GPII 1988 Insegnamenti - Nella Biblioteca Capitolare con rappresentanti di istituzioni culturali - Verona
Titolo: La scienza, la vera scienza, non distrugge ma edifica!
Testo:
Reverendi canonici e sacerdoti, illustri accademici e fratelli tutti!
1. Ritrovarmi all'interno di questo storico centro di studi, che monsignor prefetto ha meritatamente chiamato antico e venerando, costituisce per me un onore e un piacere. E proprio a tali sentimenti s'ispira il saluto che desidero rivolgere a ciascuno di voi, quali rappresentanti di una Chiesa cattedrale, che qui custodisce non pochi dei codici più preziosi della tradizione ecclesiastica ed umanistica di questa nobile terra; e quali rappresentanti, altresi, delle maggiori istituzioni culturali di Verona: l'Università degli Studi, gli Studi Teologici intitolati a san Zeno e a san Bernardino, l'Istituto ecumenico e, in generale, il mondo della cultura e della scienza che qui trova una fonte privilegiata di alimentazione e di crescita.
Voi tutti - secondo le rispettive attribuzioni e competenze - siete gli eredi ed i primi fruitori del ricco patrimonio culturale che si raccoglie in questa prestigiosa biblioteca, e che da parte vostra sviluppate col vostro contributo originale di pensiero, di ricerca e di iniziative, di cui l'università e gli altri istituti costituiscono il punto di riferimento per un reciproco confronto e una feconda collaborazione.
L'incontro di stasera mi offre la gradita occasione di sottolineare e confermare la grande attenzione e il particolare interesse, che la Chiesa ha dimostrato nei secoli verso la cultura e tutte le sue manifestazioni.
Non v'è dubbio che voi, operatori della cultura e della scienza, avete oggi una singolare responsabilità, perché è da voi che gli uomini si attendono risposte adeguate e puntuali per non pochi dei problemi antichi e nuovi che li travagliano. E se le vostre risposte saranno nel "segno del bene", se soprattutto saranno sempre rispettose della vita e della dignità della persona umana, è facile immaginare quale beneficio voi potrete arrecare all'intera umanità.
Non meno che nel passato, quando la cultura era strettamente ancorata agli interrogativi più profondi dell'uomo, nel tentativo di scrutarne il mistero, e costituiva il punto più avanzato dell'incontro tra ragione e fede, anche oggi la cultura è chiamata al confronto permanente in ragione dei rispettivi e ben distinti settori di competenza, ma non sarebbe giusto (non lo è stato mai!) contrapporre e dichiarare tra loro inconciliabili la cultura e la fede. E' vero certamente che il concetto di cultura oggi è divenuto più vasto, si è fatto più articolato e complesso rispetto al passato; tuttavia, la fede non ha nulla da temere dall'incontro con essa. E' vero, anzi, che la Chiesa stessa sollecita un tale incontro, nella convinzione che, più la cultura si dimostra aperta alle istanze della fede - alla quale essa, a sua volta, dà un valido apporto -, più sarà in grado di rendere un servizio qualificato all'uomo.
La fede cristiana è sempre amica di quella cultura che favorisce la promozione integrale dell'uomo, e perciò apprezza e incoraggia - lo conferma la storia bimillenaria della Chiesa - sia le discipline umanistiche sia le scienze cosiddette esatte.
2. Proprio a riguardo di questo settore delle scienze e della ricerca scientifica mi sia consentito un rilievo. Indubbiamente le scienze devono seguire le leggi e le metodologie che sono loro proprie; tuttavia, per essere veramente tali e sempre al servizio dell'uomo, non potranno mai prescindere dalle norme morali, che presiedono al dinamismo della natura e della vita stessa. Lungi dal contrastare con la normativa intrinseca alle singole discipline scientifiche, il rispetto della normativa etica varrà a garantire ad esse quella indeclinabile finalizzazione umana che i loro cultori - scienziati, tecnici, ricercatori - certamente si prefiggono nella loro meritoria fatica. Basta un semplice sguardo ai campi più avanzati della fisica atomica e della biologia molecolare: la scienza si è spinta molto avanti nella conoscenza del nucleo dell'atomo e del nucleo della cellula: ma chi ignora che accanto ai mirabili vantaggi, ove si disattendessero le superiori istanze morali, si potrebbero avere anche funeste conseguenze? 3. No, la scienza, la vera scienza non distrugge, ma edifica! Come ha autorevolmente scritto il Concilio Vaticano II, "La ricerca metodica in tutte le discipline, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio" (GS 36). Non solo, ma l'approccio e la conoscenza della natura e dell'uomo avviano sulle strade che conducono a Dio, mentre "l'oblio di Dio priva di luce la creatura stessa" (GS 36).
Dinanzi ad un'assemblea qualificata, qual è la vostra, mi è caro, pertanto, auspicare ancora una volta che tra fede e scienza si accresca la stima reciproca, per concorrere all'attuazione del progetto originale e provvidenziale che Dio creatore ha predisposto per l'uomo, che è sua creatura ed è suo figlio! Parlando a nome della Chiesa, ancora una volta io invito voi, uomini della cultura e della scienza, a riaffermare il primato dell'uomo, tenendo sempre conto che il suo riferimento e il suo anelito a Dio sono insopprimibili. A voi è affidato il compito, talora difficile, ma non impossibile, sempre esaltante, di coniugare scienza e fede.
A tal fine invoco su di voi e sul vostro lavoro l'assistenza della celeste Sapienza, mentre a conferma della mia stima vi imparto la benedizione apostolica.
Data: 1988-04-16 Data estesa: Sabato 16 Aprile 1988
Titolo: Le nuove sfide alla fede oggi: l'indifferenza religiosa e l'incapacità di superare la soglia meschina dell'utile
Testo:
1. Cari fratelli e sorelle, membri dei consigli pastorali vicariali, responsabili della catechesi agli adulti e fedeli della parrocchia, sono lieto di porgervi il mio saluto in questa splendida Basilica, preziosa per insigni ed antiche opere d'arte, singolarmente cara alla devozione di tutti i veronesi.
Saluto il vostro Vescovo, il caro monsignor Amari, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto, interpretando i vostri sentimenti ed informandomi circa la vostra attività a servizio della pastorale e dell'istruzione della vostra comunità diocesana.
L'odierna celebrazione assume un particolare significato per la suggestione del luogo in cui ci troviamo: la Chiesa che i vostri padri dedicarono a san Zeno, patrono di questa città e diocesi. Qui sono custodite le sue spoglie mortali. E' proprio in questo luogo che noi raccogliamo la testimonianza della sua predicazione, trasmessa dai vivaci e concreti sermoni, che egli rivolse alla popolazione veronese del suo tempo, guidandola sulle vie del Vangelo. E la suggestione è accresciuta dal ricordo di un altro grande Vescovo, sant'Adalbero, di cui cinque anni fa avete solennemente commemorato il millennio della ordinazione episcopale, conferitagli proprio in questa vostra città. così la figura del santo Vescovo di Praga, apostolo degli slavi, missionario e patrono della Polonia, si congiunge a quella di san Zeno, evangelizzatore di queste terre, e perciò vostro padre nella fede.
2. Sulla scia tracciata da tali evangelizzatori vi siete proposti, in questi anni, di porre un particolare impegno nella evangelizzazione e nella catechesi del mondo degli adulti, cercando in tutti i modi di trovare nuove occasioni di annuncio e di incontro. E' una linea pastorale che incoraggio di cuore.
La parola di Dio, che abbiamo or ora ascoltata, ci offre utili indicazioni al riguardo. Innanzitutto con le appassionate espressioni di san Paolo, che ben potremmo immaginare sulle labbra del vostro patrono come rivolte a voi tutti, fedeli di questa Chiesa veronese, ed in modo particolare a voi, catechisti e operatori pastorali, che più direttamente collaborate all'edificazione di questa comunità cristiana.
Essere evangelizzatori efficaci nel nostro mondo, come lo furono san Paolo, san Zeno e sant'Adalberto nei loro tempi, è certo il desiderio più vivo che portate nel cuore. A questo desiderio sincero e profondo risponde con vivacità e immediatezza il quadro di vita, presentatoci dal Vangelo di Marco (Mc 6,30-34). In una scena di rara efficacia, infatti, dove il ritmo incalzante degli eventi sembra sottolineare l'urgenza della missione, ci vengono offerti alcuni tratti essenziali dell'azione evangelizzatrice: il ritorno dei missionari da Gesù, il desiderio del Maestro di sostare con loro, la pressione della folla disorientata, la compassione di Cristo, che risponde al bisogno della gente con un prolungato insegnamento.
Identificandoci con i discepoli, anche noi possiamo davvero assumere questo racconto evangelico come un paradigma ed un programma per la nostra formazione al compito di annunciatori.
3. "Riferirono quanto avevano fatto e insegnato". Mandati, con lo stesso potere di Gesù (Mc 6,7), per quella missione di proclamazione della salvezza (Mc 6,12-13) che costituiva la ragione primaria della loro chiamata (Mc 3,14-15), ora gli apostoli si radunano nuovamente attorno al loro Maestro.
Come ogni missione evangelizzatrice deve partire dal Signore, così ogni esperienza di annuncio, una volta attuata, a lui deve tornare come al suo punto di riferimento e di confronto. Questo ritrovarsi degli evangelizzatori con Gesù appare come il momento di una seria verifica, in cui essi prendono coscienza della loro identità di "mandati", approfondiscono il significato della loro missione, apprendono a lodare Dio e a gioire per le meraviglie da lui compiute.
Proprio a questa pedagogia evangelica ed ecclesiale occorre che si ispirino la vita e l'opera del catechista. In verità dai tempi in cui san Zeno predicava a difesa della fede cristiana, nel contesto confuso dell'eresia (S. Zenonis "Sermones", II, 3), ed esortava ad abbracciarla con tenacia, a custodirla con ogni genere di virtù, ad applicarsi ad essa con coraggio, perché essa è il fondamento stabile della vita (cfr. S. Zenonis "Sermones", I, 36,2), l'impegno della Chiesa veronese nell'opera di evangelizzazione non ha conosciuto soste, ed anche nei tempi recenti la catechesi si è fatta puntuale e costante veicolo di annuncio della parola di Dio.
Voglio solo ricordare la splendida fioritura di iniziative per l'educazione cristiana, la trasmissione della fede e la testimonianza della carità che ha contraddistinto nel secolo scorso la vostra comunità ecclesiale. A coronamento di questa lunga storia di evangelizzazione e di fede, oggi proporro alla venerazione della Chiesa, come modelli di vita e di testimonianza cristiana, le figure a voi care di mons. Nascimbeni e di don Calabria.
Insieme possiamo davvero gioire e lodare il Signore per le cose stupende che egli ha compiuto in mezzo a voi e attraverso la vostra Chiesa. Voi siete oggi il segno vivo di una lunga tradizione, siete il ponte che Verona lancia verso le generazioni del suo futuro.
Voi lo guardate con motivata speranza, anche se lo vedete non privo di problemi e di interrogativi.
4. Proprio nella coscienza delle nuove sfide che la società e la cultura moderna lanciano alla fede tradizionale, la vostra Chiesa, in questi anni, ha fatto la scelta prioritaria di nuove forme di evangelizzazione e di catechesi per il mondo degli adulti.
L'impegnativo cammino iniziato ha già dato qualche frutto, ma ha anche messo in luce le molteplici difficoltà che l'evangelizzatore d'oggi deve affrontare. Avete così sentito il bisogno, in questo anno pastorale, di confrontare e verificare le iniziative di catechesi in atto, per valutare con cura in quali condizioni l'annuncio del mistero di Cristo può avere efficace riscontro nella complessa vita dell'adulto di oggi.
Mi compiaccio con voi e con voi lodo il Signore per questa rinnovata opera evangelizzatrice. Partecipo alle vostre difficoltà e desidero confortare ed incoraggiare il vostro cammino.
5. In questo incontro, pero, Gesù maestro rivolge a voi un altro invito: "Venite in disparte... riposatevi un po" (Mc 6,31). E' un richiamo che non si può eludere, perché in esso sta la segreta efficacia dell'azione apostolica.
La pressione delle folle, le esigenze immediate dell'operatività, la complessità dei problemi da affrontare possono esporre al pericolo della distrazione e della dispersione o indurre nella tentazione della illusione e dello scoraggiamento.
Occorre, quindi, che il discepolo si illumini costantemente nella contemplazione del mistero divino, dal quale e verso il quale tutta la sua azione si muove. Senza intimità con Cristo la parola perde la sua forza e il suo contenuto, il gesto scade nell'efficientismo inconcludente, l'esigenza del servire si trasforma in inquietudine.
L'odierno incontro vuole essere anche per voi un'occasione privilegiata per "ritirarvi in disparte" e ricevere nuovamente da Gesù istruzioni e grazia per proseguire sulle sue orme l'opera dell'evangelizzazione.
6. "Vide molta folla e si commosse". La presenza discreta e carica di attenzione per i complessi risvolti di ogni situazione concreta, è il primo atteggiamento che Gesù suggerisce agli evangelizzatori.
Oggi, di fronte alle contraddizioni del mondo adulto, e alla rapidità delle trasformazioni, l'evangelizzatore potrebbe sentirsi scoraggiato e subire la tentazione di limitare, con diversi pretesti, il suo impegno missionario. Occorre ravvivare l'invito del Maestro: a tutto il mondo! A tutte le creature! Fino agli estremi confini della terra! Certamente anche nella vostra terra si sono prodotte negli ultimi decenni trasformazioni economiche, sociali e culturali che hanno mutato il tessuto religioso di un tempo. E' possibile, perciò, che il vostro rinnovato slancio missionario incontri il clima di un secolarismo per il quale è divenuta irrilevante ogni ricerca della trascendenza e dei significati ultimi della vita.
Forse l'annuncio evangelico si trova di fronte al muro dell'indifferenza religiosa, determinata dall'impoverimento degli interessi incapaci spesso di oltrepassare la soglia meschina dell'utile, dell'effimero, dell'appagamento dei bisogni immediati. Si tratta delle nuove sfide che la fede deve affrontare.
San Zeno denunciava per il suo tempo la situazione spirituale dei credenti incerti ed incoerenti: "Non sono fedeli perché hanno in loro una qualche infedeltà, non sono infedeli perché c'è in loro un'ombra di fede, in quanto con le parole servono Dio, con i fatti il mondo" (S. Zenonis "Sermones", I, 35,2).
Tra i credenti si può ben annidare il pericolo di una tale soggettivizzazione della fede e delle scelte morali, per cui si accetta solo parzialmente e con riserva il contenuto della fede ecclesiale. Di fronte a queste situazioni l'evangelizzatore non deve scoraggiarsi nè innalzare barriere incolmabili. Il suo atteggiamento è quello della "compassione" del buon Pastore di fronte al gregge disperso. La compassione non è nè un semplice atteggiamento psicologico nè quella passività acritica che a tutto accondiscende e s'adatta.
Essa riflette, invece, quel lasciarsi commuovere di Dio per le schiavitù e le resistenze del suo popolo che lo porta a rinnovare, in modo creativo, l'offerta dell'alleanza e della salvezza.
7. E' quanto fa, appunto, il buon Pastore: "Insegnava loro molte cose" (Mc 6,34).
E' questo ancor oggi il dono che la Chiesa, fedele all'esempio di Cristo, può fare agli uomini del nostro tempo. Tale dono è anche nelle vostre mani di testimoni e di catechisti. In un contesto di lunga tradizione cristiana come quello della Chiesa veronese - dove il seme della parola, pur in mezzo a fatiche e rischi, è ancora presente, assume particolare importanza la proposta di una catechesi approfondita. Essa, infatti, può portare anche cristiani incerti o poco informati a dire il loro "si" convinto e consapevole a Gesù Cristo (cfr. Mc 6,20).
Al centro di tutta l'azione catechetica, che la vostra Chiesa ha posto come primo obiettivo del proprio piano pastorale, deve essere collocato il mistero di Cristo. E' in lui che si svela e si dona il mistero di Dio-Trinità. E' nella sequela di lui, che lo Spirito ci introduce nell'amore del Padre per partecipare alla vita trinitaria (cfr. Mc 6,5). E' lui la verità che ogni catechista deve fedelmente annunciare (cfr. Mc 6,6).
E' in lui che ogni uomo può trovare con stupore sempre rinnovato la risposta alle domande più profonde circa la verità e la salvezza.
8. A lui dunque guardate, carissimi catechisti e responsabili dell'attività pastorale. In lui cercate luce per le vostre menti e calore per i vostri cuori.
Lui è e resta l'unico Maestro. Parli lui con le vostre labbra, lui risplenda nella vostra vita! Con questi sentimenti rinnovo per tutti voi il mio saluto e l'augurio che la forza di Cristo vi sostenga e vi conforti nel vostro lavoro, mentre imparto a tutti la benedizione apostolica, estensibile agli amici, alle famiglie, a tutte le persone care, soprattutto a coloro che incontrerete nelle diverse mansioni pastorali che la Chiesa vi affida.
Data: 1988-04-17 Data estesa: Domenica 17 Aprile 1988
Titolo: La solidarietà accolta come norma morale nella pruduzione trasforma le opere umane in strumenti di servizio ai fratelli
Testo:
Illustri signori, gentili signore.
1. Non poteva mancare, nella cornice della mia visita pastorale a Verona, uno speciale incontro con i rappresentanti della vita economica di questa città e della provincia, che è a tutti ben nota per la sua operosità e per i prestigiosi traguardi raggiunti in questo campo.
Il posto stesso dove ora ci troviamo ne è eloquente testimonianza. E' qui che si svolgono, tra altre manifestazioni di tale ricca operosità, le varie fiere, e anzitutto la fiera delle macchine agricole, ben nota anche oltreoceano.
Siamo dunque, per così dire, nel vostro ambiente proprio, e ciò senza dubbio ci invita a riflettere insieme su quei grandi temi della vita umana, della cultura e della società, che sono il lavoro, l'impresa, la produzione di beni e di servizi.
2. Rivolgo a tutti il mio saluto deferente e cordiale. Ho ascoltato con grande attenzione le parole del vostro portavoce e debbo dire che sono stato colpito dalla loro schiettezza e dal loro realismo, ma anche, e più, dalla loro carica ideale.
Si, il lavoro, sotto ogni sua forma, è una componente essenziale della vita umana; o, come ho scritto nell'enciclica "Laborem Exercens", "una dimensione fondamentale dell'esistenza umana sulla terra" (LE 4). Questa "dimensione fondamentale" si concretizza oggi nella realtà dell'impresa, della fabbrica, del laboratorio, dei vari uffici. E' una realtà pluralistica e molto diversificata, in cui pero si avvertono elementi comuni, che convergono in un grande disegno di base: la trasformazione di una materia, o di qualcosa di preesistente, per farne scaturire, mediante la collaborazione dell'intelligenza e del lavoro manuale, beni e servizi ad uso della comunità degli uomini. E' uno scopo che chiama ugualmente in causa il capitale, ossia gli investimenti di diverso tipo, la tecnologia e l'impegno di ogni singolo operaio.
3. In questo quadro così complesso dell'impresa moderna e della sua funzione sociale, la prima caratteristica è certamente l'inteligenza. Ogni sua componente è ugualmente necessaria e sarebbe ozioso interrogarsi circa la preminenza dell'una o dell'altra.
Ma una simile interdipendenza esiste pure tra la società e il mondo dell'industria e dei servizi: la società ha bisogno di ciò che le attività produttive forniscono, e queste, a loro volta, hanno bisogno sia dello sbocco offerto dalla società mediante la sua capacità di acquisto, sia delle risorse che la società procura sotto forma di persone capaci di lavoro, di investimenti, di tecnologia. E siamo tutti consapevoli che tale interdipendenza non è più racchiusa entro i limiti di una società o di una nazione, ma è estesa a dimensioni continentali e intercontinentali.
Se "tutti dipendiamo da tutti" (SRS 38) in qualsiasi ambito ed ordine della vita umana, ciò risulta tanto più vero nell'ordine dell'attività produttiva e della vita economica.
Ora, questa interdipendenza così stretta e così capillare può essere subita come una coazione, ovvero accettata e assunta come un dovere morale. Quando la si interpreta in questo secondo modo - l'unico, a dire il vero, degno della vocazione umana, individuale e sociale - l'interdipendenza si trasforma, da un dato di fatto più o meno cosciente, in un valore: il valore della solidarietà.
Questo a sua volta significa, cari rappresentanti del mondo del lavoro, che le vostre attività, legate alle dimensioni terrestri della vita, hanno implicazioni morali radicali; anzi, devono essere rette da criteri morali. Il primo tra questi criteri è appunto quello della solidarietà.
4. Nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis", a cui il vostro portavoce ha fatto riferimento, sono più volte ritornato su questa nozione fondamentale (cfr. SRS 38-39, ecc.), sottolineando che si tratta di una "categoria morale", di una "virtù", non di "un sentimento di vaga compassione".
Solidarietà è la "determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune" (SRS 38). Nello stesso contesto, ho aggiunto che questo è il modo, anzi il solo modo, di vincere "con un atteggiamento diametralmente opposto", "le cause che frenano il pieno sviluppo": la "brama del profitto e la sete di potere" ad ogni costo (cfr. SRS 38).
L'applicazione del criterio della solidarietà all'attività produttiva, ed in particolare al mondo dell'impresa, ha conseguenze di grande rilevanza per la soluzione dei problemi a cui faceva riferimento il vostro portavoce. La prima conseguenza è, come ho già accennato, di ammettere che esistono criteri morali, non soltanto economici alla base dell'attività produttiva e che ad essi ci si deve attenere per ragioni di coscienza, e non soltanto di legalità. L'altra conseguenza immediata è che i protagonisti di tale attività, nel momento di affrontare le scelte operative, devono interrogarsi e decidere alla luce di tali criteri.
Tra questi, primario è sicuramente il criterio del bene comune. La norma oggettiva infatti della solidarietà è il bene di "ogni uomo e di tutti gli uomini", considerati nella loro dignità di immagini, anzi di figli di Dio.
E' chiaro che, in questa prospettiva, il solo criterio del profitto non basta, soprattutto quando fosse eretto a criterio assoluto: "guadagnare" di più, per "possedere" di più, e non soltanto oggetti tangibili, ma partecipazioni finanziarie che consentono nuove forme di proprietà sempre più larghe e sempre più dominatrici. Non che il mirare ad un profitto sia cosa di per sè ingiusta.
Un'impresa non potrebbe farne a meno. La ricerca ragionevole del profitto, del resto, è in rapporto col diritto di "iniziativa economica", che ho difeso nell'enciclica ora citata (SRS 15). Quel che intendo dire è soltanto che, per essere "giusto", il profitto deve essere sottoposto a criteri morali, in particolare a quelli connessi col principio di solidarietà.
5. Tale principio ha una sua precisa rilevanza anche nei rapporti all'interno dell'impresa, ove esige l'osservanza rispettosa dei diritti di tutti quelli che vi collaborano. L'impresa infatti non è soltanto uno strumento al servizio del benessere degli imprenditori ma è essa stessa un bene comune di imprenditori e lavoratori, al servizio del bene comune della società.
Chi vi collabora, a qualsiasi livello, possiede i diritti che corrispondono al suo ruolo nell'impegno comune, come pure i relativi obblighi, ed in particolare quei diritti e quei doveri che sgorgano dalla sua dignità di uomo o di donna, chiamato, anzi tenuto, a svolgere una vita veramente umana in ogni sua dimensione: affettiva, culturale, sociale, spirituale, religiosa. E' questo, ancora una volta, non soltanto come conseguenza delle imposizioni legali, pur esse validissime, ma per dovere di coscienza - in quanto uomo, e in quanto cristiano.
Certamente, in questa prospettiva, i più deboli, o i più poveri, richiedono un'attenzione prioritaria, come ricorda, con tutta la tradizione cristiana, la recente enciclica (cfr. SRS 42). Ci sono dei "poveri" anche nelle imprese; soprattutto ci sono i veri "poveri", cioè le masse dei disoccupati, o di quelli che sono in cassa-integrazione. La ferrea logica del profitto porterebbe a farli dimenticare, o considerare superflui, o peggio ancora, a provocarne l'aumento. Occorre invece affermare con forza che un uomo, una donna, un giovane, non sono mai superflui, nè mai si può da essi prescindere nella elaborazione di nuovi progetti.
Vorrei aggiungere ancora che gli stessi imprenditori non dovrebbero dimenticare se stessi, quando si tratta di sviluppare tutte le dimensioni di una vita veramente umana. La legge del profitto e le esigenze di un impegno imprenditoriale sempre più logorante non possono mai sostituirsi al dovere che ogni uomo e ogni donna ha di essere aperto alla famiglia, al prossimo, alla cultura, alla società, e, sopra ogni cosa, a Dio. Questa molteplice disponibilità ai valori superiori della persona umana certamente gioverà a dare allo stesso lavoro imprenditoriale il suo vero senso e la sua giusta misura.
6. Il valore della solidarietà e del bene comune deve guidare anche i rapporti tra imprese e società sia nell'ambito nazionale che in quello internazionale.
Ci sono strumenti che non dovrebbero essere prodotti, o la cui produzione e commercializzazione dovrebbe essere rigorosamente controllata. Il primo esempio sono le armi (cfr. SRS 24). Ma forse non è l'unico. Neanche qui la legge del profitto può ritenersi suprema.
Si potrebbe dire, in questo senso, che un imporante compito degli imprenditori cristiani, ma anche di quanti hanno a cuore il vero bene dell'uomo, sarebbe oggi di stabilire come una scala di priorità tra i beni da produrre. Non tutti i beni infatti sono ugualmente utili e necessari. Il criterio della solidarietà e del bene comune viene qui precisato e affinato allo scopo di farci capire meglio che certi prodotti toccano più da vicino l'"essere" dell'uomo, mentre altri non servono che all'"avere", e quindi, come tali, valgono di meno dal punto di vista umano, qualunque sia il loro valore di mercato. Moltiplicarli, con una eccessiva e artificiale sostituzione di modelli sempre nuovi e subito invecchiati, è quello che chiamiamo il "consumismo" (cfr. SRS 28). Un'impresa non dovrebbe mirare a creare dei bisogni superflui per poi cercare di soddisfarli con prodotti sempre più sofisticati, causa a loro volta di nuovi bisogni.
Tra i beni più vicini all'"essere" dell'uomo, spiccano senza dubbio quelli necessari al suo sostentamento, come gli alimenti. In questa città, e in questa fiera, non posso fare a meno di riferirmi alle ben note tradizioni in fatto di produzione agricola, e di tecnologie intese ad accrescerla e a migliorarla.
Auspico che in questo settore possano realizzarsi ulteriori progressi al servizio dei bisogni elementari dell'uomo, in Italia, ma anche in altre parti del mondo, meno favorite e meno sviluppate. La solidarietà di cui parlavo possiede infatti questa dimensione universale, poiché le decisioni che si prendono in un Paese hanno sempre riflessi, negativi o positivi, anche negli altri.
Al dovere di solidarietà e all'obbligo di promuovere il bene comune, appartiene infine il rispetto per la natura e per le risorse naturali, su cui mi sono pure soffermato nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis" (cfr. SRS 34). L'uso che le nostre tecnologie fanno di tali risorse è anch'esso sottoposto a norme morali. Non siamo padroni assoluti di questi beni, ma amministratori, doverosamente attenti alle conseguenze per l'ambiente e per la qualità della vita che le vostre decisioni hanno sia sulla generazione odierna, sia sulle generazioni future, a cui dobbiamo trasmettere un mondo abitabile.
7. Cari amici, rappresentanti del mondo del lavoro di Verona, vorrei concludere queste riflessioni sulla vostra attività economica e produttiva col riferimento ad un aspetto essenziale della vocazione cristiana, che coinvolge ogni battezzato, dando senso e valore permanente anche ad ogni impegno umano, degno di questo nome.
E' l'aspetto del servizio. Nostro Signore, pur essendo Dio, s'è fatto uomo tra gli uomini "non per essere servito ma per servire" (cfr. Mt 20,28 Mc 10,45). Ha preso infatti "la condizione di servo" (Ph 2,7). Ciò per indicare a noi tutti la strada da seguire. Ciascuno di noi, nella sua vita individuale come in quella associata, è chiamato a seguire le orme del Signore Gesù, servo di tutti per amore. E le nostre realizzazioni umane, per quanto sofisticate e complesse, tanto valgono quanto si rivelano strumenti di servizio nei confronti dei nostri fratelli e sorelle. E' questo quindi ii criterio ultimo del loro valore umano. La solidarietà si attua nel servizio.
E' in questa prospettiva che vi invito a vivere e a sviluppare la vostra attività di protagonisti nel mondo del lavoro a Verona.
Su di essa, come anche sulle vostre persone e sulle vostre famiglie, invoco la benedizione di Dio, al quale elevo per tutti voi la mia preghiera.
Data: 1988-04-17 Data estesa: Domenica 17 Aprile 1988
Titolo: Giuseppe Nascimbeni: un parroco con spirito missionario.
Giovanni Calabria: un testimone della carità verso i poveri
Testo:
1. "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24,48).
Caro pastore della Chiesa che è in Verona, signori Cardinali, diletti fratelli nell'episcopato, carissimi fratelli e sorelle della diocesi di Verona e del Veneto.
Ci troviamo nel tempo pasquale, che è iniziato con la domenica di Risurrezione per estendersi su tutto un periodo di cinquanta giorni fino a Pentecoste. Cristo destino questi giorni agli incontri con i suoi apostoli - e poi, dopo la sua Ascensione al Padre, alla loro preparazione diretta alla venuta del Paraclito.
La liturgia della Chiesa ci permette di partecipare a questo tempo beato, per così dire, in un duplice ritmo: anzitutto, quello degli eventi che ebbero luogo prima dell'Ascensione, il ritmo cioè degli incontri diretti col Signore risorto; successivamente, il ritmo delle testimonianze degli Atti degli Apostoli, le testimonianze che diedero gli apostoli subito dopo la discesa dello Spirito Santo; il tempo degli inizi della Chiesa.
Vi è uno stretto legame tra l'uno e l'altro, come lo si può bene notare nelle letture dell'odierna liturgia.
2. Cristo appare agli apostoli, ancora impressionati per la recente notizia dell'incontro sulla via di Emmaus. Stavano ancora parlandone, quando Cristo viene visibilmente in mezzo a loro e dice "Pace a voi!". Essi, tuttavia, hanno paura.
Non c'è da meravigliarsi. Gli apostoli sapevano che Cristo era morto tra le torture della croce ed era stato sepolto in una tomba. Stupiti quindi e spaventati potevano ben immaginare di vedere un fantasma (cfr. Lc 24,37).
Allora il Risorto dice loro: "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate" (Lc 24,39). Infine chiede qualche cosa da mangiare (cfr. Lc 24,41).
Un giorno l'apostolo Giovanni scriverà "Noi abbiamo veduto con i nostri occhi... abbiamo contemplato... le nostre mani hanno toccato" (1Jn 1,1). La testimonianza degli apostoli si fonda su un'esperienza diretta.
Per rispondere, fino in fondo, alla domanda dei suoi discepoli, Gesù - così come aveva fatto sulla via di Emmaus - spiego che bisognava "che si compissero tutte le cose scritte su di lui" nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi: il Cristo doveva patire e risuscitare dai morti il terzo giorno (cfr. Lc 24,44 Lc 24,46).
3. Nel giorno della Pentecoste l'apostolo Pietro ripeterà le medesime parole: "Dio ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto" (Ac 3,18). E' stato quindi condannato alla morte di croce con una sentenza umana. Ma la sentenza divina è stata diversa: "Dio l'ha risuscitato dai morti, e di questo noi siamo testimoni" (Ac 3,15).
In questo modo la Chiesa degli apostoli cresceva e si consolidava nella certezza che Gesù Cristo "è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo... abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, giusto" (1Jn 2,2 1Jn 2,1).
Coloro ai quali "ardeva" il cuore in petto - quando il Risorto spiegava le Scritture (cfr. Lc 24,32); quando si faceva conoscere nello spezzare il pane, come ad Emmaus (cfr. Lc 24,35); quando stava insieme con loro perfino a mensa - sono diventati i testimoni.
Sulla testimonianza apostolica si costruisce la fede della Chiesa, di generazione in generazione.
4. Una tale fede, nutrita costantemente dall'Eucaristia, rinnovata dalla preghiera e anche dalla lettura e dalla conoscenza dei Libri Sacri, ha formato la vita della Chiesa in mezzo ai singoli popoli e nazioni.
Coloro che come testi oculari hanno avuto la certezza della verità rivelata in Cristo, sono diventati in seguito i testimoni e il fondamento della viva tradizione.
Venendo oggi nella vostra città, a Verona, e avendo davanti agli occhi tutto ciò di cui è costituito il suo passato e il suo presente - la sua eredità cristiana - oserei ripetere a tutti voi che siete qui ciò che Cristo ha detto agli apostoli: "Di questo. siete testimoni" (Lc 24,48) anche voi.
Queste parole non diventano forse particolarmente attuali in questa circostanza, considerando proprio l'opera dei due figli di questa Chiesa, che mediante la beatificazione ottengono oggi la glorificazione nella vostra comunità cristiana!
5. Giuseppe Nascimbeni, un sacerdote della vostra diocesi, un parroco della vostra terra, un pastore d'anime legato ai problemi pastorali ed alle istanze sociali di una popolazione tanto vicina per costumi e tradizioni alla gente veronese di oggi.
Eppure un testimone singolare del Cristo per la sollecitudine amorosa, intelligente e fattiva verso le necessità del suo popolo; un pioniere nel promuovere opere e servizi sociali, e nell'aprirsi cristianamente alle esigenze via via incalzanti del tempo.
La fonte del suo zelo per le anime era l'Eucaristia, della quale era innamorato, al punto di non decidere mai alcuna questione importante senza avere prima pregato a lungo davanti al Santissimo Sacramento. Visse la sua missione di parroco con spirito missionario, aperto alle necessità della Chiesa, dedito a costruire o ricostruire la fede e l'esperienza di Cristo nell'anima dei suoi fedeli. Per questo istruiva i fanciulli ed i fedeli con costanti predicazioni, era particolarmente sollecito nell'insegnamento della catechesi, premuroso nell'offrire agli adulti occasioni di riflessione sulla dottrina e sulla morale cristiana, generoso nel provvedere alla formazione dei giovani attraverso gli oratorii maschile e femminile. Questi strumenti di apostolato, che sono nella tradizione di codesta Chiesa di Verona, costituirono la palestra della sua santificazione come pastore d'anime. Con tali mezzi riusci ad inserirsi pienamente nella vita del suo popolo, che amava e voleva condurre a Dio.
Era attento a comporre gli odii, a provvedere alle necessità dei più poveri, premuroso verso i lontani, che cercava con zelo, verso i malati, i soldati, i migranti, i poveri, "ritenuti i suoi padroni perché gli rubavano il cuore" (cfr. "Informatio super virtutibus", 55).
Con questo spirito apostolico istitui la congregazione delle "Piccole Suore della Sacra Famiglia", per estendere ancor più, mediante la loro opera, il suo ministero di parroco. Egli volle legare la Congregazione al lavoro pastorale nelle parrocchie con l'intento che fosse da essa propagata la devozione alla Famiglia di Nazaret, modello di vita e di santità per tutte le famiglie cristiane.
6. Don Giovanni Calabria è un altro testimone che ha lasciato una profonda traccia nella vostra Chiesa: testimone della carità verso i poveri, dello zelo per le anime, dell'amore intenso per Dio.
Esperto della povertà, come sapete, perché nato da famiglia poverissima; aiutato egli stesso dalla carità nel periodo dei suoi studi, amo soprattutto i giovani poveri, gli orfani, gli abbandonati. La sua esperienza gli aveva offerto una particolare sensibilità e capacità nell'avvicinare i giovani lontani dalla fede, sprovvisti di aiuti, bisognosi soprattutto di calore familiare.
Fu proprio la singolare e vasta esperienza della povertà che suscito in lui la fiducia illimitata nella Provvidenza di Dio. Egli chiamo sempre "opera del Signore" le sue iniziative e le sue fondazioni. E' noto che fin da giovane egli era stato fortemente impressionato dalle parole del Vangelo: "Non vi angustiate per il cibo e il vestito: il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno.
Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33). Con questo animo egli chiamo la sua famiglia religiosa "Poveri Servi della Divina Provvidenza" affidando ai suoi figli spirituali il compito di andare là "dove non c'è niente di umano da ripromettersi".
Questo progetto di carità, umanamente paradossale, così audace, così fiducioso, così singolare, non può non colpire e indurre a rendere grazie a Dio, che ha suscitato in mezzo a noi un tale testimone di fiducia senza riserve nella parola del Vangelo.
Ma di don Calabria occorre ancora ricordare l'amore per la Chiesa. Il gemito degli ultimi anni della sua vita, come è noto, era quasi un riflesso dell'angoscia del Crocifisso per le anime. Egli riferiva come voce del Signore quel sospiro tanto insistente: "La mia Chiesa, la mia Chiesa". Da questo amore sofferto per la Sposa di Cristo nacque in don Calabria la dedizione ai sacerdoti ed ai religiosi. Voi ricordate ancora i suoi appassionati, sofferti, arditi appelli alle autorità ecclesiastiche, ai sacerdoti, ai religiosi, ai sacerdoti in difficoltà, per chiedere a tutti un radicale rinnovamento di vita, un ritorno vigoroso alla "apostolica vivendi forma". Tale messaggio al clero ed alle persone consacrate non deve essere dimenticato. La vostra Chiesa ha il compito e l'eredità di mantenerlo vivo e di testimoniarlo con generosità e vigore nel nostro tempo.
L'amore alla Chiesa suscito in don Calabria anche l'impegno per l'unità dei cristiani.
Egli prego per questo scopo, ebbe contatti di amicizia con membri di altre Chiese e comunità ecclesiali, offerse l'abbazia di Maguzzano come sede della sezione italiana della "Catholica Unio". Dalle sue lettere risulta chiaramente la sua intuizione che la piena comunione dei cristiani passa per una via importante, quella che cerca di coinvolgere l'intero Popolo di Dio nel desiderio e nella ricerca dell'unità desiderata da Cristo.
7. Ecco, fratelli e sorelle carissimi, due esempi che il Signore ha suscitato in mezzo a voi, due testimoni della vostra fede, due modelli per l'impegno che vi riguarda nel tempo presente.
Essi continuano a parlare a noi oggi della santità della famiglia cristiana, della carità verso i giovani, della comprensione per le loro miserie, al fine di sanarle e di redimerle.
Essi esortano alla santificazione le anime consacrate a Dio nel ministero e nella vita religiosa; ed incitano ad un affetto premuroso per la Chiesa di Cristo, per le sue sofferenze ed i suoi problemi, per la Chiesa che Gesù chiama "sua" con ineffabile amore.
Queste voci, rese autorevoli dalla santità, suggeriscono alla Chiesa veronese di oggi un programma impegnativo di vita, un progetto di lavoro pastorale urgente e vigoroso per tutti. Occorre salvare la famiglia, salvarla dalla disunione, dalla meschinità dell'edonismo, dalla tentazione di fuga dalle leggi morali che la riguardano o dalle esigenze dell'amore vero e santificante. Occorre salvare i giovani dal degrado di una vita priva di ideali. Occorre essere, come gli apostoli, testimoni di Cristo, consci della sua presenza in mezzo a noi, affinché dall'amore di Cristo nasca per tutti la forza dell'impegno severo, e nello stesso tempo liberante, che solo può condurre a un domani migliore.
8. Ecco, in questo giorno solenne entrambi i beati ascoltano insieme con noi la voce della Chiesa, che si esprime con le parole del salmista: "Sappiate che il Signore fa prodigi per il suo fedele" (Ps 4,4).
Veramente. Il Signore fa così.
I vostri beati lo confermano. Confermano anche la verità delle parole della prima lettera di san Giovanni apostolo: "Chi osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto" (1Jn 2,5).
Quindi noi tutti ringraziamo il Risorto per la testimonianza dell'amore perfetto di Dio e del prossimo, che si è fatta vedere nella vita dei nuovi beati, Giuseppe e Giovanni.
Ardono i nostri cuori... quando il Signore parla a noi col vivo esempio di fratelli e concittadini.
Ardono... ritrovano coraggio, riacquistano la fede nel bene e nella verità. Diventiamo così come i primi discepoli di Cristo nel cenacolo; Cristo appare in mezzo a noi, oggi, e dice: "Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?... Sono proprio io" (Jn 24,38-39).
Si! Lui è in mezzo a noi: "Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!" (He 13,8). Resta con noi! Trasformaci! Sii la nostra vita.
"Sono proprio io".
Amen.
Data: 1988-04-17 Data estesa: Domenica 17 Aprile 1988
GPII 1988 Insegnamenti - Nella Biblioteca Capitolare con rappresentanti di istituzioni culturali - Verona