Catechesi tradendae 39
39 Con la giovinezza giunge l’ora delle prime grandi decisioni. Sostenuto forse dai membri della sua famiglia e dagli amici, e tuttavia lasciato a se stesso e alla propria coscienza morale, il giovane dovrà prendere su di sé la responsabilità del suo destino in maniera sempre più frequente e determinante. Bene e male, grazia e peccato, vita e morte si scontreranno sempre di più dentro di lui, certamente come categorie morali, ma anche e soprattutto come opzioni fondamentali, che egli dovrà accogliere o rigettare con lucidità e con senso di responsabilità. È evidente che una catechesi, la quale denunci l’egoismo in nome della generosità, che senza semplicismi o senza schematismi illusori offra il senso cristiano del lavoro, del bene comune, della giustizia e della carità, una catechesi della pace tra le Nazioni e della promozione della dignità umana, dello sviluppo, della liberazione, quali sono presentate nei recenti documenti della Chiesa (cf. ad esempio, Gaudium et Spes, AAS 58 [1966] 1025-1120; Paolo VI, Populorum Progressio, AAS 59 [1967] 257-299; Octogesima Adveniens: AAS 63 [1971] 401-441; Evangelii Nuntiandi: AAS 68 [1976] 5-76), integra felicemente nello spirito dei giovani una buona catechesi delle realtà propriamente religiose, che non deve mai essere trascurata. La catechesi assume allora un’importanza considerevole, poiché è il momento in cui il Vangelo potrà essere presentato, compreso e accolto in quanto capace di dare un senso alla vita e, quindi, di ispirare atteggiamenti altrimenti incomprensibili: rinuncia, distacco, mansuetudine, senso dell’Assoluto e dell’invisibile ecc., altrettanti elementi che permetteranno di identificare questo giovane tra i suoi compagni come un discepolo di Gesù Cristo.
La catechesi prepara così ai grandi impegni cristiani della vita di adulto. Per quel che riguarda, ad esempio, le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa, è certo che molte di esse sono sbocciate nel corso di una catechesi ben fatta durante l’infanzia e durante l’adolescenza.
Dalla prima infanzia alle soglie della maturità, la catechesi diventa, pertanto, una scuola permanente della fede e segue le grandi tappe della vita, come un faro che rischiara la strada al bambino, all’adolescente e al giovane.
40 È di conforto costatare che, durante la IV Assemblea Generale del Sinodo e negli anni che l’hanno seguita, la Chiesa ha largamente condiviso questa preoccupazione: come fare la catechesi ai bambini e ai giovani? Dio voglia che l’attenzione, così risvegliata, duri per lungo tempo nella coscienza della Chiesa! In questo senso, il Sinodo è stato prezioso per tutta la Chiesa, quando si è sforzato di tratteggiare con la maggior precisione possibile il volto complesso della gioventù d’oggi; quando ha mostrato che questa gioventù adopera un linguaggio, nel quale occorre saper tradurre con pazienza e saggezza, senza tradirlo, il messaggio di Gesù; quando ha dimostrato che, a dispetto delle apparenze, questa gioventù porta, anche se spesso in modo confuso, più ancora che una disponibilità ed un’apertura, un vero desiderio di conoscere questo “Gesù chiamato Cristo” (Mt 1,16): quando ha rivelato, finalmente, che l’opera della catechesi, se la si vuol compiere con rigore e serietà, è oggi più ardua e faticosa che mai, a causa degli ostacoli e delle difficoltà di ogni sorta che si ergono davanti a lei, ma anche più confortante che mai, a causa della profondità delle risposte che essa riceve da parte dei bambini e dei giovani. Si tratta di un tesoro, sul quale la Chiesa può e deve contare negli anni avvenire.
Alcune categorie di giovani destinatari della catechesi richiedono una speciale attenzione a motivo della loro condizione particolare.
41 Si tratta, innanzitutto, dei fanciulli e dei giovani handicappati fisici e mentali. Essi hanno diritto a conoscere, come gli altri coetanei, il “mistero della fede”. Le difficoltà più grandi, che essi incontrano, rendono ancor più meritori i loro sforzi e quelli dei loro educatori. È motivo di soddisfazione costatare che alcuni Organismi cattolici, particolarmente consacrati ai giovani handicappati, hanno voluto portare al Sinodo un rinnovato desiderio di affrontare meglio questo importante problema. Essi meritano di essere vivamente incoraggiati in tale ricerca.
42 Il mio pensiero va poi ai fanciulli ed ai giovani, sempre più numerosi, i quali, nati e educati in un focolare non cristiano o, almeno, non praticante, sono desiderosi di conoscere la fede cristiana. Dovrà essere loro assicurata una catechesi adeguata, affinché possano crescere nella fede e viverne progressivamente, malgrado la mancanza di sostegno e, forse anche, malgrado l’opposizione che incontrano nel loro ambiente.
43 Continuando nella serie dei destinatari della catechesi, non posso ora fare a meno di mettere in rilievo una delle più costanti preoccupazioni dei Padri Sinodali, imposta con forza ed urgenza dalle esperienze che sono in corso nel mondo intero: si tratta del problema centrale della catechesi degli adulti. È, questa, la principale forma della catechesi, in quanto si rivolge a persone che hanno le più grandi responsabilità e la capacità di vivere il messaggio cristiano nella sua forma pienamente sviluppata (cf. Christus Dominus CD 14, AAS 58 [1966] 679; Ad Gentes AGD 14, AAS 58 [1966] 962-963; Sacra Congregazione per il Clero, Directorium Catechisticum Generale, 20: AAS 64 [1972] 112; cf. anche Ordo initiationis christianae adultorum). La Comunità cristiana non potrebbe fare una catechesi permanente senza la diretta e sperimentata partecipazione degli adulti, siano essi i destinatari o i promotori dell’attività catechetica. Il mondo, nel quale i giovani sono chiamati a vivere ed a testimoniare la fede che la catechesi vuole approfondire e consolidare, è governato dagli adulti: la fede di costoro dovrebbe, dunque, essere continuamente illuminata, stimolata o rinnovata, per penetrare le realtà temporali di cui essi sono responsabili. Così, per essere efficace, la catechesi deve essere permanente, e sarebbe davvero vana se si arrestasse proprio alle soglie dell’età matura, poiché essa si rivela non meno necessaria agli adulti, anche se certamente sotto un’altra forma.
44 Tra questi adulti, che hanno bisogno di catechesi, la nostra preoccupazione pastorale e missionaria va a coloro i quali, nati ed educati in Regioni non ancora cristianizzate, non hanno mai potuto approfondire la dottrina cristiana, che le circostanze della vita un giorno hanno fatto loro incontrare; va a coloro che hanno ricevuto nella loro infanzia una catechesi corrispondente a quell’età, ma si sono poi allontanati da ogni pratica religiosa e si ritrovano, in età matura, con cognizioni religiose piuttosto infantili; va a coloro che risentono di una catechesi precoce, mal condotta o male assimilata; va a coloro che, pur essendo nati in un Paese cristiano, anzi in un contesto sociologicamente cristiano, non sono mai stati educati nella loro fede e, come adulti, sono dei veri catecumeni.
45 Gli adulti di qualsiasi età e le stesse persone di età avanzata – le quali meritano una particolare attenzione, in ragione della loro esperienza e dei loro problemi – sono, dunque, destinatari della catechesi quanto i fanciulli, gli adolescenti e i giovani. Bisognerebbe, inoltre, parlare dei migranti, delle persone emarginate dalla evoluzione moderna, delle persone che abitano nei quartieri di grandi metropoli spesso sprovvisti di chiese, di locali e di strutture appropriate... Come non esprimere per tutti costoro l’auspicio che si moltiplichino le iniziative destinate alla loro formazione cristiana mediante gli strumenti appropriati (sistemi audiovisivi, opuscoli, incontri, conferenze) in modo che molti adulti possano sia supplire ad una catechesi che è rimasta insufficiente o deficiente, sia completare armoniosamente, ad un livello più alto, quella che hanno ricevuto durante l’infanzia, sia anche arricchirsi in questo campo al punto da poter aiutare più seriamente gli altri?
Importa, altresì, che la catechesi dei fanciulli e dei giovani, la catechesi permanente, la catechesi degli adulti non siano dei compartimenti stagni, senza comunicazione tra loro. Ancor più importa che non ci sia rottura tra di esse. Al contrario, bisogna favorire la loro perfetta complementarità: gli adulti hanno molto da offrire ai fanciulli in materia di catechesi, ma essi pure possono riceverne molto per la crescita della loro vita cristiana.
Bisogna ripeterlo: nessuno nella Chiesa di Gesù Cristo dovrebbe sentirsi dispensato dal ricevere la catechesi. È questo anche il caso dei giovani seminaristi, dei giovani religiosi, come di tutti coloro che sono chiamati al compito di pastori e di catechisti; essi lo assolveranno tanto meglio, quanto più sapranno mettersi umilmente alla scuola della Chiesa, la grande catechista ed insieme la grande catechizzata.
46 Dall’insegnamento orale degli Apostoli e dalle lettere circolanti tra le Chiese fino ai mezzi più moderni, la catechesi non ha mai cessato di ricercare le vie ed i mezzi più adatti per svolgere la sua missione, con l’attiva partecipazione delle Comunità e sotto l’impulso dei Pastori. Un tale sforzo deve continuare.
Il mio pensiero si rivolge spontaneamente alle grandi possibilità che offrono i mezzi di comunicazione sociale ed i mezzi di comunicazione di gruppo: televisione, radio, stampa, dischi, nastri registrati, tutto il settore degli audiovisivi. Gli sforzi compiuti in questi campi sono tali che danno le più grandi speranze. L’esperienza dimostra, ad esempio, la risonanza di un insegnamento radiofonico o televisivo, che sappia congiungere un’espressione estetica qualificata ad una rigorosa fedeltà al Magistero. La Chiesa ha al presente molte occasioni di trattare tali problemi – come durante le “Giornate” delle Comunicazioni Sociali –; sicché non è qui necessario dilungarsi su di essi, nonostante la loro capitale importanza.
47 Il mio pensiero va parimenti ai diversi momenti di grande importanza, nei quali la catechesi ha un posto già pronto: ad esempio, i pellegrinaggi diocesani, regionali e nazionali, che molto si avvantaggiano se sono incentrati su un tema scelto con cura, a partire dalla vita di Cristo, della Vergine e dei Santi; le missioni tradizionali, spesso abbandonate troppo in fretta, e che sono insostituibili per un rinnovamento periodico e vigoroso della vita cristiana – bisogna appunto riprenderle e rinnovarle –; i circoli biblici, i quali debbono andare oltre all’esegesi per far vivere della Parola di Dio; le riunioni delle comunità ecclesiali di base, nella misura in cui esse corrispondono ai criteri esposti nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi (cf. Paolo VI, EN 58: AAS 68 [1976] 46-49). Ricordo, ancora, i gruppi di giovani, che in certe Regioni, sotto varie denominazioni e fisionomie (ma con lo stesso scopo di far conoscere Gesù Cristo e di vivere del Vangelo), si moltiplicano e fioriscono come in una primavera assai confortante per la Chiesa: gruppi di Azione Cattolica, gruppi caritativi, gruppi di preghiera, gruppi di riflessione cristiana ecc. Questi gruppi suscitano non poca speranza per la Chiesa di domani. Ma, in nome di Gesù, io scongiuro i giovani che li compongono, i loro responsabili, i Sacerdoti che ad essi consacrano il meglio del loro ministero: non permettete a nessun costo che questi gruppi, occasioni privilegiate d’incontro, ricchi di tanti valori di amicizia e di solidarietà giovanile, di gioia e di entusiasmo, di riflessione sui fatti e sulle cose, manchino di uno studio serio della dottrina cristiana. Essi, allora, rischierebbero (il pericolo, purtroppo, si è già più volte verificato) di deludere i loro aderenti e la Chiesa stessa.
Lo sforzo catechistico che è possibile fare in questi diversi luoghi, e in molti altri ancora, ha tanto migliori possibilità di essere accolto e di portare i suoi frutti, quanto più ne rispetterà la particolare natura. Inserendovisi in maniera appropriata, detto sforzo attuerà quella diversità e complementarità di contatti, che gli permettono di sviluppare tutta la ricchezza del suo concetto, con la triplice dimensione di parola, di memoria e di testimonianza – di dottrina, di celebrazione e di impegno nella vita –, che il Messaggio del Sinodo al Popolo di Dio ha messo in evidenza (cf. Sinodo dei Vescovi, De catechesi hoc nostro tempore tradenda praesertim pueris atque iuvenibus: Ad populum Dei nuntius, 7-10: loc. cit. , pp. 9-12; cf. “L’Osservatore Romano”, 30 ottobre 1977, p. 3).
48 Questa osservazione vale più ancora per la catechesi che vien fatta nel quadro liturgico e, in particolare, durante l’assemblea eucaristica: rispettando la natura specifica ed il ritmo proprio di questo quadro, l’omelia riprende l’itinerario di fede, proposto dalla catechesi, e lo porta al suo naturale compimento; parimenti, essa spinge i discepoli del Signore a riprendere ogni giorno il loro itinerario spirituale nella verità, nell’adorazione e nel rendimento di grazie. In questo senso si può dire che la pedagogia catechetica trova essa pure la sua origine ed il suo compimento nell’Eucaristia, entro l’orizzonte completo dell’anno liturgico. La predicazione, incentrata sui testi biblici, deve permettere allora, a sua volta, di familiarizzare i fedeli con l’insieme dei misteri della fede e delle norme della vita cristiana. Bisogna dedicare grande attenzione all’omelia: né troppo lunga né troppo breve, sempre accuratamente preparata, sostanziosa e appropriata, e riservata ai ministri ordinati. Tale omelia deve avere il suo posto in ogni Eucaristia domenicale e festiva, ma anche nella celebrazione dei battesimi, delle liturgie penitenziali, dei matrimoni, dei funerali. È questo uno dei vantaggi del rinnovamento liturgico.
49 In questo complesso di vie e di mezzi – ogni attività della Chiesa ha una dimensione catechetica – le opere di catechismo, lungi dal perdere la loro importanza essenziale, assumono un nuovo rilievo. Uno degli aspetti maggiori del rinnovamento della catechesi consiste oggi nella revisione e nella moltiplicazione dei libri catechetici, avvenute quasi dappertutto nella Chiesa. Opere numerose ed assai riuscite hanno visto la luce e rappresentano una vera ricchezza a servizio dell’insegnamento catechetico. Ma occorre parimenti riconoscere, con onestà ed umiltà, che questa fioritura e questa ricchezza hanno comportato saggi e pubblicazioni equivoche e dannose ai giovani ed alla vita della Chiesa. Abbastanza spesso, qua e là, per la preoccupazione di trovare il linguaggio migliore o di essere alla moda in quanto attiene ai metodi pedagogici, alcune opere catechetiche disorientano i giovani ed anche gli adulti sia con l’omissione, cosciente o incosciente, di elementi essenziali alla fede della Chiesa, sia col dare eccessiva importanza a certi temi a scapito di altri, sia soprattutto con una visione globale di tipo abbastanza orizzontale, che non è conforme all’insegnamento del Magistero della Chiesa.
Non basta, dunque, che si moltiplichino le opere catechetiche. Perché esse rispondano alla loro finalità, sono indispensabili diverse condizioni:
– che siano realmente collegate alla vita concreta della generazione alla quale si rivolgono, tenendo ben presenti le sue inquietudini ed i suoi interrogativi, le sue lotte e le sue speranze;
– che si sforzino di trovare il linguaggio comprensibile a questa generazione;
– che s’impegnino ad esporre tutto il messaggio del Cristo e della sua Chiesa, senza nulla trascurare né deformare, pur presentandolo secondo un asse e una struttura che mettono in rilievi l’essenziale;
– che mirino veramente a provocare in coloro che devono servirsene una maggiore conoscenza dei misteri di Cristo, in vista di una vera conversione e di una vita sempre più conforme al volere di Dio.
50 Tutti coloro che si assumono il grave compito di preparare questi strumenti catechetici e, a maggior ragione, il testo dei catechismi, non possono farlo senza l’approvazione dei Pastori, che hanno l’autorità di darla, né senza ispirarsi, con la maggior aderenza possibile, al “Direttorio Generale della Catechesi”, il quale rimane la norma di riferimento (cf. Sacra Congregazione per il Clero, Directorium Catechisticum Generale, 119-121; 134: AAS 64 [1972] 166-167; 172).
A questo proposito, non posso omettere di rivolgere un fervido incoraggiamento alle Conferenze Episcopali di tutto il mondo: che esse intraprendano con pazienza, ma anche con ferma risolutezza, l’imponente lavoro da compiere d’intesa con la Sede Apostolica, per approntare dei catechismi ben fatti, fedeli ai contenuti essenziali della Rivelazione ed aggiornati per quanto riguarda la metodologia, capaci di educare ad una fede solida le generazioni cristiane dei tempi nuovi.
Questo breve accenno ai mezzi ed alle vie della catechesi contemporanea non esaurisce la ricchezza delle “Proposizioni”, elaborate dai Padri Sinodali. È un fatto confortante pensare che in ogni Paese è in atto al presente una preziosa collaborazione per un rinnovamento più organico e più sicuro di questi aspetti della catechesi. Come dubitare che la Chiesa possa trovare le persone esperte ed i mezzi adatti per rispondere, con la grazia di Dio, alle esigenze complesse della comunicazione con gli uomini del nostro tempo.
51 L’età e lo sviluppo intellettuale dei cristiani, il loro grado di maturità ecclesiale e spirituale e molte altre circostanze personali esigono che la catechesi adotti metodi diversi, per attingere il suo scopo specifico: l’educazione alla fede. Tale varietà è richiesta anche, su un piano più generale, dall’ambiente socio-culturale, nel quale la Chiesa svolge la sua opera catechetica.
La varietà nei metodi è un segno di vita ed una ricchezza. È così che l’hanno considerata i Padri della IV Assemblea Generale del Sinodo, pur richiamando l’attenzione sulle condizioni indispensabili perché essa sia utile e non pregiudizievole all’unità dell’insegnamento dell’unica fede.
52 La prima questione di ordine generale, che si presenta, concerne il rischio e la tentazione di mescolare indebitamente all’insegnamento catechetico prospettive ideologiche, scoperte o larvate, soprattutto di natura politico-sociale, o opzioni politiche personali. Allorché tali prospettive prevalgono sul messaggio centrale che si deve trasmettere, fino a oscurarlo e a renderlo secondario, anzi fino a subordinarlo ai propri fini, la catechesi viene snaturata sin nelle sue radici. Il Sinodo ha giustamente insistito sulla necessità, per la catechesi, di tenersi al di sopra di tendenze unilaterali divergenti – di evitare “dicotomie” – anche sul terreno delle interpretazioni teologiche date a simili questioni. È sulla rivelazione che la catechesi cercherà di regolarsi: la Rivelazione quale la trasmette il Magistero universale della Chiesa, nella sua forma solenne o ordinaria. Questa Rivelazione è quella di un Dio creatore e redentore, il cui Figlio, venuto tra gli uomini nella loro carne, entra non solamente nella storia personale di ciascun uomo, ma nella stessa storia umana, della quale egli diventa il centro. Questa Rivelazione è, dunque, quella del cambiamento radicale dell’uomo e dell’universo, di tutto ciò che costituisce il tessuto dell’esistenza umana, sotto l’influsso della Buona Novella di Gesù Cristo. Una catechesi così concepita oltrepassa ogni moralismo formalista, benché includa una vera morale cristiana. Essa oltrepassa, soprattutto, ogni “messianismo” temporale, sociale e politico. Essa cerca di raggiungere l’uomo nel profondo.
53 Affronto, a questo punto, una seconda questione. Come ho detto recentemente ai membri della Commissione Biblica, “il termine acculturazione, o inculturazione, pur essendo un neologismo, esprime molto bene una delle componenti del grande mistero dell’Incarnazione” (cf. AAS 71 [1979] 607). Della catechesi, come dell’evangelizzazione in generale, possiamo dire che è chiamata a portare la forza del Vangelo nel cuore della cultura e delle culture. Per questo, la catechesi cercherà di conoscere tali culture e le loro componenti essenziali; ne apprenderà le espressioni più significative; ne rispetterà i valori e le ricchezze peculiari. È in questo modo che essa potrà proporre a tali culture la conoscenza del mistero nascosto (cf. Rm 16,25 Ep 3,5) ed aiutarle a far sorgere, dalla loro propria viva tradizione, espressioni originali di vita, di celebrazione e di pensiero che siano cristiani. Converrà, tuttavia, tener presenti due cose:
– da una parte, il Messaggio evangelico non è puramente e semplicemente isolabile dalla cultura, nella quale esso si è da principio inserito (l’universo biblico e, più concretamente, l’ambiente culturale, in cui è vissuto Gesù di Nazaret), e neppure è isolabile, senza un grave depauperamento, dalle culture, in cui si è già espresso nel corso dei secoli; esso non sorge per generazione spontanea da alcun “humus” culturale; esso da sempre si trasmette mediante un dialogo apostolico, che è inevitabilmente inserito in un certo dialogo di culture.
– dall’altra parte, la forza del Vangelo è dappertutto trasformatrice e rigeneratrice. Allorché essa penetra una cultura, chi si meraviglierebbe se ne rettifica non pochi elementi? Non ci sarebbe catechesi, se fosse il Vangelo a dover alterarsi al contatto delle culture.
Dimenticando questo, si arriverebbe semplicemente a ciò che San Paolo chiama, con espressione molto forte, “render vana la croce di Cristo” (cf. 1Co 1,17).
Ben diverso è il metodo che parte, con saggezza e discernimento, da elementi – religiosi o di altra natura – che appartengono al patrimonio culturale di un gruppo umano per aiutare le persone a comprendere meglio l’integrità del mistero cristiano. Gli autentici maestri in catechesi sanno che una catechesi “s’incarna” nelle differenti culture o nei differenti ambienti: basta pensare ai popoli tanto diversi, ai giovani del nostro tempo, alle circostanze diversificate in cui si trova la gente al giorno d’oggi; essi non accettano, peraltro, che la catechesi s’impoverisca con l’abdicazione o l’attenuazione del suo messaggio, a causa di adattamenti, anche di linguaggio, che comprometterebbero “il buon deposito” della fede (cf. 2Tm 1,14), o a causa di concessioni in materia di fede o di morale; essi sono persuasi che la vera catechesi finisce per arricchire queste culture, aiutandole a superare i lati deficienti, o addirittura inumani esistenti in esse, e comunicando ai loro valori legittimi la pienezza del Cristo (cf. Jn 1,16 Ep 1,10).
54 Un’altra questione di metodo concerne la valorizzazione, da parte dell’insegnamento catechetico, degli elementi validi della pietà popolare. Io penso a quelle devozioni che son praticate in certe Regioni dal popolo fedele con un fervore ed una purezza di intenzione commoventi, anche se la fede, che vi sta alla base, deve essere purificata e perfino rettificata sotto non pochi aspetti. E penso a certe preghiere facili da comprendere, che tante persone semplici amano ripetere. E penso a certi atti di pietà, praticati col desiderio sincero di fare penitenza o di piacere al Signore. Alla base della maggior parte di queste preghiere o di queste pratiche, accanto ad elementi da eliminare, ve ne sono altri i quali, se ben utilizzati, potrebbero servire benissimo a far progredire nella conoscenza del mistero di Cristo e del suo messaggio: l’amore e la misericordia di Dio, l’incarnazione del Cristo, la sua croce redentrice e la sua risurrezione, l’azione dello Spirito in ciascun cristiano e nella Chiesa, il mistero dell’aldilà, le virtù evangeliche da praticarsi, la presenza del cristiano nel mondo ecc. E perché dovremmo far appello a certi elementi non cristiani – e perfino anticristiani –, rifiutando di appoggiarci su elementi, i quali, anche se han bisogno di essere riveduti ed emendati, hanno qualcosa di cristiano alla loro radice?
55 L’ultima questione metodologica, che è opportuno almeno sottolineare – essa è stata più di una volta dibattuta nel Sinodo – è quella della memorizzazione. Gli inizi della catechesi cristiana, che coincisero con una civiltà soprattutto orale, hanno fatto il più ampio ricorso alla memorizzazione. La catechesi, in seguito, ha conosciuto una lunga tradizione di apprendimento mnemonico delle principali verità. Noi sappiamo tutti che questo metodo può presentare certi inconvenienti: il minore non è certo quello di prestarsi ad un’assimilazione insufficiente, talvolta quasi nulla, riducendosi tutto il sapere a formule che vengono ripetute senza che siano state approfondite. Questi inconvenienti, uniti alle caratteristiche diverse della nostra civiltà, hanno condotto qua e là alla soppressione quasi completa – alcuni dicono, ahimè, definitiva – della memorizzazione nella catechesi. Nondimeno, voci molto autorevoli si sono fatte sentire in occasione della IV Assemblea Generale del Sinodo per riequilibrare assennatamente la funzione della riflessione e della spontaneità, del dialogo e del silenzio, dei lavori scritti e della memoria. D’altronde, determinate culture tengono tuttora in gran conto la memorizzazione.
Mentre nell’insegnamento profano di certi Paesi, si levano sempre più numerose le critiche intorno alle conseguenze spiacevoli della svalutazione di questa facoltà umana, che è la memoria, perché non dovremmo cercare di ridare ad essa valore nella catechesi, in maniera intelligente ed anche originale, tanto più che la celebrazione, o “memoria” dei grandi fatti della storia della salvezza esige che se ne abbia una conoscenza esatta? Una certa memorizzazione delle parole di Gesù, di importanti passi biblici, dei Dieci Comandamenti, delle formule di professione di fede, dei testi liturgici, delle preghiere fondamentali, delle nozioni-chiave della dottrina... lungi dall’esser contraria alla dignità dei giovani cristiani, o dal costituire un ostacolo al dialogo personale col Signore, è una reale necessità, come hanno ricordato con vigore i Padri Sinodali. Bisogna essere realisti. I fiori della fede e della pietà – se così si può dire – non spuntano nelle zone desertiche di una catechesi senza memoria. La cosa essenziale è che questi testi memorizzati siano al tempo stesso interiorizzati, compresi a poco a poco nella loro profondità, per diventare sorgente di vita cristiana personale e comunitaria.
La pluralità dei metodi nella catechesi contemporanea può essere segno di vitalità e di genialità. In tutti i casi, quel che importa è che il metodo prescelto si riferisca, in definitiva, a una legge che è fondamentale per tutta la vita della Chiesa: quella della fedeltà a Dio e della fedeltà all’uomo, in uno stesso atteggiamento di amore.
56 Noi viviamo in un mondo difficile, nel quale l’angoscia derivante dal vedere le migliori realizzazioni dell’uomo sfuggirgli di mano e rivoltarsi contro di lui (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis RH 15-16, AAS 71 [1979] 286-295), crea un clima d’incertezza. È appunto entro questo mondo che la catechesi deve aiutare i cristiani ad essere, per la loro gioia e per il servizio di tutti, “luce” e “sale” (cf. Mt 5,13-16). Ciò esige sicuramente che essa li rafforzi nella loro propria identità e che si sottragga essa stessa di continuo all’ambiente di esitazioni, di incertezze e di svigorimento. Fra le molte difficoltà, che sono altrettante sfide per la fede, io ne rilevo soltanto qualcuna per aiutare la catechesi a superarle.
57 Si parlava molto, qualche anno fa, di mondo secolarizzato e di era post-cristiana. Le mode passano...; resta, però, una realtà profonda. I cristiani di oggi debbono essere formati per vivere in un mondo che per larga parte ignora Dio o che, in materia religiosa, al posto di un dialogo esigente e fraterno, stimolante per tutti, decade troppo spesso in un indifferentismo livellatore, quando non resta arroccato in un atteggiamento sprezzante di “sospetto”, in nome dei suoi progressi in materia di “spiegazioni” scientifiche. Per riuscire a “tenere” in questo mondo, per offrire a tutti un “dialogo di salvezza” (Paolo VI, Ecclesiam Suam, p. III: AAS 56 [1964] 637-659), nel quale ciascuno si senta rispettato nella sua dignità veramente fondamentale, quella di ricercatore di Dio, noi abbiamo bisogno di una catechesi che insegni ai giovani ed agli adulti delle nostre comunità ad essere lucidi e coerenti nella loro fede, ad affermare con serenità la loro identità cristiana e cattolica, a “vedere l’invisibile” (cf. He 11,27) e ad aderire così fortemente all’assoluto di Dio, da poterlo testimoniare entro una civiltà materialista, che lo nega.
58 L’irriducibile originalità dell’identità cristiana ha per corollario e condizione una non meno originale pedagogia della fede. Tra le numerose e prestigiose scienze umane, che registrano ai nostri giorni un immenso progresso, la pedagogia è senza dubbio una delle più importanti. Le conquiste delle altre scienze – biologia, psicologia, sociologia – le offrono elementi preziosi. La scienza dell’educazione e l’arte dell’insegnare sono oggetto di continue rimesse in discussione, in vista di un migliore adattamento o di una più grande efficacia, con risultati peraltro diversi.
Ora, vi è anche una pedagogia della fede, e non si parlerà mai abbastanza di quel che una tale pedagogia della fede può arrecare alla catechesi. È normale, infatti, adattare in favore dell’educazione della fede le tecniche sperimentate e perfezionate dell’educazione in quanto tale. Occorre, tuttavia, tener conto in ogni istante della fondamentale originalità della fede. Quando si parla della pedagogia della fede, non si tratta di trasmettere un sapere umano, anche se il più elevato; si tratta di comunicare nella sua integrità la Rivelazione di Dio. Dio medesimo, nel corso della storia sacra e soprattutto nel Vangelo, si è servito di una pedagogia, che deve restare come modello per la pedagogia della fede. Una tecnica non ha valore, nella catechesi, se non nella misura in cui si pone al servizio della trasmissione della fede e dell’educazione alla fede; in caso contrario non ha alcun valore.
59 Un problema che si avvicina al precedente è quello del linguaggio. Ognuno sa quanto tale questione sia scottante al giorno d’oggi. Non è pure paradossale constatare come gli studi contemporanei, nel campo della comunicazione, della semantica e della scienza dei simboli, per esempio, diano una notevole importanza al linguaggio, e come d’altronde il linguaggio sia oggigiorno utilizzato abusivamente al servizio della mistificazione ideologica, della massificazione del pensiero, della riduzione dell’uomo alla condizione di oggetto?
Tutto ciò esercita influssi notevoli nel campo della catechesi. Ad essa incombe, infatti, il preciso dovere di trovare un linguaggio adatto ai fanciulli ed ai giovani del nostro tempo in generale, come a numerose altre categorie di persone: linguaggio per gli intellettuali, per gli uomini di scienza; linguaggio per gli handicappati ecc. Sant’Agostino aveva già incontrato un tale problema ed aveva contribuito a risolverlo, per il suo tempo, con la nota opera De catechizandis rudibus. In catechesi come in teologia, la questione del linguaggio senza alcun dubbio, fondamentale. Ma non è superfluo ricordarlo qui: la catechesi non potrebbe ammettere alcun linguaggio che, sotto qualsiasi pretesto, anche se presentato come scientifico, avesse come risultato quello di snaturare il contenuto del “Credo”. E meno ancora conviene un linguaggio che inganni o che seduca. La legge suprema è, al contrario, che i grandi progressi nella scienza del linguaggio debbono poter essere messi al servizio della catechesi, perché essa possa più agevolmente “dire” o “comunicare” ai fanciulli, agli adolescenti, ai giovani e agli adulti di oggi tutto il contenuto dottrinale, senza alcuna deformazione.
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