GPII 1979 Insegnamenti - Al Rotary International - Città del Vaticano (Roma)
Titolo: L'apostolato della cultura nell'azione della Chiesa
Testo: Carissimi fratelli e sorelle.
Permettete che per prima cosa porga il mio saluto più sincero e cordiale a tutti voi, che siete qui convenuti anche in rappresentanza di molti altri soci o simpatizzanti del Centro San Domenico di Bologna. Inoltre, voglio ringraziarvi sentitamente per aver desiderato questo incontro, che dimostra il vostro senso di cristiana, filiale adesione e devozione a questa Cattedra di Pietro, alla quale il Signore, nella sua imperscrutabile bontà, mi ha chiamato.
Questa circostanza mi offre anche la felice occasione di ricordare che ho avuto anch'io l'onore di essere invitato dai Responsabili del vostro Centro, non molti anni fa, e che sono stato quindi uno dei suoi oratori. E devo dire che tutt'ora conservo un buon ricordo di quell'esperienza. Essa mi ha permesso di conoscere da vicino una provvida istituzione culturale, che costituisce una presenza viva e una testimonianza cristiana nella città e nella diocesi di Bologna, lodevolmente disponibile anche all'ascolto di altre voci, in uno spirito di dialogo fecondo e costruttivo.
Voi celebrate il decimo anno di vita del vostro sodalizio. So che codesto Centro è stato opportunamente fondato da alcuni laici vicini all'Ordine Domenicano, dal quale esso trae ispirazione. Da una parte, le sue origini post-conciliari gli conferiscono un timbro di rinnovato inserimento nella vita della chiesa locale ed una peculiare apertura ai vari fermenti presenti nel mondo contemporaneo. D'altra parte, il suo legame con l'Ordine di san Domenico gli imprime una caratteristica di solido ancoraggio al Magistero della Chiesa e una particolare serietà di applicazione metodologica nell'indagine e nella esposizione dei vari argomenti trattati. A questo proposito, non si può fare a meno di pensare almeno a due figure luminose di Domenicani: sant'Alberto Magno e san Tommaso d'Aquino. I loro nomi evocano immediatamente la ricerca e la profondità del sapere, coltivato secondo un tipico taglio "cattolico", dove l'aggettivo va inteso non solo in senso confessionale ed ecclesiale, ma anche in quello etimologico del vastissimo angolo visuale proprio della intelligenza umana. Anche oggi tutto ciò è più che mai necessario.
Infatti è importante che lo specifico annuncio evangelico, o "kerygma", venga omogeneamente integrato dallo studio e dall'approfondimento dei vari aspetti delle scienze sia teologiche che umane. L'apostolato della cultura, al quale voi vi dedicate, è parte fondamentale dell'azione missionaria della Chiesa, fin dalle sue origini. Il compito di Gesù, che non è "venuto per abolire, ma per dare compimento" (Mt 5,17), deve continuare nella storia e va realizzato con zelo e con intelligenza. Da parte sua san Paolo, che pur stigmatizza l'inanità della sapienza di questo mondo (cfr. 1Co 1,19-21), enumera addirittura tra i carismi dello Spirito "il linguaggio della sapienza... e della scienza" (1Co 12,8). E gli antichi Padri della Chiesa non hanno fatto altro che ripensare il messaggio biblico alla luce delle categorie culturali del proprio ambiente, così da rivitalizzare nel contempo l'uno e le altre.
In tal modo, prende forma una vera e propria "sapienza cristiana", che si contraddistingue per il suo radicarsi nella Rivelazione, per la sua acuta sensibilità alle culture storiche, per la sua indispensabile destinazione alla vita concreta dell'uomo, al di là di ogni aristocratica astrazione, e per la sua finalizzazione ecclesiale, come qualificato apporto alla crescita di fede della comunità dei battezzati. così voi provate praticamente, e conducete pure a sperimentare, quanto fecondo ed entusiasmante sia il vicendevole rapporto tra il moto dell'intelligenza alla ricerca della fede e quello della fede che cerca l'intelligenza di sé. Su questa strada non si può non approdare a "Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3), pur scoprendo, con meraviglia gaudiosa, che il suo amore "sorpassa ogni conoscenza" (Ep 3,19).
Alla luce di questo cammino e di questa meta, io non posso che incoraggiare cordialmente la vostra attività. Proseguite con gioia e con impegno il lavoro intrapreso, secondo i vostri scopi organizzativi e apostolici. Dieci anni di vita sono relativamente pochi; davanti a voi c'è ancora molto tempo per un contributo crescente ai dibattiti del nostro tempo e per un'incidenza sempre più profonda e feconda sull'uomo d'oggi, che come non mai ha sete di assoluto e di vita eterna (cfr. Jn 6,68). Potrete così rendere un preziosissimo servizio alla comunità cristiana e, in senso più ampio, a quella civile della diletta città e diocesi di Bologna.
Da parte mia, intendo confermare volentieri questi voti, concedendo di cuore la propiziatrice benedizione apostolica a tutti voi, a coloro che voi rappresentate, e in particolare ai benemeriti Responsabili del Centro, siano essi laici o appartenenti all'Ordine Domenicano.
Data: 1979-06-16
Data estesa: Sabato 16 Giugno 1979.
Titolo: L'Eucaristia, pegno di pace e di comunione fraterna
Testo:
1. "Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis".
Oggi vogliamo adorare in modo particolare il Divino Corpo, che è diventato il Santissimo Sacramento della nostra fede e di tutta la vita della Chiesa. Questo è il giorno del culto pubblico dell'Eucaristia. L'espressione di questo culto, accolto da secoli interi, è la processione: corteo religioso al seguito del Sommo Sacerdote e, nello stesso tempo, del Santissimo Sacrificio, che ci invita a seguirlo.
Ricordiamo che il luogo della presenza di Cristo sulla terra fu non solo il cenacolo di Gerusalemme, ma anche le strade delle città e le vie delle campagne. Dappertutto si riuniva la gente dinanzi a lui. Si riunivano insieme per poter essere con lui, per ascoltarLo.
Nella solennità del "Corpus Domini" si rinnova questa particolare presenza di Cristo sulle strade, sulle piazze e sulle vie. Egli parla a noi riuniti non già con le vive parole del Vangelo, come una volta, ma con il così eloquente silenzio eucaristico.
In questo silenzio dell'ostia bianca, portata nell'ostensorio, sono tutte le sue parole; c'è tutta la sua vita donata in offerta al Padre per ognuno di noi; c'è anche la gloria del corpo glorificato, iniziata con la risurrezione, e sempre perdurante nell'unione celeste.
Cerchiamo di partecipare al culto pubblico del "Corpus Domini" così che il mistero di Cristo ancor più profondamente possa penetrare tutta la nostra vita.
2. Domani, lunedi 18 giugno, sarà firmato a Vienna dalle più alte Autorità delle maggiori potenze nucleari il secondo Accordo, chiamato SALT II, sulla limitazione degli armamenti strategici. L'accordo non è ancora una riduzione di armamenti o, come sarebbe auspicabile, un provvedimento di disarmo, ma ciò non significa che le misure previste non siano un segno, che dobbiamo salutare con compiacimento, del desiderio di perseguire un dialogo, senza il quale ogni speranza di lavorare efficacemente per la pace potrebbe svanire.
I credenti, e gli uomini di buona volontà, che sentono quale imperativo della coscienza l'impegnarsi come "artigiani della pace", non possono ignorare l'importanza che a tutto quanto favorisce un clima di allentamento delle tensioni, propizio ad incoraggiare altri e indispensabili progressi sul cammino della limitazione e della riduzione degli armamenti.
Insieme con voi, prego il Signore, che nella Santa Eucaristia ha voluto darci un pegno non solo della gloria futura ma della pace e della comunione di fraternità su questa terra, affinché faccia progredire la grande causa della rinuncia alle armi e del perseguimento di intese oneste, stabili ed effettive, premessa al rafforzamento della concordia e a rapporti più giusti fra i popoli. In questa prospettiva di speranza, l'incontro di Vienna è un avvenimento che non può non essere al centro della nostra preghiera.
3. Penso ora con profonda mestizia alla dolorosa prova a cui, da tempo, è sottoposta l'inerme popolazione del Nicaragua: questa cara e tormentata terra, dalla quale continuano a giungere tragiche notizie, che attestano il prevalere dell'odio sull'amore, della violenza sullo spirito di concordia e di fraternità.
Alla preghiera di suffragio per le vittime di così crudele situazione uniamo la fervida implorazione a Dio, affinché illumini le menti di coloro sui quali maggiormente gravano le responsabilità dell'atroce conflitto, infonda coraggio in quanti, pur vivendo nel pericolo e nelle difficoltà, hanno il dovere di aprire il cuore di tutti alla speranza, e doni all'intero popolo del Nicaragua giorni migliori nella ritrovata pace e fratellanza.
4. Infine, in questo nostro incontro domenicale per la recita dell'"Angelus", ricordo ancora con grande emozione il mio recente viaggio in Polonia: esso è stato un pellegrinaggio di fede, che ho vissuto intensamente e, con me, ha intensamente vissuto anche il popolo polacco. Ho pregato per la Chiesa, per l'Umanità, per voi, nei luoghi sacri alla storia religiosa della mia patria di origine, e ho affidato la Chiesa, l'Umanità e voi alla Madonna di Jasna Gora. Desidero rivolgere, in questo momento, un particolare pensiero di compiacimento e di gratitudine a tutti quei Vescovi e fedeli che, da varie parti del mondo, hanno voluto compiere col Papa questo singolare pellegrinaggio, come pure a tutti coloro che avrebbero desiderato intervenire, ma per varie ragioni non hanno potuto, e hanno accompagnato il Papa Pellegrino con la loro fervente preghiera e con i loro sacrifici nascosti.
A tutti il mio sincero e cordiale ringraziamento! Data: 1979-06-17
Data estesa: Domenica 17 Giugno 1979.
Titolo: L'Eucaristia: culto e sacrificio
Testo: Dilettissimi fratelli e sorelle!
1. Siano oggi brevi le mie parole. Parli invece a noi la festa stessa, l'Eucaristia stessa nella pienezza della sua espressione liturgica.
Ecco, stiamo per celebrare sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano, della cattedra del Vescovo di Roma, il Santissimo Sacrificio, per procedere poi, alla fine, in processione, alla Basilica di Santa Maria Maggiore sull'Esquilino.
In questo modo vogliamo mettere insieme, in un solo atto liturgico, il culto del Sacrificio e il culto dell'adorazione, così come lo esigono da noi la solennità odierna e la tradizione secolare della Chiesa.
2. Desideriamo annunziare all'Urbe e all'Orbe l'Eucaristia, cioè la Gratitudine.
Questo Sacramento è il segno della gratitudine di tutto il creato per la visita del Creatore. Questo Sacramento è il segno della gratitudine dell'uomo perché il Creatore è diventato creatura; perché Dio è diventato Uomo, perché "ha preso il corpo umano dalla Genitrice Vergine Immacolata", per elevare di nuovo noi uomini al Padre; per fare di noi i figli di Dio.
Desideriamo quindi annunziare e cantare con la bocca, e ancora di più confessare col nostro cuore umano, la gratitudine per il Sacramento del Corpo e del Sangue di Dio, con il quale egli nutre le nostre anime e rinnova i nostri cuori umani.
3. Desideriamo poi annunziare all'Urbe e all'Orbe l'Eucaristia come il segno di alleanza, che Dio ha concluso irreversibilmente con l'uomo mediante il Corpo e il Sangue del suo Figlio.
Questo Corpo è stato esposto alla passione e alla morte. Ha condiviso la sorte terrestre dell'uomo dopo il peccato originale. Questo Sangue è stato versato per sigillare la nuova alleanza di Dio con l'uomo: l'alleanza di grazia e di amore, l'alleanza di santità e di verità. Noi siamo partecipi di questa alleanza ancora più che il Popolo di Dio dell'antica Legge. Oggi vogliamo quindi dare una testimonianza davanti a tutti gli uomini.
Eppure per tutti gli uomini Dio si è fatto uomo. Per tutti Cristo è morto e risorto. Tutti, infine, sono stati chiamati al banchetto dell'eternità. E qui sulla terra il Dio Signore invita ognuno dicendo: "Prendete e mangiate...
Prendete e bevete!... per non fermarvi sulla strada!".
4. Infine desideriamo all'Urbe e all'Orbe annunziare l'Eucaristia come segno dell'adorazione dovuta a Dio solo. Quanto ammirabile è il nostro Dio! Colui che nessun intelletto è in grado di abbracciare e di adorare a misura della sua santità. Colui che nessun cuore è in grado di amare a misura del suo amore.
Quanto è mirabile quando vuole che lo abbracciamo, lo amiamo e lo adoriamo, secondo la dimensione umana della nostra fede, sotto le specie dei Pane e del Vino!
5. Accetta, Cristo Eucaristico, questa espressione dell'adorazione e dell'amore, che la Chiesa ti rende mediante il ministero del Vescovo di Roma, successore di Pietro. Sii adorato per la memoria di tutti i miei predecessori, che ti hanno adorato dinanzi agli occhi dell'Urbe e dell'Orbe.
Alla fine della liturgia odierna, ti riceva, dalle nostre mani sul sagrato del suo tempio, la tua Madre santissima che a te eterno Figlio del Padre, ha dato il corpo umano: "Ave, verum corpus, / natum ex Maria Virgine. / Vere passum immolatum / in cruce nobis praegustatum / mortis in examine!" (Salve, o vero Capo, nato dalla Vergine Maria, che veramente hai patito e sei stato immolato sulla Croce per l'umanità; sii da noi pregustato quando giungerà la prova della morte!).
Amen.
Data: 1979-06-17
Data estesa: Domenica 17 Giugno 1979.
Titolo: Una limpida testimonianza sull'esempio di Cristo
Testo: Carissimi fratelli e sorelle! Nel ringraziarvi per la cortesia che vi ha portato a sollecitare questo incontro, desidero esprimere innanzitutto la viva gioia che occupa il mio animo nel vedere accanto a me una qualificata rappresentanza delle famiglie religiose operanti nel campo socio-sanitario. Guardando a voi, il mio pensiero corre istintivamente alla vasta schiera di anime generose, che condividono il vostro stesso ideale di consacrazione a Cristo e di servizio ai fratelli e che spendono, come voi, le loro energie nelle corsie degli ospedali o delle case di cura, tra le persone assistite nei Centri di riabilitazione o tra gli anziani raccolti negli appositi Istituti.
Ed ecco che, quasi evocata dalla vostra presenza, una moltitudine di altri visi si affaccia all'occhio dell'anima: è il mondo dei sofferenti di ogni età e di ogni condizione sociale, ognuno con la propria storia, forse con una propria amarezza, certo con un'attesa, che spesso si fa implorazione accorata.
Il vostro servizio nasce appunto dalla viva percezione dei bisogni, delle aspettative e delle delusioni, che agitano questa porzione dell'umanità, di cui troppo spesso il mondo dei sani tende a dimenticarsi. La vostra sensibilità è ispirata e sollecitata soprattutto dalla parola di Cristo: "Ero malato e mi avete visitato" (Mt 25,36). Vi siete lasciati personalmente coinvolgere ed avete deciso di consacrare la vostra vita alle attese di tanti fratelli. L'avete deciso in forma piena e totale, rinunciando a tutto ciò che avrebbe potuto rappresentare un ostacolo all'interezza del dono, precisamente a tale vostra consacrazione a Cristo nella vita religiosa per una disponibilità senza riserve, amorevole ed operosa, alle necessità del prossimo.
Desidero testimoniarvi la mia ammirazione. Col vostro esempio, voi continuate una tradizione nobilissima che, partendo dall'istituzione dei primi diaconi (cfr. Ac 6,1), caratterizza tutta la storia della Chiesa! Mi piace soprattutto citare gli "ostelli" degli anni mille, frequentati dai pellegrini e dai crociati, e gli ospedali del Cinquecento, ricchi d'arte e di storia; ma si può dire che, dalle origini fino ai moderni complessi sanitari, è stata tutta una fioritura di iniziative assistenziali, che traggono dai valori evangelici ispirazione e alimento. E' significativo, a questo proposito, il fatto che l'impostazione delle strutture stesse dell'assistenza, fin dal più remoto passato, fosse quasi sempre la medesima: la Cattedrale e, vicino ad essa, l'ospedale, quasi a testimoniare con fatti la fede nella duplice presenza di Cristo: quella reale sotto le specie eucaristiche e quella mistica nei fratelli bisognosi o malati.
E' necessario ravvivare la consapevolezza di queste tradizioni gloriose e delle certezze di fede che le hanno ispirate, per confermare in se stessi la fedeltà all'impegno di dedizione al prossimo bisognoso e la motivazione superiore, di fede appunto, che ne illumina ed orienta l'adempimento. In altre parole, ciò che giustifica anche oggi, in una società progredita e che tende ad essere autosufficiente, l'ideale che vi è proprio, è il fatto di offrire al degente, insieme ad una prestazione generosa, instancabile, non misurata talora neppure da riconosciuti diritti, ineccepibile sotto il profilo sanitario ed umanitario anche una testimonianza viva dell'amore e della sollecitudine di Cristo verso i sofferenti.
L'assistenza, infatti, non può ridursi all'elemento strettamente tecnico-professionale, ma deve rivolgersi a tutte le componenti dell'essere umano, e perciò anche alla sua componente spirituale. Ora, lo spirito umano è per natura sua aperto alla dimensione religiosa, la quale, anzi, si fa in genere più viva ed avvertita nel momento della malattia e della sofferenza. L'infermo, pertanto, se cristiano, desidererà la presenza accanto a sé di persone consacrate, le quali, insieme con ogni idonea prestazione tecnica, sappiano trascendere questa dimensione, per così dire, solo umana ed offrirgli, con delicatezza premurosa e paziente, la prospettiva di una speranza più vasta, quella che ci insegna la croce, a cui fu inchiodato il Figlio di Dio per la redenzione del mondo. Entro tale prospettiva "ogni croce - come ho avuto occasione di dire recentemente ad un gruppo di malati durante il mio pellegrinaggio in Polonia -, ogni croce posta sulle spalle dell'uomo acquista una dignità umanamente inconcepibile, diventa segno di salvezza per colui che la porta ed anche per gli altri".
Qui è la ragione profonda che motiva la vostra presenza nel vasto campo dell'assistenza sanitaria: recare agli ammalati, con la parola e con l'esempio, una testimonianza limpida e coerente, che faccia rivivere ai loro occhi qualche tratto della figura amabile del Salvatore, "il quale passo benedicendo e risanando tutti" (Ac 10,38). Non è questo, anche, il comando che risuono sulle labbra di Gesù, quando mando i suoi discepoli "ad annunziare il regno di Dio ed a guarire gli infermi" (Lc 9,2 cfr. Lc 10,9)? La Chiesa, impegnandosi nell'assistenza ai malati, non fa che obbedire alla volontà di servizio e di amore del suo Maestro e Signore.
Continuate, dunque, figli e figlie carissime, con slancio rinnovato la vostra azione benefica a servizio dell'uomo. La vostra quotidiana dedizione sia testimonianza di una realtà che vi trascende: con voi Cristo stesso si chini sulla sofferenza umana per lenirne il tormento col balsamo della speranza che solo lui può dare. Siate consapevoli di questa missione e vivetene con coerenza le esigenti conseguenze. E' proprio per aiutarvi in questo vostro impegno che vorrei proporvi alcuni suggerimenti.
1. Il primo riguarda la scelta del campo d'azione. Lo Stato ha fatto in questi anni progressi rilevanti nell'adempimento del suo compito sanitario e assistenziale. Nonostante ciò, restano settori nei quali l'assistenza pubblica è ancor oggi, in certa misura, e talvolta quasi inevitabilmente, lacunosa e insoddisfacente. Verso tali direzioni dovrà orientarsi con preferenza prioritaria il vostro interesse.
E' ovvio che, per operare scelte ponderate in tal senso, sarà necessario sottoporre le iniziative maturate all'interno del singolo Istituto, ad una "verifica", mediante un aperto confronto con la realtà: da una valutazione comunitaria della situazione oggettiva potranno scaturire decisioni più rispondenti alle effettive esigenze del contesto sociale concreto.
2. Il secondo suggerimento riguarda il discorso religioso, che s'intesse tra voi e i malati: esso dovrà mirare a proporre, con rispetto per tutti, e in particolare con delicatezza per chi non ha ancora il dono della fede, insieme con la testimonianza della vostra vita personale, il mistero pasquale nella sua integralità. V'è infatti una certa "ascesi dell'accettazione" che si rifà ad una nozione di "rassegnazione" più vicina al fatalismo, che non alla pazienza cristiana (la "hypomoné" di san Paolo). Nel mistero pasquale, che fa comprendere la passione e la morte di Cristo nella luce della risurrezione, si chiarisce la vocazione del cristiano di fronte alla malattia e alla morte: l'accettazione della sofferenza si accompagna alla volontà e all'impegno di fare il possibile per vincerla e ridurla o superarla per il prossimo. Nella sofferenza, infatti, e nella morte si manifesta la misteriosa eredità del peccato, sul quale Cristo ha ormai definitivamente trionfato.
Non rinuncia, dunque, di fronte alla malattia, ma resistenza attiva: il cristiano opera per liberarsi dalla malattia e dalla morte, nella quale, grazie alla forza che gli viene dalla fede nel mistero pasquale, egli è sorretto dalla certezza che alla fine la vita trionferà.
3. Un ultimo suggerimento voglio ancora affidarvi: esso riguarda lo stile della vostra presenza accanto ai malati. E' una presenza che ha tratti comuni con quelli di tutte le persone che si dedicano professionalmente all'assistenza dei malati, e quindi la preparazione scientifica e tecnica, la generosità del servizio, l'attenzione costante alla persona che ha bisogno di cure. Ma essa ha anche, per la motivazione evangelica che la ispira, un tratto particolare, che consiste nel vedere nel malato, per la sofferenza che porta nel corpo e nello spirito, la persona stessa di Gesù, e quindi può richiedere anche il sacrificio, la rinuncia a diritti professionalmente fondati, ad esigenze umanamente spiegabili.
Non è questa una testimonianza, forse la più importante, che siete chiamati a recare nell'ambiente del vostro lavoro? La testimonianza cioè che il malato non può non costituire una priorità permanente, al centro di ogni sollecitudine ed attività sanitaria. E - vorrei aggiungere con grande ammirazione ed affetto, perché so quanto danno tantissimi di voi al di là delle stesse residue energie fisiche - questa priorità può comportare, se occorre, anche sacrifici sul piano organizzativo e finanziario delle stesse Istituzioni, particolarmente in favore dei più poveri.
Come vedete, il vostro non è davvero un compito facile! Richiede l'esercizio di una carità che si modella ogni giorno sull'esempio di Cristo, "il quale non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,28). E' pero in questa ispirazione genuinamente evangelica che sta la nobiltà della vostra missione e la giustificazione della vostra presenza nel mondo degli infermi. L'esercizio della carità verso i fratelli è naturale espressione della fede, e la Chiesa giustamente l'afferma come una dimensione non marginale né secondaria della stessa libertà religiosa.
Ricordatelo! E nei momenti di stanchezza levate il vostro sguardo verso Maria, la Vergine che, dimenticando se stessa, si pose in viaggio "frettolosamente" verso la montagna, per raggiungere l'anziana cugina Elisabetta, bisognosa d'aiuto e d'assistenza (cfr. Lc 1,29ss). Sia essa l'ispiratrice della vostra quotidiana dedizione al dovere; lei vi suggerisca le parole adatte e i gesti opportuni al capezzale dei malati; lei vi conforti nelle incomprensioni e negli insuccessi, aiutandovi a conservare sempre sul volto il sorriso e nel cuore una speranza.
Con questi voti, mentre confermo la mia stima e il mio affetto per la vostra Associazione e per gli Istituti che essa rappresenta, tutti abbraccio con una paterna benedizione, che volentieri estendo anche ai cari ammalati delle vostre Case di Cura ed al personale medico e paramedico, che in esse presta con diligenza la sua opera qualificata.
Data: 1979-06-18
Data estesa: Lunedì 18 Giugno 1979.
Titolo: L'opera delle Chiese locali al consolidamento dell'unità
Testo: Cari fratelli in Nostro Signore Gesù Cristo.
Dandovi il benvenuto questa mattina, desidero salutare l'intera Chiesa del Pakistan. Con l'apostolo Pietro io vi dico: "Pace a voi tutti che siete in Cristo" (1P 5,12).
I pensieri del mio cuore vanno alle comunità dei fedeli sparsi nelle diocesi del vostro paese: ai sacerdoti, che in unione con voi costruiscono la Chiesa locale attraverso il Sacrificio Eucaristico e la Parola di Dio; ai religiosi, che con la loro consacrazione ecclesiale a Gesù Cristo rendono una particolare testimonianza di speranza al destino di tutti i figli di Dio; ai seminaristi, che vengono istruiti per trasmettere la parola di Dio alle future generazioni; e a tutti i laici, che sono chiamati a condividere intimamente la missione di evangelizzazione della Chiesa e che attraverso la loro vita quotidiana costruiscono il Regno di Dio. Sono vicino a tutti voi nell'amore del Salvatore, vicino a voi nei vostri sforzi per proclamare le "imperscrutabili ricchezze di Cristo" (Ep 3,8).
Allo stesso tempo, come Pastore della Chiesa universale, io posso - e devo - assicurare voi e il vostro popolo della solidarietà di tutti i vostri fratelli nel mondo. Credo che in questa solidarietà voi troverete nuova forza e vigore per continuare il vostro gioioso impegno per la causa del Vangelo. La comunione di fede e di amore che gustiamo - questa unità prodotta in noi dallo Spirito Santo - è davvero un grande dono di Dio.
Oggi sulla tomba di Pietro insieme al suo successore, riaffermate la vostra consacrazione e quella delle vostre Chiese locali a tutte le esigenze di questa unità cattolica. Da questo centro riportate al vostro popolo un messaggio di speranza e di incoraggiamento in modo che possa continuare a restare unito al nucleo originale della vita cattolica e, come i fedeli della Chiesa primitiva, perseverare nella devozione "all'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42).
Sono sicuro che come Vescovi a volte avete acutamente percepito il peso di cui il Signore vi ha caricato. Specialmente a causa del vostro zelo, sperimentate profondamente nei vostri cuori i limiti e gli ostacoli che vi intralciano nell'esercizio della vostra missione pastorale. Ma il successo del vostro ministero non viene misurato secondo il metro umano; ma piuttosto dall'amore e dalla fedeltà alla parola di Dio. Cristo ci ha comandato di camminare nella forza del suo Spirito e ci assicura che egli è con noi fino alla fine dei tempi (cfr. Mt 18,20). Con "parole di verità e con la potenza di Dio" (2Co 6,7) noi umilmente ma fiduciosamente ci presentiamo al mondo, per adempiere al compito affidatoci dal Signore.
Vorrei esprimervi la mia ammirazione per la fede del vostro popolo e per il notevole sforzo e la gioiosa perseveranza con cui le vostre Chiese locali testimoniano la loro fedeltà a Cristo. Vorrei anche aggiungere una parola su un aspetto particolare della vostra testimonianza a Cristo. Negli "Atti degli Apostoli" Gesù ci è presentato nella sua attività: "Egli passo beneficando..." (Ac 10,38). Questa stessa attività è svolta in Pakistan, dalle membra di Cristo, dalla vostra gente. La motivazione è l'amore a Cristo, l'amore a suo Padre, l'amore ai suoi fratelli. Attraverso una fitta rete di sforzi generosi - specialmente nell'ambito dell'assistenza caritativa, sanitaria e scolastica - il Signore Gesù continua a fare del bene; egli continua a manifestare il suo amore. Il mistero della Chiesa come estensione di Cristo procede. Il carisma del Buon Pastore viene così esercitato tra la vostra gente. L'amore di Dio si estende di generazione in generazione, e si manifesta in modo sempre nuovo.
Credo che la considerazione di questo importante aspetto della Chiesa come mistero divino sia estremamente efficace nel confortarvi e nel rinnovarvi nel vostro zelo pastorale. La vostra gente potrà pure trovare la gioia riflettendo sul fatto che come comunità ecclesiale essa continua nella sua carne e nel suo sangue l'attività amorosa di Gesù Cristo il Figlio di Dio. Nel meditare sulla grandezza di questa missione tutti gli ostacoli appaiono secondari. Ci potranno essere momenti transitori di scoraggiamento ma la forza del Mistero Pasquale non ammette sconfitte.
Il nostro ruolo dunque, cari fratelli Vescovi, è di continuare a mostrare l'amore di Cristo e proclamare il suo Vangelo di salvezza e di redenzione con tutta la nostra forza. Il resto è nelle mani di Dio.
Nello svolgimento del nostro apostolato la parola di Dio è la gioia del nostro ministero. E' lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino (cfr. Ps 119,105). Custodendo e meditando la parola di Dio noi diventiamo capaci di compiere la nostra missione di carità. Proclamando al nostro popolo la parola di Dio inalterata in tutta la sua ricchezza, noi lo dotiamo di tutto ciò che è necessario per la vocazione alla vita cristiana, al servizio cristiano e alla testimonianza cristiana che è il suo compito.
Cari Fratelli nell'Episcopato, nella nostra particolare unità non ci scopriamo oggi sostenuti dalla forza del Signore Gesù? Non avvertiamo la sua presenza? Non lo sentiamo ripeterci di continuare coraggiosamente e lietamente, in comunione con la Chiesa cattolica in tutto il mondo, di proclamare il suo amore e di diffondere la sua verità? Chiedo alla Beata Madre Maria di assistervi tutti nel servizio a suo figlio, di forgiarvi sempre più perfettamente ad immagine sua, perché la vostra testimonianza a lui possa render maggior gloria ed onore alla Santissima Trinità.
Con i miei saluti e le mie preghiere, imparto la mia benedizione apostolica a tutti quelli che collaborano alla comunità dei fedeli nel vostro paese. Il mio incoraggiamento speciale vada anche ai catechisti e alle famiglie cristiane, alla gioventù e a coloro che soffrono e lavorano e pregano affinché il mondo veda il volto di Gesù in mezzo a noi.
Data: 1979-06-18
Data estesa: Lunedì 18 Giugno 1979.
Titolo: "Realizziamo insieme il Concilio"
Testo: Cari fratelli!
1. Esprimo cordiale e sincera gioia per il nostro incontro. E' gioia, questa, soprattutto perché l'incontro si svolge nel quadro del Simposio sul tema: "I giovani e la fede".
Ricordo il Simposio precedente, del 1975, in cui ebbi la fortuna di partecipare attivamente come uno dei relatori. In pari tempo desidero esprimere la mia letizia di incontrarmi oggi con voi, concelebrando la Santa Eucaristia. Spero che in questa comunione, nella quale si esprime nel modo più pieno e profondo la nostra unità sacerdotale ed episcopale, riceveremo maggior luce e forza di Spirito Santo da Cristo-Principe dei Pastori, che come unico ed Eterno Sacerdote è anche unica fonte e fondamento di questa unità, che manifestiamo e viviamo nella concelebrazione eucaristica.
Di tale luce e forza dello Spirito di Cristo abbiamo tanto bisogno per tutti i compiti che derivano dalla nostra missione - ad esempio nell'ambito del tema del vostro Simposio: la gioventù - ma non esclusivamente; il complesso di quei compiti, tutta la nostra missione, esigono una qualche grazia particolare affinché sappiamo venire incontro con esatta e piena rispondenza ai segni dei tempi, che costituiscono il salvifico "kairos" degli europei e del continente che rappresentiamo e al quale "siamo inviati" come successori di quegli Apostoli, di quei nunzi del Vangelo, dai quali prende inizio la storia d'Europa dopo Cristo.
2. Il vostro incontro - e quindi anche la nostra odierna concelebrazione eucaristica - affonda le radici in quel fausto pensiero del Vaticano II che ricorda ai Vescovi di tutta la Chiesa il carattere collegiale del ministero da loro esercitato. Per l'appunto, da tale pensiero, espresso con la più grande precisione dottrinale nella costituzione dogmatica "Lumen Gentium", trae origine una serie di istituzioni e di iniziative pastorali, che già oggi testimoniano la nuova vitalità della Chiesa e certamente nel futuro costituiranno il fondamento dell'ulteriore rinnovamento della sua salvifica missione, nella varietà delle dimensioni e delle sfere d'azione.
Nel dirlo, ho ancora negli occhi la meravigliosa assemblea dei Vescovi della Chiesa dell'America Latina, che ho avuto la fortuna di inaugurare il 28 gennaio del corrente anno a puebla in Messico. La medesima assemblea era frutto di una sistematica collaborazione di tutte le Conferenze Episcopali di quell'immenso continente, in cui attualmente abita quasi la metà dei cattolici di tutto il globo. Sono Episcopati di varia rilevanza numerica, alcuni molto numerosi, come soprattutto quello del Brasile che da solo conta più di 300 Vescovi. La metodica collaborazione di tutte le Conferenze Episcopali dell'America Latina ha il suo appoggio nel Consiglio comunemente noto sotto il nome "CELAM", che consente alle dette Conferenze di rileggere insieme i compiti, che si prospettano ai Pastori della Chiesa in quel grande continente, così importante per l'avvenire del mondo.
Già lo stesso titolo della Conferenza tenuta a Puebla dal 27 gennaio al 13 febbraio 1979 lo attesta in modo molto netto. Il titolo era: L'evangelizzazione nel presente e nel futuro dell'America Latina. E' dunque già facile dal titolo intuire quanto abbia fruttato a Puebla il provvidenziale tema della sessione ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1974: l'evangelizzazione.
3. In rapporto a tale fondamentale tema ogni Vescovo del mondo, come pastore della sua Chiesa particolare, della sua diocesi, poteva e doveva considerare la sua Chiesa dal punto di vista della sua contemporaneità. E siccome l'evangelizzazione esprime la missione della Chiesa, tale sguardo deve riallacciarsi al passato ed aprire la prospettiva dell'avvenire: ieri, oggi e domani. E non soltanto ogni singolo Vescovo nella sua diocesi, ma anche le diverse comunità dei Vescovi e soprattutto le Conferenze Episcopali Nazionali possono e debbono rendere quel "tema chiave" del Sinodo 1974 oggetto di riflessione circa la società, verso la quale hanno pastorale responsabilità per l'opera di evangelizzazione. Il tema proposto da Paolo VI al Sinodo, cinque anni or sono, possiede multiformi possibilità di applicazione in vari ambiti.
Nello stesso tempo, questo tema induce a riflettere, in modo fondamentale, se si tratti di realizzare il Concilio stesso e di mettere in atto la sua dottrina.
La basilare realizzazione del Vaticano II non è altro che una nuova coscienza della missione divina trasmessa alla Chiesa "tra tutte le genti" e "fino alla fine del mondo". La basilare realizzazione del Vaticano II non è nient'altro che il nuovo senso di responsabilità per il Vangelo, per la Parola, per il Sacramento, per l'opera della salvezza, che tutto il Popolo di Dio deve assumere nel modo che gli è conforme. Compito dei Vescovi è dirigere questo grande processo. In ciò sta la loro dignità e responsabilità pastorale.
4. E' di gran peso e di fondamentale importanza riflettere sul problema della evangelizzazione riguardo al continente europeo. Lo ritengo un tema complesso, estremamente complesso. Come del resto anche per ogni altro contesto, occorre far emergere dall'analisi della situazione presente la visione dell'avvenire, in quanto tale situazione è la conseguenza del passato, antico così come la stessa Chiesa e l'intero cristianesimo. Nell'analisi dovremmo raggiungere ogni singolo Paese, ogni singola nazione del nostro continente, ma anche comprendere ogni loro situazione avendo davanti agli occhi le grandi correnti della storia che - specie nel secondo millennio - hanno diviso la Chiesa e il cristianesimo nel continente europeo.
Penso che attualmente, in tempo di ecumenismo, è l'ora di guardare queste questioni alla luce dei criteri elaborati dal Concilio: guardarle in spirito di collaborazione fraterna con i rappresentanti delle Chiese e comunità con le quali non godiamo l'unità piena; e, contemporaneamente, occorre guardare in spirito di responsabilità per il Vangelo. E ciò non soltanto sul nostro continente, ma anche al di fuori. L'Europa è ancor sempre la culla del pensiero creativo, delle iniziative pastorali, delle strutture organizzative, il cui influsso oltrepassa le sue frontiere. In pari tempo l'Europa, con il suo grandioso passato missionario, interroga se stessa nei vari punti della sua attuale "geografia ecclesiale" e si chiede se non stia per diventare un continente missionario.
Esiste quindi per l'Europa il problema che nella "Evangelii Nuntiandi" è stato definito come "autoevangelizzazione". La Chiesa deve sempre evangelizzare se stessa. L'Europa cattolica e cristiana ha bisogno di tale evangelizzazione. Deve evangelizzare se stessa. Forse in nessun altro luogo come nel nostro continente si delineano con tanta limpidezza le correnti della negazione della religione, le correnti della "morte di Dio", della secolarizzazione programmata, dell'organizzato ateismo militante. Il Sinodo del 1974 ci ha fornito non poco materiale al riguardo.
E' possibile esaminare tutto ciò secondo criteri storico-sociali. Il Concilio pero ci ha indicato un altro criterio: il criterio dei "segni dei tempi" e cioè di una speciale sfida della Provvidenza, di Colui che è "il padrone della messe" (Lc 10,2).
5. L'anno prossimo celebreremo i mille e cinquecento anni dalla nascita di san Benedetto, che Paolo VI ha proclamato patrono dell'Europa. Forse questo potrebbe essere il momento idoneo per una tale approfondita riflessione sul problema dell'"ieri ed oggi" della evangelizzazione del nostro continente o piuttosto per la riflessione su questa sfida della Provvidenza, che nel suo complesso storico, ricco e svariato, costituisce l'"oggi" cristiano dell'Europa riguardo alla sua responsabilità per il Vangelo; e anche nella prospettiva dell'avvenire.
La nostra missione è sempre e dappertutto rivolta verso il futuro. Sia verso il futuro del quale siamo certi nella fede: l'avvenire escatologico; sia verso il futuro, del quale possiamo essere umanamente incerti. Pensiamo a coloro che per primi sono venuti sul continente europeo come nunzi della Buona Novella, quali Pietro e Paolo. Pensiamo a coloro che, lungo la storia d'Europa, hanno spianato le vie verso nuovi popoli, come Agostino o Bonifacio o i fratelli di Tessalonica: Cirillo e Metodio. Nemmeno loro erano certi dell'umano avvenire della loro missione e perfino della propria sorte. Più potente di questa umana incertezza fu la fede e la speranza. Più potente fu l'amore di Cristo che li "spingeva" (cfr. 2Co 5,14). In tale fede, speranza e carità si manifesto lo Spirito operante. E' necessario che anche noi diventiamo strumenti docili ed efficaci della sua azione nella nostra epoca.
6. Il tema del vostro Simposio è: "I giovani e la fede". E' bene che lo sia. Penso che esso sia organicamente e profondamente inserito nel grande tema di riflessione di tutta la Chiesa postconciliare, che a lungo non potrà allontanarsi dalla nostra attenzione, il tema della evangelizzazione. Se pensiamo all'evangelizzazione in funzione dell'avvenire, occorre volgere le nostre menti ai giovani: dobbiamo incontrarci con gli intelletti, i cuori, i caratteri dei giovani. Questo è il problema prescelto, attraverso il quale perveniamo al problema globale.
Lo scambio delle vostre esperienze e suggestioni deve essere ampio, non può rimanere "particolare". Ogni pratica di collegialità serve la causa dell'universalità della Chiesa. Anche voi, cari fratelli, attraverso questa pratica della collaborazione collegiale che forma il vostro Simposio, dovete, per così dire, "ampliare gli spazi dell'amore" (S. Agostino, "De Ep. Ioan. ad Perthos", X, 5: PL 35, 2060). Tale ampliamento non allontana mai dalla responsabilità affidata direttamente a ciascuno di noi, anzi la rende più acuta.
Occorre che i Vescovi e le Conferenze Episcopali di ogni Paese e nazione d'Europa vivano gli interessi di tutti i Paesi e nazioni del nostro continente. E coloro che tra di voi sono assenti siano - direi - presenti ancor più intensamente.
Occorre elaborare speciali, efficaci metodi per "far intensamente presenti" coloro che sono "assenti". La loro assenza non può essere passata sotto silenzio o essere giustificata con luoghi comuni.
Ricordate che come a questo Simposio prendono parte, attraverso i loro rappresentanti, tutte le Conferenze Episcopali d'Europa, così anche attorno a questo altare stanno, nell'eucaristica comunione d'amore, sacrificio e preghiera, tutti gli Episcopati, tutti i Vescovi. E in certo modo sono maggiormente presenti coloro che mancano, coloro che qui non han potuto essere presenti.
Attraverso tutti la Chiesa, come popolo di Dio di tutto il nostro continente, "elabora" nell'unione con Cristo-Principe dei Pastori, con Cristo-Eterno Sacerdote, il suo cristiano avvenire. Amen.
Data: 1979-06-20
Data estesa: Mercoledì 20 Giugno 1979.
GPII 1979 Insegnamenti - Al Rotary International - Città del Vaticano (Roma)