Caterina, Dialogo 130

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CAPITOLO CXXX.

O carissima figliuola, questi miseri de' quali Io t'ò narrato, non ci ànno alcuna considerazione, però che se essi l'avessero non verrebbero a tanti difetti, né eglino né gli altri, ma farebbero come gli altri che virtuosamente vivevano, i quali prima eleggevano la morte che essi volessero offendere me e sozzare la faccia de l'anima loro e diminuire la dignità nella quale Io gli avevo posti, ma crescevano la dignità e bellezza de l'anime loro. Non che la dignità del sacerdote, puramente la dignità, possa crescere per virtù né menovare per difetto, come Io t'ò detto; ma le virtù sono uno adornamento e una dignità ched à ne l'anima, oltre alla pura bellezza de l'anima che ella à dal suo principio quando Io la creai alla imagine e similitudine mia.

Questi cognobbero la verità della bontà mia, bellezza e dignità loro, perché la superbia e l'amore proprio non l'aveva offuscato né tolto il lume della ragione: però che n'erano privati, e amavano me e la salute de l'anime; ma questi tapinelli, perché al tutto sono privati del lume, non si curano d'andare di vizio in vizio, in fine che essi giongono alla fossa. E del tempio de l'anime loro, e della santa Chiesa, che è uno giardino, ne fanno ricettacolo d'animali.

O carissima figliuola, quanto m'è abominevole! Ché le case loro debbono essere ricettacolo de' servi miei e de' povarelli - e debbono tenere per sposa il breviario, e i libri della santa Scrittura per figliuoli, e ine dilettarsi per dare dottrina al prossimo suo in prendere santa vita - ed esse sono ricettacolo di immonde e inique persone. La sposa sua non è (132r) il breviario - anco tratta questa sposa del breviario come adultera - ma è una miserabile dimonia che immondamente vive con lui; i libri suoi sono la brigata dei figliuoli; e co' figliuoli che egli à acquistati in tanta bruttura e miseria si diletta senza vergogna alcuna.

Le pasque e i dì solenni, nelle quali egli debba rendere gloria e loda al nome mio col divino officio, e gittarmi incenso d'umili e devote orazioni, ed egli sta in giuoco e in sollazzo con le sue dimonie e va brigantando co' secolari, cacciando e uccellando come se egli fusse uno secolare e uno signore di corte.

O misero uomo a che se' venuto? Tu debbi cacciare e ucciellare ad anime per gloria e loda del nome mio, e stare nel giardino della santa Chiesa, e tu vai per li boschi. Ma perché tu se' fatto bestia, tieni dentro ne l'anima tua gli animali de' molti peccati mortali; e però se' fatto cacciatore e ucellatore di bestie, perché l'orto de l'anima tua è insalvatichito e pieno di spine; e però ài preso diletto d'andare per li luoghi diserti cercando le bestie salvatiche.

Vergognati uomo, e raguarda i tuoi difetti, però che ài materia di vergognarti da qualunque lato tu ti volli.

Ma tu non ti vergogni, perché ài perduto il santo e vero timore di me, ma come la meretrice che è senza vergogna, ti vantarai di tenere il grande stato nel mondo e d'avere la bella fameglia e la brigata de' molti figliuoli. E se tu non gli ài cerchi d'averli, perché rimangano eredi del tuo. Ma tu se' ladro e furo, però che tu sai bene che tu no'l puoi lassare, perché le tue erede sono i povari e la santa Chiesa. O dimonio incarnato, senza lume! Tu cerchi quello che tu non debbi cercare, loditi e vantiti di quello che tu debbi venire a grande confusione e vergognarti dinnanzi da me, che veggo lo intrinsico del cuore tuo, e dinanzi dalle creature. Tu se' confuso, e le corna della tua superbia non ti lassano vedere la tua confusione.

O carissima figliuola, Io l'ò posto (132v) in sul ponte della dottrina della mia Verità a ministrare a voi peregrini i sacramenti della santa Chiesa, ed egli sta nel miserabile fiume di sotto al ponte, e nel fiume delle delizie e miserie del mondo ve li ministra, e non se n'avede che gli giogne l'onda della morte, e vanne insiememente co' suoi signori dimoni, i quali egli à serviti e lassatosi guidare per la via del fiume senza alcuno ritegno. E se egli non si corregge, giogne a l'etterna dannazione con tanta reprensione e rimproverio che la lingua tua non sarebbe sufficiente a narrarlo. E molto più egli, per l'offizio del sacerdote, che uno altro secolare; unde una medesima colpa è più punita in lui che in un altro che fusse nello stato del mondo, e con più rimproverio si levano i nemici suoi nel punto della morte ad accusarlo, sì come Io ti dissi.



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CAPITOLO CXXXI.

E perché Io ti narrai come il mondo e le dimonia e la propria sensualità l'accusava, e così è la verità, ora te'l voglio dire in questo punto, sopra questi miseri più distesamente, perché tu l'abbi maggiore compassione, quanto sono differenti le battaglie che riceve l'anima del giusto a quelle del peccatore, e quanto è differente la morte loro, e in quanta pace è la morte del giusto, più e meno secondo la perfezione de l'anima.

Unde Io voglio che tu sappi che tutte quante le pene che le creature che ànno in loro ragione ànno, stanno nella volontà, però che se la volontà fusse ordinata e acordata con la volontà mia non sosterrebbe pena.

Non che fussero però tolte le fadighe; ma a quella volontà che volontariamente porta per lo mio amore non le sarebbe pena, § 45 ,943ss.) perché volontieri portano vedendo che è la mia volontà. E per l'odio santo che ànno di loro medesimi ànno fatto guerra col mondo, col dimonio e con la propria loro sensualità. Unde, venendo al punto della morte, la morte loro è in pace, perché i nemici suoi nella vita sono stati sconfitti da lui. Il mondo no'l può accusare, però che egli cognobbe i suoi (133r) inganni e però renunziò al mondo e a tutte le sue delizie. La fragile sensualità e corpo suo non l'accusa, però che egli la tenne come serva col freno della ragione, macerando la carne con la penitenzia con la vigilia e con l'umile e continua orazione. La volontà sensitiva uccise con odio e dispiacimento del vizio e amore della virtù, in tutto perduta la tenerezza del corpo suo; la quale tenerezza e amore, che è tra l'anima e 'l corpo, naturalmente fa parere malagevole la morte, e però naturalmente l'uomo teme la morte.

Ma perché la virtù nel giusto perfetto passa la natura - ciò è che il timore che gli è naturale lo' spegne - e' trapassa con l'odio santo e col desiderio di tornare al fine suo, sì che la tenerezza naturale non gli può fare guerra. La conscienzia sta quieta perché nella vita sua fece buona guardia, abbaiando quando i nemici passavano per volere tollere la città de l'anima. Sì come il cane che sta a la porta, il quale vedendo i nemici abbaia, e abbaiando desta le guardie, così questo cane della coscienzia destò la guardia della ragione, e la ragione insiememente col libero arbitrio cognobbero, col lume de l'intelletto, chi era amico o nemico. A l'amico, cioè le virtù e i santi pensieri del cuore, diero dilezione e affetto d'amore, esercitandole con grande sollicitudine, e al nemico, cioè al vizio e alle perverse cogitazioni, diero odio e dispiacimento; e col coltello de l'odio e de l'amore e col lume della ragione e con la mano del libero arbitrio percosse i nemici suoi. Sì che poi al punto della morte la coscienzia non si rode, perché ella fece buona guardia, ma stassi in pace.

è vero che l'anima, per umilità e perché nel tempo della morte meglio cognosce il tesoro del tempo e le pietre preziose delle virtù, riprende se medesima parendole poco avere esercitato questo tempo; ma questa non è pena affliggitiva anco è pena ingrassativa, però che fa l'anima ricogliere tutta in se medesima, ponendosi dinanzi il sangue (133v) de l'umile e immaculato Agnello mio Figliuolo. E non si volle a dietro a mirare le virtù sue passate, perché non vuole né può sperare in sue virtù, ma solo nel sangue dove à trovata la misericordia mia. E come è vissuta con la memoria del sangue, così nella morte s'innebria e anniegasi nel sangue.

Le dimonia, perché non la possono riprendere di peccato, perché nella vita sua con sapienzia vinse la loro malizia, giongono per volere vedere se potessero acquistare alcuna cosa, unde giongono orribili, per farle paura, con laidissimo aspetto e con molte e diverse fantasie; ma perché ne l'anima non è veleno di peccato, l'aspetto loro non le dà quel timore né mette paura come a un altro che iniquamente sia vissuto nel mondo.

Vedendo le dimonia che l'anima è intrata nel sangue con ardentissima carità, non la possono sostenere, ma stanno da la longa a gittare le saette loro. E però la loro guerra e le loro grida a quella anima non nuoce, però che ella comincia già a gustare vita eterna, sì come in un altro luogo ti dissi, però che con l'occhio de l'intelletto, che à la pupilla del lume della santissima fede, vede me suo infinito ed etterno Bene, il quale aspetta d'avere, per grazia e non per debito, nella virtù del sangue di Cristo mio Figliuolo.

Unde distende le braccia della speranza e con le mani de l'amore lo strigne, intrando in possessione prima che vi sia, per lo modo che detto t'ò in un altro luogo. Subito passando, annegata nel sangue, per la porta stretta del Verbo, giogne in me mare pacifico, § 42 ,704ss.) ché siamo uniti insieme, Io mare con la porta, perché Io e la mia Verità, unigenito mio Figliuolo, siamo una medesima cosa. (Jn 10,30) Quanta allegrezza riceve l'anima che tanto dolcemente si vede gionta a questo passo! Però che gusta il bene della natura angelica, e come è vissuta nella carità fraterna col prossimo suo, così participa il bene di tutti i veri gustatori con una carità fraterna l'uno con l'altro. (134r) Questo ricevono generalmente coloro che passano cosí dolcemente. § 41 Ma i ministri miei, de' quali Io ti dissi che erano vissuti come angeli, molto maggiormente, perché in questa vita vissero con più cognoscimento e con più fame de l'onore di me e salute de l'anime. Non dico puramente del lume della virtù che generalmente ogni uno può avere, ma perché questi, aggionto al lume del vivere virtuosamente, che è lume sopranaturale, ebbero il lume della santa scienzia, per la quale scienzia cognobbero più della mia Verità. E chi più cognosce più ama, e chi più ama più riceve. Il merito vostro v'è misurato secondo la misura de l'amore. (Mt 7,2) E se tu mi dimandassi: un altro, che non abbi scienzia, può giognere a questo amore? Sì bene ch'egli è possibile che vi gionga, ma neuna cosa particulare, poniamo che ella possa essere, non fa legge comunemente per ogni uno, e Io ti favello in generale. E anco ricevono maggiore dignità per lo stato del sacerdote, perché propriamente lo' fu dato l'officio del mangiare anime per onore di me. § 76 ,1289ss.) Poniamo che a ogni uno sia dato che tutti doviate stare nella dilezione della carità del prossimo vostro, ma a costoro è dato a ministrare il sangue e governare l'anime, unde facendolo sollicitamente e con affetto di virtù, come detto è, ricevono più costoro che gli altri.

O quanto è beata l'anima loro quando vengono a l'estremità della morte! Perché sono stati annunziatori e difenditori della fede al prossimo loro, essi se l'ànno incarnata dentro nelle merolla de l'anima: con la quale fede veggono il luogo loro in me. La speranza, con la quale è vissuto sperando nella providenzia mia, perdendo la speranza di loro medesimi cioè di none sperare nel loro proprio sapere - e perché essi perdero la speranza di loro non posero affetto disordinato in alcuna creatura né in alcuna cosa creata, per che vissero poveri volontariamente - e però con grande diletto distendono la speranza loro in me.

Il cuore loro, che fu uno vasello di dilezione che portava il nome mio (Ac 9,15) (134v) - con ardentissima carità l'annunziavano con esemplo di buona e santa vita e con la dottrina della parola al prossimo loro - levasi dunque con amore ineffabile e stregne me per affetto d'amore, che so' suo fine, recandomi la margarita della giustizia, perché la portò sempre dinanzi a sé facendo giustizia a ogni uno, e rendeva il debito suo discretamente. E però rende a me giustizia con vera umilità e rende gloria e loda al nome mio, perché retribuisce avere avuto da me grazia d'avere corso il tempo suo con pura e santa coscienzia, e a sé rende indegnazione, reputandosi indegno d'avere ricevuta e ricevere tanta grazia.

La coscienzia sua mi rende buona testimonianza e Io a lui giustamente gli rendo la corona della giustizia (2Tm 4,8) adornata delle margarite delle virtù, cioè del frutto che la carità à tratto delle virtù.

O angelo terrestro! beato te che non se' stato ingrato dei benefizi ricevuti da me e non ài commessa negligenzia né ignoranzia; ma sollicito, con vero lume, tenesti l'occhio tuo aperto sopra i sudditi tuoi, e come fedele e virile pastore ài seguitata la dottrina del vero e buono Pastore, Cristo dolce Iesu unigenito mio Figliuolo. E però realmente tu passi per lui bagnato e annegato nel sangue suo con la torma delle tue pecorelle, le quali, per la santa dottrina e vita tua, n'ài molte condotte alla vita durabile, e molte n'ài lassate in stato di grazia.

O figliuola carissima, a costoro non nuoce la visione delle dimonia, però che la visione di me - la quale per fede veggono e per amore tengono - e perché in loro non è veleno di peccato, la oscurità e terribilezza loro non lo' dà noia né alcuno timore perché in sé non à timore servile, altro che timore santo. Unde non teme i suoi inganni, perché con lume sopranaturale e col lume della santa Scrittura cognosce gl'inganni suoi, sì che non ne riceve tenebre né turbazione di mente. Or così gloriosamente passano bagnati nel sangue, con la fame della salute de l' (135r) anime, tutti affocati nella carità del prossimo, passati per la porta del Verbo e intrati in me. E dalla mia bontà sono conlocati ciascuno nello stato suo e misuratolo' secondo la misura che ànno recata a me dell'affetto della carità.



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CAPITOLO CXXXII.

O carissima figliuola, non è tanta l'eccellenzia di costoro, ched e' non abbino molta miseria i miseri tapinelli de' quali Io t'ò narrato. Quanto è terribile e oscura la morte loro! Però che nel punto della morte, sì com'Io ti dissi, le dimonia gli accusano con tanto terrore e oscurità mostrando la figura loro, che sai che è tanto orribile che ogni pena che in questa vita si potesse sostenere eleggerebbe la creatura, innanzi che vederla nella visione sua. § 38 ,360ss.) E anco se gli rinfresca lo stimolo della conscienzia, che miserabilemente il rode nella conscienzia sua. Le disordinate delizie e la propria sensualità - della quale fece a sé signore, e la ragione fece serva - l'accusano miserabilemente, perché allora cognosce la verità di quello che in prima non cognosceva, unde viene a grande confusione de l'errore suo. Perché nella vita sua visse come infedele, e non fedele a me - perché l'amore proprio gli velò la pupilla del lume della santissima fede - il dimonio el molesta d'infedelità per farlo venire a disperazione.

O quanto gli è dura questa battaglia! perché 'l truova disarmato e non gli truova l'arme dell'affetto della carità; perché in tutto, come membri del diavolo, ne sono stati privati. Unde non ànno lume sopra naturale né quello della scienzia, perché non la intesero, però che le corna della superbia non lo' lassò intendere la dolcezza del suo merollo; unde ora nelle grandi battaglie non sanno che si fare. Nella speranza essi non sono notricati, però che essi non ànno sperato in me, né nel sangue del quale Io gli feci ministri, ma solo in loro medesimi e negli stati e delizie del mondo. E non vedeva, il misero dimonio incarnato, che ogni cosa gli stava (135v) a usura, e come debitore gli conveniva rendere ragione dinanzi da me. Ora si truova nudo e senza alcuna virtù, e da qualunque lato egli si volle non ode altro che rimproverio con grande confusione.

La ingiustizia sua, la quale egli à usata nella vita, l'accusa alla coscienzia, unde non s'ardisce di dimandare altro che giustizia. E dicoti che tanta è quella vergogna e confusione che, se non che essi s'ànno preso nella vita loro per uno uso di sperare nella misericordia mia - bene che per li loro difetti ella è grande presunzione, perché colui che offende col braccio della misericordia in effetto non si può chiamare che questa sia speranza di misericordia, ma più tosto è presunzione - ma pure à preso l'atto della misericordia unde, venendo alla estremità della morte e cognoscendo il difetto suo e scaricando la coscienzia per la santa confessione, è levata la presunzione che non offende più, e rimane la misericordia.

E con questa misericordia possono pigliare atacco di speranza, sed e' vogliono. Che se non fusse questo neuno sarebbe che non si disperasse; e con la disperazione giognerebbe con le dimonia a l'etterna dannazione. Questo fa la mia misericordia, di farlo' sperare nella vita loro nella misericordia, ben che Io non lo 'l do perché essi offendano con la misericordia, ma perché si dilatino in carità e in considerazione della bontà mia. Ma essi l'usano tutta in contrario, però che con la speranza che essi ànno presa della mia misericordia m'offendono. E nondimeno Io gli pure conservo nella speranza della misericordia, perché ne l'ultimo della morte essi abbino a che ataccarsi e al tutto non vengano meno nella reprensione e non giongano a disperazione. Però che molto più è spiacevole a me, e danno a loro, questo ultimo peccato del disperarsi, che tutti gli altri mali che egli à commessi. E questa è la cagione perché egli è più danno a loro e spiacevole a me: perché gli altri (136r) peccati egli gli fa con alcuno diletto della propria sensualità e alcuna volta se ne duole, unde se ne può dolere per modo che per quello dolere riceve misericordia. Ma al peccato della disperazione non il muove fragilità, però che non vi truova diletto alcuno né altro che pena intollerabile; e nella disperazione spregia la misericordia mia, facendo maggiore il difetto suo che la misericordia e bontà mia. Unde caduto ch'egli è in questo peccato non si pente né à dolore de l'offesa mia in verità come si debba dolere: duolsi bene del danno suo, ma non si duole de l'offesa che à fatta a me, e cosí riceve l'etterna dannazione.

Sì che vedi che solo questo peccato el conduce a lo 'nferno, e ne lo 'nferno è crociato di questo e di tutti gli altri difetti che egli à commessi. E se egli si fusse doluto, e pentutosi de l'offesa che aveva fatta a me, e sperato nella misericordia, avarebbe trovato misericordia. Però che senza alcuna comparazione, sì com'Io ti dissi, è maggiore la misericordia mia che tutti i peccati che potesse commettere neuna creatura, e però molto mi dispiace che essi pongano maggiori i difetti loro. E questo è quello peccato che non è perdonato né di qua né di là.

E perché nel ponto della morte, poi che la vita loro è passata scelleratamente, perché molto mi dispiace la disperazione vorrei che pigliassero speranza nella misericordia mia, e però nella vita loro Io uso questo dolce inganno, cioè di farlo' sperare largamente nella mia misericordia; però che, quando vi sono nutricati dentro, in questa speranza giognendo alla morte non sono così inchinevoli a lassarla per le dure reprensioni che odono, sì come farebbero non essendovisi notricati dentro.

Tutto questo lo' dà il fuoco e l'abisso della inestimabile carità mia. Ma perché essi l'ànno usata con la tenebre de l'amore proprio, unde l'è proceduto ogni difetto, non l'ànno cognosciuta in verità; (136v) e però l'è reputato a grande presunzione, quanto che ne l'affetto loro, la dolcezza della misericordia. E questa è un'altra reprensione che lo' dà la coscienzia ne l'aspetto delle dimonia, rimproverandoli che il tempo e la larghezza della misericordia, nella quale egli sperava, si doveva dilatare in carità e in amore delle virtù, e con virtù spendere il tempo che Io per amore gli diei; ed egli, col tempo e con la larga speranza della misericordia, m'offendeva miserabilemente.

O cieco sopra cieco! tu sotterravi la margarita, e'l talento che Io ti missi nelle mani perché tu guadagnassi con esso; e tu come presuntuoso non volesti fare la volontà mia, anco el sotterasti sotto la terra del disordinato amore proprio di te medesimo, il quale ora ti rende frutto di morte. (Mt 13,45 Mt 13,44 Mt 25,14-30) O misero te! quanta è grande la pena tua, la quale tu ora nella estremità ricevi! E non ti sono occulte le tue miserie, però che'l vermine della coscienzia ora non dorme, anco rode. (Mc 9,48) Le dimonia ti gridano e rendonti el merito che essi usano di rendere a' servi loro: confusione e rimproverio. E acciò che nel punto della morte tu non l'esca delle mani, vogliono che tu gionga a la disperazione, e però ti dànno la confusione, acciò che poi con loro insieme ti rendano di quello che essi ànno per loro.

O misero! la dignità nella quale Io ti posi ti si rapresenta lucida come ella è, per tua vergogna, cognoscendo che tu l'ài tenuta e usata in tanta tenebre di colpa. La sustanzia della santa Chiesa ti pone innanzi, ché tu se' ladro e debitore, il quale dovevi rendere il debito a' poveri e alla santa Chiesa. Allora la conscienzia tua te'l rapresenta, che tu l'ài dato e speso alle publiche meritrici, e notricati i figliuoli e arricchiti i parenti tuoi, e à'telo cacciato giù per la gola, con adornamento di casa e con molti vasi de l'argento, colà dove tu dovevi vivere con povertà volontaria.

L'officio divino ti rapresenta la tua conscienzia, ché tu el lassavi e non (137r) ti curavi perché cadessi nel peccato mortale; e se tu el dicevi con la bocca, il cuore tuo era dilonga da me. I sudditi tuoi, cioè la carità e la fame che verso di loro dovevi avere di notricarli in virtù, dandolo' esemplo di vita e battarli con la mano della misericordia e con la verga della giustizia, e perché tu facesti il contrario, la conscienzia ne l'orribile aspetto delle simonia ti riprende.

E se tu, prelato, ài date le prelazioni o cura d'anime ad alcuno tuo suddito ingiustamente, cioè che tu non abbi veduto a cui e come tu l'ài dato, ti si pone dinanzi alla conscienzia, perché tu le dovevi dare non per parole lusinghevoli né per piacere alle creature né per doni, ma solo per rispetto di virtù, per onore di me e per salute de l'anime. E perché tu non l'ài fatto ne se' ripreso; e per maggiore tua pena e confusione ài dinanzi alla conscienzia e al lume de l'intelletto quello che tu ài fatto che non dovevi fare, e quello che tu dovevi fare che tu non ài fatto.

E voglio che tu sappi, carissima figliuola, che più perfettamente si cognosce la bianchezza allato al nero e'l nero allato alla bianchezza, che separati l'uno da l'altro. Così adiviene a questi miseri, a costoro in particulare e a tutti gli altri generalmente, ché nella morte, dove l'anima comincia a vedere più i guai suoi, e il giusto la beatitudine sua, ella è rapresentata al misero la vita sua scellerata. E non bisogna che altre l'el ponga dinanzi, però che la conscienza sua si pone dinanzi i difetti che egli à commessi e le virtù che doveva adoperare. Perché le virtù? Per maggiore sua vergogna; perché essendo allato il vizio e la virtù, per la virtù cognosce meglio il difetto, e quanto più il cognosce maggiore vergogna n'à. E per lo difetto suo cognosce meglio la perfezione della virtù, unde à maggiore dolore perché si vede nella vita sua (137v) essere stato fuore d'ogni virtù.

E voglio che tu sappi che nel cognoscimento che essi ànno della virtù e del vizio, veggono troppo bene il bene che seguita doppo la virtù a l'uomo virtuoso, e la pena che seguita a quello che è giaciuto nella tenebre del peccato mortale.

Questo cognoscimento do, non perché venga a disperazione, ma perché venga a perfetto cognoscimento di sé e a vergogna del difetto suo con esperanza, acciò che con la vergogna e cognoscimento sconti de' difetti suoi e plachi l'ira mia, dimandando umilemente la misericordia. Il virtuoso ne cresce in gaudio e in cognoscimento della mia carità, perché retribuisce la grazia d'avere seguitate le virtù, e ito per la dottrina della mia Verità, da me e non da sé, e però esulta in me. Con questo vero cognoscimento gusta e riceve il fine suo dolce, per lo modo che Io in un altro luogo § 41 ti dissi. Sì che l'uno esulta in gaudio, ciò è il giusto che è vissuto con ardentissima carità, e lo iniquo tenebroso si confonde in pena. Al giusto la tenebre e visione delle dimonia non gli nuoce, né non teme, però che solo il peccato è quel che teme e riceve nocimento. Ma quelli che lascivamente e con molte miserie ànno guidata la vita loro, ricevono nocimento e timore dall'aspetto delle dimonia. Non nocimento di disperazione, se egli non vorrà, ma di pena di reprensione e di rinfrescamento di coscienzia, paura, e timore ne l'orribile aspetto loro.

Or vedi quanto è differente, carissima figliuola, la pena della morte e la battaglia che ricevono nella morte, l'uno da l'altro, e quanto è differente il fine loro. Una piccola piccola particella Io te n'ò narrato, e mostrata a l'occhio de l'intelletto tuo: ed è sì piccola per rispetto di quel che ella è, cioè della pena che riceve l'uno e del bene che riceve l'altro, che è quasi non cavelle.

Or vedi quanta è la ciechità de l'uomo, e spezialmente di questi miserabili, però che tanto quanto ànno ricevuto più da me, e più illuminati della santa (138r) Scrittura, tanto più sono obbligati, e ricevono più intollerabile confusione. E perché più cognobbero per la santa Scrittura nella vita, più cognoscono nella morte loro e grandi difetti che ànno commessi, e sono conlocati in maggiori tormenti che gli altri, sì come i buoni sono posti in maggiore eccellenzia.

A costoro adiviene come del falso cristiano, che ne l'inferno è posto in maggiore tormento che uno pagano, § 15 ,179) perché egli ebbe il lume della fede e renunziò al lume della fede, e colui non l'ebbe. Così questi ministri avaranno più pena d'una medesima colpa che gli altri cristiani, per lo ministerio che Io lo' diei, dandolo' a ministrare il sole del santo sacramento, e perché ebbero il lume della scienzia a potere discernere la verità, e per loro e per altrui, se essi avessero voluto. E però giustamente ricevono maggiori pene.

Ma i miseri non il cognoscono; che se essi avessero punto di considerazione dello stato loro, non verrebbero in tanti mali, ma sarebbero quello che essi debbono essere ed essi non sono. Anco tutto il mondo è corrotto, facendo molto peggio eglino che i secolari del grado loro, unde con le loro puzze lordano la faccia de l'anima loro e corrompono i sudditi e succhiano il sangue a la Sposa mia, cioè a la santa Chiesa. Unde per li loro difetti essi la impalidiscono, ciò è che l'amore e l'affetto della carità che debbono avere a questa sposa, l'ànno posto a loro medesimi, e non attendono ad altro che a piluccarla e a trarne le prelazioni e le grandi rendite, dove essi debbono cercare anime. Unde per la loro mala vita vengono i secolari ad inreverenzia e a disobbedienzia della santa Chiesa, benché essi non il debbano fare, né non è scusato il difetto loro per lo difetto de' ministri.



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CAPITOLO CXXXIII.

Molti difetti t'avarei a dire, ma non voglio piú apuzzare l'orecchie tue. Òtti narrato questo per satisfare al desiderio tuo, e perché tu sia più sollicita a offerire dolci e amorosi e amari desideri dinanzi a me per loro.

E òtti contiata della eccellenzia nella quale Io gli ò posti e del (138v) tesoro che v'è ministrato per le mani loro, cioè del santo sacramento, tutto Dio e tutto uomo, dandoti la similitudine del sole acciò che tu vedessi che per li loro difetti non diminuisce la virtù di questo sacramento, e però non voglio che diminuisca la reverenzia verso di loro. E òtti mostrata la eccellenzia de' virtuosi ministri miei, in cui riluceva la margarita delle virtù e della santa giustizia. E òtti mostrato quanto m'è spiacevole l'offesa che fanno i persecutori della santa Chiesa, e la inreverenzia che essi ànno al sangue, però che, perseguitando loro, el reputo fatto al sangue e non a loro: però ch'Io l'ò vetato che non tocchino i cristi miei. (Ps 104,15) Ora t'ò contiato della vitoperosa vita loro, e quanto miseramente vivono, e quanta pena e confusione ànno nella morte, e quanto crudelmente sono cruciati più che gli altri dopo la morte. Ora t'ò attenuto quel che Io ti promissi, cioè di narrarti della vita loro alcuna cosa, e òtti satisfatto di quello che mi dimandasti, volendo tu che Io t'attenesse quello che promesso t'avevo.

Ora ti ridico da capo che, con tutti quanti i loro difetti, e se fussero ancora più, Io non voglio che neuno secolare se ne 'mpacci di punirli. E se essi el faranno non rimarrà impunita la colpa loro, se già non la puniscono con la contrizione del cuore, amendandosi de' difetti loro. Ma l'uno e gli altri sono dimoni incarnati, e per divina giustizia l'uno dimonio punisce l'altro, e l'uno e l'altro offende. Il secolare non è scusato per lo difetto del prelato, né il prelato per lo peccato del secolare.

Ora invito te, carissima figliuola, e tutti gli altri servi miei a piagnere sopra questi morti, e a stare come pecorelle nel giardino della santa Chiesa, a pascere per santo desiderio e continue orazioni, offerendole dinanzi a me per loro, però che Io voglio fare misericordia al mondo. E non vi ritraete da questo pascere, né per ingiuria né per alcuna prosperità, cioè che non voglio che alziate (139r) il capo né per impazienzia né per disordinata allegrezza, ma umilemente attendete a l'onore di me e alla salute de l'anime, e alla reformazione della santa Chiesa. E questo mi sarà segno che tu e gli altri m'amiate in verità. Tu sai bene che Io ti manifestai che Io volevo che tu e gli altri fuste pecorelle, le quali sempre pascieste nel giardino della santa Chiesa, sostenendo con fadiga infino a l'ultimo della morte. E, così facendo, adempirò i desideri tuoi. -

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CAPITOLO CXXXIV.

Allora quella anima, come ebbra ansietata e affocata d'amore, ferito il cuore di molta amaritudine, si volleva alla somma ed eterna Bontà dicendo: - O Dio eterno, o luce sopra ogni altra luce, ché da te esce ogni luce! O fuoco sopra ogni fuoco, però che tu se' solo quel fuoco che ardi e non consumi; e consumi ogni peccato e amor proprio che trovassi ne l'anima; e non la consumi affliggitivamente ma ingrassila d'amore insaziabile, però che saziandola non si sazia ma sempre ti desidera; ma quanto più t'à più ti cerca, e quanto più ti cerca e più ti desidera, più ti truova e gusta di te, sommo ed eterno fuoco, abisso di carità! O sommo ed eterno Bene, chi t'à mosso, te Dio infinito, d'alluminare me tua creatura finita del lume della tua verità? Tu, esso medesimo fuoco d'amore, ne se' cagione, però che sempre l'amore è quello che à costretto e costrigne te a crearci a la imagine e similitudine tua, e a farci misericordia, donando infinite e smisurate grazie alle tue creature che ànno in loro ragione.

O Bontà sopra ogni bontà! tu solo se' colui che se' sommamente buono, e nondimeno tu donasti il Verbo de l'unigenito tuo Figliuolo a conversare con noi, (Mt 19,17) puzza e pieni di tenebre. Di questo chi ne fu cagione? L'amore, però che ci amasti prima che noi fussimo. (Jr 31,3) O buono, o eterna grandezza, (139v) facestiti basso e piccolo per fare l'uomo grande. Da qualunque lato io mi vollo, io non truovo altro che abisso e fuoco della tua carità. (Oraz XXII 24ss.) E sarò io quella misera che possa restituire alle grazie e a l'affocata carità che tu ài mostrata, e mostri tanto affocato amore in particulare, oltre a la carità comune e amore che tu mostri a le tue creature? No, ma solo tu, dolcissimo e amoroso Padre, sarai quello che sarai grato e cognoscente per me, ciò è che l'affetto della tua carità medesima ti renderà grazie; (Rm 8,26) però che io so' colei che non so'. E se io dicessi d'essere alcuna cosa per me, io mentirei sopra il capo mio, e sarei mendace e figliuola del dimonio che è padre delle bugie. (Jn 8,44) Però che tu se' solo colui che se', e l'essere e ogni grazia che ài posta sopra l'essere ò da te, che me'l desti e dài per amore, e non per debito.

O dolcissimo Padre, quando l'umana generazione giaceva inferma per lo peccato d'Adam, e tu le mandasti il medico (Oraz XII 30; Mt 9,12 Lc 4,23 Lc 5,31) del dolce e amoroso Verbo tuo Figliuolo. Ora, quando io giacevo inferma nella infermità della negligenzia e di molta ignoranzia, e tu soavissimo e dolcissimo medico, Dio etterno, m'ài data una soave e dolce e amara medicina, acciò che io guarisca e mi levi dalla mia infermità. Soave m'è, però che con la soavità e carità tua ài manifestato te a me; dolce sopra ogni dolce m'è, però che ài alluminato l'occhio de l'intelletto mio col lume della santissima fede. Nel quale lume, secondo che t'è piaciuto di manifestare, cognobbi la eccellenzia e la grazia che ài data a l'umana generazione, ministrando tutto Dio e tutto uomo nel corpo mistico della santa Chiesa, e la dignità de' tuoi ministri i quali ài posti che ministrino te a noi.

Io desideravo che tu satisfacessi alla promessa la quale facesti a me, e tu desti molto più, dando quello che io non sapevo adimandare. Unde io cognosco veramente in verità che'l cuore de l'uomo non sa tanto adimandare né desiderare quanto tu più dài. E così veggo che tu se' colui che se', infinito ed (140r) etterno Bene, e noi siamo coloro che non siamo. E perché tu se' infinito e noi finiti, però dài tu quello che la tua creatura che à in sé ragione non sa né può tanto desiderare, né per quello modo che tu sai, puoi e vuoli satisfare a l'anima e saziarla di quelle cose che ella non t'adimanda, né per quello modo tanto dolce e piacevole quanto tu le dài.

E però ò ricevuto lume nella grandezza e carità tua per l'amore che ài manifestato che tu ài a tutta l'umana generazione, e singularmente agli unti tuoi, i quali debbono essere angeli terrestri in questa vita. Mostrato ài la virtù e beatitudine di questi tuoi unti, i quali sono vissuti come lucerne ardenti con la margarita della giustizia nella santa Chiesa. § 29 ,296ss.; § 85 ,1972; § 119 ,838,872) E per questi meglio ò cognosciuto il difetto di coloro che miserabilemente vivono, unde ò conceputo grandissimo dolore de l'offesa tua e del danno di tutto quanto il mondo; però che fanno danno al mondo essendo specchio di miseria, dove essi debbono essere specchio di virtù. E perché tu a me misera, cagione e istrumento di molti difetti, ài manifestate e lamentatoti delle iniquità loro, ò trovato dolore intollerabile.

Tu, amore inestimabile, l'ài manifestato dandomi la medicina dolce e amara perché io in tutto mi levi da la infermità della ignoranzia e negligenzia, e con sollicitudine e ansietato desiderio ricorra a te, cognoscendo me e la tua bontà, e l'offese che sono fatte a te da ogni maniera di gente, e spezialmente da' ministri tuoi, acciò che io distilli uno fiume di lagrime sopra me miserabile, traendole del cognoscimento della tua infinita bontà, e sopra questi morti, i quali tanto miserabilemente vivono. (Jr 8,23; Oraz XIX 47ss.; Oraz XII 179ss.) Unde io non voglio, ineffabile fuoco, dilezione di carità, Padre etterno, che il desiderio mio si stanchi mai a desiderare il tuo onore e la salute de l'anime, e gli occhi (140v) miei non si ristiano, ma dimandoti per grazia che essi sieno fatti due fiumi d'acqua che esca di te, mare pacifico. Grazia, grazia sia a te, Padre, ché satisfacendo a me di quello che io ti dimandai e di quello che io non cognoscevo e non domandavo, tu m'ài invitata, dandomi la materia del pianto e d'offerire dolci e amorosi e crociati desideri dinnanzi a te, con umile e continua orazione.

Ora t'adimando che tu facci misericordia al mondo e alla santa Chiesa tua. Pregoti che tu adempia quello che tu mi fai adimandare. Oimè misera, dolorosa l'anima mia cagione d'ogni male! Non indugiare più a fare misericordia al mondo: conscende e adempie il desiderio de' servi tuoi. Oimè! tu sei colui che gli fai gridare: adunque ode la voce loro. (Oraz XX 57ss.) La tua Verità disse che noi chiamassimo e sarebbeci risposto, bussassimo e sarebbeci aperto, chiedessimo e sarebbeci dato. (Mt 7,7 Mc 11,24 Lc 11,10) O Padre eterno, i servi tuoi chiamano a te misericordia: rispondelo' dunque. Io so bene che la misericordia t'è propria, e però non la puoi stollere che tu non la dia a chi te l'adimanda. Essi bussano alla porta della tua Verità, però che nella Verità tua, unigenito tuo Figliuolo, cognoscono l'amore ineffabile che tu ài a l'uomo, sì che bussano a la porta. Unde il fuoco della tua carità non si debba né può tenere che tu non apra a chi bussa con perseveranzia.

Adunque apre, diserra e spezza i cuori indurati delle tue creature; non per loro che non bussano, ma fallo per la tua infinita bontà e per amore de' servi tuoi che bussano a te per loro. Dàllo', Padre etterno, ché vedi che stanno a la porta della Verità tua e chieggono. (Ap 3,20) E che chieggono? Il sangue di questa porta, Verità tua. E nel sangue tu ài lavate le iniquità, (Ap 1,5) e tratta la marcia del peccato di Adam. Il sangue è nostro, però che ce n'ài fatto bagno: non il puoi disdire, né vuoli disdire, a chi in verità te l'adimanda. Dà dunque il frutto del sangue a le tue creature, pone nella bilancia il prezzo del sangue del tuo Figliuolo, acciò che le dimonia infernali non ne portino le tue pecorelle. O, tu se' pastore (141r) buono, che ci desti il Pastore vero unigenito tuo Figliuolo, il quale per l'obedienzia tua pose la vita per le tue pecorelle (Jn 10,11) e del sangue ci fece bagno. Questo è quello sangue che t'adimandano come affamati a questa porta i servi tuoi; per lo quale sangue adimandano che tu facci misericordia al mondo, e rifiorisca la santa Chiesa di fiori odoriferi di buoni e santi pastori, e con l'odore spegne la puzza degl'iniqui fiori e putridi.

Tu dicesti, Padre eterno, che per l'amore che tu ài a le tue creature che ànno in loro ragione, che con l'orazione dei servi tuoi, e col molto loro sostenere fadighe senza colpa, faresti misericordia al mondo e riformaresti la santa Chiesa tua, e così ci daresti refrigerio. § 15 ,194ss.; § 129 ,2250ss.; Oraz XII 165ss.) Adunque non indugiare a vollere l'occhio della tua misericordia, ma risponde, però che vuogli rispondere prima che noi chiamiamo, con la voce della tua misericordia.

Apre la porta della tua inestimabile carità, la quale ci donasti per la porta del Verbo. (Jn 10,7) Sì, so io che tu apri prima che noi bussiamo, però che con l'affetto e amore che tu ài dato a' servi tuoi, bussano e chiamano a te, cercando l'onore tuo e salute de l'anime. Donalo' dunque il pane della vita, cioè il frutto del sangue de l'unigenito tuo Figliuolo, il quale t'adimandano per gloria e loda del nome tuo e per salute de l'anime. Però che più gloria e loda pare che torni a te a salvare tante creature che a lassarle ostinate e permanere nella durizia loro. A te, Padre etterno, ogni cosa è possibile; poniamo che tu ci creasti senza noi, ma salvare senza noi questo non vuogli fare. Ma pregoti che sforzi le volontà loro e dispongali a volere quello che essi non vogliono. Questo t'adimando per la tua infinita misericordia. Tu ci creasti di non cavelle, adunque, ora che noi siamo, facci misericordia e rifà i vaselli che tu ài creati e formati a la imagine e similitudine tua, e riformali a grazia (OrazXXVI) nella misericordia e nel sangue del tuo Figliuolo (141v). -


Caterina, Dialogo 130