Mentre le differenze che analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a volte apparire come barriere, tuttavia esse non esigono di oscurare il senso comune di timore riverenziale e di rispetto per l'universale, per l'assoluto e per la verità che spinge le persone religiose ad avviare innanzitutto dialoghi l’una con l’altra. Di fatto, è invece la condivisa convinzione che queste realtà trascendenti hanno la loro fonte nell’Onnipotente e ne portano tracce – è questa convinzione che i credenti mettono in evidenza gli uni di fronte agli altri, come anche di fronte alle nostre organizzazioni, alla nostra società e al nostro mondo. In questo modo, non solo noi possiamo arricchire la cultura, ma anche plasmarla: vite di religiosa fedeltà echeggiano l’irrompente presenza di Dio e formano così una cultura non definita dai limiti del tempo o del luogo, ma fondamentalmente plasmate dai principi e dalle azioni che provengono dalla fede.

La fede religiosa presuppone la verità. Colui che crede è colui che cerca la verità e vive in base ad essa. Benché il mezzo attraverso il quale noi comprendiamo la scoperta e la comunicazione della verità differisca in parte da religione a religione, non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità. Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature e che Egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo. Amici, se crediamo di avere un criterio di giudizio e di discernimento che è divino nella sua origine e destinato a tutta l’umanità, allora non possiamo stancarci di portare tale conoscenza ad influire sulla vita civile. La verità deve essere offerta a tutti; essa serve a tutti i membri della società. Essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica, e permea la ragione con la forza di andare oltre i suoi limiti per dare espressione alle nostre più profonde aspirazioni comuni. Lungi dal minacciare la tolleranza delle differenze o della pluralità culturale, la verità rende il consenso possibile e mantiene ragionevole, onesto e verificabile il pubblico dibattito e apre la strada alla pace. Promuovendo la volontà di essere obbedienti alla verità, di fatto, allarga il nostro concetto di ragione e il suo ambito di applicazione e rende possibile il dialogo genuino delle culture e delle religioni, di cui c’è oggi così urgente bisogno.

Ciascuno di noi qui presenti sa pure, comunque, che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca. Possiamo noi allora creare spazi, oasi di pace e di riflessione profonda, in cui si possa nuovamente udire la voce di Dio, in cui la sua verità può essere scoperta all’interno dell’universalità della ragione, in cui ogni individuo, senza distinzione di luogo dove abita, o di gruppo etnico, o di tinta politica, o di credenza religiosa, può essere rispettato come persona, come un essere umano, un proprio simile? In un’epoca di accesso immediato all’informazione e di tendenze sociali che generano una specie di monocultura, la riflessione profonda che contrasti l’allontanamento della presenza di Dio rafforzerà la ragione, stimolerà il genio creativo, faciliterà la valutazione critica delle consuetudini culturali e sosterrà il valore universale della credenza religiosa.

Amici, le istituzioni e i gruppi che voi rappresentate s’impegnano nel dialogo interreligioso e nella promozione di iniziative culturali in un vasto ambito di livelli. Dalle istituzioni accademiche – e qui voglio fare speciale menzione delle eccezionali conquiste dell’Università di Betlemme – ai gruppi di genitori in difficoltà, da iniziative mediante la musica e le arti all’esempio coraggioso di madri e padri ordinari, dai gruppi di dialogo alle organizzazioni caritative, voi quotidianamente dimostrate la vostra convinzione che il nostro dovere davanti a Dio non si esprime soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella cura per la società, per la cultura, per il nostro mondo e per tutti coloro che vivono in questa terra. Qualcuno vorrebbe che noi crediamo che le nostre differenze sono necessariamente causa di divisione e pertanto al più da tollerarsi. Alcuni addirittura sostengono che le nostre voci devono semplicemente essere ridotte al silenzio. Ma noi sappiamo che le nostre differenze non devono mai essere mal rappresentate come un’inevitabile sorgente di frizione o di tensione sia tra noi stessi sia, più in largo, nella società. Al contrario, esse offrono una splendida opportunità per persone di diverse religioni di vivere insieme in profondo rispetto, stima e apprezzamento, incoraggiandosi reciprocamente nelle vie di Dio. Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!




VISITA DI CORTESIA AL GRAN MUFTI Spianata delle Moschee - Gerusalemme Martedì, 12 maggio 2009

12059

Cari Amici Musulmani,

As-salámu ‘aláikum! Pace a voi!

Ringrazio cordialmente il Gran Muftì, Muhammad Ahmad Hussein, insieme con il Direttore del Jerusalem Islamic Waqf, Sheikh Mohammed Azzam al-Khatib al-Tamimi e il Capo del Awquaf Council, Sheikh Abdel Azim Salhab, per le parole di benvenuto che essi mi hanno rivolto a vostro nome. Sono profondamente grato per l’invito a visitare questo sacro luogo e volentieri porgo i miei ossequi a voi e ai capi della comunità Islamica in Gerusalemme.

La Cupola della Roccia conduce i nostri cuori e le nostre menti a riflettere sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo. Qui le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune. Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto. Ciascuna riconosce Abramo come proprio antenato, un uomo di fede al quale Dio ha concesso una speciale benedizione. Ciascuna ha raccolto schiere di seguaci nel corso dei secoli ed ha ispirato un ricco patrimonio spirituale, intellettuale e culturale.

In un mondo tristemente lacerato da divisioni, questo sacro luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato e a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno.

Poiché gli insegnamenti delle tradizioni religiose riguardano ultimamente la realtà di Dio, il significato della vita ed il destino comune dell’ umanità – vale a dire, tutto ciò che è per noi molto sacro e caro – può esserci la tentazione di impegnarsi in tale dialogo con riluttanza o ambiguità circa le sue possibilità di successo. Possiamo tuttavia cominciare col credere che l’Unico Dio è l’infinita sorgente della giustizia e della misericordia, perché in Lui entrambe esistono in perfetta unità. Coloro che confessano il suo nome hanno il compito di impegnarsi instancabilmente per la rettitudine, pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrinsecamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana.

Per questa ragione, è scontato che coloro che adorano l’Unico Dio manifestino essi stessi di essere fondati su ed incamminati verso l’unità dell’intera famiglia umana. In altre parole, la fedeltà all’Unico Dio, il Creatore, l’Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l’uno all’altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune. Marcati con l’indelebile immagine del divino, essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana.

Questo pone una grave responsabilità su di noi. Coloro che onorano l’Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni. I Cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro e a servirlo nella carità. L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto. Questa è la ragione perché operiamo instancabilmente per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta.

Cari Amici, sono venuto a Gerusalemme in un pellegrinaggio di fede. Ringrazio Dio per questa occasione che mi è data di incontrarmi con voi come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ma anche come figlio di Abramo, nel quale “tutte le famiglie della terra si diranno benedette” (
Gn 12,3 cfr Rm 4,16-17). Vi assicuro che è ardente desiderio della Chiesa di cooperare per il benessere dell’umana famiglia. Essa fermamente crede che il compimento della promessa fatta ad Abramo ha una portata universale, che abbraccia tutti gli uomini e le donne indipendentemente dalla loro provenienza o dal loro stato sociale. Mentre Musulmani e Cristiani continuano il dialogo rispettoso che già hanno iniziato, prego affinché essi possano esplorare come l’Unicità di Dio sia inestricabilmente legata all’unità della famiglia umana. Sottomettendosi al suo amabile piano della creazione, studiando la legge inscritta nel cosmo ed inserita nel cuore dell’uomo, riflettendo sul misterioso dono dell’autorivelazione di Dio, possano tutti coloro che vi aderiscono continuare a tenere lo sguardo fisso sulla sua bontà assoluta, mai perdendo di vista come essa sia riflessa sul volto degli altri.

Con questi pensieri, umilmente chiedo all’Onnipotente di donarvi pace e di benedire tutto l’amato popolo di questa regione. Impegniamoci a vivere in spirito di armonia e di cooperazione, dando testimonianza all’Unico Dio mediante il servizio che generosamente ci rendiamo l’un l’altro. Grazie!




PREGHIERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AL MURO OCCIDENTALE DI GERUSALEMME Martedì, 12 maggio 2009

12159

Dio di tutti i tempi,
in occasione della mia visita a Gerusalemme,
la “Città della Pace”,
patria spirituale di Ebrei, Cristiani e Musulmani,
porto al tuo cospetto le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le prove, la sofferenza e il dolore
di tutto il tuo popolo in ogni parte del mondo.

Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, di chi ha paura,
di chi è privo di speranza;
manda la tua pace in questa Terra Santa,
nel Medio Oriente,
in tutta la famiglia umana;
muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome,
perché percorrano umilmente
il cammino della giustizia e della compassione.

“Buono è il Signore con chi spera in Lui,
con colui che lo cerca!” (
Lm 3,25).




VISITA AL GRAN RABBINATO Centro Hechal Shlomo - Gerusalemme Martedì, 12 maggio 2009

12259
Distinti Rabbini,
Cari Amici,

vi sono riconoscente per l’invito fattomi a visitare Hechal Shlomo e ad incontrarmi con voi durante questo mio viaggio in Terra Santa come Vescovo di Roma. Ringrazio Sephardi Rabbi Shlomo Amar e Ashknazi Rabbi Yona Metzger per le loro calorose parole di benvenuto e per il desiderio da loro espresso di continuare a fortificare i vincoli di amicizia che la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato si sono impegnati così diligentemente a far avanzare nell’ultimo decennio. Le vostre visite in Vaticano nel 2003 e 2005 sono un segno della buona volontà che caratterizza le nostre relazioni in crescita.

Distinti Rabbini, contraccambio tale atteggiamento esprimendo a mia volta i miei personali sentimenti di rispetto e di stima per voi e per le vostre comunità. Vi assicuro del mio desidero di approfondire la vicendevole comprensione e la cooperazione fra la Santa Sede, il Gran Rabbinato di Israele e il popolo Ebraico in tutto il mondo.

Un grande motivo di soddisfazione per me fin dall’inizio del mio pontificato è stato il frutto prodotto dal dialogo in corso tra la Delegazione della Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con gli Ebrei e la Delegazione del Gran Rabbinato di Israele per i Rapporti con la Chiesa Cattolica. Desidero ringraziare i membri di entrambe le Delegazioni per la loro dedizione e il faticoso lavoro nel perfezionare questa iniziativa, così sinceramente desiderata dal mio venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, come egli volle affermare nel Grande Giubileo del 2000.

Il nostro odierno incontro è un’occasione molto appropriata per rendere grazie all’Onnipotente per le tante benedizioni che hanno accompagnato il dialogo condotto dalla Commissione Bilaterale, e per guardare con speranza alle sue future sessioni. La buona volontà dei delegati nel discutere apertamente e pazientemente non solo i punti di intesa, ma anche i punti di disaccordo, ha anche spianato la strada per una più efficace collaborazione nella vita pubblica. Ebrei e Cristiani sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana. Questi temi di dialogo rappresentano solo la fase iniziale di ciò che noi speriamo sarà un solido, progressivo cammino verso una migliorata reciproca comprensione.

Una indicazione del potenziale di questa serie di incontri si è subito vista nella nostra condivisa preoccupazione di fronte al relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana. Nell’avvicinare le più urgenti questioni etiche dei nostri giorni, le nostre due comunità si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali. Possa il dialogo che è stato avviato continuare a generare idee su come sia possibile a Cristiani ed Ebrei lavorare insieme per accrescere l'apprezzamento della società per i contributi caratteristici delle nostre tradizioni religiose ed etiche. Qui in Israele i Cristiani, dal momento che costituiscono solamente una piccola parte della popolazione totale, apprezzano in modo particolare le opportunità di dialogo con i loro vicini ebrei.

La fiducia è innegabilmente un elemento essenziale per un dialogo effettivo. Oggi ho l’opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei. Come la Dichiarazione Nostra Aetate ha chiarito, la Chiesa continua a valorizzare il patrimonio spirituale comune a Cristiani ed Ebrei e desidera una sempre più profonda mutua comprensione e stima tanto mediante gli studi biblici e teologici quanto mediante i dialoghi fraterni. I sette incontri della Commissione Bilaterale che già hanno avuto luogo tra la Santa Sede e il Gran Rabbinato possano costituirne una prova! Vi sono così molto grato per la vostra condivisa assicurazione che l’amicizia fra la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato continuerà in futuro a svilupparsi nel rispetto e nella comprensione.

Amici miei, esprimo ancora una volta il mio profondo apprezzamento per il benvenuto che mi avete rivolto oggi. Confido che la nostra amicizia continui a porsi come esempio di fiducia nel dialogo per gli Ebrei e i Cristiani di tutto il mondo. Guardando ai risultati finora raggiunti, e traendo la nostra ispirazione dalle Sacre Scritture, possiamo con fiducia puntare ad una sempre più convinta cooperazione fra le nostre comunità – insieme con tutte le persone di buona volontà – nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo. Prego Iddio, che scruta i nostri cuori e conosce i nostri pensieri ( Sl 139,23), perché continui ad illuminarci con la sua sapienza, così che possiamo seguire i suoi comandamenti di amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (cfr
Dt 6,5) e di amare il nostro prossimo come noi stessi (Lv 19,18). Grazie !




BREVE VISITA ALLA CONCATTEDRALE DEI LATINI Gerusalemme Martedì, 12 maggio 2009

12359
Beatitudine,

La ringrazio per le Sue parole di benvenuto. Ringrazio anche il Patriarca Emerito ed assicuro entrambi dei miei fraterni auguri e delle mie preghiere.

Cari fratelli e sorelle in Cristo, sono lieto di essere qui con voi oggi in questa Concattedrale, dove la comunità cristiana di Gerusalemme continua a riunirsi come ha fatto per secoli, sempre fin dai primi giorni della Chiesa. Qui, in questa città, Pietro per primo predicò la Buona Novella di Gesù Cristo il giorno di Pentecoste, quando circa tremila anime si unirono al numero dei discepoli. Ancora qui i primi cristiani “erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” ( At
Ac 2,42). Da Gerusalemme il Vangelo si è diffuso “per tutta la terra... fino ai confini del mondo” (Sl 19, 4), ed in ogni tempo lo sforzo dei missionari della Chiesa è stato sostenuto dalle preghiere dei fedeli, raccolti attorno all’altare del Signore, per invocare la forza dello Spirito Santo sull’opera della predicazione.

Soprattutto sono state le preghiere di coloro la cui vocazione, secondo le parole di Santa Teresa di Lisieux, è di essere “l’amore, nel profondo del cuore della Chiesa” (Lettera alla sorella Maria del Sacro Cuore), che sostiene l’opera dell’evangelizzazione. Desidero esprimere una particolare parola di apprezzamento per l’apostolato nascosto delle persone di vita contemplativa che sono qui presenti, e ringraziarvi per la vostra generosa dedizione ad una vita di preghiera e di abnegazione. Sono particolarmente grato per le preghiere che offrite per il mio ministero universale e vi chiedo di continuare a raccomandare al Signore il mio servizio al popolo di Dio in tutto il mondo. Con le parole del Salmista chiedo anch’io a voi di “pregare per la pace di Gerusalemme” (Sl 122,6), di pregare continuamente per la fine del conflitto che ha arrecato così grandi sofferenze ai popoli di questa regione. Ed ora vi imparto la mia Benedizione.





CERIMONIA DI BENVENUTO Piazzale antistante il Palazzo Presidenziale - Betlemme Mercoledì, 13 maggio 2009

13059
Signor Presidente,
Cari amici,

saluto tutti voi dal profondo del cuore, e vivamente ringrazio il Presidente, il Sig. Mahmoud Abbas, per le sue parole di benvenuto. Il mio pellegrinaggio nelle terre della Bibbia non sarebbe stato completo senza una visita a Betlemme, la Città di Davide e il luogo di nascita di Gesù Cristo. Né avrei potuto venire in Terra Santa senza accettare il gentile invito del Presidente Abbas a visitare questi Territori per salutare il popolo Palestinese. So quanto avete sofferto e continuate a soffrire a causa delle agitazioni che hanno afflitto questa terra per decine di anni. Il mio cuore si volge a tutte le famiglie che sono rimaste senza casa. Questo pomeriggio farò una visita all’Aida Refugee Camp per esprimere la mia solidarietà con il popolo che ha perduto così tanto. A quelli fra voi che piangono la perdita di familiari e di loro cari nelle ostilità, particolarmente nel recente conflitto di Gaza, offro l’assicurazione della profonda compassione e del frequente ricordo nella preghiera. In effetti, io prendo con me tutti voi nelle mie preghiere quotidiane, ed imploro ardentemente l'Onnipotente per la pace, una pace giusta e durevole, nei Territori Palestinesi e in tutta la regione.

Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei Suoi antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti. Anche se al presente questo obiettivo sembra lontano dall’essere realizzato, io incoraggio Lei e tutto il Suo popolo a tenere viva la fiamma della speranza, speranza che si possa trovare una via di incontro tra le legittime aspirazioni tanto degli Israeliani quanto dei Palestinesi alla pace e alla stabilità. Secondo le parole del Papa Giovanni Paolo II, non vi può essere “pace senza giustizia, né giustizia senza perdono” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002). Supplico tutte le parti coinvolte in questo conflitto di vecchia data ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frappongono sulla via della riconciliazione, per arrivare a tutti ugualmente con generosità e compassione, senza discriminazione. Una coesistenza giusta e pacifica fra i popoli del Medio Oriente può essere realizzata solamente con uno spirito di cooperazione e mutuo rispetto, in cui i diritti e la dignità di tutti siano riconosciuti e rispettati. Chiedo a tutti voi, chiedo ai vostri capi, di riprendere con rinnovato impegno ad operare per questi obiettivi. In particolare, chiedo alla Comunità internazionale di usare della sua influenza in favore di una soluzione. Credete e abbiate fiducia che attraverso un onesto e perseverante dialogo, con pieno rispetto per le aspettative di giustizia, una durevole pace possa essere realmente raggiunta in queste terre.

E’ mia ardente speranza che i gravi problemi riguardanti la sicurezza in Israele e nei Territori Palestinesi vengano presto decisamente alleggeriti così da permettere una maggiore libertà di movimento, con speciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi. I Palestinesi, così come ogni altra persona, hanno un naturale diritto a sposarsi, a formarsi una famiglia e avere accesso al lavoro, all’educazione e all’assistenza sanitaria. Prego anche perché, con l’aiuto della Comunità internazionale, il lavoro di ricostruzione possa procedere rapidamente dovunque case, scuole od ospedali siano stati danneggiati o distrutti, specialmente durante il recente conflitto in Gaza. Questo è essenziale affinché il popolo di questa terra possa vivere in condizioni che favoriscano pace durevole e benessere. Una stabile infrastruttura offrirà ai vostri giovani opportunità migliori per acquisire valide specializzazioni e per ottenere impieghi remunerativi, abilitandoli a svolgere la loro parte nella promozione della vita delle vostre comunità. Rivolgo questo appello ai tanti giovani presenti oggi nei Territori Palestinesi: non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo. Al contrario, fate in modo che quanto avete sperimentato rinnovi la vostra determinazione a costruire la pace. Fate in modo che ciò vi riempia di un profondo desiderio di offrire un durevole contributo per il futuro della Palestina, così che essa possa avere il suo giusto posto nello scenario del mondo. Che ciò ispiri in voi sentimenti di compassione per tutti coloro che soffrono, impegno per la riconciliazione ed una ferma fiducia nella possibilità di un più luminoso futuro.

Signor Presidente, cari amici riuniti qui a Betlemme, invoco su tutto il popolo Palestinese le benedizioni e la protezione del nostro Padre celeste, ed elevo la fervida preghiera che il canto degli angeli risuonato in questo luogo si compia: “pace sulla terra agli uomini di buona volontà”. Grazie. E Dio sia con voi.






Discorsi 2005-13 11359