
GP2 Discorsi 2003 231
Lunedì, 30 giugno 2003
Venerati Arcivescovi,
carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Dopo la solenne celebrazione di ieri, durante la quale ho avuto la gioia di imporre il sacro Pallio a voi, cari Metropoliti nominati nel corso dell'ultimo anno, sono molto lieto di potervi nuovamente incontrare, insieme con i vostri familiari ed amici. A tutti rinnovo il mio cordiale saluto, ed esprimo uno speciale ringraziamento a quanti sono venuti da lontano. La vostra presenza contribuisce a rendere ancor più visibile il peculiare valore di questo avvenimento, che è la consegna del Pallio, espressione al tempo stesso di unità e di universalità ecclesiale.
2. Con fraterno affetto saluto gli Arcivescovi di Genova, Catanzaro-Squillace e Cagliari, e quanti hanno voluto unirsi al loro pellegrinaggio ad Petri sedem. Esorto ciascuno ad essere sempre, nella Chiesa e nella società, testimone e promotore di autentica comunione.
Je salue cordialement les pèlerins francophones venus entourer les Archevêques pour la réception du Pallium, en particulier les fidèles des diocèses de Fianarantsoa à Madagascar, de Québec au Canada, de Corfou en Grèce, ainsi que des diocèses français de Marseille, Clermont, Dijon, Montpellier et Poitiers. Que le signe remis aux Archevêques affermisse en vous le souci de la communion avec toute l’Église !
I extend a warm welcome to the English-speaking Metropolitans and to the pilgrims accompanying them: from Milwaukee, Gandhinagar, Madurai, Conakry, Kuala Lumpur, Kuching, Yangon and Mandalay. May this pilgrimage to the tomb of Peter in the company of your Archbishops strengthen your love for the Church and confirm all of your local Churches in communion with the Successor of Peter. Upon all of you I cordially invoke the grace and peace of our Lord Jesus Christ.
Voll Freude heiße ich die neuen Metropoliten aus Deutschland und Österreich willkommen, die gemeinsam mit einigen Gläubigen aus ihren Erzdiözesen Salzburg, Bamberg und Hamburg nach Rom gepilgert sind. Ihnen allen gelten meine herzlichen Segenswünsche und mein Gebet. Auf die Fürsprache Marias, der Mutter der Kirche, sowie der heiligen Apostel Petrus und Paulus behüte euch alle der gütige Gott!
232 Con mucho afecto saludo ahora a los Arzobispos de San José de Costa Rica, de Cali e Ibagué en Colombia; de Valladolid, Toledo y Granada en España; de Monterrey y Durango en México; de Santa Fe de la Vera Cruz, Bahía Blanca y Paraná en Argentina; de Quito y Guayaquil en Ecuador, acompañados de sacerdotes, fieles y familiares. Vuestra presencia aquí refleja la universalidad de la Iglesia. Revestidos con el Palio, que simboliza el estrecho vínculo que os une con la Sede de Pedro, promoved el espíritu de comunión de vuestras Iglesias particulares, anunciando y dando testimonio de Jesucristo resucitado mediante una acción eclesial que infunda esperanza y anime la caridad.
Saúdo, também, com afecto os novos Arcebispos do Brasil e de Moçambique, respectivamente das Arquidioceses de Maceió, Maringá e Maputo. Possa o Pálio ornamento, expressão do vínculo particular que vos une a esta Sé Apostólica, reforçar a unidade e comunhão com ela e estimular uma generosa dedicação pastoral para o crescimento da Igreja e a salvação das almas.
Szeretettel köszöntöm az esztergom-budapesti érseket, Magyarország prímását. A pallium, a Szent Péter székével való közösség e jele, segítse apostoli munkájában.
[Rivolgo un cordiale saluto all’Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Primate d’Ungheria. Il Pallio, come segno dell’unione con la Sede di san Pietro, lo aiuti nello svolgimento del suo lavoro apostolico.]
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[Sono lieto di accogliere i pellegrini venuti dal Kazakhstan, in particolare da Astana, per stringersi intorno al loro nuovo Metropolita. Portate in patria il saluto e la benedizione del Vescovo di Roma!]
3. Carissimi Arcivescovi Metropoliti, nominando le vostre Sedi abbiamo toccato numerose e diverse regioni del mondo. E' il mondo che Dio ha tanto amato da mandare il suo Figlio per salvarlo. A questo mondo, in forza dello stesso amore, è inviata la Chiesa, di cui voi siete Pastori. Muniti del Pallio, segno di comunione con la Sede Apostolica, andate! Duc in altum! I santi apostoli Pietro e Paolo veglino sempre sul vostro ministero, e vi protegga Maria Santissima, Regina degli Apostoli. Da parte mia, vi assicuro il ricordo nella preghiera e di cuore vi benedico, insieme con tutti i presenti e con le comunità a voi affidate.
Luglio 2003
Martedì, 1° luglio 2003
Signor Capo Missione!
1. Nel momento solenne in cui Ella mi presenta le Lettere, con le quali è accreditato quale Rappresentante della Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista presso la Santa Sede, desidero porgerLe un cordiale benvenuto.
233 Nel ringraziarLa per le cortesi espressioni che mi ha rivolto, sono lieto di ricambiare il gentile saluto che, per suo tramite, S.E. il Signor Muhammad Gheddafi, Leader della Rivoluzione Libica, mi fa giungere ricordando, nel contempo, il comune impegno della Santa Sede e del Suo Paese per quanto riguarda la comprensione fra gli Stati, il rafforzamento del dialogo nell’arena internazionale, la difesa dei principi di tolleranza fra i popoli e il perseguimento della pace e della giustizia.
Le chiedo di volersi rendere interprete presso il Governo da Lei rappresentato dei miei sentimenti di deferenza e di considerazione per le diverse iniziative da esso poste in atto al fine di consolidare nel consesso delle Nazioni i processi di rispetto e di collaborazione reciproci, nel quadro della legalità internazionale. Assicuro, altresì, il mio costante affetto per il caro popolo della Libia e la mia preghiera per un suo sereno progresso nel benessere e nella piena attuazione di ogni alto ideale umano e spirituale.
2. L’azione della Santa Sede nell’ambito dei soggetti di diritto internazionale è caratterizzata da una perseverante ricerca di un sincero dialogo sincero, mettendo in evidenza quanto unisce piuttosto che ciò che divide, al fine di favorire l’intesa tra le Nazioni, il raggiungimento della pace e della giustizia, la difesa delle legittime peculiarità di ogni popolo e la concreta solidarietà verso i meno fortunati.
Il metodo del dialogo coraggioso e perseverante si rivela particolarmente utile per affrontare le non poche tensioni esistenti nel mondo, tensioni che destano preoccupazione e richiedono, per essere risolte, la fattiva collaborazione di tutti, tenendo sempre ben presenti i principi fondamentali della verità, della giustizia, dell’amore, della libertà. Penso alla situazione in Medio Oriente, che molto mi sta a cuore; al terrorismo che, potendo colpire ovunque indiscriminatamente, rende insicuri città, popoli e persino l’intera umanità; ai conflitti che impediscono agli abitanti di molte regioni dell’Africa di costruire il proprio sviluppo; alla iniqua distribuzione dei beni della terra e dei frutti della ricerca tecnologica, umana e spirituale.
Il dialogo, basato su solide leggi morali, facilita la soluzione dei contenziosi e favorisce il rispetto della vita, di ogni vita umana. Mi piace qui ricordare le illuminate parole che il mio venerato Predecessore, il Beato Papa Giovanni XXIII, scriveva proprio quarant’anni fa nell’Enciclica Pacem in terris: “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili” (AAS 55 [1963], 259). Ecco perché il ricorso alle armi per dirimere le controversie segna sempre una sconfitta della ragione e dell’umanità.
3. La Chiesa, consapevole del ruolo che ricopre la religione nel suscitare e consolidare la cultura dell’incontro, della reciproca comprensione e della fattiva collaborazione, desidera portare avanti la sua missione di pace, esortando tutti a farsi carico l’uno dell’altro per costruire un mondo più giusto, più solidale e più libero (cfr Giovanni Paolo II, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 2003, n. 9).
Tale testimonianza viene offerta anche dalla piccola e attiva Comunità cattolica che è in Libia. Essa, pur nella esiguità delle proprie risorse, si pone nel nome di Cristo a servizio dell’uomo, di tutti gli uomini, poiché in ogni essere umano riconosce il volto di Dio da accogliere, da amare e da servire. A questa verità si ispirano le persone consacrate che si dedicano a diverse attività di carattere umanitario e assistenziale. La Chiesa cattolica in Libia desidera proseguire la sua azione coltivando lo spirito di comunione fraterna, la disponibilità verso il prossimo, con una presenza discreta e amorevole.
4. Mi preme domandarLe, Signor Capo Missione, di trasmettere alle Autorità libiche e a tutto il popolo la mia gratitudine per la stima e la considerazione con cui essi circondano la missione e l’opera della Chiesa.
La stima è reciproca. La sincera volontà di onesta collaborazione costituisce la base per una proficua cooperazione fra i credenti e fra tutti gli uomini. Questo vale, in particolare, per i seguaci dell’islam e i cristiani. Di fronte a taluni tentativi di travisamento della religione e a un uso illegittimo delle sacre tradizioni, occorre con forza ribadire che sono contrarie a Dio e all’uomo quelle pratiche che incitano alla violenza e al disprezzo della vita umana.
E’ da incoraggiare con ferma determinazione la via del dialogo e della mutua comprensione nel rispetto delle differenze, così che la vera pace possa essere perseguita e l’incontro fra popoli diversi avvenga in un contesto di solidale intesa.
Nell’accogliere volentieri i documenti che La accreditano quale Capo della Missione della Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista presso la Santa Sede, voglia gradire il mio fervido augurio per l’alto compito che Le è stato affidato. Ella, nell’adempiere il suo mandato, potrà contare sulla mia costante attenzione, come pure sul competente e disinteressato aiuto dei miei collaboratori.
234 Accompagno questi voti con l’invocazione dell’abbondanza delle benedizioni divine su di Lei e sui suoi collaboratori, sul popolo della Libia e sui suoi dirigenti.
Giovedì, 3 luglio 2003
Cari Fratelli Vescovi,
1. Nella grazia e nella pace di Nostro Signore Gesù Cristo vi porgo un cordiale benvenuto, Vescovi delle Provincie Ecclesiastiche di Bangalore, Hyderabad e Visakhapatnam, facendo mio il saluto di san Paolo: "rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo" (Rm 1,8). In modo particolare ringrazio l'Arcivescovo Pinto per i buoni auspici e i cordiali sentimenti che ha espresso a vostro nome, e che ricambio di cuore, e assicuro voi e le persone affidate alle vostre cure delle mie preghiere. La vostra visita ad limina Apostolorum esprime la profonda comunione d'amore e di verità che unisce le Chiese particolari in India con il Successore di Pietro e i suoi collaboratori nel servizio della Chiesa universale. "Venendo a incontrare Pietro" (cfr Ga 1,18), voi pertanto confermate la vostra "unità nella stessa fede, speranza e carità" e conoscete sempre più "l'immenso patrimonio di valori spirituali e morali che tutta la Chiesa, in comunione con il vescovo di Roma, ha diffuso nel mondo intero" (Pastor Bonus, allegato I, n. 3).
2. Rendere testimonianza a Gesù Cristo è il "servizio supremo che la Chiesa può offrire ai popoli dell'Asia" (Ecclesia in Asia, n. 20). Il vivere in mezzo a tante persone che non conoscono Cristo ci convince sempre più della necessità dell'apostolato missionario. La radicale novità della vita portata da Cristo e vissuta dai suoi seguaci risveglia in noi l'urgenza dell'attività missionaria (cfr Redemptoris missio RMi 7). Ciò esige che si proclami in modo esplicito Gesù come Signore: una testimonianza audace fondata sul suo mandato "andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19) e sostenuta dalla sua promessa "io sono con voi tutti i giorni" (Mt 28,20). Infatti, è nella fedeltà alla triplice missione di Cristo come Sacerdote, Profeta e Re che tutti i cristiani, conformemente alla loro dignità battesimale, hanno il diritto e il dovere di partecipare attivamente agli sforzi missionari della Chiesa (cfr Redemptoris missio RMi 71).
L'appello alla nuova evangelizzazione e a un rinnovato impegno missionario che ho rivolto all'intera Chiesa, risuona chiaramente tanto per le vostre comunità Cristiane antiche quanto per quelle più recenti. Mentre l'evangelizzazione iniziale dei non cristiani e la proclamazione permanente di Gesù ai battezzati metterà in luce diversi aspetti della stessa Buona Novella, entrambe derivano dal fermo impegno di far sì che Cristo sia sempre più conosciuto e amato. Questo obbligo ha le sue sublimi origini nell'"amore fontale" del Padre reso presente nella missione del Figlio e dello Spirito Santo (cfr Ad gentes AGD 2). Tutti i cristiani vengono così attirati nell'amore impellente di Cristo, che "noi non possiamo tacere" (Ac 4,20), come fonte della speranza e della gioia che ci caratterizzano.
3. Una corretta comprensione del rapporto tra cultura e fede cristiana è fondamentale per un'evangelizzazione efficace. Nel vostro subcontinente indiano vi trovate di fronte a culture ricche di tradizioni religiose e filosofiche. In questo contesto, vediamo quanto sia assolutamente indispensabile la proclamazione di Gesù Cristo come Figlio di Dio Incarnato. È con questa comprensione dell'unicità di Cristo come seconda persona della Santissima Trinità, totalmente Dio e totalmente uomo, che la nostra fede deve essere predicata e abbracciata. Qualsiasi teologia della missione che ometta la chiamata a una conversione radicale a Cristo e neghi la trasformazione culturale che tale conversione comporta, travisa la realtà della nostra fede, che è sempre un nuovo inizio nella vita di colui che solo è "la via, la verità e la vita" (Jn 14,6).
A tale riguardo ribadiamo che il dialogo interreligioso non sostituisce la missio ad gentes, ma piuttosto è parte di essa (cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus, n. 2). Similmente occorre osservare che le spiegazioni relativiste del pluralismo religioso, che affermano che la fede cristiana non ha alcun valore diverso rispetto a qualsiasi altra fede, in effetti svuota il cristianesimo del centro cristologico che lo definisce: la fede, alienata da nostro Signore Gesù come unico Salvatore non è più cristiana, non è più una fede teologica. Un travisamento ancor più grande della nostra fede si verifica quando il relativismo conduce al sincretismo: un "costrutto spirituale" artificiale, che manipola e di conseguenza distorce la natura fondamentale, oggettiva e rivelatrice del cristianesimo. Ciò che rende la Chiesa missionaria per sua stessa natura è proprio il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo come Figlio di Dio (cfr Dei Verbum DV 2). È questo il fondamento della nostra fede. È questo che rende credibile la testimonianza cristiana. Dobbiamo accogliere con gioia e umiltà il dovere che compete a "noi che abbiamo la grazia di credere in Cristo, rivelatore del Padre e Salvatore del mondo", di mostrare "a quali profondità possa portare il rapporto con lui" (Novo Millennio ineunte NM 33).
4. Cari Fratelli, le vostre relazioni quinquennali testimoniano ampiamente la presenza dello Spirito Santo che vivifica la dimensione missionaria della vita della Chiesa nelle vostre Diocesi. Nonostante gli ostacoli incontrati dalle persone, soprattutto i poveri, che desiderano abbracciare la fede cristiana, i battesimi degli adulti sono numerosi in gran parte della vostra regione. Altrettanto incoraggiante è l'alta percentuale di cattolici che partecipano alla Messa domenicale, e il numero crescente dei laici che prendono propriamente parte alla Liturgia. Questi esempi di pronta accettazione del dono di Dio della fede indicano anche la necessità di una cura pastorale attenta per il nostro popolo. In risposta all'aspirazione ad un nuovo slancio nella vita cristiana, ho affermato che dobbiamo puntare fermamente sul programma già presente nel Vangelo e nella viva Tradizione, incentrata in Cristo stesso (cfr Ibidem, n. 29).
Il motivo per il quale occorre sviluppare iniziative pastorali adattate alle circostanze sociali e culturali delle vostre comunità, e tuttavia saldamente radicate nell'unicità di Cristo, è evidente: "Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori" (2Co 4,5). Lungi dall'essere una questione di potere o di controllo, i programmi di evangelizzazione e formazione della Chiesa vengono portati avanti nella consapevolezza che "ogni persona ha il diritto di udire la Buona Novella di Dio che rivela e dona se stesso in Cristo" (Ecclesia in Asia, n. 20). Mentre esistono molti segni di una vita ecclesiale dinamica nelle vostre Provincie, rimangono comunque delle sfide. Un più profondo apprezzamento del Sacramento della Riconciliazione aiuterà a preparare la vostra gente spiritualmente al compito di "fare quanto è possibile per testimoniare la riconciliazione e per attuarla nel mondo" (Reconciliatio et paenitentia RP 8). Similmente, il nostro insegnamento sul matrimonio quale segno sacro dell'eterna fedeltà e dell'amore altruista di Cristo per la sua Chiesa, indica l'importanza inestimabile di un programma di preparazione al matrimonio completo per quanti si preparano a questo Sacramento e, attraverso loro, per la società nel suo insieme. Inoltre, occorre che le feste e le devozioni associate ai numerosi santuari dedicati a Nostra Signora nelle vostre regioni, mentre attirano migliaia di seguaci di altre religioni, siano saldamente incorporate nella vita liturgica della Chiesa se devono diventare una porta verso un'esperienza cristiana autentica.
5. In un mondo sfigurato dalla frammentazione, la Chiesa, come segno e strumento della comunione di Dio con gli uomini (cfr Lumen gentium LG 1), è una potente portatrice di unità e della riconciliazione che essa comporta. Come Vescovi chiamati a manifestare e a preservare la tradizione apostolica, siete uniti in una comunione di verità e di amore. Individualmente siete la fonte visibile e il fondamento di unità nelle vostre Chiese particolari che sono costituite secondo il modello della Chiesa universale. Così, mentre è vero che il Vescovo rappresenta la propria Chiesa, è anche importante ricordare che insieme al Papa tutti i Vescovi rappresentano l'intera Chiesa nel vincolo di pace, amore e unità (cfr Ibidem, n. 23).
235 A tale riguardo, il Vescovo non deve essere mai considerato un semplice delegato di un particolare gruppo sociale o linguistico, ma deve sempre essere riconosciuto come successore degli Apostoli, la cui missione proviene dal Signore. Ripudiare un Vescovo, da parte sia di un individuo sia di un gruppo, è sempre una colpa contro la comunione ecclesiale e pertanto uno scandalo per i fedeli, nonché una testimonianza negativa per i fedeli delle altre religioni. Ogni spirito di antagonismo o conflitto, che ferisce sempre il Corpo di Cristo (cfr 1Co 1,12-13), deve essere messo da parte e sostituito con l'amore pratico e concreto per tutte le persone che nasce dalla contemplazione di Cristo.
6. Rendo grazie a Dio per i numerosi segni di crescita e maturità nelle vostre Diocesi. Oltre all'impegno spesso altruista dei vostri sacerdoti, religiosi e catechisti e alla generosità della vostra gente, questo sviluppo è dipeso anche dal ministero dei missionari e dalla generosità economica dei benefattori stranieri. L'unione di sforzi e intenti "per incrementare il bene comune e quello delle singole chiese" (Christus Dominus CD 36), praticata sin dai tempi apostolici, è un'espressione eloquente della natura della Chiesa come comunione. Tuttavia, è anche corretto affermare che le Chiese particolari, incluse quelle nei Paesi delle aree in via di sviluppo, dovrebbero cercare di creare delle risorse proprie per promuovere l'evangelizzazione locale, e costruire centri pastorali e istituti per l'istruzione e le opere caritative. A tal fine, vi incoraggio a proseguire i notevoli passi avanti che avete già compiuto insieme ai laici e in collaborazione con gli Istituti religiosi (cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 222). Da parte vostra, vi esorto a dare un esempio indiscutibile mediante la vostra imparzialità nella gestione delle risorse comuni della Chiesa (cfr Ibidem, can. 1276 e 1284). Dovete fare in modo che l'amministrazione dei "beni (...) originariamente destinati a tutti" (Sollicitudo rei socialis SRS 42) non venga macchiata dalle tentazioni del materialismo o del favoritismo, ma sia svolta saggiamente in risposta ai bisogni di chi è povero spiritualmente o materialmente.
7. Cari Fratelli, è per me una gioia particolare condividere con voi queste riflessioni nella festa del glorioso Apostolo san Tommaso, molto venerato presso il vostro popolo. Vi assicuro nuovamente delle mie preghiere e del mio sostegno mentre continuate a guidare nell'amore i greggi affidati alle vostre cure. Uniti nella nostra proclamazione della Buona Novella salvifica di Gesù Cristo, rinnovati nello zelo dei primi Cristiani e ispirati dal solido esempio dei Santi, andiamo avanti nella speranza! In questo Anno del Rosario, possa Maria, modello di tutti i discepoli e luminosa Stella dell'Evangelizzazione, essere la vostra guida sicura mentre "cercate di fare quello che Gesù vi dice" (cfr Jn 2,5). Affidandovi alla sua protezione materna, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica a voi e ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli laici delle vostre Diocesi.
Venerdì, 4 luglio 2003
Signor Ambasciatore!
1. Sono lieto di accogliere le lettere con le quali il Signor Presidente Roh Moo-hyun La accredita quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica di Corea presso la Sede Apostolica.
Le porgo un cordiale benvenuto e La ringrazio per le gentili espressioni che mi ha appena rivolto. Le chiedo, inoltre, di rendersi interprete presso il Primo Magistrato della Nazione da Lei qui rappresentata, come pure presso le Autorità del Governo, dei miei sentimenti di stima e di alta considerazione per la loro azione a favore della sicurezza e del benessere di tutti gli abitanti della Corea, come pure per le iniziative di dialogo in atto con quanti abitano l’altra metà della penisola coreana.
L’odierno incontro cade nel quarantesimo anniversario dell’apertura di una legazione della Repubblica di Corea presso la Santa Sede. In verità, però, gli stretti legami tra la Chiesa Cattolica e il popolo coreano si spingono ben indietro nel tempo, a testimonianza della fecondità della presenza di Cristo e della profonda incidenza del suo messaggio. In effetti, attraverso alterne vicende, il Vangelo ha potuto crescere e fiorire in Terra coreana, contribuendo ad una maggiore apertura fra gli stessi suoi abitanti, generando con altri Paesi un fecondo e reciproco scambio di valori di civiltà. Il grande numero di coreani elevati agli onori degli altari sta a significare come la santità abbia posto radici salde tra il popolo e questo dà lustro alla Chiesa universale.
2. La Provvidenza mi ha concesso di visitare per due volte il Paese che Ella rappresenta. Ho potuto conoscere i progressi e le conquiste di libertà e di benessere di una società giovane e dinamica. Ho percepito, tuttavia, anche l’amarezza di molti nel constatare come la penisola, abitata da un solo popolo, sia costretta a vivere una penosa divisione. È certo causa di preoccupazione il permanere di sentimenti di ostilità e di contrapposizione tra le due Nazioni, ma è motivo di speranza sapere che vi è volontà concreta di alleviare le tensioni mediante dialoghi e incontri, al fine di smussare le divergenze e trovare un terreno per una proficua intesa.
Ogni segnale incoraggiante in questa direzione va sostenuto con pazienza e coraggio, perseveranza e lungimiranza. È soltanto attraverso il dialogo rispettoso, infatti, che possono essere raggiunti obiettivi positivi e durevoli. Gli accordi sinora siglati stanno a testimoniare come una volontà sincera di pacifica composizione delle contese porta a risultati concreti nel reciproco rispetto e nella lealtà dei comportamenti, a tutto vantaggio non solo della riconciliazione tra i due Stati, ma anche della stabilità del quadro regionale in cui si trova inserita la penisola coreana. Questo percorso politico troverà probabilmente maggiore forza e credibilità, se l’area più sviluppata della penisola saprà farsi carico, per quanto è nelle sue possibilità, delle impellenti necessità dell'altra area.
La Santa Sede vede con favore ogni sforzo di dialogo e di cooperazione, come pure la costante attenzione verso le fasce più deboli della popolazione. Il ricordo delle sofferenze passate non deve ridurre la fiducia in un avvenire migliore. E’ necessario, al contrario, costruire il presente e il futuro della Corea sulle solide basi del rispetto della persona e nella costante ricerca della giustizia e della pace. A tale fine, nella presente congiuntura, occorre proseguire instancabilmente gli sforzi tesi all’eliminazione progressiva, equilibrata e verificabile delle armi di distruzione di massa e, in particolare, di quelle nucleari. "Il che comporta – scriveva quarant’anni fa il mio venerato Predecessore Giovanni XXIII nell'Enciclica Pacem in terris – che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia [...], giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità" (III: AAS 55[1963], 288).
236 3. La Comunità cattolica in Corea costituisce una realtà promettente, e so che gode di stima e rispetto. Essa svolge la sua missione ispirandosi al Vangelo e rende concreta la propria testimonianza religiosa con istituzioni educative, assistenziali e caritative, da molti apprezzate.
Fedele al comando di Cristo, la Chiesa cattolica annuncia il Vangelo della Vita. Essa non nasconde la sua preoccupazione per il triste fenomeno dell’aborto, che costituisce una terribile piaga sociale. All'aborto si accompagna, poi, una diffusa pratica del controllo artificiale della natalità e il propagarsi di una mentalità pragmaticistica che giustifica e incoraggia le manipolazioni genetiche, persino quelle più spregiudicate, come pure e, ancora, la pena di morte. Dinanzi a queste serie minacce alla vita la Chiesa sente che è suo dovere richiamare i valori in cui crede, valori che sono patrimonio dell’umanità perché con la legge naturale sono iscritti da Dio nel cuore di ogni uomo.
Un programma, avente come obiettivo prioritario la difesa della vita e della famiglia, recherà certamente beneficio alla solidità e alla stabilità della società coreana. Mi piace, al riguardo, richiamare qui quanto scrivevo nell’Enciclica Evangelium vitae: "Quando, per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a puro meccanismo di regolazione empirica dei diversi e contrapposti interessi" (n. 70).
4. Signor Ambasciatore, auspico di cuore che i buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e il Paese che Ella rappresenta andranno sempre più intensificandosi grazie a un proficuo dialogo.
Quanto a Lei, Le chiedo di trasmettere al Signor Presidente della Corea, alle Autorità del Governo e al caro Popolo da Lei qui rappresentato il mio cordiale saluto ed un fervido augurio di prosperità e progresso, nella giustizia e nella pace.
Nell’adempimento dell’alta missione affidataLe, potrà contare sulla mia costante benevolenza e sul competente sostegno dei miei collaboratori. Le assicuro la mia preghiera e invoco su di Lei e su coloro dei quali Ella si fa interprete copiose benedizioni del Cielo.
Venerdì, 4 luglio 2003
Al Venerato Fratello
Cardinale CORRADO BAFILE
Con animo lieto e grato al Signore vengo a porgerLe, Signor Cardinale, i miei più cordiali voti augurali in occasione del Suo centesimo genetliaco. Si tratta di un traguardo davvero significativo, che la Provvidenza Le ha concesso di raggiungere. Grazie a questo singolare privilegio, Ella, nato a L'Aquila all'inizio del ventesimo secolo, ha potuto percorrerlo per intero e, varcata la soglia del Grande Giubileo del Duemila, si è inoltrato nel terzo millennio.
Mi è caro, pertanto, associarmi a Lei, caro e venerato Fratello, nel considerare, con intima riconoscenza al Signore, la lunga e ricca esperienza compiuta in questi cento anni. Penso in particolare a come Ella, avendo abbracciato in età adulta il Sacerdozio, sia sempre stato al servizio della Santa Sede, svolgendo per lunghi periodi importanti e delicati uffici. Dopo vent'anni di apprezzato lavoro in Segreteria di Stato, il beato Giovanni XXIII La scelse quale Cameriere Segreto Partecipante; La nominò, quindi, Nunzio Apostolico in Germania e La consacrò Arcivescovo, suggerendoLe di assumere il Suo medesimo motto episcopale: "Oboedientia et pax".
237 Particolarmente intensi e fruttuosi furono i quindici anni di attività diplomatica a Bonn, al termine dei quali il Papa Paolo VI La richiamò a Roma e Le affidò la guida del Dicastero delle Cause dei Santi, annoverandoLa ben presto tra i membri del Collegio Cardinalizio. Era il 24 maggio 1976.
Desidero, altresì, esprimerLe gratitudine e apprezzamento per quanto Ella ha fatto come generoso e competente collaboratore sia mio che dei miei venerati Predecessori. Mi piace soprattutto sottolineare le alte convinzioni spirituali che hanno sempre orientato il Suo agire. Quanti hanno avuto il privilegio di esserLe accanto non solo nel servizio alla Sede Apostolica, ma anche nel Sodalizio degli Abruzzesi a Roma e nella Legio Mariae, attestano concordemente lo zelo sacerdotale ed apostolico che ha sempre ispirato il Suo servizio nelle varie fasi della lunga vita.
Voglia la Vergine Santa, Signor Cardinale, ottenerLe tutte le grazie desiderate, continuando ad esserLe vicina con la sua materna protezione.
Con tali sentimenti e voti Le assicuro il mio affettuoso ricordo nella Celebrazione eucaristica, mentre in pegno di fraterna comunione Le imparto una speciale Benedizione Apostolica, estendendola a quanti Le sono cari nel Signore.
Sabato, 5 luglio 2003
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Sono lieto di incontrarmi con voi in occasione della consegna del premio, conferito in memoria del mio venerato Predecessore, il servo di Dio Paolo VI.
A tutti i presenti rivolgo il mio sincero benvenuto. Saluto con affetto i Signori Cardinali Giovanni Battista Re e Paul Poupard, il Vescovo di Brescia Mons. Giulio Sanguineti e gli altri Presuli qui convenuti. Estendo il mio deferente saluto alle Autorità civili, che rappresentano le Istituzioni pubbliche bresciane, come pure ai responsabili dell’Istituto Paolo VI, a cominciare dal suo Presidente, il dottor Giuseppe Camadini, che ringrazio per le parole con le quali ha interpretato i comuni sentimenti. Rinnovo il mio apprezzamento per le iniziative promosse da questa benemerita Istituzione, che contribuisce a mantenere viva nella Chiesa e nel cuore degli uomini di buona volontà la gratitudine verso questo grande Papa.
2. L’odierno incontro si inserisce tra due importanti ricorrenze: il quarantesimo anniversario dell’elezione al Pontificato del servo di Dio Paolo VI e il venticinquesimo anniversario della sua morte.
Permane più che mai viva e radicata nell’animo della gente la commossa memoria di lui. Paolo VI ha avvertito profondamente le inquietudini e le speranze del suo tempo, e si è sforzato di comprendere le esperienze dei suoi contemporanei, illuminandole con la luce del messaggio cristiano. Ha additato loro la sorgente della verità in Cristo, l’unico Redentore, fonte della vera gioia e dell’autentica pace.
Possa l’esempio di questo zelante Pastore della Chiesa universale incoraggiare e stimolare sempre più i credenti ad essere testimoni di speranza all’alba del terzo millennio.
GP2 Discorsi 2003 231