Catechismo Chiesa Catt. 1761


ARTICOLO 5

LA MORALITA' DELLE PASSIONI

1762 La persona umana si ordina alla beatitudine con i suoi atti liberi: le passioni o sentimenti che prova possono disporla a ciò e contribuirvi.



I. Le passioni

1763 Il termine « passioni » appartiene al patrimonio cristiano. Per sentimenti o passioni si intendono le emozioni o moti della sensibilità, che spingono ad agire o a non agire in vista di ciò che è sentito o immaginato come buono o come cattivo.

1764 Le passioni sono componenti naturali della psicologia umana; fanno da tramite e assicurano il legame tra la vita sensibile e la vita dello spirito. Nostro Signore indica il cuore dell'uomo come la sorgente da cui nasce il movimento delle passioni. (63)

(63) Cf
Mc 7,21.

1765 Le passioni sono molte. Quella fondamentale è l'amore provocato dall'attrattiva del bene. L'amore suscita il desiderio del bene che non si ha e la speranza di conseguirlo. Questo movimento ha il suo termine nel piacere e nella gioia del bene posseduto. Il timore del male causa l'odio, l'avversione e lo spavento del male futuro. Questo movimento finisce nella tristezza del male presente o nella collera che gli si oppone.

1766 « Amare è volere il bene di qualcuno ». (64) Qualsiasi altro affetto ha la sua sorgente in questo moto originario del cuore dell'uomo verso il bene. Non si ama che il bene. (65) « Le passioni sono cattive se l'amore è cattivo, buone se l'amore è buono ». (66)

(64) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
I-II 26,4, c: Ed. Leon. 6, 190.
(65) Cf Sant'Agostino, De Trinitate, 8, 3, 4: CCL 50, 271-272 (PL 42, 949).
(66) Sant'Agostino, De civitate Dei, 14, 7: CSEL 402, 13 (PL 41, 410).


II. Passioni e vita morale

1767 Le passioni, in se stesse, non sono né buone né cattive. Non ricevono qualificazione morale se non nella misura in cui dipendono effettivamente dalla ragione e dalla volontà. Le passioni sono dette volontarie « o perché sono comandate dalla volontà, oppure perché la volontà non vi resiste ». (67) È proprio della perfezione del bene morale o umano che le passioni siano regolate dalla ragione. (68)

(67) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
I-II 24,1, c: Ed. Leon. 6, 179.
(68) Cf San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II 24,3, c: Ed. Leon. 6, 181).

1768 Non sono i grandi sentimenti a decidere della moralità o della santità delle persone; essi sono la riserva inesauribile delle immagini e degli affetti nei quali si esprime la vita morale. Le passioni sono moralmente buone quando contribuiscono ad un'azione buona; sono cattive nel caso contrario. La volontà retta ordina al bene e alla beatitudine i moti sensibili che essa assume; la volontà cattiva cede alle passioni disordinate e le inasprisce. Le emozioni e i sentimenti possono essere assunti nelle virtù, o pervertiti nei vizi.

1769 Nella vita cristiana, lo Spirito Santo compie la sua opera mobilitando tutto l'essere, compresi i suoi dolori, i suoi timori e le sue tristezze, come è evidente nell'agonia e nella passione del Signore. In Cristo, i sentimenti umani possono ricevere la loro perfezione nella carità e nella beatitudine divina.

1770 La perfezione morale consiste nel fatto che l'uomo non sia indotto al bene soltanto dalla volontà, ma anche dal suo appetito sensibile, secondo queste parole del salmo: « Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente » (Ps 84,3).



In sintesi

1771 Il termine « passioni » indica gli affetti o i sentimenti. Attraverso le sue emozioni, l'uomo ha il presentimento del bene e il sospetto del male.

1772 Le principali passioni sono l'amore e l'odio, il desiderio e il timore, la gioia, la tristezza e la collera.

1773 Nelle passioni, intese come moti della sensibilità, non c'è né bene né male morale. Ma nella misura in cui dipendono o non dipendono dalla ragione e dalla volontà, c'è in esse il bene o il male morale.

1774 Le emozioni e i sentimenti possono essere assunti nelle virtù, o pervertiti nei vizi.

1775 La perfezione del bene morale si ha quando l'uomo non è indotto al bene dalla sola volontà, ma anche dal suo « cuore ».






ARTICOLO 6

LA COSCIENZA MORALE

1776 « Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore [...]. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore [...]. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria ». (69)

(69) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 16, AAS 58 (1966) 1037.


I. Il giudizio della coscienza

1777 Presente nell'intimo della persona, la coscienza morale (70) le ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male. Essa giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando quelle cattive. (71) Attesta l'autorità della verità in riferimento al Bene supremo, di cui la persona umana avverte l'attrattiva ed accoglie i comandi. Quando ascolta la coscienza morale, l'uomo prudente può sentire Dio che parla.

(70) Cf
Rm 2,14-16.
(71) Cf Rm 1,32.

1778 La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l'uomo ha il dovere di seguire fedelmente ciò che sa essere giusto e retto. È attraverso il giudizio della propria coscienza che l'uomo percepisce e riconosce i precetti della Legge divina:

La coscienza « è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza. [...] Essa è la messaggera di colui che, nel mondo della natura come in quello della grazia, ci parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo ». (72)

(72) John Henry Newman, Lettera al Duca di Norfolk, 5: Certain Difficulties felt by Anglicans in Catholic Teaching, v. 2 (Westminster 1969) p. 248.

1779 L'importante per ciascuno è di essere sufficientemente presente a se stesso al fine di sentire e seguire la voce della propria coscienza. Tale ricerca di interiorità è quanto mai necessaria per il fatto che la vita spesso ci mette in condizione di sottrarci ad ogni riflessione, esame o introspezione:

« Ritorna alla tua coscienza, interrogala. [...] Fratelli, rientrate in voi stessi e in tutto ciò che fate fissate lo sguardo sul Testimone, Dio ». (73)

(73) Sant'Agostino, In epistulam Ioannis ad Parthos tractatus, 8, 9: PL 35, 2041.

1780 La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della coscienza morale. La coscienza morale comprende la percezione dei principi della moralità (sinderesi), la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, infine, il giudizio riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati compiuti. La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza. Si chiama prudente l'uomo le cui scelte sono conformi a tale giudizio.

1781 La coscienza permette di assumere la responsabilità degli atti compiuti. Se l'uomo commette il male, il retto giudizio della coscienza può rimanere in lui testimone della verità universale del bene e, al tempo stesso, della malizia della sua scelta particolare. La sentenza del giudizio di coscienza resta un pegno di speranza e di misericordia. Attestando la colpa commessa, richiama al perdono da chiedere, al bene da praticare ancora e alla virtù da coltivare incessantemente con la grazia di Dio:

« Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa » (
1Jn 3,19-20).

1782 L'uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà, per prendere personalmente le decisioni morali. L'uomo non deve essere costretto « ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso ». (74)

(74) Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae
DH 3, AAS 58 (1966) 932.


II. La formazione della coscienza

1783 La coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato. Una coscienza ben formata è retta e veritiera. Essa formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore. L'educazione della coscienza è indispensabile per esseri umani esposti a influenze negative e tentati dal peccato a preferire il loro proprio giudizio e a rifiutare gli insegnamenti certi.

1784 L'educazione della coscienza è un compito di tutta la vita. Fin dai primi anni essa dischiude al bambino la conoscenza e la pratica della legge interiore, riconosciuta dalla coscienza morale. Un'educazione prudente insegna la virtù; preserva o guarisce dalla paura, dall'egoismo e dall'orgoglio, dai sensi di colpa e dai moti di compiacenza, che nascono dalla debolezza e dagli sbagli umani. L'educazione della coscienza garantisce la libertà e genera la pace del cuore.

1785 Nella formazione della coscienza la Parola di Dio è la luce sul nostro cammino; la dobbiamo assimilare nella fede e nella preghiera e mettere in pratica. Dobbiamo anche esaminare la nostra coscienza rapportandoci alla croce del Signore. Siamo sorretti dai doni dello Spirito Santo, aiutati dalla testimonianza o dai consigli altrui, e guidati dall'insegnamento certo della Chiesa. (75)

(75) Cf Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae
DH 14, AAS 58 (1966) 940.


III. Scegliere secondo coscienza

1786 Messa di fronte ad una scelta morale, la coscienza può dare sia un giudizio retto in accordo con la ragione e con la Legge divina, sia, al contrario, un giudizio erroneo che da esse si discosta.

1787 L'uomo talvolta si trova ad affrontare situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile la decisione. Egli deve sempre ricercare ciò che è giusto e buono e discernere la volontà di Dio espressa nella Legge divina.

1788 A tale scopo l'uomo si sforza di interpretare i dati dell'esperienza e i segni dei tempi con la virtù della prudenza, con i consigli di persone avvedute e con l'aiuto dello Spirito Santo e dei suoi doni.

1789 Alcune norme valgono in ogni caso:

- Non è mai consentito fare il male perché ne derivi un bene.
- La « regola d'oro »: « Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro » (
Mt 7,12). (76)
- La carità passa sempre attraverso il rispetto del prossimo e della sua coscienza. Parlando « così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza [...] voi peccate contro Cristo » (1Co 8,12). « È bene non [...] [fare] cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi » (Rm 14,21).

(76) Cf Lc 6,31 Tb 4,15.


IV. Il giudizio erroneo

1790 L'essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza. Se agisse deliberatamente contro tale giudizio, si condannerebbe da sé. Ma accade che la coscienza morale sia nell'ignoranza e dia giudizi erronei su azioni da compiere o già compiute.

1791 Questa ignoranza spesso è imputabile alla responsabilità personale. Ciò avviene « quando l'uomo non si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato ». (77) In tali casi la persona è colpevole del male che commette.

(77) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 16, AAS 58 (1966) 1037.

1792 All'origine delle deviazioni del giudizio nella condotta morale possono esserci la non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, i cattivi esempi dati dagli altri, la schiavitù delle passioni, la pretesa di una malintesa autonomia della coscienza, il rifiuto dell'autorità della Chiesa e del suo insegnamento, la mancanza di conversione e di carità.

1793 Se — al contrario — l'ignoranza è invincibile, o il giudizio erroneo è senza responsabilità da parte del soggetto morale, il male commesso dalla persona non può esserle imputato. Nondimeno resta un male, una privazione, un disordine. È quindi necessario adoperarsi per correggere la coscienza morale dai suoi errori.

1794 La coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera. Infatti la carità « sgorga », ad un tempo, « da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera » (1Tm 1,5): (78)

« Quanto più prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità ». (79)

(78) Cf 1Tm 3,9 2Tm 1,3 1P 3,21 Ac 24,16.
(79) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 16, AAS 58 (1966) 1037.


In sintesi

1795 « La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria ». (80)

(80) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 16, AAS 58 (1966) 1037.

1796 La coscienza morale è un giudizio della ragione, con il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto.

1797 Per l'uomo che ha commesso il male, la sentenza della propria coscienza rimane un pegno di conversione e di speranza.

1798 Una coscienza ben formata è retta e veritiera. Formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore. Ciascuno deve valersi dei mezzi atti a formare la propria coscienza.

1799 Messa di fronte ad una scelta morale, la coscienza può dare sia un retto giudizio in accordo con la ragione e con la Legge divina, sia, all'opposto, un giudizio erroneo che se ne discosta.

1800 L'essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza.

1801 La coscienza morale può rimanere nell'ignoranza o dare giudizi erronei. Tali ignoranze e tali errori non sempre sono esenti da colpevolezza.

1802 La Parola di Dio è una luce sui nostri passi. La dobbiamo assimilare nella fede e nella preghiera e mettere in pratica. In tal modo si forma la coscienza morale.





ARTICOLO 7

LE VIRTU'

1803 « Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri » (Ph 4,8). La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Essa consente alla persona, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé. Con tutte le proprie energie sensibili e spirituali la persona virtuosa tende verso il bene; lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete:

« Il fine di una vita virtuosa consiste nel divenire simili a Dio ». (81)

(81) San Gregorio di Nissa, De beatitudinibus, oratio 1: Gregorii Nysseni opera, ed. W. Jaeger, v. 72 (Leiden 1992) p. 82 (PG 44,1200).


I. Le virtù umane

1804 Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell'intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona. L'uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il bene. Le virtù morali vengono acquisite umanamente. Sono i frutti e i germi di atti moralmente buoni; dispongono tutte le potenzialità dell'essere umano ad entrare in comunione con l'amore divino.


Distinzione delle virtù cardinali

1805 Quattro virtù hanno funzione di « cardine ». Per questo sono dette « cardinali »; tutte le altre si raggruppano attorno ad esse. Sono: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. « Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza » (Sg 8,7). Sotto altri nomi, queste virtù sono lodate in molti passi della Scrittura.

1806 La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. L'uomo « accorto controlla i suoi passi » (Pr 14,15). « Siate moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera » (1P 4,7). La prudenza è la « retta norma dell'azione », scrive san Tommaso (82) sulla scia di Aristotele. Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. È detta « auriga virtutum – cocchiere delle virtù »: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L'uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare.

(82) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II 47,2, sed contra: Ed. Leon. 8, 349.

1807 La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso Dio è chiamata « virtù di religione ». La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l'armonia che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene comune. L'uomo giusto, di cui spesso si fa parola nei Libri Sacri, si distingue per l'abituale dirittura dei propri pensieri e per la rettitudine della propria condotta verso il prossimo. « Non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia » (Lv 19,15). « Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo » (Col 4,1).

1808 La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al sacrificio della propria vita per difendere una giusta causa. « Mia forza e mio canto è il Signore » (Ps 118,14). « Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo » (Jn 16,33).

1809 La temperanza è la virtù morale che modera l'attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell'uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell'onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore. (83) La temperanza è spesso lodata nell'Antico Testamento: « Non seguire le passioni; poni un freno ai tuoi desideri » (Si 18,30). Nel Nuovo Testamento è chiamata « moderazione » o « sobrietà ». Noi dobbiamo « vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo » (Tt 2,12).

« Vivere bene altro non è che amare Dio con tutto il proprio cuore, con tutta la propria anima, e con tutto il proprio agire. Gli si dà (con la temperanza) un amore totale che nessuna sventura può far vacillare (e questo mette in evidenza la fortezza), un amore che obbedisce a lui solo (e questa è la giustizia), che vigila al fine di discernere ogni cosa, nel timore di lasciarsi sorprendere dall'astuzia e dalla menzogna (e questa è la prudenza) ». (84)

(83) Cf Si 5,2 Si 37,27-31.
(84) Sant'Agostino, De moribus Ecclesiae catholicae, 1, 25, 46: CSEL 90, 51 (PL 32, 1330-1331).


Le virtù e la grazia

1810 Le virtù umane acquisite mediante l'educazione, mediante atti deliberati e una perseveranza sempre rinnovata nello sforzo, sono purificate ed elevate dalla grazia divina. Con l'aiuto di Dio forgiano il carattere e rendono spontanea la pratica del bene. L'uomo virtuoso è felice di praticare le virtù.

1811 Per l'uomo ferito dal peccato non è facile conservare l'equilibrio morale. Il dono della salvezza fattoci da Cristo ci dà la grazia necessaria per perseverare nella ricerca delle virtù. Ciascuno deve sempre implorare questa grazia di luce e di forza, ricorrere ai sacramenti, cooperare con lo Spirito Santo, seguire i suoi inviti ad amare il bene e a stare lontano dal male.



II. Le virtù teologali

1812 Le virtù umane si radicano nelle virtù teologali, le quali rendono le facoltà dell'uomo idonee alla partecipazione alla natura divina. (85) Le virtù teologali, infatti, si riferiscono direttamente a Dio. Esse dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità. Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino.

(85) Cf
2P 1,4.

1813 Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del cristiano. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali. Sono infuse da Dio nell'anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna. Sono il pegno della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell'essere umano. Tre sono le virtù teologali: la fede, la speranza e la carità. (86)

(86) Cf
1Co 13,13.


La fede

1814 La fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato, e che la Chiesa ci propone da credere, perché egli è la stessa verità. Con la fede « l'uomo si abbandona tutto a Dio liberamente ». (87) Per questo il credente cerca di conoscere e di fare la volontà di Dio. « Il giusto vivrà mediante la fede » (Rm 1,17). La fede viva « opera per mezzo della carità » (Ga 5,6).

(87) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum DV 5, AAS 58 (1966) 819.

1815 Il dono della fede rimane in colui che non ha peccato contro di essa. (88) Ma « la fede senza le opere è morta » (Jc 2,26). Se non si accompagna alla speranza e all'amore, la fede non unisce pienamente il fedele a Cristo e non ne fa un membro vivo del suo corpo.

(88) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 15: DS 1544.

1816 Il discepolo di Cristo non deve soltanto custodire la fede e vivere di essa, ma anche professarla, darne testimonianza con franchezza e diffonderla: « Devono tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguirlo sulla via della croce attraverso le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa ». (89) Il servizio e la testimonianza della fede sono indispensabili per la salvezza: « Chi [...] mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli » (Mt 10,32-33).

(89) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium LG 42, AAS 57 (1965) 48; cf Id., Dich. Dignitatis humanae, DH 14: AAS 58 (1966) 940.


La speranza

1817 La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo. « Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso » (He 10,23). Lo Spirito è stato « effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, Salvatore nostro, perché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna » (Tt 3,6-7).

1818 La virtù della speranza risponde all'aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al regno dei cieli; salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell'attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della speranza preserva dall'egoismo e conduce alla gioia della carità.

1819 La speranza cristiana riprende e porta a pienezza la speranza del popolo eletto, la quale trova la propria origine ed il proprio modello nella speranza di Abramo, colmato in Isacco delle promesse di Dio e purificato dalla prova del sacrificio. (90) « Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli » (Rm 4,18).

(90) Cf Gn 17,4-8 Gn 22,1-18.

1820 La speranza cristiana si sviluppa, fin dagli inizi della predicazione di Gesù, nell'annuncio delle beatitudini. Le beatitudini elevano la nostra speranza verso il cielo come verso la nuova Terra promessa; ne tracciano il cammino attraverso le prove che attendono i discepoli di Gesù. Ma per i meriti di Gesù Cristo e della sua passione, Dio ci custodisce nella speranza che « non delude » (Rm 5,5). La speranza è l'« àncora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra [...] » là « dove Gesù è entrato per noi come precursore » (He 6,19-20). È altresì un'arma che ci protegge nel combattimento della salvezza: « Dobbiamo essere [...] rivestiti con la corazza della fede e della carità, avendo come elmo la speranza della salvezza » (1Th 5,8). Essa ci procura la gioia anche nella prova: « Lieti nella speranza, forti nella tribolazione » (Rm 12,12). Si esprime e si alimenta nella preghiera, in modo particolarissimo nella preghiera del Signore, sintesi di tutto ciò che la speranza ci fa desiderare.

1821 Noi possiamo, dunque, sperare la gloria del cielo promessa da Dio a coloro che lo amano (91) e fanno la sua volontà. (92) In ogni circostanza ognuno deve sperare, con la grazia di Dio, di perseverare sino alla fine (93) e ottenere la gioia del cielo, quale eterna ricompensa di Dio per le buone opere compiute con la grazia di Cristo. Nella speranza la Chiesa prega che « tutti gli uomini siano salvati » (1Tm 2,4). Essa anela ad essere unita a Cristo, suo Sposo, nella gloria del cielo:

« Spera, anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l'ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve. Pensa che quanto più lotterai, tanto più proverai l'amore che hai per il tuo Dio e tanto più un giorno godrai con il tuo Diletto, in una felicità ed in un'estasi che mai potranno aver fine ». (94)

(91) Cf Rm 8,28-30.
(92) Cf Mt 7,21.
(93) Cf Mt 10,22 Concilio di Trento, Sess Mt 6, Decretum iustificatione , Mt 1541.
(94) Santa Teresa di Gesù, Exclamaciones del alma a Dios, 15, 3: Biblioteca Mística Carmelitana, v. 4 (Burgos 1917) p. 290.


La carità

1822 La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio.

1823 Gesù fa della carità il comandamento nuovo. (95) Amando i suoi « sino alla fine » (Jn 13,1), egli manifesta l'amore che riceve dal Padre. Amandosi gli uni gli altri, i discepoli imitano l'amore di Gesù, che essi ricevono a loro volta. Per questo Gesù dice: « Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore » (Jn 15,9). E ancora: « Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati » (Jn 15,12).

(95) Cf Jn 13,34.

1824 La carità, frutto dello Spirito e pienezza della Legge, osserva i comandamenti di Dio e del suo Cristo:

« Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore » (
Jn 15,9-10). (96)

(96) Cf Mt 22,40 Rm 13,8-10.

1825 Cristo è morto per amore verso di noi, quando eravamo ancora « nemici » (Rm 5,10). Il Signore ci chiede di amare come lui, perfino i nostri nemici, (97) di farci prossimo del più lontano, (98) di amare i bambini (99) e i poveri come lui stesso. (100) L'Apostolo san Paolo ha dato un ineguagliabile quadro della carità: « La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta » (1Co 13,4-7).

(97) Cf Mt 5,44.
(98) Cf Lc 10,27-37.
(99) Cf Mc 9,37.
(100) Cf Mt 25,40 Mt 25,45.

1826 Se non avessi la carità, dice ancora l'Apostolo, « non sono nulla ». E tutto ciò che è privilegio, servizio, perfino virtù... senza la carità, « niente mi giova ». (101) La carità è superiore a tutte le virtù. È la prima delle virtù teologali: « Queste le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità » (1Co 13,13).

(101) Cf 1Co 13,1-3.

1827 L'esercizio di tutte le virtù è animato e ispirato dalla carità. Questa è il « vincolo di perfezione » (Col 3,14); è la forma delle virtù; le articola e le ordina tra loro; è sorgente e termine della loro pratica cristiana. La carità garantisce e purifica la nostra capacità umana di amare. La eleva alla perfezione soprannaturale dell'amore divino.

1828 La pratica della vita morale animata dalla carità dà al cristiano la libertà spirituale dei figli di Dio. Egli non sta davanti a Dio come uno schiavo, nel timore servile, né come il mercenario in cerca del salario, ma come un figlio che corrisponde all'amore di colui che « ci ha amati per primo » (1Jn 4,19):

« O ci allontaniamo dal male per timore del castigo e siamo nella disposizione dello schiavo. O ci lasciamo prendere dall'attrattiva della ricompensa e siamo simili ai mercenari. Oppure è per il bene in se stesso e per l'amore di colui che comanda che noi obbediamo [...] e allora siamo nella disposizione dei figli ». (102)

(102) San Basilio Magno, Regulae fusius tractatae, prol. 3: PG 31,896.

1829 La carità ha come frutti la gioia, la pace e la misericordia; esige la generosità e la correzione fraterna; è benevolenza; suscita la reciprocità, si dimostra sempre disinteressata e benefica; è amicizia e comunione:

« Il compimento di tutte le nostre opere è l'amore. Qui è il nostro fine; per questo noi corriamo, verso questa meta corriamo; quando saremo giunti, vi troveremo riposo ». (103)

(103) Sant'Agostino, In epistulam Ioannis ad Parthos tractatus, 10, 4: PL 35, 2056-2057.


III. I doni e i frutti dello Spirito Santo

1830 La vita morale dei cristiani è sorretta dai doni dello Spirito Santo. Essi sono disposizioni permanenti che rendono l'uomo docile a seguire le mozioni dello Spirito Santo.

1831 I sette doni dello Spirito Santo sono la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio. Appartengono nella loro pienezza a Cristo, Figlio di Davide. (104) Essi completano e portano alla perfezione le virtù di coloro che li ricevono. Rendono i fedeli docili ad obbedire con prontezza alle ispirazioni divine.

« Il tuo Spirito buono mi guidi in terra piana » (
Ps 143,10).

« Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. [...] Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo » (Rm 8,14 Rm 8,17).

(104) Cf Is 11,1-2.

1832 I frutti dello Spirito sono perfezioni che lo Spirito Santo plasma in noi come primizie della gloria eterna. La tradizione della Chiesa ne enumera dodici: « amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, continenza, castità » (Ga 5,22-23 vulg.).



In sintesi

1833 La virtù è una disposizione abituale e ferma a compiere il bene.

1834 Le virtù umane sono disposizioni stabili dell'intelligenza e della volontà, che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e indirizzano la nostra condotta in conformità alla ragione e alla fede. Possono essere raggruppate attorno a quattro virtù cardinali: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza.

1835 La prudenza dispone la ragione pratica a discernere, in ogni circostanza, il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per attuarlo.

1836 La giustizia consiste nella volontà costante e ferma di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto.

1837 La fortezza assicura, nelle difficoltà, la fermezza e la costanza nella ricerca del bene.

1838 La temperanza modera l'attrattiva dei piaceri sensibili e rende capaci di equilibrio nell'uso dei beni creati.

1839 Le virtù morali crescono per mezzo dell'educazione, di atti deliberati e della perseveranza nello sforzo. La grazia divina le purifica e le eleva.

1840 Le virtù teologali dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità. Hanno Dio come origine, motivo e oggetto, Dio conosciuto mediante la fede, sperato e amato per se stesso.

1841 Tre sono le virtù teologali: la fede, la speranza e la carità. (105) Esse informano e vivificano tutte le virtù morali.

(105) Cf
1Co 13,13.

1842 Per la fede noi crediamo in Dio e crediamo tutto ciò che egli ci ha rivelato e che la Chiesa ci propone da credere.

1843 Per la speranza noi desideriamo e aspettiamo da Dio, con ferma fiducia, la vita eterna e le grazie per meritarla.

1844 Per la carità noi amiamo Dio al di sopra di tutto e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio. Essa è « il vincolo di perfezione » (Col 3,14) e la forma di tutte le virtù.

1845 I sette doni dello Spirito Santo dati ai cristiani sono la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio.







Catechismo Chiesa Catt. 1761