Christifideles laici 31


Capitolo III

32
32. Riprendiamo l'immagine biblica della vite e dei tralci. Essa ci apre, in modo immediato e naturale, alla considerazione della fecondità e della vita. Radicati e vivificati dalla vite, i tralci sono chiamati a portare frutto: "Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto" (
Jn 15,5). Portare frutto è un'esigenza essenziale della vita cristiana ed ecclesiale. Chi non porta frutto non rimane nella comunione: "Ogni tralcio che in me non porta frutto, (il Padre mio) lo toglie" (Jn 15,2).

La comunione con Gesù, dalla quale deriva la comunione dei cristiani tra loro, è condizione assolutamente indispensabile per portare frutto: "Senza di me non potete far nulla" (Jn 15,5). E la comunione con gli altri è il frutto più bello che i tralci possono dare: essa, infatti, è dono di Cristo e del suo Spirito.

Ora la comunione genera comunione, e si configura essenzialmente come comunione missionaria. Gesù, infatti, dice ai suoi discepoli: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Jn 15,16).

La comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione. E' sempre l'unico e identico Spirito colui che convoca e unisce la Chiesa e colui che la manda a predicare il Vangelo "fino agli estremi confini della terra" (Ac 1,8). Da parte sua, la Chiesa sa che la comunione, ricevuta in dono, ha una destinazione universale. così la Chiesa si sente debitrice all'umanità intera e a ciascun uomo del dono ricevuto dallo Spirito che effonde nei cuori dei credenti la carità di Gesù Cristo, prodigiosa forza di coesione interna ed insieme di espansione esterna. La missione della Chiesa deriva dalla sua stessa natura, così come Cristo l'ha voluta: quella di "segno e strumento... di unità di tutto il genere umano" (LG 1).

Tale missione ha lo scopo di far conoscere e di far vivere a tutti la "nuova" comunione che nel Figlio di Dio fatto uomo è entrata nella storia del mondo. In tal senso la testimonianza dell'evangelista Giovanni definisce oramai in modo irrevocabile il termine beatificante al quale punta l'intera missione della Chiesa: "Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo" (1Jn 1,3).

Ora nel contesto della missione della Chiesa il Signore affida ai fedeli laici, in comunione con tutti gli altri membri del Popolo di Dio, una grande parte di responsabilità. Ne erano pienamente consapevoli i Padri del Concilio Vaticano II: "I sacri pastori, infatti, sanno benissimo quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all'opera comune" (LG 30). La loro consapevolezza è ritornata poi, con rinnovata chiarezza e con vigore accresciuto, in tutti i lavori del Sinodo.

33
33. I fedeli laici, proprio perché membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere annunciatori del Vangelo: per quest'opera sono abilitati e impegnati dai sacramenti dell'iniziazione cristiana e dai doni dello Spirito Santo.

Leggiamo in un testo limpido e denso del Concilio Vaticano II: "In quanto partecipi dell'ufficio di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell'azione della Chiesa... Nutriti dell'attiva partecipazione alla vita liturgica della propria comunità, partecipano con sollecitudine alle opere apostoliche della medesima; conducono alla Chiesa gli uomini che forse ne vivono lontani; cooperano con dedizione nel comunicare la Parola di Dio, specialmente mediante l'insegnamento del catechismo; mettendo a disposizione la loro competenza rendono più efficace la cura delle anime ed anche l'amministrazione dei beni della Chiesa" (
AA 10).

Ora è nell'evangelizzazione che si concentra e si dispiega l'intera missione della Chiesa, il cui cammino storico si snoda sotto la grazia e il comando di Gesù Cristo: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15); "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). "Evangelizzare - scrive Paolo VI - è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda" (Pauli VI EN 14).

Dall'evangelizzazione la Chiesa viene costruita e plasmata come comunità di fede: più precisamente, come comunità di una fede confessata nell'adesione alla Parola di Dio, celebrata nei sacramenti, vissuta nella carità, quale anima dell'esistenza morale cristiana. Infatti, la "buona novella" tende a suscitare nel cuore e nella vita dell'uomo la conversione e l'adesione personale a Gesù Cristo salvatore e Signore; dispone al Battesimo e all'Eucarestia e si consolida nel proposito e nella realizzazione della vita nuova secondo lo Spirito.

Certamente l'imperativo di Gesù: "Andate e predicate il Vangelo" mantiene sempre vivo il suo valore ed è carico di un'urgenza intramontabile.

Tuttavia la situazione attuale, non solo del mondo ma anche di tante parti della Chiesa, esige assolutamente che la parola di Cristo riceva un'obbedienza più pronta e generosa. Ogni discepolo è chiamato in prima persona; nessun discepolo può sottrarsi nel dare la sua propria risposta: "Guai a me, se non predicassi il Vangelo!" (1Co 9,16).

34
34. Interi paesi e nazioni, dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e capaci di dar origine a comunità di fede viva e operosa, sono ora messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati dal continuo diffondersi dell'indifferentismo, del secolarismo e dell'ateismo. Si tratta, in particolare, dei Paesi e delle nazioni del cosiddetto primo ondo, nel quale il benessere economico e il consumismo, anche se frammisti a paurose situazioni di povertà e di miseria, ispirano e sostengono una vita vissuta "come se Dio non esistesse". Ora l'indifferenza religiosa e la totale insignificanza pratica di Dio per i problemi anche gravi della vita non sono meno preoccupanti ed eversivi rispetto all'ateismo dichiarato. E anche la fede cristiana, se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni tradizionali e ritualistiche, tende ad essere sradicata dai momenti più significativi dell'esistenza, quali sono i momenti del nascere, del soffrire e del morire. Di qui l'imporsi di interrogativi e di enigmi formidabili che, rimanendo senza risposta, espongono l'uomo contemporaneo alla delusione sconsolata o alla tentazione di eliminare la stessa vita umana che quei problemi pone.

In altre regioni o nazioni, invece, si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e spirituale rischia oggi d'essere disperso sotto l'impatto di molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la diffusione delle sette.

Solo una nuova evangelizzazione può assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare di queste tradizioni una forza di autentica libertà.

Certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che vivono in questi Paesi e in queste nazioni.

Ora i fedeli laici, in forza della loro partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, sono pienamente coinvolti in questo compito della Chiesa. Ad essi tocca, in particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l'unica risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone ad ogni uomo e ad ogni società. Ciò sarà possibile se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l'unità d'una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza.

A tutti gli uomini contemporanei ripeto, ancora una volta, il grido appassionato con il quale ho iniziato il mio servizio pastorale: "Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa "cosa è dentro l'uomo". Solo lui lo sa! Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. E' invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi - vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia - permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo lui ha parole di vita, si! di vita eterna" ("Homilia in foro sancti Petri initio ministerii Supremi catholicae Ecclesiae pastoris", 5, die 22 oct. 1978: , I [1978] 38s).

Spalancare le porte a Cristo, accoglierlo nello spazio della propria umanità non è affatto una minaccia per l'uomo, bensi è l'unica strada da percorrere se si vuole riconoscere l'uomo nell'intera sua verità ed esaltarlo nel suoi valori.

Sarà la sintesi vitale che i fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani della vita la più splendida e convincente testimonianza che, non la paura, ma la ricerca e l'adesione a Cristo sono il fattore determinante perché l'uomo viva e cresca, e perché si costituiscano nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana.

L'uomo è amato da Dio! E' questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all'uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per Cristo è "via, verità, vita" (
Jn 14,6).

Questa nuova evangelizzazione, rivolta non solo alle singole persone ma anche ad intere fasce di popolazioni nelle loro varie situazioni, ambienti e culture, è destinata alla formazione di comunità ecclesiali mature, nelle quali cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario significato di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio.

I fedeli laici hanno la loro parte da compiere nella formazione di simili comunità ecclesiali, non solo con una partecipazione attiva e responsabile nella vita comunitaria, e pertanto con la loro insostituibile testimonianza, ma anche con lo slancio e l'azione missionaria verso quanti ancora non credono o non vivono più la fede ricevuta con il Battesimo. In rapporto alle nuove generazioni un contributo prezioso, quanto mai necessario, deve essere offerto dai fedeli laici con una sistematica opera di catechesi. I Padri sinodali hanno accolto con gratitudine il lavoro dei catechisti, riconoscendo che essi "hanno un compito di grande peso nell'animazione delle comunità ecclesiali" ("Propositio 10"). Certamente i genitori cristiani sono i primi e insostituibili catechisti dei loro figli, a ciò abilitati dal sacramento del Matrimonio; nello stesso tempo pero dobbiamo essere tutti coscienti del "diritto" che ogni battezzato ha di venire istruito, educato, accompagnato nella fede e nella vita cristiana.

35
35. La Chiesa, mentre avverte e vive l'urgenza attuale di una nuova evangelizzazione, non può sottrarsi alla missione permanente di portare il Vangelo a quanti - e sono milioni e milioni di uomini e donne - ancora non conoscono Cristo redentore dell'uomo. E' questo il compito più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua Chiesa.

L'opera dei fedeli laici, che peraltro non è mai mancata in questo ambito, si rivela oggi sempre più necessaria e preziosa. In realtà, il comando del Signore "Andate in tutto il mondo" continua a trovare molti laici generosi, pronti a lasciare il loro ambiente di vita, il loro lavoro, la loro regione o patria per recarsi, almeno per un determinato tempo, in zone di missione. Anche coppie di sposi cristiani, a imitazione di Aquila e Priscilla (cfr.
Ac 18 Rm 16,3s), vanno offrendo una confortante testimonianza di amore appassionato a Cristo e alla Chiesa mediante la loro presenza operosa nelle terre di missione. Autentica presenza missionaria è anche quella di coloro che, vivendo per vari motivi in Paesi o ambienti dove la Chiesa non è ancora stabilita, testimoniano la loro fede.

Ma il problema missionario si presenta attualmente alla Chiesa con un'ampiezza e con una gravità tali che solo un'assunzione veramente solidale di responsabilità da parte di tutti i membri della Chiesa, sia come singoli sia come comunità, può far sperare in una risposta più efficace.

L'invito che il Concilio Vaticano II ha rivolto alle Chiese particolari conserva tutto il suo valore, anzi esige oggi un'accoglienza più generalizzata e più decisa: "La Chiesa particolare, dovendo rappresentare nel modo più perfetto la Chiesa universale, abbia la piena coscienza di essere inviata anche a coloro che non credono in Cristo (AGD 20; cfr. etiam AGD 37).

La Chiesa deve fare oggi un grande passo in avanti nella sua evangelizzazione, deve entrare in una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario. In un mondo che con il crollare delle distanze si fa sempre più piccolo, le comunità ecclesiali devono collegarsi tra loro, scambiarsi energie e mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione di annunciare e di vivere il Vangelo. "Le Chiese cosiddette più giovani - hanno detto i Padri sinodali - abbisognano della forza di quelle antiche, mentre queste hanno bisogno della testimonianza e della spinta delle più giovani, in modo che le singole Chiese attingano dalle ricchezze delle altre Chiese" ("Propositio 29").

In questa nuova tappa, la formazione non solo del clero locale ma anche di un laicato maturo e responsabile si pone nelle giovani Chiese come elemento essenziale e irrinunciabile della "Plantatio Ecclesiae" (cfr. AGD 21). In tal modo le stesse comunità evangelizzate si slanciano verso nuove contrade del mondo per rispondere anch'esse alla missione di annunciare e testimoniare il Vangelo di Cristo.

I fedeli laici, con l'esempio della loro vita e con la propria azione, possono favorire il miglioramento dei rapporti tra i seguaci delle diverse religioni come hanno opportunamente rilevato i Padri sinodali: "Oggi la Chiesa vive dappertutto in mezzo a uomini di religioni diverse... Tutti i fedeli, specialmente i laici che vivono in mezzo ai popoli di altre religioni, sia nelle regioni di origine, sia in terre di emigrazione, debbono essere per costoro un segno del Signore e della sua Chiesa, in modo adatto alle circostanze di vita di ciascun luogo. Il dialogo tra le religioni ha un'importanza preminente perché conduce all'amore e al rispetto reciproco, elimina, o almeno diminuisce, i pregiudizi tra i seguaci delle diverse religioni e promuove l'unità e l'amicizia tra i popoli" ("Propositio 30 bis").

Per l'evangelizzazione del mondo occorrono, anzitutto, gli evangelizzatori. Per questo tutti, a cominciare dalle famiglie cristiane, dobbiamo sentire la responsabilità di favorire il sorgere e il maturare di vocazioni specificamente missionarie, sia sacerdotali e religiose sia laicali, ricorrendo ad ogni mezzo opportuno, senza mai trascurare il mezzo privilegiato della preghiera, secondo la parola stessa del Signore Gesù: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,37-38).

36
36. Accogliendo e annunciando il Vangelo nella forza dello Spirito la Chiesa diviene comunità evangelizzata ed evangelizzante e proprio per questo si fa serva degli uomini. In essa i fedeli laici partecipano alla missione di servire la persona e la società. Certamente la Chiesa ha come supremo fine il Regno di Dio, del quale "costituisce in terra il germe e l'inizio" (
LG 5), ed è quindi totalmente consacrata alla glorificazione del Padre. Ma il Regno è fonte di liberazione piena e di salvezza totale per gli uomini: con questi, allora, la Chiesa cammina e vive, realmente e intimamente solidale con la loro storia.

Avendo ricevuto l'incarico di manifestare al mondo il mistero di Dio che splende in Cristo Gesù, al tempo stesso la Chiesa svela l'uomo all'uomo, gli fa noto il senso della sua esistenza, lo apre alla verità intera su di sé e sul suo destino (cfr. GS 22). In questa prospettiva la Chiesa è chiamata, in forza della sua stessa missione evangelizzatrice, a servire l'uomo. Tale servizio si radica primariamente nel fatto prodigioso e sconvolgente che "con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo" (cfr. GS 22).

Per questo l'uomo "è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'incarnazione e della redenzione" (RH 14).

Proprio in questo senso si è espresso, ripetutamente e con singolare chiarezza e forza, il Concilio Vaticano II nei suoi diversi documenti. Rileggiamo un testo particolarmente illuminante della costituzione "Gaudium et Spes": "La Chiesa, certo, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all'uomo la vita divina, ma anche diffonde la sua luce con ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo, soprattutto per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine dell'umana società, e immette nel lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia" (GS 40).

In questo contributo alla famiglia degli uomini, del quale è responsabile l'intera Chiesa, un posto particolare compete ai fedeli laici, in ragione della loro "indole secolare", che li impegna, con modalità proprie e insostituibili, nell'animazione cristiana dell'ordine temporale.

37
37. Riscoprire e far riscoprire la dignità inviolabile di ogni persona umana costituisce un compito essenziale, anzi, in un certo senso, il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini.

Tra tutte le creature terrene, solo l'uomo è "persona", soggetto cosciente e libero e, proprio per questo, "centro e vertice" di tutto quanto esiste sulla terra (cfr.
GS 12).

La dignità personale è il bene più prezioso che l'uomo possiede, grazie al quale egli trascende in valore tutto il mondo materiale. La parola di Gesù: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?" (Mc 8,36) implica una luminosa e stimolante affermazione antropologica: l'uomo vale non per quello che "ha" - possedesse pure il mondo intero! -, quanto per quello che "è". Contano non tanto i beni del mondo, quanto il bene della persona, il bene che è la persona stessa.

La dignità della persona manifesta tutto il suo fulgore quando se ne considerano l'origine e la destinazione: creato da Dio a sua immagine e somiglianza e redento dal sangue preziosissimo di Cristo, l'uomo è chiamato ad essere "figlio nel Figlio" e tempio vivo dello Spirito, ed è destinato all'eterna vita di comunione beatificante con Dio. Per questo ogni violazione della dignità personale dell'essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell'uomo.

In forza della sua dignità personale l'essere umano è sempre un valore in sé e per sé, e come tale esige d'essere considerato e trattato, mai invece può essere considerato e trattato come un oggetto utilizzabile, uno strumento, una cosa.

La dignità personale costituisce il fondamento dell'eguaglianza di tutti gli uomini tra loro. Di qui l'assoluta inaccettabilità di tutte le più svariate forme di discriminazione che, purtroppo, continuano a dividere e a umiliare la famiglia umana, da quelle razziali ed economiche a quelle sociali e culturali, da quelle politiche a quelle geografiche, ecc. Ogni discriminazione costituisce un'ingiustizia del tutto intollerabile, non tanto per le tensioni e per i conflitti ch'essa può generare nel tessuto sociale, quanto per il disonore inferto alla dignità della persona: non solo alla dignità di chi è vittima dell'ingiustizia, ma ancor più di chi quell'ingiustizia compie.

Fondamento dell'uguaglianza di tutti gli uomini tra loro, la dignità personale è anche il fondamento della partecipazione e della solidarietà degli uomini tra loro: il dialogo e la comunione si radicano ultimamente su ciò che gli uomini "sono", prima e più ancora che su quanto essi "hanno".

La dignità personale è proprietà indistruttibile di ogni essere umano.

E' fondamentale avvertire tutta la forza dirompente di questa affermazione che si basa sull'unicità e sull'irripetibilità di ogni persona. Ne deriva che l'individuo è assolutamente irriducibile a tutto ciò che lo vorrebbe schiacciare e annullare nell'anonimato della collettività, dell'istituzione, della struttura, del sistema.

La persona, nella sua individualità, non è un numero, non è un anello d'una catena, né un ingranaggio di un sistema. L'affermazione più radicale ed esaltante del valore di ogni essere umano è stata fatta dal Figlio di Dio nel suo incarnarsi nel seno d'una donna. Anche di questo continua a parlarci il Natale cristiano ("Nuntius radiotelevisificus Urbi et Orbi datus ex externo Basilicae Vaticanae podio, in sollemnitate Nativitatis D.N.I. Ch.", 1, die 25 dec. 1978: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I [1978] 419: "Se noi celebriamo così solennemente la nascita di Gesù, lo facciamo per testimoniare che ogni uomo è qualcuno, unico e irripetibile. Se le nostre statistiche umane, le catalogazioni umane, gli umani sistemi politici, economici e sociali, le semplici umane possibilità non riescono ad assicurare all'uomo che egli possa nascere, esistere ed operare come un unico e irripetibile, allora tutto ciò glielo assicura Iddio. Per lui e di fronte a lui, l'uomo è sempre unico e irripetibile; qualcuno eternamente ideato ed eternamente prescelto; qualcuno chiamato e denominato con il proprio nome".

38
38. Il riconoscimento effettivo della dignità personale di ogni essere umano esige il rispetto, la difesa e la promozione dei diritti della persona umana. Si tratta di diritti naturali, universali e inviolabili: nessuno, né il singolo, né il gruppo, né l'autorità, né lo Stato, li può modificare né tanto meno li può eliminare, perché tali diritti provengono da Dio stesso.

Ora l'inviolabilità della persona, riflesso dell'assoluta inviolabilità di Dio stesso, trova la sua prima e fondamentale espressione nell'inviolabilità della vita umana. E' del tutto falso e illusorio il comune discorso, che peraltro giustamente viene fatto, sui diritti umani - come ad esempio sul diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia e alla cultura - se non si difende con la massima risolutezza il diritto alla vita, quale diritto primo e fondamentale, condizione per tutti gli altri diritti della persona.

La Chiesa non si è mai data per vinta di fronte a tutte le violazioni che il diritto alla vita, proprio di ogni essere umano, ha ricevuto e continua a ricevere sia dai singoli sia dalle stesse autorità. Titolare di tale diritto è l'essere umano in ogni fase del suo sviluppo, dal concepimento sino alla morte naturale; e in ogni sua condizione, sia essa di salute o di malattia, di perfezione o di handicap, di ricchezza o di miseria. Il Concilio Vaticano II proclama apertamente: "Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l'intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà umana, ancor più inquinano coloro che così si comportano, che non quelli che le subiscono; e ledono grandemente l'onore del Creatore" (
GS 27).

Ora se di tutti sono la missione e la responsabilità di riconoscere la dignità personale di ogni essere umano e di difenderne il diritto alla vita, alcuni fedeli laici vi sono chiamati ad un titolo particolare: tali sono i genitori, gli educatori, gli operatori della salute, e quanti detengono il potere economico e politico.

Nell'accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole o malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione, tanto più necessaria quanto più dominante si è fatta una "cultura di morte".

Infatti la Chiesa fermamente crede che la vita umana, anche se debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà. Contro il pessimismo e l'egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel "Si", di quell'"Amen", che è Cristo stesso (cfr. 2Co 1,19 Ap 3,14). Al "no" che invade e affligge il mondo, contrappone questo vivente "Si", difendendo in tal modo l'uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita" ("Familiari Consortio", 30). Tocca ai fedeli laici, che più direttamente o per vocazione o per professione sono coinvolti nell'accoglienza della vita, rendere concreto ed efficace il "si" della Chiesa alla vita umana.

Sulle frontiere della vita umana possibilità e responsabilità nuove si sono oggi spalancate con l'enorme sviluppo delle scienze biologiche e mediche, unitamente al sorprendente potere tecnologico: l'uomo, infatti, è in grado oggi non solo di "osservare", ma anche di "manipolare" la vita umana nello stesso suo inizio e nei suoi primi stadi di sviluppo.

La coscienza morale dell'umanità non può rimanere estranea o indifferente di fronte ai passi giganteschi compiuti da una potenza tecnologica che acquista un dominio sempre più vasto e profondo sui dinamismi che presiedono alla procreazione e alle prime fasi dello sviluppo della vita umana. Forse non mai come oggi e in questo campo la sapienza si dimostra l'unica àncora di salvezza, perché l'uomo nella ricerca scientifica e in quella applicata possa agire sempre con intelligenza e con amore, ossia rispettando, anzi venerando l'inviolabile dignità personale di ogni essere umano, sin dal primo istante della sua esistenza.

Ciò avviene quando con mezzi leciti, la scienza e la tecnica si impegnano nella difesa della vita e nella cura della malattia sin dagli inizi, rifiutando invece - per la dignità stessa della ricerca - interventi che risultano alterativi del patrimonio genetico dell' individuo e della generazione umana (cfr. Congr. pro Doctr. Fidei "Instructio de observantia erga vitam humanam nascentem deque procreationis dignitate tuenda "Domum Vitae". Responsiones ad quasdam quaestiones nostris temporibus agitatas", die 22 febr. 1987: AAS 80 [1988] 70-102).

I fedeli laici, a vario titolo e a diverso livello impegnati nella scienza e nella tecnica, come pure nell'ambito medico, sociale, legislativo ed economico devono coraggiosamente accettare le "sfide" poste dai nuovi problemi della bioetica. Come hanno detto i Padri sinodali, "i cristiani debbono esercitare la loro responsabilità come padroni della scienza e della tecnologia, non come servi di essa... Nella prospettiva di quelle "sfide" morali, che stanno per essere provocate dalla nuova e immensa potenza tecnologica e che mettono in pericolo non solo i diritti fondamentali degli uomini, ma la stessa essenza biologica della specie umana, è della massima importanza che i laici cristiani - con l'aiuto di tutta la Chiesa - si prendano a carico di richiamare la cultura ai principi di un autèntico umanesimo, affinché la promozione e la difesa dei diritti dell'uomo possano trovare fondamento dinamico e sicuro nella stessa sua essenza, quella essenza che la predicazione evangelica ha rivelato agli uomini" ("Propositio 36").

Urge oggi, da parte di tutti, la massima vigilanza di fronte al fenomeno della concentrazione del potere, e in primo luogo di quello tecnologico. Tale concentrazione, infatti, tende a manipolare non solo l'essenza biologica ma anche i contenuti della stessa coscienza degli uomini e i loro modelli di vita, aggravando in tal modo la discriminazione e l'emarginazione di interi popoli.

39
39. Il rispetto della dignità personale, che comporta la difesa e la promozione dei diritti umani, esige il riconoscimento della dimensione religiosa dell'uomo.

Non è, questa, un'esigenza semplicemente "confessionale", bensi un'esigenza che trova la sua radice inestirpabile nella realtà stessa dell'uomo. Il rapporto con Dio, infatti, è elemento costitutivo dello stesso "essere" ed "esistere" dell'uomo: è in Dio che noi "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (
Ac 17,28). Se non tutti credono a tale verità, quanti ne sono convinti hanno il diritto di essere rispettati nella loro fede e nelle scelte di vita, individuale e comunitaria, che da essa derivano. E' questo il diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa, il cui riconoscimento effettivo è tra i beni più alti e tra i doveri più gravi di ogni popolo che voglia veramente assicurare il bene della persona e della società: "La libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo, è una pietra angolare dell'edificio dei diritti umani e, pertanto, è un fattore insostituibile del bene delle persone e di tutta la società, così come della propria realizzazione di ciascuno. Ne consegue che la libertà dei singoli e delle comunità di professare e di praticare la propria religione è un elemento essenziale della pacifica convivenza degli uomini... Il diritto civile e sociale alla libertà religiosa, in quanto attinge la sfera più intima dello spirito, si rivela punto di riferimento e, in certo modo, diviene misura degli altri diritti fondamentali" ("Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a.D. 1988", die 8 dec. 1987: , X, 3 [1987] 1331 et 1334).

Il Sinodo non ha dimenticato i tanti fratelli e sorelle che ancora non godono di tale diritto e che devono affrontare disagi, emarginazioni, sofferenze, persecuzioni, e talvolta la morte a causa della confessione della fede. Nella maggioranza sono fratelli e sorelle del laicato cristiano. L'annuncio del Vangelo e la testimonianza cristiana della vita nella sofferenza e nel martlrio costituiscono l'apice dell'apostolato dei discepoli di Cristo, così come l'amore al Signore Gesù sino al dono della propria vita costituisce una sorgente di fecondità straordinaria per l'edificazione della Chiesa. La mistica vite testimonia così la sua rigogliosità, come rilevava sant'Agostino: "Ma quella vite, com'era stato preannunciato dai profeti e dallo stesso Signore, che diffondeva in tutto il mondo i suoi tralci fruttuosi, tanto più diveniva rigogliosa quanto più era irrigata dal molto sangue dei martiri" (S. Augustini "De Catechizandis Rudibus", XXIV, 44: CCL 46, 168).

La Chiesa tutta è profondamente grata per questo esempio e per questo dono: da questl suoi figli essa trae motivo per rinnovare il suo slancio di vita santa e apostolica. In tal senso i Padri sinodali hanno ritenuto loro speciale dovere "ringraziare quei laici i quali vivono come instancabili testimoni della fede, in fedele unione con la Sede apostolica, nonostante le restrizioni della libertà e la privazione dei ministri sacri. Essi si giocano tutto, perfino la vita. I laici in questo modo danno testimonianza di una proprietà essenziale della Chiesa: la Chiesa di Dio nasce dalla grazia di Dio e ciò si manifesta nel modo più sublime nel martirio" ("Propositio 32").

Quanto abbiamo sinora detto sul rispetto della dignità personale e sul riconoscimento dei diritti umani riguarda senza dubbio la responsabilità di ciascun cristiano, di ciascun uomo. Ma dobbiamo immediatamente rilevare come tale problema rivesta oggi una dimensione mondiale: è, infatti, una questione che investe oramai interi gruppi umani, anzi interi popoli che sono violentemente vilipesi nei loro fondamentali diritti. Di qui quelle forme di disuguaglianza dello sviluppo tra i diversi mondi che nella recente enciclica "Sollicitudo Rei Socialis" sono state apertamente denunciate.

Il rispetto della persona umana va oltre l'esigenza di una morale individuale e si pone come criterio basilare, quasi pilastro fondamentale, per la strutturazione della società stessa; essendo la società finalizzata interamente alla persona.

Così, intimamente congiunta alla responsabilità di servire la persona, si pone la responsabilità di servire la società, quale compito generale di quella animazione cristiana dell'ordine temporale alla quale i fedeli laici sono chiamati secondo loro proprie e specifiche modalità.

40
40. La persona umana ha una nativa e strutturale dimensione sociale in quanto è chiamata dall'intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri: "Dio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo di fratelli" (
GS 24). E così la società frutto e segno della socialità dell'uomo, rivela la sua piena verità nell'essere una comunità di persone.

Si dà interdipendenza e reciprocità tra persona e società: tutto ciò che viene compiuto a favore della persona è anche un servizio reso alla società, e tutto ciò che viene compiuto a favore della società si risolve a beneficio della persona. Per questo l'impegno apostolico dei fedeli laici nell'ordine temporale riveste sempre e in modo inscindibile il significato del servizio all'uomo singolo nella sua unicità e irripetibilità e il significato del servizio a tutti gli uomini.

Ora la prima e originaria espressione della dimensione sociale della persona è la coppia e la famiglia: "Ma Dio non creo l'uomo lasciandolo solo: fin da principio "uomo e donna li creo" (Gn 1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone" (GS 12).

Gesù si è preoccupato di restituire alla coppia l'intera sua dignità e alla famiglia la saldezza sua propria (cfr. Mt 19,3-9); san Paolo ha mostrato il rapporto profondo del matrimonio con il mistero di Cristo e della Chiesa (cfr. Ep 5,22-64 Col 3,18-21 1P 3,1-7).

La coppia e la famiglia costituiscono il primo spazio per l'impegno sociale dei fedeli laici. E' un impegno che può essere assolto adeguatamente solo nella convinzione del valore unico e insostituibile della famiglia per lo sviluppo della società e della stessa Chiesa.

Culla della vita e dell'amore, nella quale l'uomo "nasce" e "cresce", la famiglia è la cellula fondamentale della società. A questa comunità è da riservarsi una privilegiata sollecitudine, soprattutto ogniqualvolta l'egoismo umano, le campagne antinataliste, le politiche totalitarie, ma anche le situazioni di povertà e di miseria fisica, culturale e morale, nonché la mentalità edonistica e consumistica fanno disseccare le sorgenti della vita, mentre le ideologie e i diversi sistemi, insieme a forme di disinteresse e di disamore, attentano alla funzione educativa propria della famiglia.

Urge così un'opera vasta, profonda e sistematica, sostenuta non solo dalla cultura ma anche dai mezzi economici e dagli strumenti legislativi, destinata ad assicurare alla famiglia il suo compito di essere il luogo primario della "umanizzazione" della persona e della società.

L'impegno apostolico dei fedeli laici è anzitutto quello di rendere la famiglia cosciente della sua identità di primo nucleo sociale di base e del suo originale ruolo nella società, perché divenga essa stessa sempre più protagonista attiva e responsabile della propria crescita e della propria partecipazione alla vita sociale. In tal modo la famiglia potrà e dovrà esigere da tutti, a cominciare dalle autorità pubbliche, il rispetto di quei diritti che, salvando la famiglia, salvano la società stessa.

Quanto è scritto nell'esortazione "Familiaris Consortio" circa la partecipazione allo sviluppo della società (FC 42-48) e quanto la Santa Sede, su invito del Sinodo dei Vescovi del 1980, ha formulato con la "Carta dei Diritti della Famiglia" rappresentano un programma operativo completo e organico per tutti quei fedeli laici che, a diverso titolo, sono interessati alla promozione dei valori e delle esigenze della famiglia: un programma la cui realizzazione è da urgere con tanta maggior tempestività e decisione quanto più gravi si fanno le minacce alla stabilità e alla fecondità della famiglia e quanto più pesante e sistematico si fa il tentativo di emarginarne la famiglia e di vanificare il peso sociale.

Come l'esperienza attesta, la civiltà e la saldezza dei popoli dipendono soprattutto dalla qualità umana delle loro famiglie. Per questo l'impegno apostolico verso la famiglia acquista un incomparabile valore sociale. La Chiesa, da parte sua, ne è profondamente convinta, ben sapendo che "l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia" (FC 85).

41
41. Il servizio alla società si esprime e si realizza in diversissime modalità: da quelle libere e informali a quelle istituzionali, dall'aiuto dato ai singoli a quello rivolto a vari gruppi e comunità di persone.

Tutta la Chiesa come tale è direttamente chiamata al servizio della carità: "La santa Chiesa, come nelle sue origini unendo l'agape con la cena eucaristica si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo, così, in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto inalienabile. perciò la misericordia verso i poveri e gli infermi come pure le cosiddette opere caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare le necessità umane di ogni genere, sono tenute dalla Chiesa in particolare onore" (
AA 8). La carità verso il prossimo, nelle forme antiche e sempre nuove delle opere di misericordia corporale e spirituale, rappresenta il contenuto più immediato, comune e abituale di quell'animazione cristiana dell'ordine temporale che costituisce l'impegno specifico dei fedeli laici.

Con la carità verso il prossimo i fedeli laici vivono e manifestano la loro partecipazione alla regalità di Gesù Cristo, al potere cioè del Figlio dell'uomo che "non è venuto per essere servito, ma per servire" (Mc 10,45): essi vivono e manifestano tale regalità nel modo più semplice, possibile a tutti e sempre, ed insieme nel modo più esaltante, perché la carità è il più alto dono che lo Spirito offre per l'edificazione della Chiesa (cfr. 1Co 13,13) e per il bene dell'umanità. La carità, infatti, anima e sostiene un'operosa solidarietà attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano.

Una simile carità, attuata non solo dai singoli ma anche in modo solidale dai gruppi e dalle comunità, è e sarà sempre necessaria: niente e nessuno la può e la potrà sostituire, neppure le molteplici istituzioni e iniziative pubbliche, che pure si sforzano di dare risposta ai bisogni - spesso oggi così gravi e diffusi - d'una popolazione. Paradossalmente tale carità si fa più necessaria quanto più le istituzioni, diventando complesse nell'organizzazione e pretendendo di gestire ogni spazio disponibile, finiscono per essere rovinate dal funzionalismo impersonale, dall'esagerata burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal disimpegno facile e generalizzato.

Proprio in questo contesto continuano a sorgere e a diffondersi, in particolare nelle società organizzate, varie forme di volontariato che si esprimono in una molteplicità di servizi e di opere. Se vissuto nella sua verità di servizio disinteressato al bene delle persone, specialmente le più bisognose e le più dimenticate dagli stessi servizi sociali, il volontariato deve dirsi un'espressione importante di apostolato, nel quale i fedeli laici, uomini e donne, hanno un ruolo di primo piano.

42
42. La carità che ama e serve la persona non può mai essere disgiunta dalla giustizia: e l'una e l'altra, ciascuna a suo modo, esigono il pieno riconoscimento effettivo dei diritti della persona, alla quale è ordinata la società con tutte le sue strutture e istituzioni (Circa relationem iustitiam inter et misericordiam cfr.
DM 12).

Per animare cristianamente l'ordine temporale, nel senso detto di servire la persona e la società, i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla "politica", ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Come ripetutamente hanno affermato i Padri sinodali, tutti e ciascuno hanno diritto e dovere di partecipare alla politica, sia pure con diversità e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità. Le accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo e di corruzione che non infrequentemente vengono rivolte agli uomini del governo, del parlamento, della classe dominante, del partito politico; come pure l'opinione non poco diffusa che la politica sia un luogo di necessario pericolo morale, non giustificano minimamente né lo scetticismo né l'assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica.

E', invece, quanto mai significativa la parola del Concilio Vaticano II: "La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità" (GS 75).

Una politica per la persona e per la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento del bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo, bene offerto e garantito alla libera e responsabile accoglienza delle persone, sia singole che associate: "La comunità politica - leggiamo nella costituzione "Gaudium et Spes" - esiste proprio in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova piena giustificazione e significato e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico, originario e proprio. Il bene comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni della vita sociale, con le quali gli uomini, le famiglie e le associazioni possono ottenere il conseguimento più pieno della propria perfezione" (GS 74).

Inoltre, una politica per la persona e per la società trova la sua linea costante di cammino nella difesa e nella promozione della giustizia, intesa come "virtù" alla quale tutti devono essere educati e come "forza" morale che sostiene l'impegno a favorire i diritti e i doveri di tutti e di ciascuno, sulla base della dignità personale dell'essere umano.

Nell'esercizio del potere politico è fondamentale lo spirito di servizio, che solo, unitamente alla necessaria competenza ed efficienza, può rendere "trasparente" o "pulita" l'attività degli uomini politici, come del resto la gente giustamente esige. Ciò sollecita la lotta aperta e il deciso superamento di alcune tentazioni, quali il ricorso alla slealtà e alla menzogna, lo sperpero del pubblico denaro per il tornaconto di alcuni pochi e con intenti clientelari, l'uso di mezzi equivoci o illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il potere.

I fedeli laici impegnati nella politica devono certamente rispettare l'autonomia rettamente intesa delle realtà terrene, così come leggiamo nella costituzione "Gaudium et Spes". "E' di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori. La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana" (GS 76). Nello stesso tempo - e questo è sentito oggi come urgenza e responsabilità - i fedeli laici devono testimoniare quei valori umani ed evangelici che sono intimamente connessi con l'attività politica stessa, come la libertà e la giustizia, la solidarietà, la dedizione fedele e disinteressata al bene di tutti, lo stile semplice di vita, l'amore preferenziale per i poveri e gli ultimi. Ciò esige che i fedeli laici siano sempre più animati da una reale partecipazione alla vita della Chiesa e illuminati dalla sua dottrina sociale. In questo potranno essere accompagnati e aiutati dalla vicinanza delle comunità cristiane e dei loro pastori (cfr. "Propositio 28").

Stile e mezzo per il realizzarsi d'una politica che intenda mirare al vero sviluppo umano è la solidarietà: questa sollecita la partecipazione attiva e responsabile di tutti alla vita politica, dai singoli cittadini ai gruppi vari, dai sindacati ai partiti: insieme, tutti e ciascuno, siamo destinatari e protagonisti della politica. In questo ambito, come ho scritto nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis", la solidarietà "non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti" (SRS 38).

La solidarietà politica esige oggi d'attuarsi secondo un orizzonte che, superando la singola nazione o il singolo blocco di nazioni, si configura come propriamente continentale e mondiale.

Il frutto dell'attività politica solidale, da tutti tanto desiderato ma pur sempre tanto immaturo, è la pace. I fedeli laici non possono rimanere indifferenti, estranei e pigri di fronte a tutto ciò che è negazione e compromissione della pace: violenza e guerra, tortura e terrorismo, campi di concentramento, militarizzazione della politica, corsa agli armamenti, minaccia nucleare. Al contrario, come discepoli di Gesù Cristo "p+rincipe della pace" (Is 9,5) e "nostra pace" (Ep 2 Ep 14), i fedeli laici devono assumersi il compito di essere "operatori di pace" (Mt 5,9), sia mediante la conversione del "cuore", sia mediante l'azione a favore della verità, della libertà, della giustizia e della carità, che della pace sono gli irrinunciabili fondamenti (cfr. Ioannis XXIII "Pacem in Terris": AAS 55 [1963] 265s).

Collaborando con tutti coloro che cercano veramente la pace e servendosi degli specifici organismi e istituzioni nazionali e internazionali, i fedeli laici devono promuovere un'opera educativa capillare destinata a sconfiggere l'imperante cultura dell'egoismo, dell'odio, della vendetta e dell'inimicizia e a sviluppare la cultura della solidarietà ad ogni livello. Tale solidarietà, infatti, "è via alla pace e insieme allo sviluppo" (SRS 39). In questa prospettiva i Padri sinodali hanno invitato i cristiani a rifiutare forme inaccettabili di violenza, a promuovere atteggiamenti di dialogo e di pace e ad impegnarsi per instaurare un ordine sociale e internazionale giusto (cfr. "Propositio", 26).

43
43. Il servizio alla società da parte dei fedeli laici trova un suo momento essenziale nella questione economico-sociale, la cui chiave è data dall'organizzazione del lavoro.

La gravità attuale di tali problemi, colta nel panorama dello sviluppo e secondo la proposta di soluzione da parte della dottrina sociale della Chiesa, è stata ricordata recentemente nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis", alla quale desidero caldamente rimandare tutti, in particolare i fedeli laici.

Tra i caposaldi della dottrina sociale della Chiesa sta il principio della destinazione universale dei beni: i beni della terra sono, nel disegno di Dio, offerti a tutti gli uomini e a ciascun uomo come mezzo per lo sviluppo d'una vita autenticamente umana. Al servizio di questa destinazione si pone la proprietà privata, la quale - proprio per questo - possiede un'intrinseca funzione sociale.

Concretamente il lavoro dell'uomo e della donna rappresenta lo strumento più comune e più immediato per lo sviluppo della vita economica, strumento che insieme costituisce un diritto e un dovere d'ogni uomo.

Tutto questo rientra in modo particolare nella missione dei fedeli laici. Il fine e il criterio della loro presenza e della loro azione sono formulati in termini generali dal Concilio Vaticano II: "Anche nella vita economico-sociale sono da onorare e da promuovere la dignità e l'integrale vocazione della persona umana come pure il bene dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale" (
GS 63). Nel contesto delle sconvolgenti trasformazioni in atto nel mondo dell'economia e del lavoro, i fedeli laici siano impegnati in prima fila a risolvere i gravissimi problemi della crescente disoccupazione, a battersi per il superamento più tempestivo di numerose ingiustizie che derivano da distorte organizzazioni del lavoro, a far diventare il luogo di lavoro una comunità di persone rispettate nella loro soggettività e nel loro diritto alla partecipazione, a sviluppare nuove solidarietà tra coloro che partecipano al lavoro comune, a suscitare nuove forme di imprenditorialità e a rivedere i sistemi di commercio, di finanza e di scambi tecnologici.

A tal fine i fedeli laici devono compiere il loro lavoro con competenza professionale, con onestà umana, con spirito cristiano, come via della propria santificazione (cfr. "Propositio 24"), secondo l'esplicito invito del Concilio: "Con il lavoro, l'uomo ordinariamente provvede alla vita propria e dei suoi familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità e collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione. Ancor più: sappiamo che, offrendo a Dio il proprio lavoro, l'uomo si associa all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro un'elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazaret" (GS 67; cfr. LE 24-27).

In rapporto alla vita economico-sociale e al lavoro si pone oggi, in modo sempre più acuto, la questione cosiddetta "ecologica". Certamente l'uomo ha da Dio stesso il compito di "dominare" le cose create e di "coltivare il giardino" del mondo; ma è un compito, questo, che l'uomo deve assolvere nel rispetto dell'immagine divina ricevuta, e quindi con intelligenza e con amore: egli deve sentirsi responsabile dei doni che Dio gli ha elargito e continuamente gli elargisce. L'uomo ha fra le mani un dono che deve passare - e, se possibile, persino migliorato - alle generazioni future, anch'esse destinatarie dei doni del Signore: "Il dominio accordato dal Creatore all'uomo... non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di "usare e abusare", o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di "mangiare il frutto dell'albero" (cfr. Gn 2,16-17), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile.... siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire. Una giusta concezione dello sviluppo non può prescindere da queste considerazioni - relative all'uso degli elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di una industrializzazione disordinata -, le quali ripropongono alla nostra coscienza la dimensione morale, che deve distinguere lo sviluppo" (SRS 34).

44
44. Il servizio alla persona e alla società umana si esprime e si attua attraverso la creazione e la trasmissione della cultura, che, specialmente ai nostri giorni, costituisce uno dei più gravi compiti della convivenza umana e dell'evoluzione sociale. Alla luce del Concilio, intendiamo per "cultura" tutti quei "mezzi con i quali l'uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andare del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano" (
GS 53). In questo senso, la cultura deve ritenersi come il bene comune di ciascun popolo, l'espressione della sua dignità, libertà e creatività; la testimonianza del suo cammino storico. In particolare, solo all'interno e tramite la cultura la fede cristiana diventa storica e creatrice di storia.

Di fronte allo sviluppo di una cultura che si configura dissociata non solo dalla fede cristiana, ma persino dagli stessi valori umani ("Propositio 35"); come pure di fronte ad una certa cultura scientifica e tecnologica impotente nel dare risposta alla pressante domanda di verità e di bene che brucia nel cuore degli uomini, la Chiesa è pienamente consapevole dell'urgenza pastorale che alla cultura venga riservata un'attenzione del tutto speciale.

Per questo la Chiesa sollecita i fedeli laici ad essere presenti, all'insegna del coraggio e della creatività intellettuale, nei posti privilegiati della cultura, quali sono il mondo della scuola e dell'università, gli ambienti della ricerca scientifica e tecnica, i luoghi della creazione artistica e della riflessione umanistica. Tale presenza è destinata non solo al riconoscimento e all'eventuale purificazione degli elementi della cultura esistente criticamente vagliati, ma anche alla loro elevazione mediante le originali ricchezze del Vangelo e della fede cristiana. Quanto il Concilio Vaticano II scrive circa il rapporto tra il Vangelo e la cultura rappresenta un fatto storico costante ed insieme un ideale operativo di singolare attualità e urgenza; è un programma impegnativo consegnato alla responsabilità pastorale dell'intera Chiesa e in essa alla responsabilità specifica dei fedeli laici: "La buona novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali, derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato.

Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli... In tal modo la Chiesa, compiendo la sua missione, già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile e, mediante la sua azione, anche liturgica, educa l'uomo alla libertà interiore" (GS 58).

Meritano di essere qui riascoltate alcune espressioni particolarmente significative della esortazione "Evangelii Nuntiandi" di Paolo VI: "La Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del messaggio che essa proclama, (cfr. Rm 1,16 1Co 1,18;2,4) cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l'ambiente concreto loro propri. Strati dell'umanità che si trasformano: per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d'interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza. Si potrebbe esprimere tutto ciò dicendo così: occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell'uomo... La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture". (Pauli VI EN 18-20).

La via attualmente privilegiata per la creazione e per la trasmissione della cultura sono gli strumenti della comunicazione sociale (cfr. "Propositio 37"). Anche il mondo dei mass-media, in seguito all'accelerato sviluppo innovativo e all'influsso insieme planetario e capillare sulla formazione della mentalità e del costume, rappresenta una nuova frontiera della missione della Chiesa. In particolare, la responsabilità professionale dei fedeli laici in questo campo, esercitata sia a titolo personale sia mediante iniziative ed istituzioni comunitarie, esige di essere riconosciuta in tutto il suo valore e sostenuta con più adeguate risorse materiali, intellettuali e pastorali.

Nell'impiego e nella recezione degli strumenti di comunicazione urgono sia un'opera educativa al senso critico, animato dalla passione per la verità, sia un'opera di difesa della libertà, del rispetto alla dignità personale, dell'elevazione dell'autentica cultura dei popoli, mediante il rifiuto fermo e coraggioso di ogni forma di monopolizzazione e di manipolazione.

Né a quest'opera di difesa si ferma la responsabilità pastorale dei fedeli laici: su tutte le strade del mondo, anche su quelle maestre della stampa, del cinema, della radio, della televisione e del teatro, dev'essere annunciato il Vangelo che salva.


Christifideles laici 31