GPII 1988 Insegnamenti - Omelia durante la celebrazione eucaristica in piazza della Pace - Parma
Titolo: La Chiesa che annuncia la salvezza è Chiesa dei poveri perchè cerca di vivere le beatitudini evangeliche
Testo:
1. "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola" (Ac 4,32).
Con la lettura degli Atti degli Apostoli la liturgia odierna ci consente di ritornare alla primitiva comunità cristiana, che dopo la Pentecoste si era formata a Gerusalemme intorno agli apostoli. "Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42).
Rivolgiamo quindi il nostro pensiero a quella comunità, a quella Chiesa di Gerusalemme, che è, possiamo dire, il primo modello e la madre di tutte le comunità, di tutte le Chiese, che nel corso dei secoli sono cresciute e si sono diffuse in tutta la terra.
Intanto anche noi, riuniti oggi qui a Parma, nel sentire la viva unione con tutta la Chiesa dell'Appennino e della pianura emiliana, e con le Chiese di tutti i Paesi e continenti, desideriamo rendere questa testimonianza nella nostra comunità: cioè che anche adesso, verso la fine del secondo millennio dopo Cristo tutti i credenti sono "un cuore solo e un'anima sola".
Desidero che la presenza e il servizio del Vescovo di Roma, il suo "ministerium Petrinum", facciano di questa nostra celebrazione una testimonianza ancor più significativa.
2. Con questo sentimento rivolgo al vostro Vescovo, monsignor Benito Cocchi, il mio cordiale saluto, e, con lui, al venerato monsignor Amilcare Pasini, il cui esempio di fede e di fortezza d'animo è di edificazione per tutti. Desidero poi salutare tutti i sacerdoti e i diaconi del presbiterio parmense; i religiosi e le religiose che collaborano nell'apostolato o che vivono nei monasteri contemplativi. Saluto con particolare affetto i membri degli istituti missionari e delle congregazioni religiose che hanno avuto in questa città la loro origine.
Saluto, da questa "piazza della Pace", tutta la Chiesa di Parma, le sue parrocchie della collina, della pianura della città vecchia e nuova, il suo popolo fedele, impegnato nel testimoniare Cristo, in comunione con la Chiesa universale, mediante generose opere ed organizzazioni di carità. Saluto questa Chiesa che vive il suo servizio al Vangelo col desiderio vivo di far conoscere, in umiltà e semplicità, il messaggio della salvezza agli uomini del nostro tempo, a quelli che subiscono le tentazioni dell'agnosticismo, dell'indifferentismo religioso, della disattenzione al messaggio etico che scaturisce dalla fede cristiana. Saluto tutti gli uomini e le donne di buona volontà, credenti e non credenti. A tutti la Chiesa si rivolge con un intenso desiderio di dialogo e di collaborazione, per contribuire in ogni circostanza alla promozione del bene comune nella giustizia, nella pace, nella solidarietà: a tutti, in primo luogo vuole annunciare Cristo, portare il Vangelo.
I meravigliosi monumenti che la cristianità parmense antica ha fatto sorgere sull'originaria città romana, parlano, come in una catechesi visiva, della fede dei vostri padri.
Parlano di Cristo la Cattedrale e le numerose chiese romaniche; parla il battistero con le sue sculture e pitture; parla della vostra devozione alla Vergine la più famosa delle Chiese da voi dedicate alla madre di Dio, santa Maria della Steccata. E come non ricordare, per Parma e per tutta l'Emilia, tra i tanti Santuari dedicati alla Madonna nel territorio della diocesi, il Santuario di Fontanellato, in cui si venera la Vergine del Rosario? La vostra fede ha, quindi, radici antiche e talvolta segnate da intenso travaglio spirituale. Lo dicono la storia delle tensioni vissute ai tempi dell'arianesimo, le vivaci contese della lotta per le investiture, le alterne vicende che hanno dato origine all'identità sociale, politica e culturale di questa terra.
Voi ora continuate la via impegnativa, faticosa ma esaltante, di una evangelizzazione rinnovata per il nostro tempo. Siate coraggiosi e fiduciosi nelle attuali vicissitudini! Mi compiaccio con voi per i vostri sforzi e le iniziative di apostolato che avete in programma: la preparazione del Sinodo, la catechesi capillare per gli adulti, la collaborazione dei laici all'opera di apostolato, la promozione delle numerose associazioni giovanili, aperte alla vita ecclesiale di tutta la diocesi.
Formulo per questa Chiesa l'auspicio che lo Spirito Santo susciti nuove vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata nel numero e nella qualità richiesti per l'annuncio al mondo di oggi del Cristo risorto.
3. "Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù, e tutti essi godevano di grande stima" (Ac 4,33). così gli Atti degli Apostoli descrivono la prima comunità di credenti.
La testimonianza di Cristo crocifisso e risorto rendeva presente la sua persona. Egli, fino a poco tempo prima, percorreva la Palestina e la città santa; risuonavano ancora recentissime le parole che aveva proclamato, l'intero Vangelo del Regno di Dio.
Mediante la voce degli apostoli, la testimonianza dello Spirito consolatore, che essi avevano ricevuto il giorno della Pentecoste, raggiungeva gli animi e i cuori. Questa presenza, invisibile ma reale, dello Spirito di verità, insieme al servizio apostolico dell'insegnamento, faceva si che tutti i credenti avessero "un cuore solo e un'anima sola".
E' significativo che questa unità si sia manifestata anche nell'ordine sociale. "Nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune... Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno" (Ac 4,32 Ac 4,34-35).
4. La prima comunità cristiana si è distinta soprattutto per il grande slancio nel vivere secondo il Vangelo in ogni circostanza: per ciò che ciascuno "era" e per quello che ciascuno "aveva". Certamente era chiaro ed ovvio per loro che è più importante ciò che l'uomo "è", di ciò che l'uomo "ha".
Una tale fondamentale gerarchia dei valori doveva formarsi nella coscienza e nel comportamento dei primi cristiani, quando ascoltavano - dagli apostoli - ciò che aveva insegnato Cristo: quando erano intimamente presi nell'ascoltare sempre di nuovo il messaggio delle otto beatitudini, del discorso della montagna.
Beati i poveri in spirito... e anche coloro che sono afflitti... e anche i miti... Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia... e anche i misericordiosi. Beati i puri di cuore... e anche gli operatori di pace. E infine beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia (cfr. Mt 5,3-10).
Coloro che avevano ascoltato queste beatitudini, dovevano rendersi conto - alla luce degli avvenimenti pasquali, alla luce della croce e della risurrezione di Cristo - che tutto ciò si era realizzato soprattutto nella vita del loro Signore.
Tuttavia, nello stesso tempo, egli aveva lasciato in ciò un chiaro programma di vita per tutti i suoi discepoli e seguaci. Aveva tracciato una nuova gerarchia dei valori, e tutto questo mediante una nuova e definitiva "dimensione" della intera esistenza umana.
Ogni beatitudine si basa sulla realtà dell'esistenza umana sulla terra, in questo mondo caduco, e si apre al tempo stesso verso la prospettiva del Regno di Dio, che è interminabile ed eterno. Proprio il Regno è la vocazione ultima dell'uomo; esso è il suo destino definitivo: è la sua vita. La vita in Dio. Cristo risorto ha rivelato la realtà di tale vita! 5. "La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola".
Occorre che da quella prima comunità passiamo ai nostri tempi. Occorre che rileggiamo il messaggio del discorso della montagna, delle otto beatitudini, come indirizzato a noi, ai nostri contemporanei, a quelli che sono qui riuniti.
Infatti, anche nei nostri tempi capita che qualche proprietario venda tutto ciò che possiede e investa il suo denaro per il bene dei fratelli più miseri, come ha fatto per esempio il dottor Marcello Candia in un grande ospedale per i lebbrosi nel Brasile nord-orientale.
Certamente un uomo eccezionale. Tuttavia il messaggio delle otto beatitudini è rivolto nello stesso tempo a tutti e a ciascuno.
E perciò la sollecitudine della Chiesa dei nostri tempi è che questo messaggio evangelico venga continuamente proposto alla vasta comunità dei fedeli, in tutti i luoghi della terra.
6. Proprio per ricordare al mondo, sulla linea del costante insegnamento sociale della Chiesa, il valore dell'attenzione che il Vangelo richiede verso i poveri, ho rivolto a tutti i cristiani ed agli uomini di buona volontà l'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis". In essa ho voluto ricordare che lo sviluppo non può ridursi ad un continuo accrescimento del benessere materiale senza fare attenzione agli altri, ai più poveri. La sola accumulazione di beni, se non è retta da un intendimento morale, da un orientamento verso il bene comune, da volontà di partecipazione, può divenire un male che si ritorce contro l'uomo, contro il singolo uomo e contro le comunità civili e nazionali. Per questo ho affermato che la via autentica del bene per i rapporti sociali, tanto a livello privato che nazionale ed internazionale, è la solidarietà. Essa è virtù umana e cristiana, è l'espressione della carità, è l'anima di tutti i rapporti possibili tra gli uomini, e deve divenire sempre più il criterio fondamentale delle scelte politiche e delle programmazioni economiche.
Su questa linea avevano parlato con chiarezza, realismo e spirito profetico i miei predecessori. Voi ricordate Papa Giovanni XXIII, il quale nella enciclica "Mater et Magistra" ha detto che "Il problema forse maggiore dell'epoca moderna è quello dei rapporti tra le comunità politiche economicamente sviluppate e le comunità politiche in via di sviluppo economico" (Ioannis XXIII "Mater et Magistra": AAS, 53 [1961] 440), ed ha ricordato a coloro "che dispongono di mezzi di sussistenza ad esuberanza, il dovere di non restare indifferenti di fronte alle comunità politiche i cui membri si dibattono nelle difficoltà dell'indigenza, della miseria e della fame, e non godono dei diritti elementari della persona" (Ioannis XXIII "Mater et Magistra": AAS, 53 [1961] 440).
Con altrettanta chiarezza e lungimiranza ha parlato Paolo VI nella enciclica "Populorum Progressio", annunciando che "lo sviluppo integrale dell'uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell'umanità" (Pauli VI "Popolorum Progressio": AAS 59 [1967] 278). Per questo egli lancio l'appello alla fraternità tra i popoli, riconoscendo che il principio evangelico della solidarietà verso i poveri non può essere rivolto solo ai singoli. Si tratta di un dovere di giustizia che deve ricomporre in termini più corretti le relazioni economiche difettose tra popoli forti e popoli deboli. Si tratta, ancora, di un dovere di carità universale, per promuovere insieme "un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiamo qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri" (Pauli VI "Popolorum Progressio": AAS 59 [1967] 279).
7. Su queste linee si muove con esemplare impegno la Chiesa che è in Italia.
Desidero rinnovare il mio appoggio al programma pastorale della Conferenza episcopale per gli anni '80, fondato su "comunione e comunità". Sia, questo impegno sostenuto dallo spirito di fraternità insegnato dagli apostoli, perché venga annunciata con instancabile dedizione agli uomini di oggi e di domani l'unica verità in cui è data speranza di salvezza.
Mi compiaccio che verso queste prospettive di comunione si stia in particolare muovendo anche la vostra Chiesa, consapevole di dover camminare guidata dal messaggio delle beatitudini.
8. Quando noi sentiamo annunciare "beati i poveri", dobbiamo ricordare sempre che si tratta di un messaggio rivolto a tutti, poiché tutti dobbiamo essere e sentirci "poveri secondo lo spirito", cioè interiormente distanti dai beni della terra. Da tale spirito di povertà deve scaturire per tutti la disponibilità a "far parte" con gli altri delle proprie ricchezze terrene e materiali, affinché dal servizio a chi non ha nasca per ciascuno una maggiore ricchezza di carità. La Chiesa che si rivolge al mondo per annunciare la salvezza, è Chiesa dei poveri anche sotto questo aspetto, perché cerca di vivere in se stessa la lettera e lo spirito delle beatitudini evangeliche.
La recente storia della vostra Chiesa locale è ricca di testimoni che hanno operato ardentemente per il bene dei poveri, di quelli oppressi da condizioni sociali di indigenza, come da situazioni di miseria morale. Desidero ricordare solo alcuni nomi, come Anna Adorni, e la sua "Congregazione delle Ancelle dell'Immacolata" per il recupero delle carcerate; Lucrezia Zileri ed Agostino Chieppi, per l'apostolato della scuola; il Vescovo Guido Maria Conforti per le missioni estere; Celestino Bottego, padre Lino Maupas, apostolo della carità nei quartieri popolari; l'opera della signorina Cappelli per l'evangelizzazione del mondo della cultura; ed infine la figura a tutti nota del beato Cardinale Andrea Ferrari, formatosi qui, come sacerdote, e protagonista del grande impegno apostolico e sociale delle diocesi via via affidategli dalla Santa Sede.
9. Il discorso della montagna. Le otto beatitudini. Esse non sono soltanto parole splendide - una vera sinfonia del testo evangelico - ma anche una chiamata alla sinfonia evangelica della vita.
Ciascuna delle beatitudini ha il suo particolare contenuto, ma tutte nel profondo s'incontrano e completano reciprocamente.
Se lo "spirito" che ne emana deve animarci verso una vita e un comportamento più cristiani, bisogna accogliere con il cuore e con la volontà tutta la verità contenuta in esse; nella sua organica coerenza.
E allora ci troveremo pure tra coloro che "saranno consolati", che "saranno saziati", che "troveranno misericordia", che meriteranno di essere "chiamati figli di Dio".
Ci troveremo tra coloro ai quali appartiene il "Regno dei cieli".
Tra coloro che "vedranno Dio".
La croce e la risurrezione di Cristo diventeranno per noi la potenza di Dio e la sapienza di Dio lungo tutte le vie della nostra vita.
Amen.
Data: 1988-06-06 Data estesa: Lunedi 6 Giugno 1988
Titolo: Auguro alla Chiesa di Parma la fecondità spirituale
Testo:
Vorrei ancora prendere, brevemente, la parola e vorrei ringraziare tutti per la perseveranza. Abbiamo ascoltato nella prima lettura di oggi che i primi cristiani erano "perseverantes in orationibus, in doctrina apostolorum et in fractione panis". Ma noi cristiani dopo venti secoli siamo perseveranti, voi qui siete stati perseveranti nella pioggia. Gli Atti degli Apostoli non dicono niente della pioggia; allora qui si devono leggere gli Atti degli Apostoli con un criterio specifico proprio di Parma. Criterio parmense. Ringrazio tutti per questa perseveranza. Potrei dire che ringrazio anche la pioggia per la sua perseveranza.
Vorrei in questo ringraziamento includere tutti e ciascuno, specialmente coloro che sono in prima fila: i malati. Veramente erano in prima fila. Ringrazio naturalmente i miei carissimi fratelli presbiteri concelebranti, ringrazio il coro per tutti i canti: i cantici non ci hanno permesso di pensare alla pioggia, tanto erano belli. Ed ancora, è già stata annunziata una celebrazione, domani mattina, per i sacerdoti, i religiosi, le religiose, una Messa breve nella Cattedrale, ma il Vescovo mi dice che mancano i giovani; come faremo allora? Penso che l'unica soluzione possa essere questa: i giovani verranno a far visita al Papa, possono venire durante le vacanze, così si può risolvere questo difficile problema dell'incontro con i giovani che oggi mancano.
Allora, carissimi, grazie ancora una volta per questa esperienza bellissima. Devo dire che durante questi giorni del percorso, dell'itinerario pastorale nella regione emiliana, sentivo sempre la pioggia che camminava dietro di me e finalmente qui in Parma ci siamo incontrati. Grazie per questo incontro.
Vi auguro tutto il bene perché la pioggia è anche un segno del bene, del bene spirituale, della fecondità spirituale della Chiesa di Parma.
Data: 1988-06-06 Data estesa: Lunedi 6 Giugno 1988
Titolo: Chiamati a rendere amabile presso gli uomini la sapienza che è dono dello Spirito Santo
Testo:
1. "Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,13-14).
Fratelli e sorelle carissimi, queste parole di Cristo sono indirizzate in modo speciale ed eminente a voi, sacerdoti, religiosi e seminaristi.
Il simbolo della "luce" si riferisce alla verità. Uno speciale aspetto della vocazione sacerdotale e religiosa è appunto quello di un esemplare amore per la verità. Se ogni cristiano dev'essere un "consacrato nella verità" (cfr. Jn 17,17), voi dovete esserlo in un modo speciale, perché, per divino mandato, siete guide e luce per il Popolo di Dio, che giustamente attende da voi un aiuto per conoscere meglio il Vangelo e la verità su Cristo, e anche per ogni uomo, perché ognuno ha nel cuore la sete della verità, anche se non conosce Cristo.
2. Anche il simbolo del "sale" è evidente.
Cioè il vostro parlare, la vostra testimonianza devono "dar sapore" alla vita di questo mondo, far comprendere il senso profondo ed ultimo delle realtà create, e immettere in esse la luce di Dio.
La vostra vocazione è quindi in modo speciale quella di saper gustare le realtà divine e di esserne come degli esperti. Ciò porta a dare un "sapore" soprannaturale alla vostra vita, alla vostra parola. E ciò vi permetterà pure di dare un sapore soprannaturale alle realtà di questo mondo. Ciò significa che dovete essere, in modo esemplare, cultori della sapienza, intesa non solo e non tanto come sapere umano, ma anche e soprattutto come dono dello Spirito Santo.
Non dimenticate mai questa vostra responsabilità. Se una vivanda è insipida, la si potrà sempre rendere saporita col sale. Ma se il sale stesso è insipido, ci fa notare Gesù, "con che cosa lo si potrà render salato?" (Mt 5,13).
Se manca la sapienza dello Spirito Santo, nulla la può sostituire. E voi siete chiamati in modo speciale a gustare questa sapienza e a renderla amabile presso gli uomini.
3. Siete chiamati ad arricchire il mondo nonostante la vostra povertà. E come ciò sarà possibile? Imitando il profeta Elia, del quale abbiamo udito nella prima lettura di questa Messa.
In lui notiamo due cose, che egli aveva ben chiare, e che fanno la sua grandezza; la coscienza dei suoi limiti umani e la consapevolezza della potenza divina alla quale egli si era totalmente affidato e della quale come profeta, intendeva essere strumento e portavoce.
Anche voi, cari fratelli e sorelle, nel Popolo di Dio siete chiamati in modo speciale a questa duplice consapevolezza, a questa sapienza e a questo spirito profetico, che parla in nome di Dio e che annuncia la Parola di Dio ad ogni uomo e, con amore preferenziale, ai poveri e agli umili. Anche voi, pur nel deserto che, come per Elia, sembra togliere ogni speranza - mi riferisco all'assenteismo e alla freddezza di molti, alla scarsità di vocazioni - anche voi dovete fidare sulla potenza della Parola di Dio, su cui si fonda la vostra parola, la vostra testimonianza: così preparerete il trionfo del bene.
La beata Vergine Maria, che, accanto alla croce del Figlio, ha profondamente vissuto questa legge della speranza cristiana, ci ottenga lo spirito della profezia, per farci superare vittoriosamente le difficoltà presenti e guardare serenamente al futuro.
Sia lodato Gesù Cristo.
Data: 1988-06-07 Data estesa: Martedi 7 Giugno 1988
Titolo: Nucleo forte della Chiesa per mezzo della croce di Cristo
Testo:
Con questa santissima Eucaristia celebrata, qui, nella Cattedrale parmense, concludiamo la visita nella vostra regione e voglio esprimere il mio ringraziamento alla Provvidenza divina che mi ha lasciato venire tra voi e che mi ha guidato in queste terre, in queste città, fra il Popolo di Dio e le diverse Chiese della vostra regione. E' un grande dono per me questa visita, la possibilità di esservi vicino, di andare insieme, almeno durante questi giorni. E' un'esperienza di Chiesa. Ringrazio la Provvidenza divina, ringrazio Cristo Buon Pastore per tutto questo, per questi giorni in cui mi ha permesso di imitare nel senso più diretto, più stretto, la sua missione di Pastore che conosce le sue pecore ed anche cerca di essere conosciuto dalle sue. Ringrazio poi tutti voi carissimi confratelli nell'episcopato nel nome della nostra comunione collegiale e ringrazio tutti i vostri collaboratori, i sacerdoti delle Chiese, specialmente quelli della vostra Chiesa parmense, come anche le suore, i religiosi e le religiose e tutte le persone consacrate; questo nucleo forte della Chiesa deve rimanere forte nonostante tutte le circostanze che tentano di farlo debole, quasi insignificante per lasciare al mondo e al principe di questo mondo di percorrere le sue strade indipendentemente da quello che è il Regno di Dio, che è il Cristo.
Si, v'è una tolleranza per quello che è la Chiesa, specialmente per il suo grande passato, per la sua presenza nella cultura, nelle opere d'arte... pero non sempre come espressione di vita moderna.
Allora io vi auguro, fratelli e sorelle, di rimanere quel nucleo forte della Chiesa radicato nella sua consapevolezza, nella consapevolezza della sua missione, della sua identità mistica, ma tanto reale con Cristo, unico salvatore del mondo. Il mondo non può essere lasciato da solo, non si salva da solo, non ha la forza della salvezza in se stesso, deve ricevere questa forza da Dio. E questo vuol dire Gesù Cristo e questo vuol dire la Chiesa. Vi auguro, allora, di rimanere qui il nucleo forte della Chiesa, resistente, fiducioso. Cristo quando lasciava gli apostoli non li preparava ad una vita facile, anzi li preparava a tutte le difficoltà, a tutte le contraddizioni. Lui stesso ha confermato con la sua vita e con la sua morte, con la sua croce che è un segno di contraddizione. Appunto ci vuole questo segno di contraddizione, e deve essere eloquente, convincente e deve mostrarsi anche buono, attraente e dolce, perché così è Cristo. Questo segno di contraddizione è mite, umile di cuore.
Finalmente il mondo lasciato a se stesso vede le sue insufficienze e soffre, e quanto soffre, sono le sofferenze del mondo. Questo mondo, così pieno di sé soffre. Non c'è nessuno che possa camminare con questo mondo sofferente.
Neanche i costruttori delle ideologie possono camminare con questo mondo sofferente, con questo uomo sofferente. Rimane Cristo, soltanto lui. E questo ci deve guidare, questo, carissimi fratelli e sorelle, ci deve illuminare, ci deve infondere forza, consapevolezza della nostra missione, consapevolezza della nostra missione per gli altri; si, siamo necessari agli altri, è necessaria la Chiesa, sono necessari i sacerdoti, sono necessarie le vocazioni sacerdotali, religiose, insostituibili.
Abbiamo potuto celebrare questa ultima Eucaristia insieme secondo le intenzioni indicate dal vostro Vescovo: si deve pregare molto per la famiglia, per la sua ripresa, per la sua conversione per la sua fecondità cristiana e spirituale. Si deve pregare per salvare questa famiglia da una parte opulenta, ricca..., salvarla dall'autodistruzione; si deve cercare di difendere la nostra civiltà occidentale, cristiana da un'autodistruzione. perciò bisogna essere forti, nucleo forte, forti con quella forza che ci ha dato Cristo nella sua croce, nella sua croce attraverso la quale è venuto lo Spirito Santo. Se io non me ne vado - sappiamo come se ne è andato attraverso la croce, sul Golgota - lo Spirito Santo non viene. Grazie alla croce, alla croce di Cristo, lo Spirito Santo è venuto, ed è con noi fino alla fine del mondo ed in lui Cristo è con noi. Il mistero della incarnazione, della sua missione messianica viene perpetuato con la forza dello Spirito Santo.
Sono queste le ultime riflessioni, totalmente improvvisate e non avevo pensato di dire qualcosa di più. Sono stato spinto. Perdonatemi.
Data: 1988-06-07 Data estesa: Martedi 7 Giugno 1988
Titolo: L'università di Bologna sappia elaborare la cultura della solidarietà basata su un nuovo umanesimo aperto ai valori della trascendenza
Testo:
Magnifico signor rettore, Illustri docenti e presidi di facoltà, Alunni ed alunne tutti, cari amici!
1. E' per me motivo di grande gioia questo incontro, per il quale vivamente ringrazio la cortesia di voi, autorità accademiche, e di ciascuno di voi qui presenti. Un incontro eccezionale per un evento eccezionale: il compimento di novecento anni di vita di questa "Alma Mater Studiorum", che è l'Università di Bologna.
Già per ogni istituzione celebrare il centenario è ragione di legittima fierezza. Ma la presente ricorrenza è per questo ateneo un motivo di più alto prestigio in virtù del tempo e delle circostanze: essa, infatti, ci riporta agli albori del secondo millennio cristiano, allorché l'Europa si andava configurando nell'ormai compiuta fusione tra l'antico ceppo latino e la vitalità dei popoli germanici e slavi, sotto l'influsso decisivo e - si direbbe - catalizzante della forza spirituale del Vangelo. Proprio nello sviluppo di questo processo di amalgama e di rinnovamento, tra gli altri importanti fattori, fu determinante il contributo dato dalle università, che andavano via via sorgendo anche sul modello della primigenia ed esemplare esperienza bolognese.
Era il tempo in cui, pur in mezzo a tensioni e contrasti, emergeva potente l'esigenza di un'unità politica e spirituale dei popoli. Ad essa il cristianesimo - ormai pienamente diffuso e radicato nell'intero continente - seppe efficacemente rispondere con la sua proposta di una verità una e unificante, con l'affermazione della dignità della ragione quale indispensabile componente dell'atto di fede, con il suo messaggio di elevazione dell'uomo, figlio e interlocutore di Dio, e di fraternità universale. Al servizio di questa stessa esigenza unitaria si posero le università degli studi, tutte entro l'alveo di una cristianità chiaramente consapevole della sua identità, spesso addirittura istituzionalmente collegate con la Chiesa.
2. La scuola universitaria - a differenza delle scuole antiche e anche delle scuole moderne - mira alla formazione e organizza la ricerca non più solo in ordine alla perfezione dell'individuo o alle necessità della comunità religiosa, ma si apre all'intera società, alle sue richieste, alle funzioni della nuova vita cittadina.
In connessione con questo allargamento di prospettiva sociale, si avverte l'importanza di un lavoro di sintesi, orientato a raggiungere l'unità del sapere ed a far convergere le diverse conoscenze in una visione globale della realtà. Tutto ciò si iscriveva nello sforzo di esplorare l'unica e suprema verità di Dio, riflessa nelle verità parziali che la mente umana riesce a indagare. Come ho già ricordato in altre occasioni, la nozione di "università" comporta infatti un'esigenza di universalità, e cioè un apertura a tutta la verità che tutti attrae e sovrasta, e si identifica nella verità di Dio e nella verità dell'uomo, che è il Verbo incarnato (cfr. "Allocutiones ad Docentes Universitatum Bononiae" [die 18 apr. 1982], "Lovanii Novae" [die 21 maii 1985], "Perusiae" [die 26 oct. 1986]:: V, 1[1982] 1232s.; VIII, 1 [1985] 1598 - 1605; IX, 2 [1986] 1207 - 1213). In tal modo viene anche esaltato, almeno implicitamente, l'uomo, come soggetto capace di analisi, di riflessione, di giudizio, e come indagatore e ammiratore di ogni valore e di ogni bellezza.
In un mondo largamente dominato dall'uso della forza e dall'abitudine del sopruso, proprio nelle sedi universitarie si ando a poco a poco affermando il primato della ragione e del diritto.
A questo proposito come non ricordare lo sviluppo degli studi giuridici, sia nel campo civile, sia nel campo canonico, che si verifico soprattutto nell'ateneo bolognese ad opera di maestri illustri quali Irnerio, la "lucerna iuris", Graziano, Accursio? Tali studi, imperniati sui concetti cristiani di persona e di comunione, portarono alle varie imprese di codificazione della Chiesa e della "civitas" medioevale. Si può anzi ritenere che i valori fondamentali dell'eguale dignità degli uomini, della libertà, della solidarietà - che sono oggi patrimonio spirituale dell'Europa e sono largamente recepiti nelle costituzioni degli Stati moderni - maturarono proprio nel contesto cristiano delle università nel medioevo.
3. Un altro momento unificante - offerto dalla vita delle prime università - fu rappresentato dall'incontro tra maestri e discenti, i quali provenivano anche da regioni lontane. E' questo specialmente il caso di Bologna, dove fin dagli inizi convennero studenti di ogni nazione, raccolti in autonomi organismi, sempre nell'ambito della stessa convivenza accademica. Fu allora che lo studio e la città di Bologna divennero punto d'incontro, ossia un centro dinamico di correnti culturali diverse, talvolta anche in contrasto tra loro, ma con l'ideale tensione a trascendere se stesse in una ritrovata unità spirituale.
Di qui i licenziati, concluso il loro tirocinio, ripartivano per i loro Paesi, dove avrebbero insegnato in altre scuole, o avrebbero esercitato le "arti" apprese. Chi non conosce le figure di alcuni eminenti uomini di cultura, che qui furono maestri e discepoli, come Erasmo da Rotterdam e il mio connazionale Nicolo Copernico? A questo ateneo, dunque - come a molti altri parimenti sorti e sviluppati in un contesto culturale cristiano - va riconosciuto un ruolo unificante, benefico e decisivo.
4. Oggi, alle soglie del terzo millennio della redenzione, l'università che vuol mettersi davvero al servizio della concreta umanità dei nostri tempi, si trova a dover rispondere a richieste non dissimili.
Che cosa invocano oggi i popoli, pur se non sempre con esplicita consapevolezza e con sufficiente capacità di far udire la propria voce? Chiedono che ci si preoccupi dell'effettiva e piena salvezza dell'uomo, da più parti e gravemente insidiato e mortificato. Chiedono che si inauguri finalmente un'epoca, nella quale - sia contro l'ingiustizia e l'egoismo, sia contro le tentazioni di farsi giustizia con la violenza - prevalgano la ragione, l'aspirazione all'equità sostanziale delle condizioni, il metodo del libero e rispettoso confronto delle idee. Chiedono che si affermi universalmente - contro ogni smodata avidità e ogni corsa al particolare profitto - la cultura della solidarietà, perché il mondo si faccia più giusto e più umano. Chiedono che si avanzi più decisamente nel processo dell'integrazione tra i popoli, nelle diverse aree geografiche, oltre ogni arbitraria lacerazione imposta da pretese politiche o egemoniche.
Dinanzi a queste esigenze un ateneo, che ha radici così lontane e tradizioni così insigni come il vostro, può e deve farsi attento e accogliente, in modo che anche nel terzo millennio gli sia dato di svolgere l'alta funzione che ha avuto nel suo glorioso passato. Un tale impegno richiede certo il superamento - o almeno il serio tentativo di superamento - della frammentazione del sapere, conseguente alla specializzazione esasperata, ed impone la ricerca della connessione e della sintesi nella verità sull'uomo e nel servizio dell'uomo.
Si tratta di sviluppare un nuovo umanesimo, aperto alla trascendenza e ai suoi valori, che ne rappresentano il fondamento più sicuro. A questo scopo dovranno essere favorite occasioni di dialogo e di comune indagine tra gli studiosi delle diverse discipline scientifiche, filosofiche, letterarie, artistiche, religiose. Come anche dovrà essere esaltata la dimensione comunitaria dell'ateneo e l'abitudine agli scambi tra le diverse università, come avveniva nei tempi passati. così nella circolazione delle idee e nella disponibilità reciproca tra docenti e studenti potranno meglio realizzarsi gli obiettivi fondamentali dell'istituzione: l'elaborazione critica del sapere e la preparazione alla professione. Come ebbi a osservare in altra occasione, nell'università deve attuarsi "una sorta di comunione che è didattica e scientifica, ma anche morale e umana, e si può offrire nello stesso tempo un modello alla società, che ha bisogno - e non è mistero - di rafforzarsi per una convivenza ordinata e pacifica" ("Allocutio ad Universitatem Papiensem", die 3 nov. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 2 [1984] 1110).
5. Al centro di ogni attenzione e preoccupazione del mondo accademico - come anche dell'intera società - vanno sempre posti l'uomo, la ricerca della sua verità, l'impegno nella sua promozione, il rispetto della sua dignità e dei suoi diritti.
Questa esigenza è tanto più forte, quanto più vediamo la dignità umana avvilita e messa in pericolo da più parti, attraverso l'esercizio di un indebito potere dell'uomo sull'uomo, e spesso anche con il pretesto del progresso scientifico e tecnologico.
Il mio augurio sincero è che questo ateneo sappia programmare il suo prossimo avvenire alla luce dell'idea della solidarietà, che porterà ad aprirsi ancor più alla collaborazione con gli altri istituti ed a proiettarsi insieme verso le necessità degli altri Paesi del mondo. Ad essa devono ispirarsi tutte le relazioni internazionali, in una rinnovata tensione di promozione umana e per una piena partecipazione di tutti i popoli ai beni della creazione, posti da Dio a disposizione di tutti gli uomini.
Le università europee potranno esprimere la loro solidarietà mediante la preparazione di qualificati professionisti dei Paesi e per i Paesi in via di sviluppo, la collaborazione scientifica con le giovani istituzioni, la formazione di una mentalità universale, ispirata al concetto di fraternità e capace di ricercare forme sempre nuove di cooperazione fra le genti.
6. Nella tensione verso questi traguardi proposti alla realtà universitaria, anche la Chiesa si sente direttamente coinvolta, a motivo della sua universale missione di salvezza.
La ricomposizione del sapere, l'esaltazione dell'uomo che è immagine viva di Dio, lo stile di fraternità, la comunione tra i popoli, sono tutte mete che corrispondono pienamente al disegno del Creatore, da cui tutto proviene e a cui tutto deve essere ricondotto, mediante Gesù Cristo e l'opera dell'uomo, da lui illuminato e redento. Non certo da oggi la Chiesa, come "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1), si sforza di proporre un modello supremo di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone: è il modello che viene chiamato "comunione" e svela il senso profondo e spiega l'innata aspirazione dell'unità e della pace che sale dal cuore di ogni uomo.
La Chiesa e l'università, dunque, in virtù di queste finalità che le accomunano, non sono e non devono mai sentirsi estranee e lontane. Esse, che furono alle origini strettamente congiunte, possono tornare a essere ancora alleate, poiché entrambe, pur nell'intangibile distinzione delle rispettive funzioni e nella necessaria autonomia, possono e devono lavorare al conseguimento di alcuni comuni traguardi.
"Essere cristiani nel nostro tempo significa essere artefici di comunione nella Chiesa e nella società. A questo fine valgono l'animo aperto ai fratelli, la mutua comprensione, la prontezza nella cooperazione mediante lo scambio generoso dei beni culturali e spirituali" ("Slavorum Apostoli", 27).
Anche sotto questo profilo, Chiesa e università sono vicine: tutte e due "si consacrano, ciascuna alla propria maniera, alla ricerca della verità, al progresso dello spirito, ai valori universali, alla comprensione, allo sviluppo integrale dell'uomo, all'esplorazione dei misteri dell'universo" ("Nuntius ad Universitarios Americae Centralis", die 7 mar. 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI, 1 [1983] 642). Un'accresciuta, reciproca comprensione tra loro non potrà che giovare al raggiungimento di questi nobilissimi scopi.
7. "Si gloriari oportet...", vorrei riprendere adattandole le parole dell'apostolo Paolo (2Co 11,20 2Co 12,1). No! Non conviene vantarsi, e non è questa la sede per proporre riflessioni apologetiche fin troppo facili. Ma pure, come non è lecito negare i doni di Dio che sono grandi e reali nel mondo e nell'uomo, così - sul piano della verità storica - non vanno taciuti i meriti quando siano consistenti e non contestabili.
Cari fratelli e amici! Fu merito della Chiesa cattolica l'aver favorito - con l'utilizzazione di precedenti esperienze, con la dedizione dei suoi figli di più alto intelletto, con la sua partecipazione a quel moto di rinascita che la storiografia riconosce anche al medioevo - il sorgere e il diffondersi dell'istituzione universitaria in tutta l'Europa. Un merito che è un monito; un merito che è un invito a meditare circa l'opportunità, anzi l'urgenza di scrutare evangelicamente i "segni dei tempi". Oggi come ieri! Fu quella un'opera di elevato profilo culturale e sociale, un'opera di autentica "promozione umana". Oggi cresce la richiesta di una più ampia solidarietà tra gli uomini per respingere le insidie dell'egoismo e della violenza, per superare le ingiustizie e le derivanti tensioni, per instaurare una vera pace nel mondo. Come allora, la Chiesa vuol essere presente con vigile attenzione e con materna sollecitudine nell'esercizio della sua missione, nella quale, se il nucleo vitale è e resta sempre l'annuncio del Vangelo del Figlio di Dio, c'è posto, ampio posto - come diretta conseguenza ed inscindibile concatenazione - per le attese e per i problemi dei figli degli uomini. Come allora, la Chiesa intende evangelizzare e nello stesso tempo promuovere l'uomo, offrendo a tutti la sua collaborazione. Anche alle università e al mondo della cultura! Pur nelle mutate circostanze, è tuttora possibile, anzi auspicabile e indubbiamente feconda una tale collaborazione.
Data: 1988-06-07 Data estesa: Martedi 7 Giugno 1988
GPII 1988 Insegnamenti - Omelia durante la celebrazione eucaristica in piazza della Pace - Parma