GPII 1980 Insegnamenti - Al clero della Valnerina - Norcia
2. Nella struttura del Popolo di Dio voi, cari fratelli nel sacerdozio, occupate un ruolo ed un posto specifico e qualificato, che trova la sua esplicazione, sull'esempio della vita di Cristo, in una svariata gamma di servizi nei confronti del corpo mistico; servizi che sono espressione della mirabile fioritura del sacerdozio stesso di Cristo, al quale partecipate. "Diverse sono le vie lungo le quali, cari fratelli, - scrivevo nella lettera ai sacerdoti per il Giovedi Santo del 1979 - adempite la vostra vocazione sacerdotale. Gli uni nell'ordinaria pastorale parrocchiale; gli altri nelle terre di missione; altri, ancora, nel campo delle attività connesse con l'insegnamento, con l'istruzione e l'educazione della gioventù, lavorando nei vari ambienti e organizzazioni, e accompagnando lo sviluppo della vita sociale e culturale; altri, infine, accanto ai sofferenti, agli ammalati, agli abbandonati; alle volte, voi stessi, inchiodati a un letto di dolore. Diverse sono queste vie... Nondimeno, in tutte queste differenziazioni, voi siete sempre e dappertutto portatori della vostra particolare vocazione: siete portatori della grazia di Cristo, eterno sacerdote, e del carisma del buon pastore. E questo non potete mai dimenticare; a questo non potete mai rinunciare; questo dovete in ogni tempo e in ogni luogo e in ogni modo attuare" (Ioannis Pauli PP. II "Epistula ad universos Ecclesiae Sacerdotes adveniente Feria V in Cena Domini anno MCMLXXIX", die 8 apr. 1979, 6: AAS 71[1979] 402).
La conseguenza, che deve dedursi dalla profonda realtà teologica del sacerdozio ministeriale, è questa: per il sacerdote, il centro e il punto fondamentale di riferimento di tutta la vita e di tutta l'attività deve essere Dio: Dio adorato costantemente, in particolare nella beatificante presenza sacramentale dell'eucaristia, affidata in maniera speciale al ministero dei sacerdoti; Dio invocato e interpellato nella preghiera liturgica, comunitaria e personale, in un dialogo affettuoso tra figlio e Padre; Dio amato e servito nei nostri fratelli, specialmente nei sofferenti e nei poveri. Questo senso della presenza di Dio, questo primato dello spirituale, che deve orientare tutta la vita e il ministero pastorale del sacerdote, è il grande e sempre attuale insegnamento di san Benedetto: "Ubique credimus divinam esse praesentiam... maxime tamen hoc sine aliqua dubitatione credamus cum ad opus divinum adsistimus... ergo consideremus qualiter oporteat in conspectu divinitatis et angelorum eius esse" (S.Benedicti "Regula", XIX). Ed ancora: "Nihil operi Dei praeponatur" (S.Benedicti "Regula", XLIII).
Alla luce di questa essenziale visione teocentrica si illuminano i vari compiti del sacerdote, le esigenze delle sue funzioni, le quali provengono dal Vangelo e sono la misura stessa della vocazione sacerdotale.
Il sacerdote è un dono immenso che Dio ha fatto alla sua Chiesa; e la lieta risposta del sacerdote alla chiamata di Gesù è, come afferma san Giovanni Crisostomo, la più grande prova di amore a Cristo: "Il maestro chiede al discepolo (Pietro) se lo ami, non per saperlo lui stesso..., ma lo fa per insegnare a noi quanto gli stia a cuore la cura del gregge... Non intendeva allora dimostrare quanto Pietro lo amasse..., ma voleva dimostrare quanto lui amasse la sua Chiesa e insegnava a Pietro e a tutti noi quanta cura dovessimo profondere in quest'opera" (cfr. S. Ioannis Chrysostomi "Dialogus de Sacerdotio", II,1).
3. Carissimi fratelli! Il vostro servizio elevato ed esigente non potrà esser reso - come ho detto ai sacerdoti del Messico nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe - "senza una chiara e radicata convinzione circa la vostra identità di sacerdoti di Cristo, depositari e amministratori dei misteri di Dio, strumenti di salvezza per gli uomini, testimoni di un regno che inizia in questo mondo, ma si completa nell'aldilà. Di fronte a queste certezze di fede, perché dubitare della propria identità? perché titubare circa il valore della propria vita? perché esitare di fronte al cammino intrapreso?" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad Presbyteros in Basilica Beatae Mariae Virginis de Guadalupe habita", die 27 ian. 1979: AAS 71[1979] 180).
Seguite con gioia Cristo, che vi ha amati e chiamati; anche se, col passare degli anni, il corpo sente il peso della stanchezza e l'usura del tempo, il cuore sia sempre vigile e desto, ardente di zelo per le anime, che Dio ha posto sul vostro cammino. Ministri di Cristo, amate e siate fedeli alla Chiesa, sua sposa; non ad una Chiesa utopistica ed astratta, ma alla Chiesa concreta e storica. Siate saldamente ancorati, in serena concordia e leale obbedienza, al Vescovo, di cui siete gli immediati collaboratori; siate fraternamente uniti fra di voi, di modo che il presbiterio sia segno visibile di comunione. In questi tempi di crisi di valori e di certezze, siate, per tutti, "educatori nella fede" (cfr. PO 6). E come potreste esserlo maggiormente - ho detto a tutti i sacerdoti nella mia recente esortazione apostolica circa la catechesi nel nostro tempo - che "dedicando il meglio dei vostri sforzi alla crescita delle vostre comunità nella fede? Che voi siate titolari di una parrocchia, o insegnanti di scuola, di liceo o di università, responsabili della pastorale a qualsiasi livello, animatori di piccole o grandi comunità e soprattutto di gruppi di giovani, la Chiesa attende da voi che non trascuriate nulla in ordine ad un'opera catechetica ben strutturata e ben orientata... Tutti i credenti hanno diritto alla catechesi, tutti i pastori hanno il dovere di provvedervi" (Ioannis Pauli PP. II CTR 64).
4. Un ultimo pensiero, fratelli carissimi, che mi sta tanto a cuore. Il sacerdote, ho detto poco fa citando la lettera agli Ebrei, è tratto dal popolo e costituito per il bene del popolo (cfr. He 5,1). Dovete stare, dunque, vicini al popolo, accanto al popolo, vivendo intensamente i suoi problemi quotidiani, specialmente quando esso soffre e si trova in momenti e in situazioni difficili. E il presente momento, cari fratelli nel sacerdozio, è veramente difficile per il buon popolo italiano, a motivo della dilagante tentazione di odio e di violenza, che serpeggia nel paese. Il consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana ha indetto proprio per oggi, 23 marzo, una giornata di preghiera e di riflessione contro la furia della violenza e per la vittoria dell'amore. "Obbligo dei cristiani - dice il messaggio - in special modo è l'educazione della coscienza, propria ed altrui, nella famiglia, nella scuola, negli ambienti di lavoro, nelle associazioni ecclesiali. Nella coscienza avviene la prima e più decisiva sfida alla violenza e al terrorismo, sfida che si deve giocare sui valori della democrazia, della pace, dell'amore. Obbligo dei cristiani è l'impegno solidale, la partecipazione, la condivisione dei problemi e della sorte di chi soffre, in umiltà e coraggio, accettando come Cristo, di pagare di persona, e incarnando in se stessi e nel mondo un Vangelo di pace". E voi, sacerdoti, dovete essere i primi ad educare le coscienze al rifiuto dell'odio e della violenza; i primi a partecipare ed a condividere i problemi di coloro che soffrono.
Vi ho aperto il mio cuore, cari fratelli, su alcuni aspetti della vita e del ministero sacerdotale. Sui vostri impegni e sui vostri propositi invoco, per l'intercessione dei santi Benedetto e Scolastica, la grazia di Dio.
La Vergine santissima vi aiuti sempre con la sua materna protezione.
Con la mia benedizione apostolica.
Data: 1980-03-23 Data estesa: Domenica 23 Marzo 1980.
Titolo: Siate apostoli dell'amore
Carissimi giovani.
Ormai alla conclusione di questa giornata così intensa e ricca di vive emozioni e di gaudio interiore, mi è caro incontrarmi con voi, giovani della Valnerina e dell'intera Umbria, e con quanti siete convenuti qui per confermare il vostro spirito in quella generosa dedizione, di cui avete coralmente dato prova all'indomani del rovinoso sisma, abbattutosi lo scorso anno su queste laboriose popolazioni. Voi avete allora espresso una testimonianza luminosa, tanto più apprezzabile perché scaturita dalla vostra spontaneità, dalla vostra dinamica e serena abnegazione, emulando nell'opera di assistenza e di solidarietà l'esempio di precoce maturità offerto dal giovane Benedetto, il cui senno - come afferma san Gregorio Papa - maturo fin dall'infanzia, percorrendo l'età con le virtù (cfr. S.Gregorii Magni "Dialogorum Liber", II, Prol.).
Animati da una tale volontà di cooperazione al bene della comunità e specialmente di quanti versano in condizioni penose di disagio, voi vi collocate nella vera luce dell'"umanesimo cristiano" proposto e vissuto dal santo di Norcia, e che si riassume in un autentico rispetto per l'uomo in ogni espressione del suo valore, in un amore efficace nei suoi confronti, specie quando egli riveli il volto e la voce della sofferenza.
Accogliete dunque, cari giovani della Caritas, dell'Agesci, della Comunità di sant'Egidio, di Comunione e Liberazione, dei Focolarini, dell'Azione Cattolica e dei vari gruppi ecclesiali, il mio affettuoso saluto in questa terra natale di san Benedetto e soprattutto il mio compiacimento per quanto avete compiuto con giovanile entusiasmo.
Il vostro impegno di carità e di altruismo ha trovato pieno inserimento nell'alveo secolare del messaggio benedettino, valido ed attuale ancor oggi perché ancorato a valori perenni, i quali, se necessitano di sempre nuove estrinsecazioni e verifiche, sono tali da verificare ed elevare l'esperienza umana di tutti i tempi. Detto messaggio può attirare ed avvincere anche i giovani della presente generazione, spesso delusi e smarriti nel dedalo di una società edonistica e permissiva.
Infatti, anche i tempi tristi, in cui si inserisce la vicenda spirituale di san Benedetto, erano densi di intime contraddizioni, di ambigue ed utopistiche aspirazioni, di vani propositi di grandezza; anche quei tempi erano contrassegnati da uno squallore morale desolante, da un tenore di vita misero, sotto l'urto di popoli in espansione, ma ancora dominati da suggestioni di violenza. Il santo di Norcia, tuttavia, nutrito delle certezze della fede, riaffermo la forza di un cristianesimo maestro di dignità morale, di libertà spirituale, ed insieme artefice di civiltà.
Come voi avete ben sperimentato, la conquista di spazi interiori, che offrano a Dio il giusto posto nello spirito umano, tutto quell'impegno, insomma, che potremmo contraddistinguere col primato dell'"ora", del "prega", non è assolutamente in contrasto, ma anzi concede respiro e dona intuizione creativa alla vera apertura verso la sfera sociale, verso il sofferto dovere quotidiano, verso le vive forze del lavoro e della cultura, animando così di fervido afflato, di spirito di servizio il grande e travagliato mondo del "labora".
Che cosa posso dirvi di particolare in questa suggestiva cornice di balze e vallate che temprarono l'animo forte e coraggioso del predestinato giovanetto, ed in un'ora tanto carica di fraternità e di comunione, pervasa dalla spirituale presenza del padre della nostra civiltà europea? Continuate, cari giovani, nella testimonianza che generosamente date, perché essa, mentre è in sintonia con i valori della tradizione benedettina, è al tempo stesso fedele agli uomini di oggi, interpretandone le aspirazioni più profonde.
1. Voi avete avvertito l'urgente bisogno di incontrarvi con l'assoluto e quindi avete scoperto l'importanza dell'interiorità, del silenzio, della meditazione, per poter cogliere il senso definitivo e rappacificante della propria esistenza. Avete assaporato la dolcezza della preghiera e di quella sempre rinnovata e perseverante riconciliazione di amicizia col Signore, stabilita nei cuori da un atteggiamento esistenziale di umile ed operosa ubbidienza al Padre celeste. Con san Benedetto, allora, vi rivolgero il paterno invito: "Ausculta, fili, verba magistri"; ascoltate, o figli, gli insegnamenti dei veri maestri, e rendete attenti i vostri cuori nel silenzio orante, per ritornare, attraverso lo sforzo di una docile obbedienza ai sani precetti, verso colui, dal quale ci allontana una posizione di neghittosità o di ribellione (cfr. S.Benedicti "Regula", Prol.). Mettetevi spesso di fronte al Maestro interiore ed a chi lo rappresenta nell'attitudine del vero discepolo, che sa tacere ed ascoltare.
2. Voi, cari giovani, avete scoperto la carità e l'amore, che si manifestano nella sollecitudine per il prossimo ed in un aperto dialogo con i fratelli, rispettandone la dignità ed essendo disponibili ad un'osmosi di reciproci contributi. Sono valori che san Benedetto instauro in un contesto socio-economico dove predominavano lo sfruttamento e l'arbitrio, opponendo lo spirito di fratellanza alla violenza, l'impegno operoso all'accidia, per porre i presupposti di una ripresa umana integrale. Il monastero benedettino sarà quasi un preannuncio della nuova "societas"; entro le sue mura vengono cancellate le discriminazioni tra nobili e plebei, tra ricchi e poveri, tra liberi e schiavi; in esso troveranno rifugio coloni perseguitati e barbari oppressori, deponendo al cospetto di Dio rivalità antiche e rancori recenti, per dedicarsi alla preghiera, al lavoro, al mutuo sostegno. Pieno di delicatezza nel trattare i monaci, nell'accogliere i pellegrini, nel curare i malati, il santo elenca tra gli strumenti per operare rettamente: "Pauperes recreare,... infirmum visitare,... in tribulatione subvenire, dolentem consolari;... nihil amori Christi praeponere: soccorrere i poveri,... visitare i malati,... aiutare chi è colpito da sventura, consolare gli afflitti,... nulla anteporre all'amore di Cristo" (S.Benedicti "Regula", IV).
3. Voi avete cara la bellezza, che è splendore dell'ordine e quindi prevalentemente innocenza di vita ed armonia dello spirito. La Regola, la cui stesura impegno il santo per lungo tempo, e che indica con sapienza e misura le modalità ed i tempi della preghiera e del lavoro, sta a dimostrare quanto gli stesse a cuore tale bellezza emergente da un ordinato ritmo di vita. Egli, infatti, armonizza in se stesso il senso dell'autorità, dell'ordine e della disciplina, mutuato dal mondo classico, con una delicatezza di animo maturata attraverso il suo lungo cammino di perfezione.
E' l'ordine, primariamente spirituale, che vi regna, a permettere ai monasteri di essere grandi centri di vita e di attività creativa, nella matura coscienza che il cristianesimo è insieme ascesi verso Dio ed impegno terrestre, cosicché la preghiera invia al lavoro non solo come mezzo per assicurare ai monaci il necessario sostentamento, ma anche come occasione validissima di disciplina personale e di promozione sociale.
Il forte richiamo del messaggio benedettino a ricercare Dio ed il suo volere, ad instaurare un contesto sociale permeato dalla fraternità e dall'ordine, assume voce di singolare attualità in questa giornata di preghiera e di riflessione, a proposito del gravissimo problema del terrorismo in Italia.
La violenza che sta sconvolgendo il tessuto sociale della nazione italiana non è casuale: essa parte da un preciso programma, nasce dallo spirito di odio. La matrice della violenza sta qui; solo qui. Non bisogna lasciarsi ingannare da altre motivazioni. Ecco perciò quanto sia necessario, da parte dei cristiani, saper discernere questo spirito, comprenderne l'intrinseca perversione (cfr. 1Jn 3,15), non lasciarsene contaminare, al fine di sottrarsi con vigore alla sua spirale e non farsi ingannare dalle sue suggestioni. Vogliate, invece, essere perspicaci e generosi apostoli dell'amore.
Cari giovani, gli ideali ed i valori prevalenti della testimonianza di san Benedetto voi li avete individuati, e, con la grazia di Dio, vi siete impegnati a viverli; continuate ad interpretarli e ad incarnarli con coraggio, con generosità, con entusiasmo, convinti che il Signore stesso è il solo garante, come dice il salmista, di un edificio dalle solide fondamenta, di un avvenire quindi giusto ed umano, di una società pacifica e produttiva, di un ordine armonioso e fraterno. Con la mia affettuosa benedizione.
Data: 1980-03-23 Data estesa: Domenica 23 Marzo 1980.
Venerabili fratelli, diletti figli.
E' con grande gioia che nell'atto supremo della comunione con Cristo, il quale nell'eucaristia fa l'unità nella carità, nel sacramento "quo unitas Ecclesiae et significatur et efficitur" (UR 2), rivolgo il saluto più affettuoso a voi tutti che, con il nostro venerato fratello il Cardinale Giuseppe Slipyj, Arcivescovo maggiore di Lviv, siete venuti da diverse parti del mondo, nelle quali si trovano dispersi i vostri fedeli, per la celebrazione di questo Sinodo.
La vostra provenienza originaria, non può non richiamare al mio spirito la particolare vicinanza del vostro glorioso popolo al mio popolo di origine. Come non può non spingermi a congratularmi con voi il fatto che con i vostri fedeli siete stati trovati degni di "pro nomine Iesu contumeliam pati" (Ac 5,41) proprio per la vostra fedeltà a Gesù Cristo, alla Chiesa, a questa sede di Pietro.
1. Ed è proprio a questa sede di Pietro che avete rivolto lo spirito ed il cuore pieni di fiducia, quando siete stati convocati per questo vostro sinodo che ho voluto celebrare con voi. Potete essere sicuri che l'umile successore di Pietro, in ogni occasione, come in questo incontro fraterno di gioia, non ha che un unico desiderio, quello di essere, come ha detto il Vaticano II, "unitatis tum Episcoporum tum fidelium multitudinis, perpetuum et visibile principium et fundamentum" (LG 23). Il mio impegno più sacro corrisponde a ciò che la Lumen Gentium asserisce essere la funzione della Petri cathedra: "Universo caritatis coetui praesidet, legitimas varietates tuetur et simul invigilat ut particularia, nedum unitati noceant, ei potius inserviant"(LG 13).
Questa unità, testamento di amore e voto supremo del Cristo nella sua grande preghiera sacerdotale (cfr. Jn 17,11 Jn 17,21 Jn 17,23), costituisce certamente l'ansia più profonda dei nostri spiriti quando si soffermano a considerare il mistero della Chiesa nel mondo. Si tratta di un'ansia la quale, se è profonda sofferenza nella contemplazione della divisione della veste inconsutile del corpo di Cristo, insieme si fa preghiera incessante che si unisce all'invocazione di Cristo per l'unità, come si converte in azione saggia e coraggiosa perché, nel rispetto pieno alla libertà opzionale di ogni uomo, si possa ricomporre nella Chiesa la "unitatem spiritus in vinculo pacis", quale si conviene a coloro che sono chiamati alla grande unica speranza che è Cristo Gesù.
E' l'unita che riflette il mistero di quella vita per cui in Cristo noi tutti siamo "unum corpus et unus spiritus", nella realtà dell'"unus Dominus, una fides, unum baptisma, unus Deus et Pater omnium qui est super omnia et in omnibus" (cfr. Ep 4,3-6). La motelplice diversità dei ministeri, espressa anche dalla pluralità dei doni, è orientata "in aedificationem corporis Christi, donec occurramus omnes in unitatem fidei" (Ep 4,13).
Questo occurrere fa parte del nostro umile servizio. Come pastori del gregge di Dio, tutti siamo impegnati a fare tutto quello che dipende da noi perché la carità realizzi in Cristo l'unità della sua Chiesa. E' il grande ideale che deve renderci insonni, attenti, industriosi, coraggiosi perché si avveri quanto Gesù, pastore supremo, ha invocato: "Ut omnes unum sint". Questo nostro Sinodo, fondamentalmente, a che cosa mira, se non a questo?
2. Il "mysterium fidei" che celebriamo intorno all'altare, manifesta e realizza in maniera del tutto speciale questa unità che con Cristo invochiamo e per la quale lavoriamo.
Certamente "sacramento panis eucharistici, repraesentatur et efficitur unitas fidelium, qui unum corpus in Christo constituunt" (LG 3; cfr. etiam LG 11). Tale mirabile unità non va vista semplicemente nel legame materiale che stringe i fedeli all'unica mensa, ma nella comunione profonda con Cristo "nostra Pasqua" (1Co 5,7). Gesù Cristo, Redentore dell'uomo, è il principio dell'unità nuova di tutti gli uomini. "Nel suo sangue, noi, che eravamo lontani, abbiamo potuto essere avvicinati in Cristo Gesù" (cfr. Ep 2,13). Ed è proprio il "memoriale" del Signore per eccellenza, l'eucaristia, che attualizza il mistero di grazia, sigillato fondamentalmente quando Cristo offri sulla croce la riconciliazione già firmata nell'ultima cena.
Colui che è "pax nostra", quando nella morte "tradebatur corpus" offerto nella cena ai discepoli, sanciva l'unità che tutti gli uomini sono chimati ad avere in lui. Allora cadde la parete di divisione creata dal peccato, scomparve l'inimicizia, venne stabilita la pace e la riconciliazione, era costituito l'"unus novus homo" (cfr. Ep 2,14-16). Il mistero del corpo immolato e del sangue versato per l'edificazione dell'unità, vive qui nell'eucaristia. Qui si consuma la "nuova ed eterna alleanza" che rinnova e rinsalda la nostra unione con lui. Qui tale unione diventa perenne "trasfigurazione" di vita che realizza il più grande ideale cristiano, quello di vivere per Dio: "Qui manducat me, et ipse vivet propter me" (Jn 6,58).
E vivere per il Cristo, è vivere per Dio; è tendere alla gloria del Padre; è realizzare col Padre la perenne comunione orante che asseconda la mozione intima dello Spirito che eleva a lui (cfr. Rm 8,15 Ga 4,6); è rendere nostro cibo la volontà del Padre, nel compimento fedele dell'opera che egli ci ha affidato (cfr. Jn 4,34); è essere perfetti come è perfetto il Padre nel dono dell'amore misericordioso e generoso a tutti i fratelli (cfr. Mt 5,43-48). così la vita divina, attraverso l'eucaristia e per mezzo dell'eucaristia, "totius vitae christianae fons et culmen" (LG 11), raggiunge nell'uomo la pienezza. La pienezza della comunione col Padre nello Spirito per mezzo di Cristo sacerdote e vittima, pane di vita, pienezza che si effonde in donazione di carità, comunione di grazia, realtà di "comunicazione" tra i fratelli.
La vera profonda unità tra gli uomini nasce in maniera privilegiata dall'eucaristia. In essa il nostro Salvatore offre alla Chiesa, sua sposa, il memoriale della sua morte e risurrezione come sacramentum pietatis, signum unitatis, vinculum caritatis, secondo le note parole di sant'Agostino, fatte proprie dalla "Sacrosanctum Concilium" (SC 47).
Nell'eucaristia, nell'esperienza più viva di Cristo, il quale "dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis oblationem et hostiam" (Ep 5,2), noi impariamo ad "ambulare in dilectione" (Ep 5,2), o, meglio, siamo resi profondamente idonei per la vita del Cristo che diventa vita nostra, a imitare Dio quali "filii carissimi" (Ep 5,1). Nella partecipazione all'eucaristia, "mangiando dell'unico pane e bevendo all'unico calice" (cfr. 1Co 10,17), realizziamo in Cristo la comunione che ci permette di essere "cor unum et anima una" (cfr. Ac 4,32) e di essere disponibili ad amare come ha amato Cristo (cfr. Jn 13,34), fino a essere pronti a soffrire e a dare la vita per i fratelli (cfr. Jn 15,13).
Se ascoltiamo la storia della vostra Chiesa, storia che per alcuni di voi è stata realtà vissuta, è da dirsi con sicurezza che la forza della fede, che diventa amore e donazione per i fratelli fino al martirio, è una esperienza che nasce dall'eucaristia. In essa la vostra Chiesa ha trovato la sorgente dell'eroismo; per essa il vostro amore si è espresso nella "confessio" che ha rinsaldato l'unità dei pastori e dei fedeli.
3. "Quoniam unus panis, unum corpus multi sumus omnes enim de uno pane participamus" (1Co 10,17). Questa unità stupenda viene realizzata in maniera del tutto notevole in questa celebrazione che inaugura l'assise di grazia e di amore che è il Sinodo della vostra Chiesa.
Voi siete qui uniti con Pietro, "communione fraternae caritatis atque studio permoti universalis missionis Apostolis traditae" (CD 36).
Ed è da questa eucaristia, che stiamo celebrando, che noi attingiamo lo spirito necessario che, mentre ci lega in Cristo a Dio nell'unico amore dello Spirito Santo, insieme dilata il nostro cuore alla sensibilità profonda e autentica dell'interesse, della sollecitudine, della donazione della carità apostolica.
Il desiderio profondo che il Sinodo si celebrasse ad Petri cathedram non ha altro fine se non di mettere in luce "l'unità che abbiamo ricevuto dagli apostoli: l'unità collegiale". Ora, come ebbi a sottolineare nella lettera che ho indirizzato a tutti i Vescovi nella prima domenica di quaresima di quest'anno sul mistero e sul culto dell'eucaristia, "quest'unità è nata, in certo senso, alla mensa del pane del Signore, il Giovedi Santo" (Ioannis Pauli PP. II "Dominicae Cenae", die 24 febr. 1980, III: AAS 72[1980] 138). Poiché è nel cenacolo che gli apostoli, alla mensa del Signore, ebbero il mandato che con la celebrazione dell'eucaristia assicura la "consumazione" della vita di comunione con Dio e coi fratelli, fissando l'unità di cui la Chiesa vive e di cui essa deve essere segno e sacramento nel mondo. Come è nel cenacolo, proprio al banchetto della cena eucaristica, che Gesù ha pregato per l'unità dei "suoi", di quegli apostoli della cui grazia e del cui mandato noi portiamo il peso e l'onore per la salvezza di tutto il mondo.
Queste giornate di grazia, che s'inaugurano nella comune celebrazione dell'eucaristia, devono perciò mutarsi in una esperienza particolare di unità, di concordia, di collaborazione. Grazie all'eucaristia, "unum corpus multi sumus", come dicevo poco fa con le parole di san Paolo. Siamo il corpo di Cristo! Uniti a tutta la Chiesa del Signore Gesù, con lo sguardo rivolto a lui, nostro capo, maestro e Redentore, e insieme col cuore che palpita con tutti i nostri fratelli, specialmente con i fedeli della vostra Chiesa, nella nostra unione profonda dobbiamo dare la testimonianza che spinge il mondo a credere (cfr. Jn 17,21). Ma che cosa credere? Credere che noi abbiamo fede nel Cristo, credere che siamo dominati dal suo amore, credere che la nostra adesione al Vangelo è incrollabile, credere che al di sopra di ogni realtà umana siamo convinti del primato di Dio e della sua azione, credere che noi amiamo veramente Dio e, per questo amore, amiamo il mondo e tutti gli uomini, per i quali siamo disposti ad offrire con gioia il nostro ministero pronto, attento, aggiornato, completo, se occorre fino alla morte e alla morte di croce.
E' quanto sboccia nel nostro spirito a contatto col mistero eucaristico e sperimentandone la grazia all'inizio di questo nostro Sinodo. Raccolti nel cenacolo, noi non ci sentiamo isolati dai fratelli per i quali qui siamo uniti.
Essi, specialmente in questa celebrazione eucaristica, sono con noi. Con noi e per noi pregano, con noi e per noi invocano la pienezza dello Spirito Santo, con noi e per noi implorano quell'unità di spirito nel vincolo della pace, che ci aiuti a vedere le necessità della loro chiesa, le urgenze più vive, e insieme ci doni la forza e il coraggio per portare ad esse l'aiuto opportuno. Solo così, questo Sinodo, espressione tipica dell'unità della Chiesa, sarà una primavera dello Spirito Santo per noi e per la diletta Chiesa ucraina qui, per mezzo di voi, presente. Secoli di storia di lotte e di martiri, manifestazioni di fede e di ardore evangelico, zelo per l'annuncio del Vangelo in comunione con la Chiesa universale e con Pietro, qui in quest'ora sono presenti in modo straordinario. Che questa presenza spirituale, ma vera, profonda, viva, sostenga il nostro lavoro, rinnovandoci tutti nello spirito degli apostoli per il bene dei nostri fratelli.
L'esperienza del cenacolo non rifletterebbe l'ora di grazia dell'effusione dello Spirito, se non avesse la grazia e la gioia della presenza di Maria. "Cum Maria, matre Iesu" (Ac 1,14), si legge della grande ora della Pentecoste. Ed è quest'ora che noi vogliamo sperimentare e rinnovare. Per questo, con la ricchissima tradizione mariana della vostra Chiesa, ci uniamo alla Vergine benedetta. Essa, madre dell'amore e dell'unità, ci leghi profondamente perché come la prima comunità nata dal cenacolo, siamo "un cuore solo e un'anima sola". Essa, "mater unitatis", nel cui seno il Figlio di Dio si è unito all'umanità, inaugurando misticamente l'unione sponsale del Signore con tutti gli uomini, aiuti noi ad essere "unum" e a diventare strumenti di unità tra i nostri fedeli e tra gli uomini.
E' la grazia che affido come voto dal profondo del cuore alla Vergine dell'incarnazione. L'umile ancella del Signore "apud Filium suum intercedat, donec cunctae familiae populorum... cum pace et concordia in unum Populum Dei feliciter congregentur, ad gloriam Sanctissimae et individuae Trinitatis" (LG 65), che affido voi tutti, uno per uno, con le vostre chiese e i vostri fedeli, perché dalla sua contemplazione e col suo aiuto, grazie anche a questo Sinodo, siamo veramente gli apostoli dei tempi nuovi.
Data: 1980-03-24 Data estesa: Lunedi 24 Marzo 1980.
Titolo: Perseverate nell'amore
Carissimi sacerdoti novelli, Figli di San Leonardo Murialdo! Appena ordinati "Ministri del Signore" e dopo aver celebrato la vostra prima Santa Messa, avete ardentemente desiderato incontrarvi con il Papa per manifestare la vostra fedeltà alla Chiesa, per ascoltare la sua parola e ricevere la sua Benedizione.
Ed io sono lieto di accogliervi e di porgervi il mio più affettuoso saluto: vi ringrazio per questo atto di filiale ossequio e partecipo pienamente alla vostra grande gioia di essere stati configurati più strettamente a Cristo mediante il Sacramento dell'Ordine, chiamati a servirlo nella Chiesa con i suoi stessi poteri divini.
E con voi intendo anche salutare cordialmente i vostri Superiori ed Insegnanti, i vostri Genitori e parenti.
In questo momento, così trepidante per voi, la mia esortazione è unica: perseverate nell'Amore! perseverate nella "grazia sacramentale" e nella missione austera ma stupenda della salvezza delle anime! E per perseverare non avete che da ispirarvi alla figura del vostro Fondatore, San Leonardo Murialdo, di cui certamente conoscete la vita ricolma di zelo e gli scritti appassionati.
Il primo mezzo di perseveranza sia per voi l'ansia apostolica. Il Sacerdote deve avere una visione "escatologica" della esistenza e della storia e vivere in questa prospettiva. Le anime devono essere evangelizzate, salvate, santificate: questa è la volontà di Dio! Il Sacerdote è il responsabile di tale annunzio e di tale salvezza. Non dimenticate mai l'ansia apostolica del Murialdo, che diceva: "Non ci diamo il rimorso di dover temere che qualche anima, redenta dal Sangue di Cristo, sia andata perduta, in parte per nostra ignavia, per nostra pigrizia, per nostro egoismo".
Un secondo mezzo di perseveranza è il senso del realismo cristiano. Il Murialdo, spirito eminentemente equilibrato e concreto, in tempi contristati e oscuri, aveva una grande fede e fiducia nell'uomo. Voi conoscete i suoi motti-programma: "Tacciamo e facciamo". "Fatevi santi e fate presto". Dopo le vicende del 1870, scriveva: "La nostra epoca ha il buono e il cattivo come tutte le epoche; ma il cattivo non si cambia crollando il capo e ritirandosi sotto la tenda di Achille... La Chiesa e i cristiani saranno sempre in stato di milizia su questa terra. Noi da parte nostra, alle preghiere uniamo le buone opere, lo zelo cattolico, l'unione delle forze, l'ardore della salvezza delle anime; ma subito, senza aspettare interventi celesti ed immaginari trionfi" (San Leonardo Murialdo, Lettere del maggio 1872).
E' davvero un ottimo programma e quanto mai attuale: non ottimismo irreale, e neppure pessimismo, che fa torto alla Provvidenza; ma un sano realismo cristiano, che accetta la realtà dell'uomo e della storia per amarla e per salvarla in nome di Cristo, con fatica e con pazienza.
Ed, infine, un terzo mezzo di perseveranza è la purezza del pensiero, mediante lo studio ordinato e le buone letture. Il vostro Fondatore nel fermento delle nuove filosofie razionalistiche e materialistiche del secolo, si era sentito profondamente educatore, e specialmente dei giovani, per mezzo soprattutto della "buona stampa". Ad un secolo di distanza la preoccupazione per la "purezza del pensiero" si è moltiplicata a dismisura. Quanto è importante mantenerci nell'"intimità divina" mediante la meditazione di libri seri e profondi, che riscaldino l'anima al fuoco dell'amore di Dio e la mantengano serena ed entusiasta in qualunque situazione o incombenza venga a trovarsi.
Carissimi Sacerdoti Novelli! Imitate San Leonardo Murialdo anche nella devozione a Maria Santissima e domandatevi sempre: "E' contenta la Madonna di questa mia decisione? Che cosa mi suggerisce? Come si comporterebbe al mio posto?".
Andate dunque ora lieti e coraggiosi nel posto dove l'obbedienza vi manda e perseverate nell'amore, con l'aiuto del vostro Santo e il conforto della mia Benedizione Apostolica.
Data: 1980-03-24 Data estesa: Lunedi 24 Marzo 1980.
GPII 1980 Insegnamenti - Al clero della Valnerina - Norcia