GPII 1988 Insegnamenti - Ai partecipanti al colloquio "I credenti in URSS oggi" - Città del Vaticano (Roma)
1. Sono lieto di accogliere i partecipanti al colloquio sul tema: "I credenti in Unione Sovietica oggi", organizzato dal Centro Russia Ecumenica, insieme con l'Associazione Internazionale dei Diritti dell'uomo e con il Comitato Italiano di Helsinki.
Voi provenite da diverse parti del mondo, appartenete a diverse confessioni religiose e portate diverse esperienze di vita. Ma qui vi accomunano la riflessione e l'impegno per un valore che trascende ogni spazio geografico e culturale, un valore di grande rilevanza umana e sociale: la fede in Dio e la libertà di professarla e di praticarla in tutte le sue esigenze.
Oggi i diritti fondamentali dell'uomo costituiscono un patrimonio comune alla maggior parte degli ordinamenti civili ed il principio del loro rispetto e della loro protezione è recepito nelle carte costituzionali, così come in importanti documenti internazionali. E' un patrimonio che appartiene in primo luogo e soprattutto alla coscienza di milioni di uomini e donne, i quali aspirano a vivere una vita più libera e più umana, nella giustizia e nella pace.
2. Tra questi diritti fondamentali, tra queste aspirazioni comuni ai fratelli ed alle sorelle di tutto il mondo, la libertà religiosa occupa un posto particolare.
Essa risponde alle esigenze più profonde della coscienza personale, tocca nell'intimo il cuore dell'uomo, che nella propria fede trova il senso più alto della sua vita individuale e dei suoi rapporti con gli altri. Possiamo dire che questa libertà è per la vita dello spirito ciò che l'aria è per il respiro del corpo.
Sembra incredibile che un diritto di libertà così alto, così profondamente umano, sia in varie parti del mondo - spesso contraddicendo le stesse formulazioni costituzionali - male interpretato o apertamente conculcato.
In tal modo i credenti diventano oggetto di sospetto, di sfiducia, quasi che fossero meno affidabili degli altri cittadini. Eppure è vero il contrario: proprio perché mette la sua esistenza sotto il segno di Dio, il credente è stimolato a vivere nella bontà, nella giustizia, nella verità. Dal suo intimo rapporto con Dio scaturisce un nuovo rapporto con gli altri, fondato su valori di fraternità e di solidarietà, di senso di responsabilità, di preoccupazione per il bene comune, di rispetto per gli ordinamenti civili. Per i discepoli di Cristo, tutto questo si riassume nel "comandamento nuovo" datoci dal Signore, il comandamento della carita.
Voi rivolgete la vostra attenzione ai credenti che vivono in difficoltà, per un senso di solidarietà umana e, io credo, anche mossi dall'amore fraterno ispirato dalla convinzione religiosa di ciascuno: quell'amore fraterno che, come ho detto nella lettera apostolica "Euntes in mundum", ci fa partecipi e solidali nella gioia anche della Chiesa sorella del Patriarcato di Mosca, che si prepara a celebrare il Millennio del grande evento cristiano del Battesimo della Rus'.
La dimensione della solidarietà, che non conosce distanze nè frontiere, è propria della fede religiosa, in particolare di quella cristiana. Al credente, infatti, non basta vivere individualmente il dono della fede. La fede, quando è autentica e vitale, lo pone in relazione stretta con gli altri credenti, assieme ai quali egli forma una comunità. Colui che possiede il bene di una fede in Dio.
necessariamente è sollecitato a testimoniarlo nella vita, a condividerlo con gli altri, a farlo crescere nei cuori.
La religione vissuta in piena libertà, in tutte le esigenze personali e comunitarie, contribuisce alla serenità degli spiriti e ad una più forte unità tra gli uomini. perciò essa è un fattore di pace, di sviluppo, di collaborazione al bene comune, come ho voluto ricordare nel messaggio per la Giornata della Pace del 1° gennaio scorso e, ancora recentemente, nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis".
Sono convinto che ogni iniziativa che tende ad approfondire questo tema, ogni sforzo in difesa della libertà religiosa, ogni gesto di solidarietà verso i fratelli e le sorelle che vi aspirano senza poterne godere pienamente, è un contributo alla pace e ad una più serena convivenza degli uomini e dei popoli. Per questo auguro a ciascuno di voi di essere un costruttore di quella pace vera, ardentemente desiderata ed attesa, che nasce prima di tutto nei cuori e nelle coscienze.
Con la mia apostolica benedizione.
Data: 1988-03-26 Data estesa: Sabato 26 Marzo 1988
Titolo: Nell'anno mariano auguro a tutti i giovani di scoprire le profondità nascoste nel mistero di Gesù Cristo
Testo:
1. "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68).
Celebriamo la liturgia della Domenica delle Palme in piazza san Pietro.
Questa è, parimenti, la Giornata Internazionale della Gioventù. La Domenica delle Palme fa convergere ogni anno in questa piazza molti giovani, che si sentono come chiamati dall'evento, commemorato in questo giorno. Infatti durante l'ingresso messianico di Cristo a Gerusalemme, tra coloro che gridavano "Osanna al Figlio di Davide", non sono mancati i giovani. L'inno liturgico canta: "Pueri Hebraeorum portantes ramos olivarum obviaverunt Domino".
Pueri: cioè, i giovani ebrei. Obviaverunt: cioè andarono incontro a Cristo. Cantarono "Benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Mt 21,9).
Nella Domenica delle Palme, ogni anno, avviene lo stesso: i giovani vanno incontro a Cristo, sventolano le palme, cantano l'inno messianico per salutare colui che viene nel nome del Signore. così avviene qui a Roma - così in altri luoghi nel mondo. L'anno scorso è stato così a Buenos Aires, dove mi è stato dato di celebrare la della Gioventù, particolarmente con i giovani dell'America Latina.
Voi tutti, giovani, dovunque siate e in qualsiasi giorno vi raduniate per celebrare la vostra festa, sentirete la necessità di ripetere le parole di Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna". Tu solo.
2. Le "parole di vita eterna" ci descrivono oggi la passione e la morte di Cristo secondo il Vangelo di san Marco.
Abbiamo ascoltato questa descrizione. Abbiamo ascoltato anche le parole del profeta Isaia, che dalla profondità dei secoli preannunzia il Messia come uomo dei dolori: "Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strapparono la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi" (Is 50,6).
Difatti, fu proprio così, come aveva previsto il profeta.
E fu anche così, come aveva proclamato il salmista - anche lui dalla profondità dei secoli -: "Hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa... si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte" (Ps 22[21],17-19).
Fu così. E ancora di più. Le parole con cui il profeta (Davide) inizia il suo salmo si sono trovate sulle labbra di Cristo durante l'agonia sulla croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" ("Eli, Eli, lemà sabactàni?") (Mt 27,46 Ps 22[21],2).
La passione e la morte di Cristo emergono dai testi dell'antico testamento per confermarsi come la realtà decisiva della nuova ed eterna alleanza di Dio con l'umanità.
3. Abbiamo infine ascoltato le parole sconvolgenti dell'apostolo Paolo nella lettera ai Filippesi. Esse sono una sintesi dell'intero mistero pasquale. Il testo è conciso, ma ha nello stesso tempo un contenuto insondabile, a misura del mistero. San Paolo ci porta al limite stesso di ciò che nella storia della creazione incomincio ad esistere tra Dio e l'uomo, e che ha trovato il suo culmine e la sua pienezza in Gesù Cristo. In definitiva - nella croce e risurrezione.
Cristo Gesù "pur essendo di natura divina, non considero un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio: ma spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umilio se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato..." (Ph 2 Ph 6-9).
Così "le parole di vita eterna" sono state pronunziate mediante la croce e la morte. Non erano soltanto una teoria. Sono rimaste una realtà tra colui che "E'" "ab aeterno", che non trapassa, e colui che trapassa, per il quale è stabilito che deve morire una sola volta. Nello stesso tempo l'uomo, quale essere creato a immagine e somiglianza di Dio, attende le parole di vita eterna. Le trova nel Vangelo di Cristo. Esse si confermano in modo definitivo nella sua morte e risurrezione.
Da chi andremo? Cristo è colui che non cessa "di svelare pienamente l'uomo all'uomo e di fargli nota la sua altissima vocazione, rivelando il mistero del Padre e del suo amore". così dice il Concilio Vaticano II nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes" (GS 22).
4. Perché allora, proprio questo giorno, Domenica delle Palme, è diventato nella Chiesa, da alcuni anni, la "festa dei giovani"? E vero che questa giornata della gioventù è celebrata nei singoli Paesi e ambienti in periodi diversi, ma la Domenica delle Palme rimane per essa sempre un punto centrale di riferimento.
Perché? Sembra che i giovani stessi diano a questa domanda una risposta spontanea. Una tale risposta è data da voi tutti, che da anni pellegrinate a Roma proprio per celebrare questo giorno (e ciò si è verificato particolarmente nell'Anno della redenzione e nell'Anno dedicato alla gioventù).
Con questo fatto non volete forse voi stessi significare che cercate Cristo nel centro del suo mistero? Lo cercate nella pienezza di quella verità che è lui stesso nella storia dell'uomo - "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità" (Jn 18,37). Voi cercate Cristo nella parola definitiva del Vangelo, così come ha fatto l'apostolo Paolo: nella croce, che è "potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Co 1,24), come la risurrezione ha confermato.
In Cristo - crocifisso e risorto - cercate appunto questa potenza e sapienza.
5. Cristo svela pienamente all uomo - a ciascuno di noi - l'uomo. Potrebbe svelarlo "pienamente" se non fosse passato anche attraverso questa sofferenza, e questo spogliamento senza limiti? Se non avesse, infine, esclamato sulla croce: "Perché mi hai abbandonato?" (cfr. Mt 27,46)? Sconfinato è il terreno dell'esperienza dell'uomo. Indicibile pure è la scala delle sue sofferenze. Colui che ha "parole di vita eterna", non ha esitato a fissare questa parola in tutte le dimensioni della temporaneità umana...
"Per questo Dio l'ha esaltato". Per questo, "Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (cfr. Ph 2,9 Ph 2,11). E in questo modo rende testimonianza alla "sua altissima vocazione" (cfr. GS 22): nessuno svantaggio nessuna sofferenza o spogliamento, possono separarci dall'amore di Dio (cfr. Rm 8,35): da quell'amore che è in Gesù Cristo.
6. Allora questa "Giornata per i giovani" rimane nella Chiesa un momento eloquente del vostro "pellegrinaggio mediante la fede".
In quest'anno rivolgiamo il nostro sguardo alla Madre di Dio presente nel mistero di Cristo e della Chiesa - presente anche all'agonia sul Golgota.
Proprio li si trova il punto culminante del pellegrinaggio di Maria, a riguardo della quale il Concilio, seguendo le indicazioni della Tradizione, ci insegna che ella ci precede tutti nel cammino: va innanzi nel pellegrinaggio "della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo" (cfr. LG 63).
A tutti i giovani auguro nell'anno marino, che - guardando Maria come "figura" - scoprano tutte le profondità nascoste nel mistero di Cristo.
Poiché Cristo dice sempre di nuovo ai giovani, così come disse nel Vangelo: "Seguimi" (Lc 18,22). L'analisi di questa chiamata si trova nella lettera inviata ai giovani e alle ragazze del mondo, nell'anno 1985.
E' necessario che sentiate questa chiamata. Ed è necessario che maturiate costantemente per darle la vostra risposta.
"Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna".
[Al termine della celebrazione, il Santo Padre ha introdotto la recita dell'Angelus con le seguenti parole:] Cari Giovani, Vi ringrazio di essere venuti anche quest'anno a celebrare la Domenica delle Palme: incontro annuale dei giovani di tutto il mondo. L'anno prossimo la Giornata Mondiale della Gioventù, che, nelle Chiese locali, sarà celebrata la Domenica delle Palme, avrà il suo culmine nel pellegrinaggio dei giovani a Santiago di Compostela, in Spagna, nei giorni 19-20 agosto, dove anch'io mi rechero per incontrarmi con loro.
L'idea guida della Giornata 1989 sarà: "I giovani cristiani, alle soglie del 2000, riscoprono le radici apostoliche della propria fede e s'impegnano attivamente nell'evangelizzazione del mondo contemporaneo". Quest'anno abbiamo accolto e meditato insieme l'invito di Maria: "Fate quello che Egli vi dirà".
Al termine di questa celebrazione, ringraziamo insieme l'Alma Madre del Redentore, per tutto quello che ci ha suggerito durante questo incontro, e fin d'ora affidiamo a Lei quello dell'anno prossimo a Santiago di - Compostela. Le nostre voci, risuonate in questa piazza nel canto dell'"Osanna al Figlio di Davide", concludono ora questo rito solenne con la preghiera dell'"Angelus".
Data: 1988-03-27 Data estesa: Domenica 27 Marzo 1988
Titolo: Seguire Cristo fino alla morte
Testo:
Abbiamo dato inizio con l'odierna Domenica delle Palme alla Settimana Santa e, nello stesso tempo, abbiamo celebrato la terza Giornata Mondiale della Gioventù.
Stamane, sul sagrato di san Pietro, abbiamo celebrato l'una e l'altra. Sono molto contento di trovarmi in mezzo a voi, giovani; di trovarvi cantando perché questa è una giornata di canto: "Pueri hebraeorum portantes ramos olivarum...". Conosciamo bene questa antifona della Domenica delle Palme. E' una giornata per voi giovani; per cantare "Hosanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!". E' una giornata piena di gioia messianica. Cristo ha scelto questa giornata caratterizzata dall'annuncio dei profeti. Ma sappiamo bene che dentro questa celebrazione esaltante e gioiosa della Palme, la Chiesa ci porta con mano alla passione di Cristo. Questa gioia transitoria copre e nasconde in sè il mistero della passione e della croce che è il mistero pasquale.
In questa giornata voi vi siete riuniti non solo per cantare come i giovani di Gerusalemme, ma per scoprire la figura del crocifisso, di Gesù che è sulla croce, agonizzante. Per molte ore avete pregato, oggi pomeriggio. Avete meditato e pregato. Entrando nel mistero della Domenica delle Palme, mistero della passione di Cristo, della croce e della sua risurrezione, voi pensate insieme alla Chiesa e alla missione della Chiesa, perché Cristo è morto sulla croce per dare la vita nuova all'umanità.
La Chiesa, come dicono i santi Padri, è stata fondata soprattutto nel momento della sua morte; dal suo costato è scaturita la nostra salvezza.
Simbolicamente si apre una nuova realtà, una nuova missione divina che abbraccia l'umanità. Nasce così la Chiesa, la Chiesa, che come ci dice il Concilio Vaticano II, è "in Cristo come un sacramento... dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1). Gesù ha preparato a questo momento pasquale i suoi apostoli. Infatti, dopo la risurrezione, con le mani, i piedi ed il costato trafitto, si presenterà ai suoi apostoli per donare lo Spirito Santo e per annunciare già questa missione che spetta ad essi, a questo nuovo Israele di cui loro, gli apostoli, sono l'inizio e la prefigurazione.
La Chiesa inizia a compiere così la sua missione e diventa missionaria.
Se noi pensiamo seriamente al mistero pasquale di Cristo non possiamo separare la Chiesa dal suo mistero e dalla sua missione. Voi qui riflettete, pregate e pensate sulla missione della Chiesa in tutto il mondo. Questa missione domanda i missionari, domanda gli apostoli. I missionari continuano la missione degli apostoli. Il Concilio Vaticano II ci dice che tutta la Chiesa è missionaria per sua natura. Missionaria vuol dire apostolica; vuol dire inviata. Voi vivete questo momento della chiamata e della missione della Chiesa che è composta da diversi carismi e ministeri. L'unica missione della Chiesa emerge, soprattutto oggi, anche sulla base dell'apostolato dei laici. Ma, per la Chiesa e per la sua missione, ci vogliono le vocazioni sacerdotali e le vocazioni religiose. Ho visto qui alcuni giovani che si sono presentati spontaneamente per dire a questa assemblea: "Ecco, io vengo". Ho pensato subito che questa offerta non si può fare se non davanti a Dio. Ma, se la si fa anche davanti agli uomini, la si fa soprattutto nella famiglia. E voi siete una famiglia. Se queste scelte si possono fare così, spontaneamente, sotto la forza dello Spirito, questo vuol dire che voi siete una famiglia. Se, infatti un ragazzo, una ragazza può presentarsi davanti a tutti e dire davanti a tutti e a Cristo crocifisso: "Ecco, sono tuo", questo vuol dire che Dio vi ama, che Dio vi chiama.
Sono molto consapevole, profondamente consapevole della grazia della vocazione sacerdotale e della vocazione religiosa. E' una, grazia per i chiamati, ma, nello stesso tempo, è un dono per la comunità, per la Chiesa, per la sua missione e per la sua consistenza. Se la Chiesa, come ci ricorda il Concilio Vaticano II è un popolo sacerdotale; se tutti i fedeli hanno un sacerdozio comune, battesimale, allora tanto più si vede la necessità di coloro che sono chiamati al sacerdozio per suscitare la consapevolezza del sacerdozio comune di tutti e per esprimere questa caratteristica sacerdotale di tutti i partners e poi per servire.
Il sacerdozio è infatti un ministero molto importante. Lo sappiamo, per esperienza anche negativa e dolorosa a motivo della mancanza di vocazioni sacerdotali e religiose. La Chiesa non può essere se stessa se non aspirando a questo Regno dei cieli, anzi anticipando questo Regno dei cieli fin da quaggiù, dalla terra. Le persone, uomini e donne, devono essere capaci di seguire Cristo povero, Cristo vergine, Cristo obbediente fino alla morte. Si tratta delle dimensioni fondamentali, essenziali, costitutive della Chiesa. Quando si hanno le vocazioni sacerdotali e religiose si ha la prova della autentica cattolicità delle Chiese locali e delle parrocchie, come anche delle famiglie cristiane. Una volta e forse anche oggi le famiglie si vantavano di avere tra i loro figli e le loro figlie sacerdoti e religiose. La famiglia, sappiamo, è la Chiesa domestica, cellula viva e vivificante della Chiesa.
Vi ho detto così quello che mi stava a cuore. Sono grato ai genitori, alle famiglie e alle comunità capaci di far crescere e di far maturare le vocazioni sempre e dappertutto. Sono grato alla vostra famiglia e alla vostra comunità che si preoccupa di suscitare, far crescere e maturare le vocazioni.
Nostro Signore crocifisso e risorto benedica quest'opera vocazionale della vostra grande famiglia che cresce di giorno in giorno. Nostro Signore dia a tutti una profonda e coraggiosa vocazione cristiana; agli sposi, la vocazione matrimoniale, coniugale, familiare di genitori e di educatori. A coloro che sentono dentro un'altra chiamata, la capacità di seguire la vocazione sacerdotale e religiosa, accogliendo questo dono dello Spirito che viene sempre dal cuore trafitto del nostro Salvatore che pende dalla croce.
Data: 1988-03-27 Data estesa: Domenica 27 Marzo 1988
Titolo: Nell'Eucaristia la potenza salvifica di Dio
Testo:
1. "Non mi laverai mai i piedi" (Jn 13,8).
Così dice Simon Pietro nel cenacolo, quando Cristo, prima della cena pasquale, decide di lavare i piedi ai suoi apostoli.
Cristo sapeva che "era giunta la sua ora" (Jn 13,1). La sua Pasqua.
Ma Simon Pietro ancora non lo sapeva.
Nei pressi di Cesarea di Filippo egli per primo aveva confessato: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).
Non sapeva tuttavia che in questa definizione del "Cristo-Messia" era nascosto anche il significato di "servo", il servo di Jahvè. Non lo sapeva! In un certo senso non voleva prendere cognizione della verità che, secondo l'interpretazione del Maestro, rivestiva la "sua ora": cioè "l'ora di passare da questo mondo al Padre" (cfr. Jn 13,1).
Non accettava che Cristo dovesse essere servo, così come lo aveva visto il profeta Isaia molti secoli prima: il servo di Jahvè, il servo sofferente di Dio.
2. Tuttavia sull'orizzonte della storia si è ormai delineato in forma definitiva il ruolo del sangue: il sangue dell'agnello pasquale doveva trovare il suo compimento nel sangue di Cristo che suggellava la nuova ed eterna alleanza.
Per coloro che si preparavano alla cena pasquale nel cenacolo di Gerusalemme il sangue dell'agnello si collegava con la memoria dell'Esodo.
Ricordava la liberazione dalla schiavitù d'Egitto, che aveva dato inizio all'alleanza di Jahvè con Israele, al tempo di Mosè.
"Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare... E' la Pasqua del Signore!... io vedro il sangue e passero oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio quando io colpiro il paese d'Egitto" (Ex 12,7 Ex 12,11 Ex 12,13).
Il sangue dell'agnello costituiva una soglia davanti alla quale si arrestava l'ira punitrice di Jahvè. Coloro che si preparavano alla cena pasquale, nel cenacolo, tenevano nella loro memoria la liberazione di Israele mediante questo sangue.
3. Tutti loro - ed insieme ad essi Simon Pietro - non erano consapevoli fino in fondo del fatto che quella liberazione per opera del sangue dell'agnello pasquale era in pari tempo un preannunzio. Era una "figura", che attendeva il suo compimento in Cristo.
Quando gli apostoli si incontrano nel cenacolo, per l'ultima cena, questo compimento è ormai vicino. Cristo sa che "è giunta la sua ora", l'ora in cui egli stesso porterà a compimento il preannunzio e svelerà pienamente la realtà, che da secoli viene indicata dalla "figura" dell'agnello pasquale: la liberazione per opera del suo sangue.
Cristo va incontro a questa "pienezza", entra in questa realtà. E' consapevole di ciò che porteranno con sé la prossima notte e il giorno seguente.
4. Ed ecco egli prende nelle sue mani il pane e - rendendo grazie - dice: "Questo è il mio corpo, che è per voi" (1Co 11,24). E al termine della cena (come leggiamo nella prima lettera ai Corinzi) prende il calice, e dice: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue" (1Co 11,25).
Quando il corpo di Cristo verrà offerto sulla croce, allora questo sangue, versato nella passione, diventerà l'inizio della nuova alleanza di Dio con l'umanità.
L'antica alleanza, nel sangue dell'agnello pasquale, il sangue della liberazione dalla schiavitù d'Egitto.
La nuova ed eterna alleanza, nel sangue di Cristo.
Cristo va incontro al sacrificio, che ha la potenza redentrice: la potenza di liberare l'uomo dalla schiavitù del peccato e della morte. La potenza di strappare l'uomo dall'abisso della morte spirituale e della condanna.
Gesù passa ai discepoli il calice della salvezza, il sangue della nuova alleanza, e dice: "Fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me" (1Co 11,25).
5. "Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amo sino alla fine" (Jn 13,1).
Ecco la verità più profonda dell'ultima cena. Il corpo ed il sangue, la passione sulla croce e la morte significano proprio ciò: "li amo sino alla fine".
Il sangue dell'agnello sull'architrave delle case in Egitto non aveva, di per sé, una potenza liberatrice. La potenza proveniva da Dio. Per molto tempo non si è osato chiamare questa potenza per nome.
Cristo l'ha chiamata per nome. Il corpo ed il sangue, la passione e la morte, il sacrificio, sono l'amore che risale fino ai confini della sua potenza salvifica.
Cristo l'ha chiamata per nome. Cristo l'ha realizzata. Cristo ci ha lasciato questa potenza nell'Eucaristia. Ecco "la sua ora": - passa dal mondo al Padre mediante il sangue della nuova alleanza; - passa dal mondo al Padre mediante l'amore, che risale fino ai confini della sua potenza salvifica. 6. Dice: "Fate questo in memoria di me".
E prima ancora dice: "Vi ho dato esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (Jn 13,15).
"Che vi amiate gli uni gli altri: come io vi ho amato" (Jn 13,34).
L'ultima cena. L'inizio della nuova alleanza nel sangue di Cristo.
Riviviamola col cuore colmo di fede e di amore!
Data: 1988-03-31 Data estesa: Giovedi 31 Marzo 1988
Titolo: Nell'agonia della croce abbiamo ricevuto tutti Maria come Madre
Testo:
1. "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco il tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco la tua madre! E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (Jn 19,25-27).
2. "Stabat Mater..." Prima percorreva la "Via Crucis", lungo la quale abbiamo meditato l'incontro della Madre con il Figlio, alla quarta stazione.
Il Concilio insegna: "La beata Vergine avanzo nella peregrinazione della fede e serbo fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette" (LG 58).
3. Questo disegno divino è stato svelato a Maria già quaranta giorni dopo la nascita di Gesù. Durante la Presentazione nel tempio di Gerusalemme si fanno sentire le parole profetiche del vecchio Simeone: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione" (Lc 2,34) questo, quanto al Figlio.
E poi alla Madre: "E anche a te una spada trafiggerà l'anima, perché siano svelati i pensieri di molti cuori" (cfr. Lc 2,35).
4. così dunque "non senza un disegno divino" Maria è stata sotto la croce sul Golgota. La spada ha trafitto il suo cuore, causando un dolore indicibile: la sofferenza più grande preparata per Maria su questo cammino della fede, sul quale andava seguendo Cristo.
Sofferenza - consofferenza.
Il Concilio insegna che Maria ha corrisposto al disegno divino: "Soffrendo profondamente col suo unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui" (LG 58).
La consofferenza unisce la Madre al Figlio, come solo l'Immacolata Madre poteva essere unita col Figlio di Dio sulla croce.
"La spada del dolore" ha trafitto la sua anima nella misura di questa unione.
5. Il Concilio insegna ulteriormente: Maria stette sotto la croce "soffrendo profondamente... amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da lei generata" (LG 58).
Qui ogni parola ha un peso particolare.
Nell'annunciazione Maria aveva esclamato: "Avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).
Ora rinnova la stessa disponibilità nel momento del più grande dolore: "Amorosamente consente" perché colui che è stato concepito per opera dello Spirito Santo, il "Santo di Dio", il suo Figlio unigenito, ha subito sulla croce la spogliazione come vittima.
6. Una volta una donna tra la folla aveva pronunciato ad alta voce dinanzi a Gesù una benedizione per sua Madre: "Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!" (Lc 11,27).
E Gesù rispose a queste parole in modo mirabile: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano" (Lc 11,27).
Allora certamente è sembrato che egli non abbia raccolto la beatitudine, che era indirizzata a sua Madre.
Sotto la croce si comprende che Cristo orientava verso il futuro la beatitudine allora manifestata.
Chi è in questo momento sua Madre? Ecco, è colei che sta presso la croce, che ascolta con eroica obbedienza di fede la parola di Dio, che con tutta la materna sofferenza del suo cuore "compie", insieme col Figlio, "la volontà del Padre".
7. Ed ecco, così, nell'agonia della croce di Cristo, ti è donata la tua Madre, o Giovanni!.
Così abbiamo ricevuto tutti noi, cari fratelli e sorelle, Maria come Madre.
Così hai ricevuto tu, o Chiesa del Popolo di Dio, la tua "figura" e il tuo modello.
"Stabat Mater..." Da quel momento Maria "ha collaborato con il suo amore materno alla nascita e all'educazione" di noi tutti.
Infatti il Padre Eterno ha stabilito che Cristo, Figlio di Maria, "sia il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29).
"La maternità di Maria nell'economia della grazia perdura senza sosta dal momento del consenso prestato nell'annunciazione e mantenuto senza esitazioni sotto la croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti" (LG 62).
8. Cari fedeli presenti alla "Via Crucis" di Cristo, nel Colosseo romano! Si aggiunga alla meditazione della passione del Redentore questa parola circa la "spada del dolore", che ha trafitto il cuore immacolato della Madre ai piedi della croce sul Golgota.
Mediante la sua consofferenza col Figlio "siano svelati i pensieri di molti cuori" (cfr. Lc 2,35)! I nostri cuori si uniscano al mistero della redenzione del mondo, e mediante la Genitrice di Dio rimangano in unione con Cristo sulla via della fede, della speranza e della carità! Amen.
Data: 1988-04-01 Data estesa: Venerdi 1 Aprile 1988
Titolo: Con la potenza della Pasqua di Cristo sovrabbondano la grazia e la vita
Testo:
1. "Lumen Christi"! Nel buio esteso su tutto lo spazio di questa Basilica di san Pietro, sono risonate tre volte le parole del diacono come un annunzio profetico della veglia pasquale: "Lumen Christi"! A poco a poco si è rischiarato lo spazio esterno per esprimere ciò che questa notte dopo il sabato, rivolta verso l'albeggiare del giorno, ha portato.
Tutti entriamo in questa notte, ancora sconvolti dagli avvenimenti di ieri, dalla morte di Gesù di Nazaret, e dalla sua sepoltura non lontano dalla croce del Calvario.
Camminiamo, come quei due discepoli sulla via da Gerusalemme a Emmaus (cfr. Lc 24,13ss).
2. Ed ecco la Chiesa si accosta a noi- come quello sconosciuto che si avvicino ai discepoli, camminando con loro verso Emmaus - e svolge dinanzi a noi, in una serie di letture, la sua ispirata "pedagogia".
Mostra l'eterno disegno di Dio che si sviluppa attraverso tutta la storia dell'uomo, iniziando dalla creazione, attraverso la vocazione di Abramo e, in seguito, del popolo che da lui ha preso il suo inizio. Parlano i patriarchi e i profeti, parlano gli avvenimenti, che tutti insieme conducono in definitiva all'avvenimento di questa notte pasquale: "Lumen Christi!" 3. Ecco la luce che illumina l'intero passato, svela il profondo significato di tutti i libri dell'antico testamento e di tutte le letture di questa liturgia.
La luce di Cristo camminava davanti all'uomo sin dall'inizio della sua storia terrena. Sin dalla creazione, dall'"albero della conoscenza del bene e del male", fin dalla tentazione e dal peccato... camminava questa luce! La sua potenza è così grande, che la Chiesa non esita nella liturgia di questa notte di veglia ad esclamare: "O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem".
Felice colpa! Abbiamo ascoltato queste parole nell'annunzio pasquale dell'"Exsultet", cantato dal diacono.
Infatti questa notte di veglia ci invita alla gioia più grande, alla gioia della Pasqua di Cristo: "Lumen Christi!".
Tale è la potenza di questa luce, che essa è capace di trasformare il buio, sia esterno che interiore, in giorno: "haec est Dies".
Il giorno fatto dal Signore! Con la potenza della Pasqua di Cristo, dovunque "è abbondato il peccato" cioè la morte, può sovrabbondare la grazia, cioè la vita (cfr. Rm 5,20).
4. Quindi prima che le tre donne, delle quali parla il Vangelo di questa veglia pasquale, trovino sul luogo della sepoltura di Cristo il masso rotolato via, la Chiesa scende insieme con noi nel profondo di questa morte, che ha portato una tale sovrabbondanza di vita.
"O Mors - ero mors tua!" Seguendo le parole dell'Apostolo nella lettera ai Romani, scendiamo nella storia del peccato umano fino al suo primo inizio.
Con il peccato la morte è entrata nel mondo (cfr. Rm 5,12).
E perciò durante questa notte di veglia siamo battezzati nella morte di Cristo. Siamo sepolti insieme con lui nella morte, perché possiamo camminare in una vita nuova, come Cristo (cfr. Rm 6,4).
Cristo infatti è risorto.
"Mori al peccato... vive per Dio" (cfr. Rm 6,10).
Il nostro uomo vecchio - l'uomo del peccato - deve "essere crocifisso con lui", con Cristo, perché noi, mediante la partecipazione alla sua morte - alla sua morte redentrice -, diventiamo liberi dal peccato.
5. Cari fratelli e sorelle, che durante questa veglia pasquale riceverete il Battesimo che immerge nella morte di Cristo, l'intera Chiesa e il Popolo di Dio che gremisce questa venerata Basilica di san Pietro vi salutano, mentre state per ricevere la nuova vita in Cristo. In voi intendo rivolgere il mio deferente saluto ai vostri rispettivi Paesi da dove provenite: Corea, Germania, Giappone, India, Indonesia, Isole Capo Verde, Italia, Perù, Stati Uniti d'America, Ungheria e Vietnam.
Provenendo dalle diverse parti del mondo, voi rispecchiate l'universalità della Chiesa, la portata universale della redenzione. La vostra nascita mediante il Battesimo alla vita nuova in Cristo è per noi tutti una sorgente particolare della gioia pasquale.
"Celebrate il Signore perché è buono; perché eterna è la sua misericordia" (Ps 118[117],1).
6. Noi tutti prenderemo in mano, insieme con voi, una candela pasquale accesa.
Essa è testimone del nostro Battesimo, della nostra fede, speranza e carità. E' testimone di questa notte di veglia, nella quale la Chiesa non esita a cantare "O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem".
Ecco, le ore di questa veglia notturna avanzano. Tra breve verrà l'alba.
Le tre donne avendo trovato la tomba di Cristo vuota, e la pietra rotolata via, si sentiranno dire: "E' risorto, non è qui... / andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro" (Mc 16,6-7).
"Haec est Dies, quam fecit Dominus".
Noi tutti entreremo in questo giorno della Pasqua di Cristo, e le candele accese nella notte di veglia testimonieranno fino alla fine dei nostri giorni terreni: "Lumen Christi"! Si, Cristo è la luce! Amen.
Data: 1988-04-03 Data estesa: Domenica 3 Aprile 1988
GPII 1988 Insegnamenti - Ai partecipanti al colloquio "I credenti in URSS oggi" - Città del Vaticano (Roma)