GPII 1978 Insegnamenti - Al Segretariato per l'Unione dei Cristiani - Approfondire il dialogo per superare le divisioni
Cari fratelli nell'Episcopato, cari figli.
Mi sembra assai significativo che appena un mese dopo la mia elezione alla sede di Roma, io vi possa ricevere; voi, che siete venuti dai cinque continenti per prender parte alla riunione plenaria del Segretariato per la promozione dell'unità dei cristiani. Effettivamente il ristabilimento dell'unità tra tutti i cristiani era uno degli scopi principali del Concilio Vaticano II (cfr. Decreto UR 1): e, fin dalla mia elezione, io mi sono formalmente impegnato a promuovere l'adempimento delle sue norme e dei suoi orientamenti, giacché pensavo che questo fosse per me un compito preminente.
La vostra presenza oggi qui ha dunque un valore simbolico: essa manifesta che la Chiesa cattolica, fedele all'orientamento preso al Concilio, non solo vuol continuare ad avanzare per la via che porta al ristabilimento dell'unità, ma, nei limiti dei suoi mezzi e in piena docilità alle ispirazioni dello Spirito Santo (cfr. UR 24), desidera intensificare a tutti i livelli il suo contributo a questo grande "movimento" di tutti i cristiani (cfr. UR 4).
Un movimento non termina, non deve terminare prima d'aver raggiunto la sua meta. Ebbene, noi non siamo ancora alla nostra meta, anche se dobbiamo ringraziare Dio del cammino compiuto dopo il Concilio. E voi siete qui riuniti proprio per fare il punto, per vedere dove ci troviamo. Dopo questi anni di molteplici sforzi animati da immensa buona volontà e da instancabile generosità e alimentati da tante preghiere e sacrifici, era opportuno far questo giro d'orizzonte per valutare i risultati ottenuti ed esaminare le vie più adatte ad un continuo progredire. E' proprio di questo, infatti, che si tratta: come ci consiglia l'Apostolo, occorre che senza riserve siamo protesi in avanti per continuare la nostra corsa (cfr. Ph 3,13), con una fede che ignori la paura poiché sa bene in chi crede e su chi conta.
Ma la nostra fretta di arrivare e l'urgenza di metter fine all'intollerabile scandalo della divisione fra i cristiani ci impongono di evitare "ogni leggerezza, ogni zelo imprudente che potrebbe nuocere al vero progresso dell'unità" (UR 24): non si guarisce una malattia somministrando analgesici, ma attaccandone le cause. In particolare, vorrei ricordare in questa sede un'affermazione del Concilio: la Chiesa si manifesta principalmente nella riunione di tutti i suoi membri per celebrare la stessa Eucaristia attorno all'unico altare dove presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio e dai suoi ministri (cfr. costituzione SC 41).
Benché nel mondo contemporaneo una simile concelebrazione eucaristica solenne non possa verificarsi se non raramente, tuttavia resta vero che in ogni celebrazione eucaristica è tutta la fede della Chiesa che entra in azione; è la comunione ecclesiale in tutte le sue dimensioni che si realizza e si manifesta. Non si può separarne arbitrariamente i componenti: comportarsi così sarebbe dar prova di quella leggerezza che il Concilio ci chiede di evitare; sarebbe non avvertire tutte le ricchezze, le esigenze e gli stretti rapporti tra l'Eucaristia e l'unità della Chiesa.
So che quanto più ci riconosciamo fratelli nella carità del Cristo tanto più ci è penoso non poter partecipare insieme a questo grande mistero: non ho già detto che le divisioni tra cristiani divengono intollerabili? Questa sofferenza deve stimolarci a sormontare gli ostacoli che ancora ci separano dalla unanime professione della medesima fede e dalla riunione, attraverso un identico ministero sacramentale, delle nostre divise comunità. Non ci si può esimere dal risolvere insieme le questioni che han diviso i cristiani: sarebbe una carità assai mal illuminata quella che volesse esprimersi a spese della verità. Cercare la verità nella carità era un principio che soleva ripetere il primo Presidente del Segretariato, il venerato Cardinal Bea, di cui in questi giorni avete ricordato il decimo anniversario della morte.
Da tredici anni ormai, in stretta e fiduciosa collaborazione con i nostri fratelli delle altre Chiese, il Segretariato si consacra alla ricerca di un accordo sui punti che ancora ci dividono; e in pari tempo cerca di promuovere - entro la Chiesa cattolica - mentalità, spirito e fedeltà conformi al Concilio: in loro assenza i positivi risultati ottenuti nei diversi dialoghi non potrebbero venir accolti dal popolo fedele.
A questo punto bisogna ricordare che il Concilio raccomandava uno sforzo particolare nell'insegnamento della teologia e nel formare la mentalità dei futuri sacerdoti (cfr. UR 10); cosa assai importante oggi: tale insegnamento non può ignorare il dialogo in corso. Infatti questi preti, se non
iniziati essi stessi nel periodo di formazione ai progressi di simili incontri, come potrebbero poi, sotto la guida dei loro vescovi, trovare la maniera prudente e pastoralmente responsabile di informarne i fedeli? Infatti non vi deve essere sfasamento e tanto meno opposizione tra l'approfondire l'unità della Chiesa mediante il suo rinnovamento e il restaurare l'unione tra i cristiani separati: si tratta sempre di quella medesima unità per la quale ha pregato Cristo e che viene realizzata dallo Spirito Santo; deve dunque esservi un incessante vicendevole influsso tra i due inseparabili aspetti d'un medesimo sforzo pastorale: quello dell'intera Chiesa. Voi ben lo sapete; voi che venite dalle vostre diocesi per aiutarci a render esplicito alla luce delle vostre esperienze l'insegnamento del Concilio nel campo dell'unità, anche con la mira di andare incontro ad esigenze nate da nuove circostanze create proprio dal progredire del movimento ecumenico.
Di gran cuore vi ringrazio d'esser venuti e di avermi dato questo tempo che so quanto sia prezioso.
A quanti sono al servizio dell'unione come membri del Segretariato, esprimo una particolare gratitudine e spero che, nelle loro diocesi e nelle loro Conferenze episcopali, saranno promotori ardenti e avveduti dell'impegno ecumenico sul piano locale e regionale. Sono necessari gli sforzi costanti e la vigilanza di tutti per promuovere e approfondire senza tregua questa unità che è al centro del ministero ecclesiale. Non è forse la Chiesa "in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e nell'unità di tutto il genere umano"? (LG 1). Servire la Chiesa è servire Cristo nel suo piano: "riunire insieme i dispersi figli di Dio" (Jn 11,52) e rinnovare e ricapitolare in sé ogni realtà, per tutto sottomettere a suo Padre e perché tutti noi siamo, nello Spirito e per sempre, lode della sua gloria.
Grande è questo servizio! Merita tutte le nostre energie, ma tutte le supera: esige da noi continua Preghiera. Che il Signore vi dia ispirazione e vigore. In suo nome, vi benedico.
Data: 1978-11-18 Data estesa: Sabato 1
1978
Oggi recitiamo l'"Angelus" in occasione della domenica.
In numerosi luoghi tuttavia c'è la bella usanza di recitarlo durante il lavoro, anche nei giorni feriali. Quando la campana suona all'"Angelus", la gente interrompe per qualche momento il lavoro e ricorda il mistero dell'Incarnazione del Verbo eterno, mistero congiunto con l'Annunciazione dell'Angelo a Maria. E' una bella usanza e densa di significato, ma che, purtroppo, nella nostra vita industrializzata e frettolosa sembra dileguarsi. Nonostante tale situazione, non possiamo dimenticare la profonda verità che contiene in sé l'antico detto dei Benedettini: "Ora et labora": prega e lavora.
La preghiera unisce gli uomini con Dio e li affratella.
In questa domenica, nella quale in Italia si celebra la "Giornata dell'Emigrante", desidero, con questa comune preghiera, unirmi a tutti coloro che, per motivi diversi, soprattutto per ricerca di lavoro, di guadagno, di migliori condizioni di vita, si trovano fuori della patria, fuori dell'Italia.
L'emigrazione è un fenomeno universale. E' impossibile racchiudere in poche parole tutto ciò che si dovrebbe dire a questo proposito. Una cosa è certa.
Bisogna in questo giorno trasferirsi, col pensiero e col cuore, da tanti nostri focolari domestici, da tante località del nostro suolo patrio, in altri Paesi, in altre località, in altri luoghi di lavoro, là dove vivono e operano figli e figlie della terra italiana. Ci ricordiamo sempre di loro. I nostri sentimenti e auguri li seguono. Dio benedica la loro vita e il loro lavoro. Che essi non dimentichino coloro che hanno lasciato. Sappiano che noi pensiamo a loro, ci prendiamo cura di loro e preghiamo per loro.
L'Episcopato Italiano, per mezzo di una Commissione speciale, mantiene un contatto continuo con gli emigrati. Parimente fanno le altre Conferenze Episcopali (ad esempio, la Conferenza dell'Episcopato Polacco, la cui attività in questo campo mi è ben nota).
Carissimi fratelli e sorelle! Dovunque vi troviate nel mondo, perseverate nella fede e conservate la nobile eredità, riportata dalla terra natia.
Vi raccomandiamo al Buon Pastore, Cristo, e a sua Madre.
Interrompete per un momento gli altri impegni e soffermatevi in spirito qui, con noi. Recitiamo insieme l'"Angelus" (...) Saluto alle bambine di Padova Un affettuoso saluto e un sincero plauso desidero rivolgere alle alunne della quinta classe della Scuola elementare parificata "Pelà-Tono" di Este, in provincia di Padova, che sono venute a Roma per ricevere il Premio nazionale di bontà "Livio Tempesta" per l'anno 1978.
Brave! Veramente brave, carissime bambine! La vostra generosa dedizione verso gli altri sia incoraggiamento per tutti ad essere sempre più buoni col prossimo, per rendere migliore la società. Vi accompagna la mia particolare benedizione apostolica, che estendo alla vostra Maestra, ai vostri Superiori, ai vostri genitori e a tutti i vostri piccoli e grandi amici.
Data: 1978-11-19 Data estesa: Domenica 19 Novembre 1978
1. Il nostro incontro di oggi ha il carattere di un'udienza particolare. E' - se si può dire così - un'udienza eucaristica. Non la "facciamo", ma la "celebriamo".
E' questa una sacra liturgia. Concelebrano con me, nuovo Vescovo di Roma, e col Signor Cardinale Vicario, i Superiori dei Seminari di questa diocesi, e partecipi di questa Eucaristia sono gli alunni del Seminario Romano, del Seminario "Capranica" e del Seminario Minore.
Il Vescovo di Roma desidera visitare i suoi seminari, ma oggi intanto siete voi a venire da lui per questa sacra udienza! La santa Messa è anche un'udienza. Forse il paragone è troppo ardito, forse sconveniente, forse troppo "umano", tuttavia mi permetto di adoperarlo: questa è una delle udienze che lo stesso Cristo concede continuamente a tutta l'umanità - che egli concede ad una determinata comunità eucaristica - e a ciascuno di noi che costituiamo questa assemblea.
2. Durante l'udienza ascoltiamo colui che parla. E anche noi cerchiamo di parlare a lui in modo che egli possa ascoltarci.
Nella Liturgia Eucaristica Cristo parla anzitutto con la forza del suo Sacrificio. E' un discorso molto conciso e insieme scottante. Si può dire che conosciamo a memoria questo discorso; esso tuttavia ci si presenta ogni volta nuovo, sacro, rivelatore. Contiene in sé tutto il mistero dell'amore e della verità, perché la verità vive dell'amore e l'amore della verità. Dio, che è Verità e Amore, si è manifestato nella storia della creazione e nella storia della salvezza; questa storia egli ripropone mediante questo sacrificio redentore che ci ha tramandato nel segno sacramentale, affinché non soltanto lo ripensiamo nel ricordo, ma lo rinnoviamo, lo ricelebriamo.
Celebrando il Sacrificio Eucaristico, siamo ogni volta introdotti nel mistero di Dio stesso e anche, in tutta la profondità della realtà umana.
L'Eucaristia è annuncio di morte e di risurrezione. Il mistero pasquale si esprime in essa come inizio di un nuovo tempo e come attesa finale.
E' Cristo stesso che parla, e noi non cessiamo mai di ascoltare.
Desideriamo di continuo questa sua forza di salvezza, che è diventata "garanzia" divina delle parole di vita eterna.
Egli ha parole di vita eterna (Jn 6,68).
3. Ciò che noi vogliamo dire a lui è sempre nostro, perché scaturito dalle nostre esperienze umane, dai nostri desideri, ma anche dalle nostre ansie. E' spesso un linguaggio di sofferenza, ma anche di speranza. Gli parliamo di noi stessi, di tutti coloro che attendono da noi che li ricordiamo a lui.
Ciò che diciamo si ispira alla Parola di Dio. La liturgia della parola precede la liturgia eucaristica. In relazione alla parola oggi ascoltata, avremmo moltissime cose da dire a Cristo, durante questa sacra udienza.
Gli vogliamo dunque parlare anzitutto di questo particolare talento - e forse non uno solo, ma cinque - che abbiamo ricevuto: la vocazione sacerdotale, la chiamata ad incamminarci verso il sacerdozio entrando in seminario. Ogni talento è un obbligo. Tanto più ci sentiamo obbligati da questo talento, a non sciuparlo, non "nasconderlo sotto terra", ma farlo fruttificare! Mediante una seria preparazione, lo studio, il lavoro sul proprio io, e una consapevole formazione "dell'uomo nuovo" che donandosi a Cristo senza riserva nel servizio sacerdotale, vissuto nel celibato, potrà diventare in modo particolare un uomo "per gli altri".
Vogliamo anche parlare con Cristo di quella via che conduce ciascuno di noi al sacerdozio, parlare ognuno della propria vita. In essa cerchiamo di perseverare con timore di Dio, così come c'invita a fare il Salmista. Questa è la strada che ci fa uscire dalle tenebre per condurci verso la luce, come scrive san Paolo. Vogliamo essere "figli della luce". Vogliamo vegliare, vogliamo essere moderati, sobri e responsabili per noi stessi e per gli altri.
Certamente ciascuno di voi avrà ancora molte altre cose da dire durante questa udienza: ognuno di voi, Superiori, e ognuno di voi, carissimi Alunni.
E che cosa diro a Cristo io, vostro nuovo Vescovo? Innanzitutto, desidero dirgli: Ti ringrazio per tutti coloro che mi hai dato. Voglio ancora dirgli (glielo ripeto continuamente): La messe è molta! Manda operai per la tua messe.
E inoltre voglio dirgli: Custodiscili nella verità e concedi loro che maturino alla grazia del sacramento del sacerdozio, al quale si preparano.
Tutto questo voglio dirgli attraverso sua Madre, che venerate nel Seminario Romano, guardando l'immagine della "Madonna della fiducia", di cui il Servo di Dio, Giovanni XXIII, era particolarmente devoto.
Confido dunque a questa Madre ognuno di voi e tutti e tre i Seminari
della mia nuova diocesi. Amen.
Data: 1978-11-19 Data estesa: Domenica 19 Novembre 1978
Carissimi figlioli.
1. Questo incontro settimanale del Papa con i giovani e gli adolescenti - così entusiastico e così vivace - è veramente un segno di gioia e di speranza. Segno di gioia, perché dove ci sono giovani, adolescenti, bambini, c'è la garanzia della gioia, in quanto c'è la vita nel suo fiorire più spontaneo e più rigoglioso. Voi possedete abbondantemente e donate generosamente questa "gioia di vivere" a un mondo che talvolta è stanco, scoraggiato, sfiduciato, deluso. Segno di speranza è anche questo nostro incontro, perché gli adulti, non solo i vostri genitori, ma anche i vostri maestri, i vostri professori e tutti quelli che collaborano alla vostra crescita e maturazione fisica e intellettuale, vedono in voi coloro che realizzeranno quanto essi forse - per varie circostanze - non hanno potuto attuare.
Pertanto, un giovane senza gioia e senza speranza non è un autentico giovane, ma un uomo appassito e invecchiato anzi tempo. Per questo il Papa vi dice: Portate, comunicate, irradiate la gioia e la speranza! Il tema della odierna udienza è profondamente collegato con quanto ho ricordato finora: nei precedenti mercoledi, continuando lo schema lasciato quasi come testamento dal mio compianto predecessore Giovanni Paolo I, ho parlato delle virtù cardinali: la prudenza, la giustizia, la fortezza. Oggi voglio intrattenervi brevemente sulla quarta virtù cardinale: la temperanza, la sobrietà. San Paolo scriveva al suo discepolo Tito, da lui lasciato come Vescovo nella isola di Creta: "Esorta i giovani ad essere sobri" (Tt 2,6). Seguendo anch'io l'invito dell'Apostolo delle genti, vorrei premettere che gli atteggiamenti dell'uomo, provenienti dalle singole virtù cardinali, sono vicendevolmente interdipendenti e uniti. Non si può essere uomo veramente prudente, né autenticamente giusto, né realmente forte, se non si possiede la virtù della temperanza. Questa condiziona indirettamente tutte le altre virtù; ma anche queste sono indispensabili perché l'uomo possa essere "temperante" o "sobrio". Temperantia est commune omnium virtutum cognomen - scriveva nel VI secolo san Giovanni Climaco ("Scala del paradiso", 15) cioè, potremmo tradurre: "La temperanza è il denominatore comune di tutte le altre virtù".
Potrebbe sembrare strano parlare della temperanza o della sobrietà a dei giovani e a degli adolescenti. Eppure, figli carissimi, questa virtù cardinale è necessaria in modo particolare a voi, che vi trovate nel periodo meraviglioso e delicato, in cui la vostra realtà biopsichica cresce fino a maturazione perfetta per essere capaci, fisicamente e spiritualmente, di affrontare le alterne vicende della vita nelle sue più svariate esigenze.
Temperante è colui che non abusa di cibi, di bevande, di piaceri; chi non beve smodatamente alcolici; chi non si priva della coscienza mediante l'uso di stupefacenti o di droghe. In noi possiamo immaginare un "io inferiore" e un "io superiore".
Nel nostro "io inferiore" si esprime il nostro "corpo" con i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue passioni di natura sensibile. La virtù della temperanza garantisce ad ogni uomo il dominio dell'"io superiore" su quello "inferiore". Si tratta, forse, in questo caso, di una umiliazione, di una menomazione per il nostro corpo? Al contrario! Questo dominio lo valorizza, lo esalta.
L'uomo temperante è colui che è padrone di se stesso; colui nel quale le passioni non prendono il sopravvento sulla ragione, sulla volontà, e anche sul cuore. Comprendiamo pertanto come la virtù della temperanza sia indispensabile perché l'uomo sia pienamente uomo, perché il giovane sia autenticamente giovane.
Il triste e avvilente spettacolo di un alcolizzato o di un drogato ci fa capire chiaramente come "essere uomo" significa, prima di ogni altra cosa, rispettare la propria dignità, cioè farsi guidare dalla virtù della temperanza. Dominare se stessi, le proprie passioni, la sensualità, non significa per nulla diventare insensibili o indifferenti; la temperanza di cui parliamo è una virtù cristiana, che noi impariamo dall'insegnamento e dall'esempio di Gesù, e non dalla cosiddetta morale "stoica".
La temperanza esige da ciascuno di noi una specifica umiltà riguardo ai doni, che Dio ha posto nella nostra natura umana. C'è l'"umiltà del corpo" e quella "del cuore". Questa umiltà è condizione necessaria per l'armonia interiore dell'uomo, per la sua interiore bellezza. Rifletteteci bene, voi giovani, che siete proprio nell'età in cui si tiene tanto ad essere belli o belle per piacere agli altri! Un giovane, una giovane debbono essere belli anzitutto e soprattutto interiormente. Senza tale bellezza interiore, tutti gli altri sforzi diretti solo al corpo non faranno - né di lui, né di lei - una persona veramente bella.
Ed io vi auguro, figli carissimi, di essere sempre raggianti di interiore bellezza! Data: 1978-11-22 Data estesa: Mercoledi 22 Novembre 1978
Titolo: Universalità della Chiesa nella varietà dei riti
Cari fratelli, che partecipate al ministero episcopale della Chiesa di Cristo.
Vi salutiamo con profondo rispetto e affetto. I fedeli cristiani che voi servite sono cittadini di una nazione ancora giovane, tuttavia essi sono eredi di due antiche tradizioni che arricchiscono l'unica Chiesa cattolica. Dandovi il benvenuto noi abbracciamo perciò anche le Chiese di cui voi siete responsabili, esprimendovi la nostra sincera venerazione e il nostro amore per esse.
Infatti la Chiesa è arricchita da tali venerabili tradizioni e sarebbe molto più povera senza di esse. La loro varietà contribuisce non poco al suo splendore. Esse racchiudono valori artistici e culturali molto grandi, la cui perdita sarebbe dolorosamente avvertita. Ciascuna di esse è in se stessa degna di grande ammirazione e stupore.
Tuttavia queste tradizioni non sono solo un ornamento della Chiesa.
Unite in comunione fraterna sono strumenti importanti a disposizione della Chiesa per mostrare al mondo l'universalità della salvezza di Cristo e per realizzare la sua missione di fare discepoli di tutte le nazioni.
La varietà, all'interno della fratellanza, che si vede nella Chiesa cattolica, lungi dall'essere dannosa per l'unità della Chiesa, al contrario la manifesta, mostrando come tutti i popoli e tutte le culture sono chiamati ad essere organicamente uniti nello Spirito Santo attraverso la stessa fede, gli stessi sacramenti, la stessa guida.
Ciascuna tradizione deve valorizzare e amare le altre. L'occhio non può dire alla mano: "Non ho bisogno di te"; perché, se tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? (cfr. 1Co 12,19 1Co 12,21). La Chiesa è il corpo di Cristo e le varie parti del corpo sono finalizzate al servizio del bene del tutto e a una collaborazione reciproca per questo fine.
La comprensione della fede di ognuno è approfondita dalla dottrina contenuta nelle opere dei Padri e degli scrittori spirituali degli altri, dalle ricchezze teologiche racchiuse nelle liturgie degli altri così come esse si sono sviluppate nel corso dei secoli sotto la guida dello Spirito Santo e della legittima autorità ecclesiastica e dal modo degli altri di vivere la fede che essi hanno ricevuto dagli apostoli. Ciascuno può trovare sostegno negli esempi di zelo, fedeltà e santità che provengono dalla storia degli altri.
Il Concilio Vaticano II ha dichiarato che "tutti sappiano che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli Orientali è di somma importanza per la fedele custodia dell'integra tradizione cristiana" (UR 15). Il Concilio ha pure dichiarato che "tutto il patrimonio spirituale e liturgico, disciplinare e teologico (delle Chiese Orientali) nelle diverse sue tradizioni, appartiene alla piena cattolicità e apostolicità della Chiesa" (UR 17).
Fratelli nell'episcopato, io rispetto e apprezzo con tutto il cuore le venerabili tradizioni cui voi appartenete e desidero vederle fiorire.
Desidererei che tutti i membri della Chiesa cattolica amassero le proprie tradizioni. "E' intenzione della Chiesa cattolica che rimangano salve e integre le tradizioni di ogni Chiesa o rito particolare, e parimenti essa vuole adattare il suo tenore di vita alle varie necessità dei tempi e dei luoghi" (OE 2). Voi e le Chiese che presiedete dovreste perciò far tesoro della vostra eredità e aver cura di tramandarla nella sua integrità alle generazioni future.
Desidererei anche che ogni membro della Chiesa cattolica riconoscesse la uguale dignità degli altri riti all'interno dell'unità della Chiesa. Ciascun rito è chiamato ad aiutare gli altri, lavorando insieme in armonia e buon ordine per il bene del tutto e non solamente per il proprio particolare benessere.
Vi assicuro le mie preghiere per tutti i membri delle vostre Chiese negli Stati Uniti d'America. Prego anche per i vostri concittadini e per i vostri confratelli dei paesi da cui vennero i vostri avi. Per quanto riguarda la maggior parte di voi quei paesi sono vicini alla mia terra nativa. Per quanto riguarda uno di voi si tratta di una delle aree più dolorosamente provate oggi nel mondo, chiamata Libano, una zona che merita da parte di noi tutti preghiere particolari per la fine delle ostilità e dell'oppressione interna, perché i suoi abitanti possano vivere li in pace e comune accordo.
Uniamoci nell'invocare su tutta la vostra gente la benedizione di Dio Onnipotente.
Data: 1978-11-23 Data estesa: Giovedi 23 Novembre 1978
Titolo: Piena comunione ecclesiale in spirito di vera carità
Venerabili fratelli nell'Episcopato.
Dopo l'incontro individuale con ciascuno di voi, ho il piacere di ricevere oggi collettivamente tutti i membri dell'Episcopato dell'Honduras, nel quadro della visita "ad limina Apostolorum" che state realizzando in questi giorni.
Se durante i nostri contatti precedenti abbiamo parlato degli aspetti particolari di ciascuna delle vostre diocesi, ora vorrei invece trattare alcuni dei temi che riguardano da vicino la vita della Chiesa in Honduras nella sua globalità.
Attraverso le vostre parole e le relazioni presentate, ho constatato con gioia che l'azione evangelizzatrice in Honduras è andata via via intensificandosi negli ultimi anni, e che con questa è aumentata la pratica religiosa, insieme alla formazione religiosa del popolo, soprattutto in certi settori, che è migliorata.
Sono questi motivi di speranza, che allo stesso tempo fanno pensare alla difficoltà principale che la Chiesa si trova di fronte nel vostro paese, derivante dalla scarsità di sacerdoti.
So bene che, grazie a Dio, il laicato cattolico dell'Honduras ha preso sempre più coscienza della sua responsabilità all'interno della Chiesa, e sta contribuendo in modo positivo all'incarico di diffondere il messaggio evangelico.
Questo contributo, che denota una maturazione della coscienza cristiana del laicato, è estremamente encomiabile, deve continuare ed essere intensificato per quanto possibile.
Questo pero non deve far dimenticare il posto insostituibile e proprio che, nella santificazione del Popolo di Dio, corrisponde ai sacerdoti, voluti dal Signore affinché "nella società dei credenti possedessero la sacra potestà dell'ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati, e svolgessero pubblicamente l'ufficio sacerdotale per gli uomini, in nome di Cristo" (PO 2).
E' questa una questione di vitale importanza per la Chiesa. Da ciò deriva il preciso dovere di seguire con sollecitudine assolutamente prioritaria il campo delle vocazioni al sacerdozio e, parallelamente, alla vita consacrata. E' un grande compito, a cui occorre dedicarsi con estrema diligenza, educando poi queste vocazioni ad un solido senso della fede e di servizio al mondo attuale.
Per creare un ambiente propizio al fiorire delle vocazioni, la comunità ecclesiale dovrà offrire una testimonianza di vita conforme ai valori essenziali del Vangelo, affinché possano così risvegliare anime generose, orientandosi verso il dono totale di sé a Cristo e agli altri. Con la fiducia riposta nel Signore e nella ricompensa promessa a chi lo segue fedelmente.
Pensando ai vostri sacerdoti, voglio raccomandarvi, in modo speciale, di prestare particolare attenzione pastorale ai vostri collaboratori, affinché mantengano sempre viva la loro identità sacerdotale e il dono ecclesiale compiuto.
Aiutateli con l'esempio e la parola ad essere coscienti della grandezza del proprio incarico di continuatori della missione salvatrice di Cristo, e della necessità di adeguarsi a questa sempre di più.
Ciò richiederà uno sforzo costante per non adattarsi a questo secolo (cfr. Rm 12,2), per risuscitare ogni giorno la grazia che possiedono, mediante l'imposizione delle mani (cfr. 2Tm 1,6), per vivere per Cristo, che vive in loro (cfr. Ga 2,20). Solo in questo spirito di fede i sacerdoti potranno essere finalmente coscienti del valore sublime del proprio stato e della propria missione.
Nell'esercizio del ministero sacro, per dare piena efficacia allo sforzo evangelizzatore, è essenziale mantenere una stretta comunione fra Vescovi e sacerdoti. Gli uni grazie a uno spirito di autentica carità ed esercitando la propria autorità inclini al servizio (cfr. Mt 20,28); gli altri grazie alla fedeltà alle direttrici ricevute dall'Ordinario coscienti del fatto che formano "una sola famiglia, di cui il padre è il Vescovo" (CD 28). Invito perciò i vostri sacerdoti a pensare che niente di stabile o costruttivo potrà essere conseguito nel proprio ministero, se si pretende di realizzarlo al di fuori della comunione col proprio Vescovo; tanto meno se ci si pone contro di lui. Senza fare riferimento al danno e al disorientamento che simili atteggiamenti creano tra i fedeli.
Cari fratelli: vorrei trattare in questa occasione tante altre questioni. Basti per ora la mia parola di incoraggiamento per la vostra azione pastorale. Facendo ritorno al vostro paese, trasmettete voi questa parola di
sostegno del Papa, ai sacerdoti e seminaristi, ai religiosi - una parte tanto importante dei vostri collaboratori - alle religiose e ai secolari. Portate loro il saluto affettuoso del Papa, che li ricorda nelle sue preghiere, li anima per i rispettivi impegni ecclesiali e li benedice di cuore.
Data: 1978-11-23 Data estesa: Giovedi 23 Novembre 1978
Titolo: La vita religiosa come via alla santità
Figli carissimi.
1. Questa è per me la prima occasione d'incontro con i Superiori Generali degli Ordini maschili, incontro al quale do una particolare importanza. Quando vi vedo qui radunati, appaiono davanti ai miei occhi magnifiche figure di Santi, dei grandi Santi che hanno dato origine alle vostre Famiglie religiose: Basilio, Agostino, Benedetto, Domenico, Francesco, Ignazio di Loyola, Francesco di Sales, Vincenzo de' Paoli, Giovanni Battista de la Salle, Paolo della Croce, Alfonso M. de' Liguori; e poi più vicino a noi: Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giovanni Bosco, Vincenzo Pallotti; per non parlare dei recentissimi, la cui santità attende ancora il giudizio definitivo della Chiesa, ma il cui influsso benefico è testimoniato dallo stuolo di anime generose, che hanno scelto di seguirne l'esempio. Tutti questi nomi - e non ne ho ricordato che alcuni - testimoniano che le vie della santità, alla quale sono chiamati i membri del Popolo di Dio, passavano e passano, in gran parte, attraverso la vita religiosa. E non bisogna meravigliarcene, dato che la vita religiosa è impostata sulla più precisa "ricetta" della santità, che è costituita dall'amore realizzato secondo i consigli evangelici.
Inoltre, ciascuno dei Vostri Fondatori, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo promesso da Cristo alla Chiesa, è stato un uomo che possedeva un carisma particolare. Il Cristo ha avuto in lui un eccezionale "strumento" per la sua opera di salvezza, la quale specialmente in questo modo si perpetua nella storia della famiglia umana. La Chiesa ha assunto via via questi carismi, li ha valutati e, quando li ha trovati autentici, ne ha ringraziato il Signore e ha cercato di "metterli al sicuro" nella vita della comunità, perché potessero sempre dare frutti. Lo ha ricordato il Concilio Vaticano II, sottolineando come la Gerarchia Ecclesiastica, alla quale spetta il compito di pascere il Popolo di Dio e di condurlo a pascoli ubertosi, "docilmente seguendo gli impulsi dello Spirito Santo, accoglie le regole proposte da esimi uomini e donne, e ulteriormente ordinate le approva autenticamente; e con la sua autorità vigile e protettrice viene pure in aiuto agli Istituti, dovunque eretti per l'edificazione del Corpo di Cristo, perché abbiano a crescere e fiorire secondo lo spirito dei fondatori" (LG 45,1).
Questo è ciò che desidero anzitutto costatare ed esprimere durante il nostro primo incontro. Non intendo fare qui un richiamo "al passato" inteso come un periodo storico concluso in se stesso; intendo riferirmi "alla vita" della Chiesa nella sua più profonda dinamica. Alla vita, così come essa si presenta davanti a noi, oggi portando con sé la ricchezza delle tradizioni del passato, per offrire a noi la possibilità di usufruirne oggi.
2. La vocazione religiosa è un grande problema della Chiesa del nostro tempo.
Proprio per questo è innanzitutto necessario riaffermare con forza che essa appartiene a quella pienezza spirituale che lo Spirito stesso - spirito di Cristo - suscita e plasma nel Popolo di Dio. Senza gli ordini religiosi, senza la vita "consacrata", attraverso i voti di castità, di povertà e di ubbidienza, la Chiesa non sarebbe pienamente se stessa. I religiosi infatti "con la stessa intima natura del loro essere si collocano nel dinamismo della Chiesa, assetata dell'Assoluto di Dio, chiamata alla santità. Di questa santità essi sono testimoni. Incarnano la Chiesa in quanto desiderosa di abbandonarsi al radicalismo delle beatitudini. Con la loro vita sono il segno della totale disponibilità verso Dio, verso la Chiesa, verso i fratelli" (Paolo VI, EN 69). Accettando questo assioma, dobbiamo con tutta la perspicacia interrogarci su come la vocazione religiosa debba essere oggi aiutata a prendere coscienza di se stessa e a maturare, come debba "funzionare" la vita religiosa nell'insieme della vita della Chiesa contemporanea. A questa domanda stiamo sempre cercando - e giustamente - una risposta. La troviamo: a) nell'insegnamento del Concilio Vaticano II; b) nell'esortazione "Evangelii Nuntiandi"; c) nelle numerose enunciazioni dei Pontefici, dei Sinodi e delle Conferenze Episcopali.
Questa risposta è fondamentale e multiforme. Un postulato pero sembra puntualizzarsi particolarmente in essa: se tutta la vita della Chiesa ha due dimensioni, quella verticale e quella orizzontale, gli ordini religiosi debbono tener conto anzitutto della dimensione verticale! E' noto che gli ordini religiosi hanno sempre fatto gran conto della dimensione verticale, entrando nella vita col Vangelo e dandone testimonianza col proprio esempio. Col Vangelo autenticamente riletto: in base cioè all'insegnamento della Chiesa e nella fedeltà al suo Magistero. così deve essere anche oggi.
"Testificatio, sic; contestatio, non!". Su ogni comunità, su ogni religioso pesa una particolare corresponsabilità per l'autentica presenza di Cristo, che è mite e umile di cuore, nel mondo di oggi - di Cristo Crocifisso e Risorto - Cristo tra i fratelli. Lo spirito di massimalismo evangelico che si differenzia da qualsiasi radicalismo sociopolitico, la "silenziosa testimonianza di povertà e di distacco, di purezza e di trasparenza, di abbandono nell'ubbidienza", che i religiosi sono chiamati a rendere, "può diventare, oltre che una provocazione al mondo e alla Chiesa stessa, anche una predicazione eloquente, capace di impressionare anche i non cristiani di buona volontà, sensibili a certi valori" (Paolo VI, EN 69,2).
3. Il documento comune della Sacra Congregazione per i religiosi e gli Istituti Secolari e della Sacra Congregazione per i Vescovi indica quale deve essere il rapporto degli Ordini e delle Congregazioni religiose nei riguardi del Collegio Episcopale, dei Vescovi delle singole diocesi e delle Conferenze Episcopali. E' un documento di grande importanza, al quale converrà dedicare un'attenzione particolare in questi prossimi anni, cercando di porsi nell'atteggiamento interiore della massima disponibilità, in armonia del resto con quella docilità umile e pronta, che deve costituire una nota distintiva del religioso autentico.
Ovunque vi troviate nel mondo, voi siete con la vostra vocazione, "per la Chiesa universale", attraverso la vostra missione "in una determinata Chiesa locale". Quindi, la vostra vocazione per la Chiesa universale si realizza entro le strutture della Chiesa locale. Bisogna far di tutto, affinché "la vita consacrata" si sviluppi nelle singole Chiese locali, affinché contribuisca all'edificazione spirituale di esse, affinché costituisca la loro particolare forza. L'unità con la Chiesa universale, attraverso la Chiesa locale: ecco la vostra via.
4. Prima di concludere, permettetemi di ritornare su di un punto che ritengo fondamentale nella vita di ogni religioso, qualunque sia la Famiglia alla quale egli appartiene: intendo riferirmi alla dimensione contemplativa, all'impegno della preghiera. Il religioso è un uomo consacrato a Dio, per mezzo di Cristo, nella carità dello Spirito. E', questo, un dato ontologico che chiede di emergere alla coscienza e di orientare la vita, non solo a beneficio della singola persona, ma anche a vantaggio dell'intera comunità, che nelle anime consacrate sperimenta ed assapora in modo tutto particolare la presenza vivificante dello Sposo divino.
Non dovete perciò temere, figli carissimi, di ricordare frequentemente ai vostri Confratelli che una pausa di vera adorazione ha maggior valore e frutto spirituale della più intensa attività, fosse pure la stessa attività apostolica.
E' questa la "contestazione" più urgente che i religiosi devono opporre ad una società nella quale l'efficienza è divenuta un idolo, sul cui altare non raramente si sacrifica la stessa dignità umana.
Le vostre case devono essere soprattutto centri di preghiera, di raccoglimento, di dialogo - personale e comunitario - con Colui che è e deve restare il primo e principale interlocutore nell'operoso susseguirsi delle vostre giornate. Se saprete alimentare questo "clima" di intensa ed amorosa comunione con Dio, vi sarà possibile portare avanti, senza tensioni traumatiche o pericolosi sbandamenti, quel rinnovamento della vita e della disciplina, al quale il Concilio Ecumenico Vaticano II vi ha impegnato. L'anima che vive nell'abituale contatto con Dio e si muove entro il caldo raggio del suo amore sa guardarsi agevolmente dalla tentazione di particolarismi e di contrapposizioni, che creano il rischio di dolorose divisioni; sa interpretare nella giusta luce evangelica l'opzione per i più poveri e per ogni vittima dell'egoismo umano, senza cedere a radicalizzazioni socio-politiche, che alla lunga si rivelano inopportune, controproducenti e generatrici esse stesse di nuove sopraffazioni; sa avvicinarsi alla gente e inserirsi in mezzo al popolo, senza mettere in questione la propria identità religiosa, né offuscare quella "originalità specifica" della propria vocazione, che deriva dalla peculiare "sequela di Cristo" povero, casto e obbediente.
Ecco, figli carissimi, le riflessioni che mi premeva di sottoporre alla vostra considerazione in questo nostro primo incontro. Sono certo che non mancherete di impegnarvi a trasmetterle ai vostri Confratelli, arricchendole dell'apporto della vostra esperienza e della vostra saggezza. Vi assista nel vostro delicato compito la Vergine santa! Ella, che il mio predecessore Paolo VI di venerata memoria nella sua esortazione apostolica "Marialis Cultus" indicava come la Vergine in ascolto, la Vergine in preghiera, la Vergine che genera Cristo e lo offre per la salvezza del mondo, resta il modello insuperabile di ogni vita consacrata. Sia lei a farvi da guida nell'ascesa, faticosa ma affascinante, verso l'ideale della piena assimilazione a Cristo Signore.
Accompagno l'augurio con la mia apostolica benedizione.
Data: 1978-11-24 Data estesa: Venerdi 24 Novembre 1978
GPII 1978 Insegnamenti - Al Segretariato per l'Unione dei Cristiani - Approfondire il dialogo per superare le divisioni