GPII 1980 Insegnamenti - Agli istituti secolari - Castel Gandolfo (Roma)
Titolo: Contribuire a cambiare il mondo "dal di dentro"
Cari fratelli e sorelle nel Signore.
1. "A voi, grazia e pace da Dio nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo". Queste parole familiari all'apostolo san Paolo (cfr. Rm 1,7 1Co 1,3 2Co 1,2 ecc), salgano spontaneamente alle mie labbra per augurarvi il benvenuto, e per esprimervi la mia riconoscenza per la visita che mi rendete in occasione del vostro congresso, che riunisce i rappresentanti degli istituti secolari del mondo intero.
Questo incontro mi procura una gioia profonda. Infatti, il vostro stato di vita consacrata costituisce un dono particolare dello Spirito Santo fatto al nostro tempo per aiutarlo, come hanno detto i miei confratelli latino-americani riuniti a Puebla, "a risolvere la tensione tra l'apertura oggettiva ai valori del mondo moderno (stato secolare cristiano autentico) e il dono plenario del cuore a Dio (spirito della consacrazione)" (cfr. "Puebla", 775). Infatti, voi vi trovate per così dire al centro del conflitto che turba e divide l'anima moderna, perché potete offrire "un apporto pastorale efficace per l'avvenire e aprire strade nuove e di valore universale per il Popolo di Dio" (cfr. "Puebla", 775).
Ho dunque grande interesse per il vostro congresso e prego il Signore di darvi la sua luce e la sua grazia affinché i lavori della vostra assemblea vi permettano di analizzare lucidamente le possibilità e i rischi che il vostro modo di vivere comporta, di prendere subito le decisioni in grado di assicurare alla vostra scelta di vita, da cui la Chiesa oggi si attende molto, gli sviluppi opportuni.
2. Nello scegliere i temi del vostro congresso: "L'evangelizzazione e gli istituti secolari alla luce dell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi"", avete seguito una suggestione contenuta in una allocuzione del mio venerato predecessore, il Papa Paolo VI al quale va certamente la vostra gratitudine per l'attenzione che vi ha sempre riservato e per l'efficacia con la quale seppe fare accogliere dalla Chiesa la consacrazione nella vita secolare. Indirizzandosi il 25 agosto 1976 ai responsabili generali dei vostri istituti, egli rilevava: "Se essi rimarranno fedeli alla loro vocazione particolare, gli istituti secolari diventeranno come "il laboratorio di esperienza" nel quale la Chiesa verifica le modalità concrete dei suoi rapporti con il mondo. E' perciò che essi devono ascoltare, come rivolto soprattutto a loro, l'appello dell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi": "Il loro compito... è la messa in opera di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e attive nelle cose del mondo. Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, del sociale, dell'economia, ma ugualmente della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, dei mass media" (Pauli VI EN 70)" (cfr. Doc. Cath., 1976, p. 807).
In queste parole, l'accento messo sulla realtà ecclesiale degli istituti secolari nella loro essenza e nel loro agire non sarà certamente sfuggito a nessuno. E' d'altronde sviluppato anche in altri discorsi. C'è li un elemento che desidero sottolineare. Infatti, come non rendersi conto di quanto è importante che la vostra esperienza di vita, caratterizzata ed unificata dalla consacrazione, l'apostolato e la vita secolare, si svolge, certo, attraverso un sano pluralismo, in una comunione autentica: con i pastori della Chiesa e nella partecipazione alla missione evangelizzatrice di tutto il Popolo di Dio? Questo non pregiudica, d'altra parte, ciò che distingue essenzialmente il modo di consacrazione a Cristo che ci è proprio. Il mio predecessore lo precisava nell'allocuzione che ho già citato, e ricordava in questa occasione una distinzione di grande importanza metodologica: "Questo non significa, evidentemente - diceva - che gli istituti secolari, in quanto tali, debbano caricarsi di questi compiti. Questo spetta a ciascuno dei loro membri. E' dunque il dovere degli istituti stessi di formare la coscienza dei loro membri a una maturità e a una apertura che li spingano a prepararsi con molto zelo alla professione scelta, allo scopo di affrontare in seguito con competenza, e in spirito di distacco evangelico, i pesi e la gioia delle responsabilità sociali verso le quali la provvidenza li orienterà" (cfr. "Doc. Cath.", 1976, p. 807).
3. Conformemente a queste indicazioni di Papa Paolo VI, i vostri istituti hanno approfondito in modi diversi, in questi ultimi anni, a livello nazionale o continentale, il tema dell'evangelizzazione. Il vostro attuale congresso vuole fare il punto sui risultati acquisiti e verificarne il valore, al fine d'orientare sempre meglio gli sforzi di ciascuno in accordo con la vita della Chiesa, che cerca con tutti i mezzi "di studiare come fare arrivare all'uomo moderno il messaggio cristiano nel quale può trovare la risposta ai suoi interrogativi e la forza per il suo impegno di solidarietà umana" (Pauli VI EN 3).
Sono felice di prendere atto del buon lavoro compiuto e esorto tutti i membri, preti e laici, a perseverare nella ricerca di una miglior comprensione delle realtà e dei valori temporali in rapporto all'evangelizzazione stessa: il prete, per rendersi sempre più attento alla situazione dei laici e per portare al presbiterio diocesano non solamente una esperienza di vita secondo i consigli evangelici e con un aiuto comunitario, ma anche una sensibilità esatta del rapporto della Chiesa al mondo; il laico, per accogliere il ruolo particolare affidato a colui che è consacrato nella vita laica al servizio dell'evangelizzazione.
Che i laici abbiano, in questo campo, un incarico specifico, ho avuto l'occasione di sottolinearlo in molte riprese, in stretto accordo d'altronde con le indicazioni date dal Concilio. "In quanto Popolo santo di Dio, dicevo per esempio a Limerick, nel corso del mio pellegrinaggio in Irlanda, voi siete chiamati a occupare il vostro ruolo nella evangelizzazione del mondo. Si, i laici sono "una gente scelta, un sacerdozio santo". Essi sono chiamati a essere "il sale della terra" e "la luce del mondo". E' loro vocazione e loro missione specifica di manifestare il Vangelo nella loro vita e di inserirlo anche come un lievito nella realtà del mondo in cui vivono e lavorano. Le grandi forze che reggono il mondo - politica, mass media, scienza, tecnologia, cultura, educazione, industria e lavoro - sono precisamente i campi in cui i laici hanno specificamente competenza per esercitarvi la loro missione. Se queste forze sono dirette da persone che sono veri discepoli di Cristo e che, allo stesso tempo, per le loro conoscenze e i loro talenti, sono competenti nel loro campo specifico, allora il mondo sarà veramente cambiato dal di dentro dalla potenza redentrice di Cristo" (Ioannis Pauli PP. II "Homilia in urbe Limerico habita", die 1° oct 1979: "Insegnamenti di Giovanni Paolo II", II,2[1979] 49 7. Cfr. "Doc. Cath.", 1979, p. 867).
4. Riprendendo ora questo discorso e approfondendolo, provo il bisogno di attirare la vostra attenzione sulle tre condizioni di importanza fondamentale per l'efficacia della vostra missione: a) Voi dovete essere, prima di tutto, veri discepoli di Cristo. In quanto membri di un istituto secolare, voi volete essere tali con la radicalità del vostro impegno di seguire i consigli evangelici in una maniera tale che, non solamente essa non cambia la vostra condizione - voi siete e rimanete laici! - ma essa la rafforza, in questo senso che il vostro stato secolare sia consacrato, che sia più esigente e che l'impegno nel mondo e per il mondo, implicato da questo stato secolare, sia permanente e fedele.
Rendetevi ben conto di ciò che questo significa: la consacrazione speciale, che porta alla sua pienezza la consacrazione del battesimo e della cresima, deve impegnare tutta la vostra vita e tutte le vostre attività quotidiane, creando in voi una disponibilità totale alla volontà del Padre che vi ha posti nel mondo e per il mondo. In questo modo, la consacrazione verrà a costituire come l'elemento di discernimento dello stato secolare, e voi non correte il rischio di accettare questo stato semplicemente come tale, con un facile ottimismo, ma l'assumerete coscienti dell'ambiguità permanente che l'accompagna, e vi sentirete logicamente impegnati a discernere gli elementi positivi e quelli che sono negativi allo scopo di privilegiare gli uni, precisamente con l'esercizio del discernimento, e per eliminare al contrario progressivamente gli altri.
b) La seconda condizione è che voi siate, al livello del sapere e dell'esperienza, veramente competenti nel vostro campo specifico per esercitare, grazie alla vostra presenza, questo apostolato di testimonianza e di impegno verso gli altri che la vostra consacrazione e la vostra vita nella Chiesa vi impongono.
Infatti, è solamente grazie a questa competenza che voi potete mettere in pratica la raccomandazione rivolta dal Concilio ai membri degli istituti secolari: "Bisogna che essi tendano prima di tutto a donarsi interamente a Dio nella carità perfetta e che i loro istituti conservino il carattere secolare che è loro proprio e specifico al fine di potere esercitare ovunque e efficacemente l'apostolato per il quale essi sono stati creati" (PC 11).
c) La terza condizione sulla quale vi voglio invitare a riflettere è costituita da questa risoluzione che vi è propria: di sapere di cambiare il mondo dall'interno. Voi siete, infatti, inseriti nel mondo completamente e non solamente per la vostra condizione sociologica; siete tenuti a questo inserimento prima di tutto come a un atteggiamento interiore. Dovete dunque considerarvi come "parte" del mondo, come impegnati a santificarlo, accettando totalmente le esigenze che derivano dalla legittima autonomia delle realtà del mondo, dei suoi valori e delle sue leggi.
Questo vuol dire che voi dovete prendere sul serio l'ordine naturale e il suo "spessore ontologico", cercando di leggere in esso il disegno liberamente perseguito da Dio, e offrendo la vostra collaborazione affinché si renda attuale progressivamente nella storia. La fede vi dà indicazioni sul destino superiore al quale questa storia è aperta grazie all'iniziativa salvifica di Cristo; nella rivelazione divina, tuttavia, non trovate risposte belle e fatte a numerose questioni che l'impegno concreto vi pone. E' vostro dovere cercare, alla luce della fede, le soluzioni adeguate ai problemi pratici che emergono di volta in volta, e che non potrete spesso ottenere se non correndo il rischio di soluzioni solamente probabili.
C'è dunque un impegno a promuovere le realtà dell'ordine naturale e un impegno a far intervenire i valori della fede, che devono unirsi e integrarsi armoniosamente alla vostra vita, costituendo il suo orientamento di fondo e la sua costante ispirazione. In questo modo, voi potrete contribuire a cambiare il mondo "dal di dentro", divenendo il suo fermento vivificante e obbedendo alla consegna che vi è stata data nel motu proprio "Primo Feliciter": essere "il fermento, modesto ma efficace, che agendo ovunque e sempre, è mescolato ad ogni classe di cittadini, dalle più modeste alle più elevate, si sforza di raggiungerle e di riempirle tutte e ciascuna dell'esempio e in ogni modo fino ad informare la massa tutta intera in modo tale che essa sia tutta germogliata e trasformata in Cristo" ("Primo Feliciter", Introd.).
5. La messa in evidenza dell'apporto specifico del vostro stile di vita non deve, tuttavia, condurre a sottovalutare le altre forme di consacrazione alla causa del regno alla quale voi potete così essere chiamati. Voglio alludere a ciò che è detto nel n. 73 dell'esortazione "Evangelii Nuntiandi", che ricorda che: "I laici possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i pastori al servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vita di essa, esercitando ministeri molto diversificati, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà ben mettere in loro".
Questo aspetto non è certamente nuovo ma corrisponde al contrario nella Chiesa a tradizioni molto antiche; concerne anche un certo numero di membri degli istituti secolari e principalmente, ma non esclusivamente, coloro che vivono nelle comunità dell'America latina o di altri paesi del terzo mondo.
6. Cari figli e figlie, il vostro campo d'azione, come vedete, è molto vasto. La Chiesa aspetta molto da voi. Essa ha bisogno della vostra testimonianza per portare al mondo, affamato della parola di Dio anche se non ne ha coscienza, il "gioioso annuncio" che ogni aspirazione autenticamente umana può trovare in Cristo il suo compimento. Sappiate essere all'altezza delle grandi possibilità che la provvidenza divina vi offre in questa fine del secondo millennio cristiano.
Da parte mia, rinnovo la mia preghiera al Signore, per la materna intercessione della Vergine Maria, affinché vi accordi in abbondanza i suoi doni di luce, di saggezza, di determinazione nella ricerca delle vie migliori per essere, tra i vostri fratelli e le vostre sorelle che sono nel mondo, una testimonianza vivente resa a Cristo e un richiamo discreto ma convincente ad accogliere la sua novità nella vita personale e nelle strutture sociali.
Che la carità del Signore guidi le vostre riflessioni e i vostri scambi durante questo congresso. Voi potrete allora camminare con fiducia. Vi incoraggio a questo donandovi la benedizione apostolica, per voi e per coloro che voi rappresentate oggi.
[Traduzione dal francese]
Data: 1980-08-28 Data estesa: Giovedi 28 Agosto 1980.
Titolo: Il rinnovamento liturgico nella Chiese orientali secondo lo spirito del Concilio
Venerabili e cari fratelli nel nostro Signore Gesù Cristo.
1. Vi sono molto grato per la vostra visita oggi; è davvero con grande gioia che rivolgo un affettuoso saluto a tutti voi che, insieme con il Cardinale Joseph Parecattil, Arcivescovo di Ernakulam e presidente della commissione pontificia per la revisione del codice orientale di diritto canonico, siete venuti da diverse parti dell'India per questa visita "ad limina" e per il vostro incontro collegiale.
2. In voi sento qui la presenza di tutta la Chiesa siro-malabarese, questa Chiesa orientale ed autenticamente indiana che per secoli è stata un esempio meraviglioso di testimonianza cristiana nella fedeltà alla sua fede primitiva e alle sue legittime tradizioni. Di qui il mio saluto va oggi a tutta la vostra Chiesa: ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai membri degli istituti secolari, ai giovani, agli anziani, ai padri e alle madri di famiglia, ai lavoratori, ai bambini e a tutti i fedeli, specialmente coloro che sono nel dolore e nella malattia.
I miei saluti ed auguri vanno anche ai fedeli e ai pastori delle altre Chiese che vivono accanto a voi nelle diverse parti del Kerala e nel resto dell'India, come pure ai fratelli delle comunità cristiane che non sono ancora in piena comunione con noi. Vanno inoltre a tutti i membri delle religioni non cristiane.
3. In questa visita collegiale desidero esprimere ufficialmente la mia gratitudine per le diligenti relazioni che avete messo a mia disposizione e a disposizione dei miei collaboratori nella santa Sede, per una maggior conoscenza delle vostre "eparchie", con il loro numeroso clero e i loro religiosi. Queste "eparchie" abbondano di attività pastorali e missionarie; le loro attività si manifestano anche nel campo della cultura attraverso collegi e scuole, nel campo dell'assistenza caritativa e sociale attraverso ospedali e dispensari e dovunque sia necessario lavorare per il progresso umano, sociale e spirituale delle nostre comunità o di ciascuno senza distinzione di fede, di razza o di rito. Ho notato il vostro impegno, pieno di dedizione e di amore per tutti. Questo è un amore e un dovere per tutta la Chiesa cattolica ed è anche il compito della vostra Chiesa. E' sempre stato così e soprattutto oggi questo impegno rifulge di una nuova luce.
Sono felice di rendere testimonianza al vostro zelo.
4. Questa prospettiva di apertura a tutta la gente senza distinzione è una sfida al mio servizio apostolico, che è descritto dalla "Lumen Gentium" con queste parole: "universo caritatis praesidet, legitimas varietatis tuetur et simul invigilet ut particularia, nedum unitati noceant, ei potius inserviant" (LG 13).
Ho desiderato questo incontro con voi e voglio ringraziarvi per la lodevole responsabilità con cui avete accettato l'invito della sacra congregazione a partecipare ad un incontro di studio sulla riforma della sacra liturgia nella vostra Chiesa. E' un incontro dal quale sembra giusto attendersi i risultati più positivi in merito a una chiara disciplina liturgica e un rinnovamento liturgico secondo le direttive e lo spirito del Concilio Vaticano II. Potete essere sicuri che il successore di Pietro in ogni occasione, come in questo incontro fraterno, ha un solo desiderio e proposito, quello di essere ciò che il Concilio ha chiamato: "unitatis tum Episcoporum tum fidelium multitudinis, perpetuum ac visibile principium et fundamentum" (LG 23).
5. A che cosa è volto fondamentalmente questo nostro incontro e la vostra riunione collegiale con la competente congregazione della santa Sede se non alla realizzazione di una perfetta comunione "in vinculo pacis"? La liturgia manifesta e realizza l'unità in modo del tutto speciale. "Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma sono celebrazione della Chiesa che è "sacramento di unità", cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. perciò tali azioni appartengono all'intero corpo della Chiesa; lo manifestano e lo implicano" (SC 26).
Oltre a dichiarare con tale vigore questo fondamentale concetto teologico generale, il Concilio richiama l'attenzione su altri principi di grandissima importanza: la Chiesa desidera rispettare e favorire in modo speciale "le qualità e le doti di animo delle varie razze e dei vari popoli. Tutto ciò poi che nei costumi dei popoli non è indissolubilmente legato a superstizioni o ad errori, essa lo considera con benevolenza e, se è possibile, lo conserva inalterato, e a volte lo ammette perfino nella liturgia, purché possa armonizzarsi con il vero e autentico spirito liturgico" (SC 37). Inoltre la "Lumen Gentium" afferma: "Per divina provvidenza è avvenuto che varie Chiese, poste in vari luoghi dagli apostoli e loro successori, durante i secoli si sono costituite in vari aggruppamenti, organicamente congiunti i quali, salva restando l'unità della fede e l'unica divina costituzione della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio teologico e spirituale proprio... Questa varietà di Chiese locali tendenti all'unità, dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa" (LG 23).
Ma nello stesso tempo il Concilio desidera che queste Chiese siano fedeli alla loro tradizione: "E' infatti intenzione della Chiesa cattolica che rimangano salve e integre le tradizioni di ogni Chiesa o rito particolare, e parimenti essa vuole adattare il suo tenore di vita alle varie necessità dei tempi e dei luoghi" (OE 2). Lo stesso decreto dichiara anche: "Sappiano, e siano ben certi tutti gli orientali, che possono sempre e devono conservare i loro legittimi riti e la loro disciplina, e che non si devono introdurre mutazioni, se non per ragione del proprio organico progresso" (OE 6).
Perché raggiungano il loro scopo è necessaria una rigorosa e severa applicazione delle direttive conciliari sulla fedeltà alle tradizioni del proprio rito: "Pertanto tutte queste cose devono essere con somma fedeltà osservate dagli stessi orientali, i quali devono acquistarne una coscienza sempre più profonda e un uso più perfetto e, qualora per circostanze di tempo o di persone fossero indebitamente venuti meno ad esse, procurino di ritornare alle avite tradizioni" (OE 6). Non mancheranno difficoltà nel ritornare alle origini autentiche del proprio rito. Si tratta tuttavia di difficoltà che vanno affrontate "viribus unitis" e "Deo adiuvante".
Il rinnovamento liturgico è quindi l'elemento fondamentale della vita sempre feconda della vostra Chiesa: un rinnovamento fondato sulla fedeltà alle vostre genuine tradizioni ecclesiali e aperto alle necessità del vostro popolo, alla vostra cultura e a possibili cambiamenti dovuti al vostro organico progresso.
Sarete utilmente guidati dai principi fondamentali esposti nella lettera "Dominicae Cenae", che vi aiuteranno a non sbagliare in una questione così importante e delicata.
6. Dopo queste riflessioni sulla liturgia, sono lieto di parlare del "memorandum" che avete voluto farmi conoscere tramite la sacra congregazione per le Chiese orientali. Il contenuto di questo documento, nonostante la brevità ad esso imposta dalle circostanze, mi invita a riflettere sulla storia della vostra gloriosa Chiesa, che nel mondo libero, è la più numerosa e fiorente Chiesa orientale, quella con il maggior numero di sacerdoti, di religiosi e religiose, di seminaristi e di laici.
Come potremmo non rilevare con gioia e con vera soddisfazione il contributo della vostra Chiesa alla causa delle missioni, non solo in India ma anche altrove, alla promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose, alle attività dell'insegnamento e dell'assistenza caritativa, ecc...? Non si tratta di sottovalutare i numerosi fattori umani che influenzano questi fenomeni, ma piuttosto notare come questi fattori hanno anche un debito verso la fede cristiana delle vostre famiglie siro-malabaresi, che sono sempre disposte a dare i loro figli alla causa della Chiesa universale, anche oltre i confini della vostra Chiesa particolare. Desidero esprimere la mia sincera gratitudine a voi Vescovi, ai vostri sacerdoti, ai religiosi, ai membri degli istituti secolari, ai seminaristi e alle generose famiglie per ciò che avete fatto e continuate a fare per la Chiesa universale. Ciò che un tempo i missionari dell'Europa o dell'America fecero e stanno ancora facendo in "auxilium orientalium", voi avete fatto e state facendo in "auxilium Ecclesiae latinae". Vi ringrazio di cuore. Tutto questo è in perfetta armonia con lo spirito del Concilio, il quale vuole che le Chiese particolari sentano nel loro cuore la responsabilità per le altre Chiese e per la Chiesa universale.
7. Dopo uno sguardo alla vostra Chiesa i miei pensieri si rivolgono ai "desiderata" che avete presentato. L'importanza di ciò che avete esposto, come pure le implicazioni canoniche, ecclesiologiche, pastorali, dottrinali e pratiche spiega perché non è possibile in questa occasione dare una risposta immediata e completa alle vostre richieste.
Quando si tratta di problemi che riguardano tutta la Chiesa e la creazione di strutture sovra-episcopali in cui sono implicati gli interessi di diversi Vescovi e di Chiese particolari, la santa Sede adotta serie e prudenti procedure che sono confermate dalla pratica di molti secoli. Desidero assicurarvi di quanto sono felice nel vedere che state cercando di affermare e approfondire la vostra identità come Chiesa orientale particolare. Sono lieto di citare qui i pensieri del mio grande predecessore Paolo VI nel suo discorso conclusivo al Sinodo dei Vescovi del 1974: "Eodem tamen tempore exoptamus, ut sedulo caveatur ne altior pervestigatio essentialis huius aspectus rerum, quae Ecclesiae sunt, ullo modo noceant firmitati "communionis" cum ceteris particularibus Ecclesiis et Petri successore, cui Christus Dominus, grave, perenne atque amoris plenum hoc officium commisit, ut agnos et oves pasceret (Jn 21,13-17), ut fratres confirmaret (Lc 22,32), ut fundamentum esset et signum unitatis Ecclesiae" (Pauli VI "Allocutio ad terminum Synodi Episcoporum 1974 habita", die 26 oct. 1974: "Insegnamenti di Paolo VI", XII [1974] 1008).
Riferendomi ad alcune frasi del vostro "memorandum", vorrei ricordare un aspetto dell'insegnamento collegiale del Concilio Vaticano II: "Romanus enim Pontifex Pastoris habet in Ecclesiam, vi numeris sui, Vicari scilicet Christi et totius Ecclesiae Pastoris, plenam, supremam et universalem potestatem, quam semper libere exercere valet" (LG 22). In occasione del suddetto Sinodo Paolo VI aggiunse: "unum potius adest propositum, quo videlicet omnes - pro suo quisque numere succepto fideliterque impleto - Dei voluntati respondeant, maxima impulsi dilectione" (LG 22). Desidero comunque assicurarvi che ogni cosa sarà fatta, compatibilmente con il bene della Chiesa universale e con la necessaria gradualità.
Nello stesso ordine di idee vi è anche il problema dell'assistenza ai vostri fedeli al di fuori delle vostre "eparchie". Da una parte il mio indimenticabile predecessore Giovanni Paolo I nel suo breve pontificato ebbe l'opportunità e la gioia di poter nominare l'Arcivescovo Antony Padiyara visitatore apostolico per i fedeli malabaresi che vivono in diverse regioni dell'India fuori dei territori appartenenti alla giurisdizione orientale.
L'Arcivescovo ha cercato con sollecitudine esemplare di adempiere al compito a lui affidato e desidero esprimergli la mia gratitudine "coram vobis".
Dall'altra parte sono anche implicati in questa questione il rappresentante papale in India e gli ordinari cattolici di quei luoghi in cui questi fedeli malabaresi vivono. Posso assicurarvi che saranno messi a disposizione di questi fedeli tutti gli aiuti che le leggi della Chiesa prevedono, in particolare con le prescrizioni, che voi stessi avete citato, del decreto "Christus Dominus". Si sa bene che, dopo il Concilio, la Chiesa ha voluto rivedere la costituzione apostolica "Exul Familia" ed il mio predecessore Paolo VI nella "Pastoralis Migratorum Cura" non trascuro alcuno sforzo per mettere ogni aiuto spirituale a disposizione degli emigranti. La comune sollecitudine dei Vescovi dei luoghi d'origine degli emigranti e dei Vescovi delle loro nuove patrie richiede un'armonia di rapporti ed uno spirito di collaborazione fraterna. E' il mio più vivo desiderio, ed è mia convinzione che le conferenze episcopali, sia quella indiana che quelle regionali, troveranno un giusto modo di provvedere a questa necessità.
In questo sforzo di aiutare i fratelli bisognosi, sia spiritualmente che materialmente, i Vescovi malabaresi troveranno nella santa Sede un aiuto sincero e una forza vivificante che, in una prospettiva ecclesiale che abbraccia i bisogni delle singole Chiese particolari ed il bene comune di tutta la Chiesa, cerca di creare un clima di reciproca conoscenza e stima tra i popoli, specialmente tra i fedeli di diverse razze, nazioni e riti.
Vorrei aggiungere ancora una parola riguardo alle vostre "eparchie". Non penso alla vostra Chiesa solo in termini di numeri, di statistiche e delle attività principali di ogni vostra "eparchia", ma contemplo la ricca vita spirituale che esiste in esse.
Penso ai vostri sacerdoti, così numerosi e generosi. Penso ai religiosi che sono membri degli istituti orientali come pure degli ordini e delle congregazioni di origine latina, i quali sono docili alla chiamata di Cristo e all'avanguardia della vita della Chiesa. Penso al gran numero di religiosi di vita attiva e contemplativa, la cui oblazione consacrata riflette quella di Maria e diventa il fondamento di un servizio disinteressato che rispecchia la preoccupazione materna di tutta la Chiesa, soprattutto per i piccoli, per i deboli, i poveri e i sofferenti.
Penso ai giovani e in particolare ai seminaristi: ciascuno di voi ha un seminario minore per i candidati al sacerdozio e vi sono due seminari maggiori - il seminario pontificio di Alwaye e il seminario apostolico di Kottayan - oltre alle scuole delle carmelitane di Maria Immacolata, con due facoltà teologiche e una terza già in progetto. A questo proposito vale la pena di richiamare l'attenzione sulla seguente esortazione: "La formazione dei futuri sacerdoti dovrebbe essere considerata uno dei compiti più importanti in una diocesi e, sotto alcuni aspetti, uno dei più urgenti. Infatti, l'azione dell'insegnamento unisce strettamente il professore all'azione del nostro Signore e maestro, che ha preparato i suoi apostoli ad essere testimoni del Vangelo e dispensatori dei misteri di Dio" (Sacrae Congragationis pro Institutione Catholica "De Institutione Theologica futurorum presbyterorum", IV,1,3).
Concludendo, offro alla vostra riflessione un desiderio profondo del mio cuore: Voi siete qui uniti a Pietro "communione fraternae caritatis atque studio permoti universalis missionis Apostolis traditae" (CD 36). Questa è un'occasione favorevole per richiamare il tema supremo dell'unità: l'unità fraterna fra i Vescovi e i religiosi, fra il Vescovo, i sacerdoti e i laici, fra i poveri e i benestanti. L'unità che in questi giorni di grazia avete cercato nei campi liturgico e pastorale deve essere il primo frutto di questa particolare esperienza di armonia e collaborazione.
I miei pensieri vanno ai Vescovi degli altri riti i quali lavorano nello stesso territorio e devono essere non solo fratelli che coesistono con voi, ma che vi vivono accanto in profonda comunione ecclesiale con voi e con tutta la Chiesa.
I miei pensieri vanno anche ai vari gruppi e alle comunità dei fratelli separati che guardano con sincera ammirazione al vostro legame con il successore di Pietro.
La mia ultima parola è una parola di speranza e di preghiera a Maria Madre della Chiesa. Possa ella proteggervi sempre e attraverso la sua intercessione possano le vostre "eparchie" continuare ad avere una grande fioritura di vocazioni e una grande santità di vita. Possa ella rendere tutti noi capaci di fissare costantemente il nostro sguardo su suo Figlio, Gesù Cristo, il grande sommo sacerdote e primo pastore della Chiesa di Dio.
Ed ora una parola ai Vescovi malankaresi, che sono uniti al gruppo dei prelati malabaresi da un vincolo di fraternità.
Desidero estendere un saluto particolare a voi, dal momento che quest'anno è l'anniversario di un evento straordinario nella vostra Chiesa. Voi state celebrando il cinquantenario di quel movimento spirituale di cui lo stimato Mar Ivanios fu un pioniere e che porto in piena comunione con Roma lo stesso Ivanios, altri prelati e le comunità che egli fondo: i fratelli dell'Imitazione di Cristo e le sorelle di Betania.
Come segno della mia partecipazione a questo giubileo, sono felice di annunciare la mia decisione di inviare come mio rappresentante e portatore del mio messaggio il Cardinale Wladyslaw Rubin, prefetto della sacra congregazione per le Chiese orientali, il quale sarà presente alle solenni celebrazioni che sono fissate per il prossimo 26-28 dicembre.
Vi assicuro le mie preghiere, la mia benedizione e il mio affetto fraterno in Cristo Gesù nostro Signore.
[Traduzione dall'inglese]
Data: 1980-08-29 Data estesa: Venerdi 29 Agosto 1980.
Titolo: Il lavoro, elemento di unione e concordia nella società
Carissimi fratelli della terra d'Abruzzo e del Molise.
1. Un anno fa - era esattamente il 26 agosto -, nell'anniversario dell'elevazione al pontificato dell'amato mio predecessore Giovanni Paolo I, volli salire da Canale d'Agordo sulla vetta della Marmolada, nel candore maestoso del panorama alpino, per pregare Maria santissima insieme con i coraggiosi scalatori che lassù mi avevano preceduto. Oggi sono parimenti lieto di incontrarmi con voi in questo luogo non meno suggestivo, ai piedi del Gran Sasso d'Italia, nel cuore di quell'appennino che costituisce - secondo la nota immagine - la spina dorsale dell'intera penisola italiana.
Né sono molto difformi, in questo momento, i sentimenti e i pensieri che mi salgono sulle labbra dal cuore, mentre, nella bellezza e purezza del grandioso spettacolo, ripenso - come feci già tra la gente del Veneto - alla particolare fisionomia della vostra gente, laboriosa e tenace. Oh, mi è ben noto chi siete voi, figli d'Abruzzo e del Molise! Dico la vostra tempra, la vostra probità, la saldezza che perdura in mezzo a voi dell'istituto familiare, e l'attaccamento all'avito costume che inconfondibilmente profila la vostra vita religiosa e civile. Per questo, ho voluto il mio primo incontro con voi, proprio qui, presso il massiccio montuoso ed all'imbocco di questo traforo autostradale, che è stato recentemente aperto al suo interno. E ringrazio le autorità e le persone che qui si sono fatte interpreti dei comuni sentimenti di quest'ora: il signor ministro dei lavori pubblici in rappresentanza del governo italiano, il presidente della giunta regionale, il presidente della società che ha portato avanti la straordinaria impresa del traforo, un rappresentante dei minatori e uno degli agricoltori e allevatori. Mi è poi gradito porgere un particolare saluto a monsignor presidente della conferenza episcopale regionale, e all'Arcivescovo dell'Aquila.
GPII 1980 Insegnamenti - Agli istituti secolari - Castel Gandolfo (Roma)