GPII 1988 Insegnamenti - Al Corpo diplomatico - Vienna (Austria)
Titolo: Nella comune fede cristiana la forza per dar vita a un processo di rinnovamento creativo per un'Europa unita
Testo:
Stimatissimo signor Presidente federale! Stimatissimo signor Cancelliere federale! Stimatissimi signore e signori!
1. Dopo la solenne cerimonia religiosa nel duomo di Santo Stefano a Vienna, è per me motivo di particolare gioia poter porgere i miei cordiali saluti in una cornice festosa a lei, signor Presidente federale, ai membri del governo federale ed ai rappresentanti della Repubblica austriaca. Di tutto cuore vi ringrazio per la solenne accoglienza e per la sentita partecipazione al mio secondo viaggio nella vostra nazione fin dal momento dell'annuncio. I preparativi accurati, anche da parte dello Stato per un buon esito di questa visita pastorale, contribuiranno in larga misura, a fare dei miei incontri con i fedeli nei diversi luoghi un'esperienza memorabile. Questa collaborazione generosa ed il nostro odierno incontro sottolineano una volta di più i buoni rapporti, che da lungo tempo intercorrono tra l'Austria e la Santa Sede. Sulla base del diritto alla fede ed alla libertà di coscienza contemplato nella vostra costituzione e alla luce degli accordi reciproci sottoscritti nel Concordato la vita della Chiesa cattolica in Austria ha potuto svilupparsi fruttuosamente.
I cattolici hanno offerto testimonianze degne di ammirazione nei momenti felici come in quelli difficili. Proprio in questo anno 1988 voglio ricordare il calvario, che l'Austria con altri popoli e sotto una bieca tirannide ha dovuto percorrere, nel recente passato. Vi sono molti cattolici, sacerdoti, religiosi e laici fra coloro che sono stati perseguitati per motivi religiosi, politici o di razza in quel periodo.
2. L'odierna costituzione democratica del vostro Stato e il regime di libertà da essa garantito sono un'eredità preziosa, che deve essere protetta ed amministrata con cura. Nonostante l'odierno pluralismo che spicca nella concezione del mondo, la vita in Austria è ancora impregnata fondamentalmente di valori cristiani. Una libertà rettamente intesa non significa assenza di vincoli ed abbandono ai piaceri, ma come una volta giustamente disse un teologo (Giovanni di Salisbury) è il diritto di fare il bene.
Il bene, verso il quale gli uomini di questo Paese dovrebbero sentirsi nuovamente incoraggiati dal motto della mia visita pastorale, è il "si alla vita" in tutte le sue dimensioni. Grazie alla sua fede la Chiesa dice un chiaro ed incondizionato "si" e si sente solidale con la società in cui opera. Quando pero determinate dimensioni di vita corrono il rischio di venire ridotte o mutilate, allora la Chiesa e parimenti costretta al compito profetico di opporvisi, in tutte le circostanze opportune e non opportune.
Il nostro "si" alla vita deve essere il "si" alla libertà ed alla dignità dell'uomo, che comprende anche il "si" alla tolleranza ed il "si" alla giustizia e alla pace. Un "si" alla vita così concepito impedisce la persecuzione o la diffamazione di chiunque la pensi diversamente. Esso esige il riconoscimento del diritto alla vita di ogni uomo ed afferma il principio che la libertà dell'uno finisce là dove ha inizio quella dell'altro. La giustizia ed il bene comune rappresentano quegli obiettivi essenziali, verso i quali deve indirizzarsi l'operato dell'uomo nella vita interna del proprio Stato come in quella internazionale. Il Concilio Vaticano II afferma nella sua costituzione pastorale "Gaudium et Spes": "L'ordine sociale pertanto e il suo progresso debbono sempre lasciar prevalere il bene delle persone, giacché nell'ordinare le cose ci si deve adeguare all'ordine delle persone e non il contrario" (GS 26).
Un tale ordine, di giustizia umana comincia con la difesa della vita non nata, esige il rispetto del matrimonio e della famiglia, la preoccupazione per i posti di lavoro, e un dialogo ed una collaborazione che siano lo specchio della fiducia in tutti i possibili ambiti della convivenza sociale. Se il rispetto della dignità e dei diritti basilari dell'uomo viene posto al centro delle nostre azioni, allora anche le opposizioni riguardanti interessi personali, di partito e di confine nazionale possono essere risolte in modo giusto ed appropriato oppure eliminate spesso al loro nascere.
3. Gli sforzi compiuti dall'Austria per la pace nazionale ed internazionale come frutto della giustizia, il suo schierarsi per la tutela dei diritti umani, il suo aiuto ai profughi e la sua solidarietà con i pressanti problemi dell'umanità del terzo mondo - tutto ciò ha guadagnato al vostro Paese il rispetto internazionale.
La Chiesa cattolica in Austria, in unione con la Chiesa universale, ha fatto sua questa esigenza di attivo sostegno ed è disponibile ad ogni tipo di ulteriore collaborazione. Se anche l'Austria come altre nazioni affronta problemi economici crescenti, sono certo che non smetterà di offrire la sua pronta assistenza anche in futuro agli uomini che soffrono in ogni parte del mondo. Possa la vostra terra avere una porta aperta per quegli uomini, che per tragiche circostanze sono costretti a lasciare la terra dove sono nati.
L'Austria è consapevole del fatto che per suo destino e compito, si trova ad essere un ponte nel cuore dell'Europa, ed intraprende a tal riguardo esemplari sforzi in campo politico e culturale. Non ci si deve mai rassegnare a mettersi in una situazione allo stesso tempo estranea o chiusa ad ogni rapporto con Stati e popolazioni, soprattutto quando questi sono confinanti. Tutto il nostro continente europeo ha bisogno di un processo di rinnovamento creativo per un'Europa unita. La Chiesa può offrire un contributo decisivo a questa opera di comunicazione e comprensione. La fede cristiana è una forza che in tutti i Paesi d'Europa, dalle origini fino ad oggi, ha una profonda influenza e supera i confini nazionali. Come ho sottolineato nel discorso ai partecipanti al 5° Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee tenutosi a Roma nell'ottobre del 1982, la Chiesa e l'Europa sono "due realtà, che nella loro essenza e nella loro determinazione sono intimamente legate l'una all'altra. Esse hanno percorso insieme una comune via di secoli e sono impregnate della stessa storia. L'Europa venne innalzata dal cristianesimo tramite il Battesimo, e le nazioni europee nelle loro diversità incarnano l'esistenza cristiana.
Mediante l'incontro esse si sono reciprocamente arricchite e si sono scambiate dei valori, che sono risultati positivi non solo per l'anima della cultura europea, ma anche per l'"umanità intera". Questa identità cristiana e la libertà propria dell'Europa devono essere riscoperte insieme per il futuro di questo continente e per portare frutti nel mondo. A tale proposito la Chiesa si è impegnata a offrirle un contributo particolare attraverso i suoi numerosi sforzi per una rievangelizzazione dei popoli dell'Europa.
4. Signore e signori! Servizio all'uomo, questo è il compito di chi governa uno Stato.
E ciò viene espresso già nel compito del ministro. Il servizio all'uomo è anche compito e l'intenzione della Chiesa e di tutti i veri cristiani che ad essa appartengono. Quanto più la Chiesa serve Dio, tanto più essa serve anche l'uomo.
Quando coloro che sono investiti di questa altissima responsabilità statale e i pastori della Chiesa collaborano per il bene dell'uomo nell'autonomia di Stato e Chiesa, allora essi adempiono al loro specifico compito in una importante dimensione. I problemi e i compiti che già oggi interessano l'intera società e che in futuro possono divenire ancor più pressanti fanno si che questa aperta collaborazione caratterizzata dal rispetto reciproco rappresenti un valore degno di essere perseguito.
Nella speranza che la già esistente collaborazione fra Stato e Chiesa in Austria si sviluppi ulteriormente e fruttuosamente per il bene dell'uomo, rivolgo a lei stimatissimo signor Presidente federale, a lei stimatissimo signor Cancelliere federale e a voi tutti che, quali membri del governo federale austriaco o che con altre mansioni ricoprite una carica di alta responsabilità nella Stato e nella società, i miei più sentiti auguri personali.
Allo stesso tempo voi siete nelle preghiere che rivolgo a Dio, uno e trino: possa egli d'ora in avanti continuare a proteggere e a benedire questo Paese ed i suoi uomini.
Data: 1988-06-23 Data estesa: Giovedi 23 Giugno 1988
Titolo: Terrasanta, Israele, Libano e Medioriente: dove le radici bibliche, storiche, religiose e culturali invocano la pace
Testo:
Illustre signor Presidente delle comunità ebraiche, illustre signor Rabbino capo, gentili signori.
1. Leggiamo nel profeta Geremia (Jr 31,15s): "Una voce si ode da Rama, lamento e pianto amaro: Rachele piange i suoi figli,... perché non sono più".
Un tale lamento è anche lo sfondo delle parole di saluto che mi avete rivolto a nome delle comunità ebraiche in Austria. Mi ha profondamente commosso.
Ricambio il vostro saluto con amore e stima e vi assicuro che questo amore comprende anche la cosciente consapevolezza di tutto ciò che vi affligge.
Cinquant'anni fa in questa città bruciavano le sinagoghe. Migliaia di uomini di questo Paese sono stati mandati a morte, moltissimi sono stati spinti a espatriare. Quelle sofferenze, quel dolore e quelle lacrime sono davanti ai miei occhi e sono profondamente impressi nella mia anima. Infatti si può amare soltanto chi si conosce.
Sono felice di aver potuto incontrarmi anche con voi durante la mia visita pastorale. Possa questo incontro essere un segno della stima reciproca e testimoniare la disponibilità a conoscerci meglio, a sradicare le paure profonde e a donarci esperienze che suscitino fiducia.
"Shalom!", "Pace". Questo saluto religioso è un invito alla pace. E' di importanza fondamentale nel nostro incontro di questa mattina, prima del "Shabbath"; è di importanza fondamentale anche nella visione cristiana, poiché è il saluto di pace del Signore risorto agli apostoli mentre stavano a mensa. La pace implica l'offerta e la disponibilità al perdono e alla misericordia, che sono i più importanti attributi del nostro Dio, del Dio dell'unione. Voi vivete e festeggiate questa certezza nella fede quando ogni anno celebrate lo "Yom Kippur", il grande giorno della riconciliazione. Noi cristiani vediamo questo mistero nel cuore di Cristo che - trafitto dai nostri peccati e da quelli del mondo - è morto per noi in croce. Questa è la più alta espressione di solidarietà e fratellanza, che viene dalla potenza della grazia. L'odio si dissolve e scompare, si rinnova il legame dell'amore. E' questo il legame che la Chiesa vive nella fede in cui essa sente il suo profondo e misterioso legame di amore e fede con il popolo ebraico.
Nessun avvenimento storico, per quanto doloroso, può essere tanto potente da contraddire questa verità, che fa parte del piano di Dio per la nostra salvezza e la nostra fraterna riconciliazione.
2. I rapporti fra ebrei e cristiani sono sensibilmente mutati e migliorati a partire dal Concilio Vaticano II e dalla sua solenne dichiarazione "Nostra Aetate". Da allora ha preso l'avvio un dialogo ufficiale, la cui dimensione fondamentale e centrale deve essere "l'incontro fra le Chiese cristiane di oggi e l'odierno popolo dell'alleanza conclusa con Mosè" ("Mogontiaci, allocutio ad Iudaeos habita", 3, die 17 nov. 1980: , III, 2 [1980] 1274), come ho detto in una precedente occasione. Nel frattempo sono stati compiuti ulteriori passi verso la riconciliazione. La mia visita alla sinagoga di Roma ne è una testimonianza.
Tuttavia pesa ancora su di voi, e anche su di noi, il ricordo della "Shoà", lo sterminio di milioni di ebrei nei campi di concentramento. Sarebbe ingiusto e non veritiero addossare al cristianesimo questi crimini indicibili.
Piuttosto, qui si svela la fosca immagine di un mondo senza Dio o addirittura contro Dio, la cui determinazione allo sterminio si è indirizzata più apertamente contro gli ebrei, ma anche contro la fede di coloro che onoravano nell'ebreo Gesù di Nazaret il Salvatore del mondo. Singole proteste ufficiali ed appelli resero tale determinazione ancora più fanatica.
Una giusta riflessione sulle sofferenze e il martirio del popolo ebraico non può pero prescindere da un profondo riferimento dell'esperienza di fede, che caratterizza la sua storia: a partire dalla fede di Abramo, attraverso l'esodo dalla schiavitù dell'Egitto e fino all'alleanza sul Sinai. E' un cammino di fede e di ubbidienza in risposta alla amorevole chiamata di Dio. Come ho detto lo scorso anno ai rappresentanti della comunità ebraica di Varsavia, da questa crudele sofferenza può nascere una speranza ancora più profonda, un monito salvifico per tutta l'umanità. Ricordare la "Shoà" significa sperare e impegnarsi affinché ciò non si ripeta mai più.
Di fronte a un dolore così immenso non possiamo restare indifferenti; ma la fede ci dice che Dio non abbandona i perseguitati, ma piuttosto si manifesta a loro e attraverso di essi illumina ogni popolo sul cammino della salvezza. Questo è l'insegnamento della Sacra Scrittura, questo ci viene rivelato nei profeti, in Isaia e in Geremia. La storia d'Europa ha le sue radici in questa fede che è retaggio comune di ebrei e cristiani. Per noi cristiani ogni dolore umano trova il suo significato ultimo nella croce di Gesù Cristo. Ciò pero non ci ostacola, ma piuttosto ci spinge a partecipare solidalmente alle profonde ferite che, attraverso le persecuzioni, sono state inflitte al popolo ebraico, soprattutto in questo secolo, in nome del moderno antisemitismo.
3. Il processo di piena riconciliazione fra ebrei e cristiani deve essere portato avanti con forza in ogni campo di rapporti. Collaborazione e studi comuni debbono servire a sondare più profondamente il significato della "Shoà". Debbono essere identificate e possibilmente eliminate le cause responsabili dell'antisemitismo o che, più generalmente, conducono alle cosiddette "guerre di religione". Alla luce di quanto è stato già fatto finora sul cammino dell'ecumenismo, confido che sarà possibile parlare apertamente insieme delle rivalità, delle radicalizzazioni e dei conflitti del passato. Dobbiamo cercare di capirli nel loro contesto storico e di superarli per mezzo di sforzi comuni per la pace, per una coerente testimonianza di fede e per la promozione dei valori morali, che debbono caratterizzare persone e popoli.
Già in passato non sono mancati chiari ed espliciti ammonimenti contro ogni tipo di discriminazione religiosa. Ricordo soprattutto la chiara condanna dell'antisemitismo espressa in un decreto della Santa Sede del 1928, dove si dice che la Santa Sede condanna nel modo più assoluto l'odio contro il popolo ebraico, "vale a dire quell'odio, che oggi abitualmente si definisce con il termine di "antisemitismo". La stessa condanna è stata espressa anche da Papa Pio XI nel 1938. Fra le numerose iniziative di oggi intese a promuovere il dialogo ebraico-cristiano nello spirito del Concilio vorrei indicare il Centro per l'informazione, l'educazione, l'incontro e la preghiera, che verrà istituito in Polonia. E' destinato ad effettuare ricerche sulla "Shoà", come pure sul martirio del popolo polacco e degli altri popoli europei durante il periodo di nazionalsocialismo e a confrontarsi spiritualmente con loro. E' auspicabile che possa portare ricchi frutti e che possa servire di esempio per altre nazioni. Tali iniziative arricchiranno anche la convivenza civile di tutti i gruppi sociali e stimoleranno ad impegnarsi nel rispetto reciproco per i deboli, i bisognosi e gli emarginati, a superare ostilità e pregiudizi, come pure a difendere i diritti umani, soprattutto il diritto alla libertà religiosa di ogni persona e comunità.
In questo vasto programma di azione, cui invitiamo ebrei, cristiani e tutti gli uomini di buona volontà, sono impegnati da molti anni i cattolici austriaci, Vescovi, fedeli e diverse organizzazioni. Recentemente si sono tenuti a Vienna fruttuosi incontri con personalità ebraiche.
4. L'armonia e l'unità dei diversi gruppi di una nazione sono anche una solida premessa per un efficace contributo alla promozione della pace e della comprensione fra i popoli, come ha dimostrato negli ultimi decenni proprio la storia dell'Austria. La causa della pace sta a cuore a tutti noi, soprattutto in Terrasanta, in Israele, in Libano e in Medioriente. A queste regioni ci legano profonde radici bibliche, storiche, religiose e culturali. La pace, secondo gli insegnamenti dei profeti di Israele, è un frutto della giustizia e del diritto e allo stesso tempo un dono gratuito del tempo messianico. perciò deve essere eliminato ogni tipo di violenza, che ripete vecchi errori e quindi suscita odio, fanatismo e integralismo religioso, che sono nemici dell'armonia fra gli uomini.
Ognuno esamini a questo proposito la sua coscienza secondo la sua responsabilità e competenza. Innanzitutto pero è necessario che noi promuoviamo un dialogo costruttivo fra ebrei, cristiani e musulmani, affinché la comune testimonianza della fede nel "Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe" (Ex 3,6) porti frutti efficaci nella ricerca della comprensione reciproca e della convivenza fraterna, senza violare i diritti di alcuno.
Deve essere intesa in questo senso ogni iniziativa della Santa Sede, quando si impegna per il riconoscimento della medesima dignità per il popolo ebraico nello Stato di Israele e per il popolo palestinese. Come ho sottolineato l'anno scorso dinnanzi ai rappresentanti delle comunità ebraiche negli Stati Uniti d'America, il popolo ebraico ha diritto a una patria, come ogni altra nazione, secondo il diritto internazionale. Lo stesso pero vale anche per il popolo palestinese, nel mezzo del quale tanti sono i profughi senza patria.
Attraverso la disponibilità comune alla comprensione e al compromesso dovranno essere trovate alla fine quelle soluzioni, che conducano ad una pace giusta, completa e durevole in questo territorio (cfr. "Miamiae, allocutio ad quosdam sodales Iudaeorum consociationum coram admissos", die 11 sept. 1987: , X, 3 [1987] 379ss). Quando si semina soltanto abbondanza di amore e di perdono, la zizzania dell'odio non potrà crescere; sarà estirpata. Ricordarsi della "Shoà" significa anche opporsi ad ogni incitamento alla violenza, e proteggere e promuovere ogni tenero germoglio di libertà e pace con pazienza e costanza.
In questo spirito di disponibilità cristiana alla riconciliazione ripeto di cuore il vostro "Shalom" e imploro per noi tutti il dono dell'armonia fraterna e la benedizione dell'onnipotente e misericordioso Dio di Abramo, vostro e nostro Padre nella fede.
Data: 1988-06-24 Data estesa: Venerdi 24 Giugno 1988
Titolo: La preoccupante perdita del rispetto per la vita indica una fame d'amore che il mondo non riesce a soddisfare
Testo:
Carissimi fratelli e sorelle!
1. "Signore, tu mi scruti e mi conosci..., Ti sono note tutte le mie vie" (Ps 139[138],1-2).
Così preghiamo assieme al salmista nella liturgia odierna. Le sue parole esprimono quanto qui ci unisce profondamente, in modo invisibile, è vero, ma vero ed essenziale: siamo qui riuniti nella comune fede in Dio presente, in Dio che ci scruta e ci conosce. Dio sa tutto di noi da sempre, conosce ciascuno di noi, siamo tutti iscritti nel suo cuore amorevole, la sua Provvidenza abbraccia l'intero creato. "In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (Ac 17,28): così l'apostolo Paolo spiega agli ateniesi, che lo interrogavano nell'Areopago, la vicinanza di Dio a noi uomini.
Siamo riuniti qui davanti a lui - davanti al Dio invisibile. Nella sua parola eterna, il Figlio incarnato, egli ci ha chiamati per nome, perché abbiamo la vita attraverso di lui e l'abbiamo in abbondanza (Jn 10,10).
Per questo celebriamo l'Eucaristia. Veniamo per ricevere dal Padre in Gesù Cristo tutto ciò che può servire alla nostra salvezza. E portiamo tutto: la nostra gioia, la nostra gratitudine, le nostre preghiere, noi stessi, per donarci interamente al Padre in Cristo: in lui, che è il primogenito di tutta la creazione (cfr. Col 1,15). In e attraverso Cristo vogliamo pregare il nostro creatore e Padre assieme al salmista: "Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere" (Ps 139[138],14).
2. Con gioia riconoscente saluto Eisenstadt, sede della vostra diocesi, che grazie alla cortesia del vostro Vescovo ho potuto visitare già anni or sono. Saluto di cuore monsignor Stefan Làszlo e lo ringrazio per i molti anni di fraterna amicizia e di solidarietà, dal Concilio fino ad oggi. Ricordo con piacere i nostri incontri a Cracovia ed a Roma. Sono contento di poter essere nuovamente suo ospite.
Di cuore saluto tutti voi presenti, Cardinali, Vescovi, sacerdoti e religiosi, tutti i fedeli della diocesi di Eisenstadt e delle diocesi limitrofe austriache, e in modo particolare i numerosi ospiti venuti dall'Ungheria e dalla Croazia in Jugoslavia. Attraverso voi il nostro saluto benedicente va a tutti i fratelli e le sorelle nella fede nelle vostre terre d'origine, con i quali oggi ci sentiamo intimamente uniti nell'unica Chiesa di Gesù Cristo al di la di ogni frontiera.
3. "Signore, tu mi scruti e mi conosci". La Chiesa ripete queste parole del salmista nella odierna liturgia festiva, nella ricorrenza della natività di Giovanni il Battista, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. "Fin dal grembo materno" Dio lo ha chiamato per predicare "il battesimo della conversione" nel Giordano e per preparare la venuta di suo Figlio (cfr. Mc 1,4).
Le particolari circostanze della nascita di Giovanni ci sono state tramandate dall'evangelista Luca. Secondo un'antica tradizione, essa avvenne ad Ain-Karim, davanti alle porte di Gerusalemme. Le circostanze che accompagnarono questa nascita erano tanto inconsuete, che già a quell'epoca la gente si domandava: "Che sarà mai questo bambino?" (Lc 1,66). Per i suoi genitori credenti, per i vicini e per i parenti era evidente, che la sua nascita fosse un segno di Dio. Essi vedevano chiaramente che la "mano del Signore" era su di lui. Lo dimostrava già l'annuncio della sua nascita al padre Zaccaria, mentre questi provvedeva al servizio sacerdotale nel tempio di Gerusalemme. La madre, Elisabetta, era già avanti negli anni e si riteneva fosse sterile. Anche il nome "Giovanni" che gli fu dato era inconsueto per il suo ambiente. Il padre stesso dovette dare ordine che fosse chiamato "Giovanni" e non, come tutti gli altri volevano,"Zaccaria" (cfr. Lc 1,59-63).
Il nome Giovanni significa, in lingua ebraica "Dio è misericordioso".
Così già nel nome si esprime il fatto che il neonato un giorno annuncerà il piano di salvezza di Dio.
Il futuro avrebbe pienamente confermato le predizioni e gli avvenimenti che circondarono la sua nascita: Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, divenne la "voce di uno che grida nel deserto" (Mt 3,3), che sulle rive del Giordano chiamava la gente alla penitenza e preparava la via a Cristo.
Cristo stesso ha detto di Giovanni il Battista che "tra i nati di donna non è sorto uno più grande" (cfr. Mt 11,11). Per questo anche la Chiesa ha riservato a questo grande messaggero di Dio una venerazione particolare, fin dall'inizio. Espressione di questa venerazione è la festa odierna.
4. Cari fratelli e sorelle! Questa celebrazione, con i suoi testi liturgici, ci invita a riflettere sulla questione del divenire dell'uomo, delle sue origini e della sua destinazione. E' vero, ci sembra di sapere già molto su questo argomento, sia per la lunga esperienza dell'umanità, sia per le sempre più approfondite ricerche biomediche. Ma è la parola di Dio che ristabilisce sempre di nuovo la dimensione essenziale della verità sull'uomo: l'uomo è creato da Dio e da Dio voluto a sua immagine e somiglianza. Nessuna scienza puramente umana può dimostrare questa verità. Al massimo essa può avvicinarsi a questa verità o supporre intuitivamente la verità su questo "essere sconosciuto" che è l'uomo fin dal momento del suo concepimento nel grembo materno.
Allo stesso tempo pero ci troviamo ad essere testimoni di come, in nome di una presunta scienza, l'uomo venga "ridotto" in un drammatico processo e rappresentato in una triste semplificazione; e così accade che si adombrino anche quei diritti che si fondano sulla dignità della sua persona, che lo distingue da tutte le altre creature del mondo visibile. Quelle parole del libro della Genesi, che parlano dell'uomo come della creatura creata ad immagine e somiglianza di Dio, mettono in rilievo, in modo conciso e al tempo stesso profondo, la piena verità su di lui.
5. Questa verità sull'uomo possiamo apprenderla anche dalla liturgia odierna, in cui la Chiesa prega Dio, il creatore, con le parole del salmista: "Signore, tu mi scruti e mi conosci... / Sei tu che hai creato le mie viscere / e mi hai tessuto nel seno di mia madre... / tu mi conosci fino in fondo.
/ Quando venivo formato nel segreto... / non ti erano nascoste le mie ossa... / Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio" (Ps 139[138],1.13-15).
L'uomo quindi è consapevole di ciò che è - di ciò che è fin dall'inizio, fin dal grembo materno. Egli sa di essere una creatura che Dio vuole incontrare e con la quale vuole dialogare. Di più: nell'uomo vorrebbe incontrare l'intero creato.
Per Dio, l'uomo è un "qualcuno": unico ed irripetibile. Egli, come dice il Concilio Vaticano II, "in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa" (cfr. GS 24).
"Il Signore dal seno materno mi ha chiamato; fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome" (Is 49,1); come il nome del bambino che è nato in Ain-Karim: "Giovanni". L'uomo è quell'essere, che Dio chiama per nome. Per Iddio egli è il "tu" creato, Tra tutte le creature egli è quell'"io" personale, che può rivolgersi a Dio e chiamarlo per nome. Dio vuole nell'uomo quel partner che si rivolga a lui come al proprio creatore e Padre: "Tu, mio Signore e mio Dio". Al "tu" divino.
6. Cari fratelli e sorelle! Come rispondiamo noi uomini a questa chiamata di Dio? Come intende l'uomo di oggi la sua vita? In nessuna altra epoca sono stati compiuti tanti sforzi mediante la tecnica e la medicina, per salvaguardare la vita umana contro la malattia, per prolungarla sempre più e per salvarla dalla morte.
Allo stesso tempo, pero, nessun'altra epoca, come la nostra, ha prodotto tanti luoghi e tanti metodi di disprezzo e di distruzione dell'uomo. Le amare esperienze del nostro secolo con le macchine di morte di due guerre mondiali, la persecuzione e la distruzione di interi gruppi di uomini a causa della loro appartenenza etnica o religiosa, la corsa agli armamenti atomici fino all'estremo limite, l'impotenza degli uomini di fronte alle grandi miserie in molte parti della terra potrebbero indurci a dubitare, se non addirittura a rinnegare, l'affetto e l'amore che Dio ha per l'uomo e per l'intero creato.
O non sarà piuttosto il caso di porci la domanda al contrario, quando consideriamo i terribili eventi che a causa degli uomini si sono abbattuti sul mondo e di fronte alle molteplici minacce del nostro tempo: non è l'uomo che si è allontanato da Dio, che è la sua origine, non si è forse discostato da lui, e non ha forse innalzato se stesso a centro e metro della propria vita? Non credete che negli esperimenti che si conducono sull'uomo, esperimenti che contraddicono la sua dignita, nell'atteggiamento mentale di molti verso l'aborto e l'eutanasia si esprima una preoccupante perdita del rispetto della vita? Non è forse evidente, anche nella vostra società, quando si guarda alla vita di molti - caratterizzata da vuoto interiore, paura e fuga - che l'uomo stesso ha reciso le proprie radici? Il sesso, l'alcool e la droga non debbono forse intendersi come segnali di allarme? Non indicano, forse, una grande solitudine dell'uomo odierno, un desiderio di cure, una fame di amore che un mondo ripiegato su se stesso non riesce a quietare? In effetti, quando l'uomo non è più legato alla sua radice, che è Dio, egli si impoverisce di valori interiori e pian piano diventa succube di diverse minacce. La storia ci insegna che uomini e popoli che credono di poter esistere senza Dio sono immancabilmente destinati alla catastrofe dell'autodistruzione. Il poeta Ernst Wiechert lo ha espresso in questa frase: "Siate pur certi che nessuno cadrà fuori da questo mondo, che prima non sia caduto fuori da Dio".
Al contrario, da un rapporto vivo con Dio l'uomo acquisisce la consapevolezza della unicità e del valore della propria vita e della propria coscienza personale. Nella sua vita vissuta concretamente egli sa di essere chiamato, sorretto e spronato da Dio. Nonostante le ingiustizie e le sofferenze personali egli comprende che la sua vita è un dono; egli ne è grato e sa di esserne responsabile davanti a Dio. In questo modo, Dio diventa per l'uomo fonte di forza e di fiducia, e a questa fonte l'uomo può rendere la sua vita degna e sa anche metterla generosamente al servizio dei fratelli.
7. Dio ha chiamato Giovanni il Battista già "nel grembo materno" perché divenisse "la voce di uno che grida nel deserto" e preparasse quindi la via a suo Figlio. In modo molto simile, Dio ha "posto la sua mano" anche su ciascuno di noi. Per ciascuno di noi ha una chiamata particolare, a ciascuno di noi viene affidato un compito pensato da lui per noi.
In ciascuna chiamata, che può giungerci nel modo più diverso, si avverte quella voce divina, che allora parlo attraverso Giovanni: "Preparate la via del Signore!" (Mt 3,3).
Ogni uomo dovrebbe domandarsi in che modo può contribuire nell'ambito del proprio lavoro e della propria posizione, ad aprire a Dio la via in questo mondo. Tutte le volte che ci apriamo alla chiamata di Dio, prepariamo, come Giovanni, la via del Signore tra gli uomini. Tra tutti quegli uomini e quelle donne che nell'arco della storia si sono aperti in maniera esemplare all'opera di Dio vorrei parlare di san Martino. Se anche i secoli ci separano da lui, egli ci è vicino nella sequela di Cristo attraverso il suo esempio e la sua grandezza che non ha età. Egli è il vostro patrono diocesano e regionale. Egli è venerato come il grande santo di tutta la regione della Pannonia: "Martinus natus Savariae in Pannonia".
Martino sta davanti a noi come uomo, che ha dato confidenza a Dio, che ha capito e praticato il suo "si alla fede" come un "si alla vita". Ha compiuto ciò a cui si sentiva chiamato fino all'ultima conseguenza. Ancor prima di diventare cristiano, divise con i poveri il suo mantello. La vita militare gli dava certamente delle soddisfazioni, ma non gli bastavano. Come ogni uomo, era alla ricerca di una gioia duratura, di una gioia che nulla può distruggere. Solo in età più matura incontro Gesù Cristo nella fede, e in lui ha trovato la pienezza della gioia e la felicità. Attraverso la fede, Martino non è diventato più povero, ma più ricco: è cresciuto nella sua umanità, è cresciuto nella grazia davanti a Dio ed agli uomini.
8. Affinché questa verità - che l'uomo trova la sua completezza e la sua vera salvezza solo in Dio - possa essere sempre annunciata, sono necessari sacerdoti e religiosi. perciò, siate consapevoli della vostra corresponsabilità nel risvegliare vocazioni spirituali. Ho saputo con gioia che tra qualche giorno sei sacerdoti saranno ordinati nella vostra diocesi. E' un grande dono per la Chiesa e per la vostra patria. Non cessate di pregare affinché il Signore mandi operai alla sua messe! In modo particolare mi rivolgo ai giovani, che sono il futuro del vostro Paese e della Chiesa. Cercate di capire, cari giovani amici, cosa Dio vuole da voi. Siate aperti alla sua chiamata! Ascoltate attentamente perché potrebbe invitare anche voi a seguire Cristo come sacerdoti, religiose o religiosi qui, nella vostra patria, oppure in terra di missione.
Prego voi tutti: qualunque strada decidiate di prendere, lasciate che il seme della Parola di Dio cada nei solchi del vostro cuore; una volta li, non lasciatelo seccare, ma curatelo affinché possa germogliare e portare ricchi frutti.
Dite "si alla fede", dite "si alla vita", perché Dio la vive insieme con voi! Insieme a lui la vostra vita diventerà un'avventura: sarà bella, ricca e piena! 9. Cari cristiani della diocesi di Eisenstadt! Nello spirito di san Martino voi oltrepassate anche le frontiere della vostra diocesi. Il vostro Vescovo ricorda costantemente la sua funzione di ponte nei confronti dei popoli dell'Europa dell'Est. Voi siete pronti a mantenere contatti con loro ed a condividere con loro, sia sul piano materiale che su quello spirituale. I molti ospiti provenienti dai Paesi confinanti ne sono una continua testimonianza.
Allo stesso modo prendete atto della vostra responsabilità nei confronti della Chiesa universale ed in particolare di quelle Chiese locali che vivono in condizioni di miseria e povertà materiali. So che quasi in ogni punto della terra sostenete, secondo le vostre forze, un programma di aiuti e che mantenete continui scambi con le vostre diocesi gemelle in Africa e in India. Aiutate i vostri missionari, le religiose ed i promotori dello sviluppo in molte parti del mondo.
Ho saputo anche che in occasione della mia visita avete raccolto una generosa donazione nella vostra diocesi con la quale intendete sostenere la casa per i senzatetto sorta in Vaticano per i poveri di Roma e affidata a Madre Teresa. Per questo gesto e per ogni aiuto che darete a chi è sofferente vi ringrazio di cuore e vi incoraggio a continuare ad agire in modo esemplare nello spirito del patrono della vostra diocesi, san Martino.
10. "Preparate la via al Signore... perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra" (cfr. Is 49,6). Quando noi, cari fratelli e sorelle, guardiamo alla nostra vocazione di cristiani, che attraverso il Battesimo siamo diventati un solo corpo con Cristo, allora queste parole del Signore, pronunciate per bocca del profeta Isaia - dall'avvento della storia della salvezza prima della prima venuta di Cristo - acquistano per noi, alla fine del secondo millennio dalla nascita di Cristo, un significato particolare. Ci troviamo infatti, soprattutto qui, nel vecchio continente, in un "nuovo avvento" della storia universale. Non dobbiamo forse far si che la "salvezza" che ci ha donato Cristo giunga di nuovo fino alle frontiere più estreme dell'Europa? Tutti sentiamo di avere molto bisongno di un rinnovamento, di un nuovo incontro con Dio. Rinnovamento, conversione ed incontro con Dio, alle sorgenti della fede, meditazione sulla fede integrale: questo è l'appello che ci lancia l'odierna festività della nascita di Giovanni il Battista e questo è lo sprone che ci dà anche l'esempio di san Martino.
Tutti conosciamo il bisogno di rinnovamento della nostra società, della rievangelizzazione del nostro continente: affinché l'uomo europeo non perda il senso della sua dignità fondamentale; affinché non diventi vittima delle forze distruttrici della morte spirituale, ma anzi abbia la vita e l'abbia in abbondanza (cfr. Jn 10,10)! 11. Con grande gioia vorrei ora rivolgere una breve parola di saluto ai nostri fratelli e sorelle presenti provenienti dall'Ungheria e dalla Croazia, nella loro rispettiva lingua madre.
Cari fratelli cristiani di lingua ungherese! Di cuore ripeto ancora una volta il mio saluto di benvenuto già espresso all'arrivo. Il mio saluto fraterno si rivolge in particolar modo ai Vescovi ungheresi con l'Arcivescovo di Esztergom e Primate di Ungheria, monsignor Làszlo Paskai, che fra pochi giorni sarà insignito da me della dignità cardinalizia, ed a tutti i sacerdoti e religiosi.
Saluto tutti i fedeli di lingua ungherese della diocesi di Eisenstadt e coloro che dall'Ungheria - e fra loro ci sono molti profughi della Transilvania - e da ogni altro luogo sono giunti qui numerosi, per incontrarsi con il successore di Pietro e partecipare a questa Messa.
L'incontro con voi mi dona una grande gioia spirituale. Attraverso voi saluto l'intera Chiesa e l'intera nazione ungherese. La storia del vostro popolo è strettamente legata a quella della fede cristiana. L'amore per Cristo e per sua madre Maria sono radicati profondamente nel cuore dei vostri antenati. Ed è lo stesso amore che muove anche voi. Per tale motivo siete qui convenuti e per tale motivo continuate a percorrere come pellegrini la strada che conduce a Mariazell e ad altri luoghi della devozione mariana.
Con affetto particolare partecipo alle celebrazioni del Giubileo che proprio quest'anno vi richiama alla memoria il vostro re santo Stefano. La sua profonda fede e la sua dedizione verso i propri simili possa essere per voi modello e stimolo. Un grande testimone della fede del nostro tempo è il servo di Dio Ladislaus Batthyany, per la cui beatificazione voi sollecitate da tempo Roma.
In quest'anno dedicato alla Madre di Dio, desidero affidarvi le parole con le quali Maria durante le nozze di Cana si riferisce al proprio Figlio: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5) e desidero che voi le portiate nella vostra patria e nella vita di tutti i giorni. Se voi vi atterrete a queste parole, allora vi metterete già sulla giusta strada. Nell'oscurità e nell'insicurezza esse sono la direzione e l'orientamento. Possano Maria, patrona d'Ungheria, ed il vostro santo re Stefano essere intercessori presso il Signore per voi ed i vostri cari, per la vostra Chiesa e per l'intero popolo ungherese, affinché conserviate fedelmente la fede cristiana vivendola e testimoniandola come veri discepoli di Gesù Cristo.
Saluto i cari fedeli di lingua croata di Gradisce e tutti i croati che sono venuti a questa celebrazione Eucaristica a Gradisce con i loro Vescovi sotto la guida del Cardinale Franjo Kuharic. La storia della cultura croata e la storia della lingua croata a Gradisce sono strettamente legate alla fede cattolica.
Preziosi frutti sono scaturiti da questo legame. Ricordo soltanto come esempio la persona e l'opera del sacerdote e poeta Mato Mersic Miloradic, il quale fu nello stesso tempo ottimo sacerdote e maestro della lingua croata.
Durante i secoli è stata la fede cattolica l'anima della vostra cultura.
Vorrei che questo avvenga anche in futuro.
Le prime preghiere che avete sentito ed imparato erano in lingua croata, lingua dei vostri antenati. Le prime canzoni spirituali erano ugualmente in questa bella lingua. Conservate la fede dei vostri antenati. Non abbiate vergogna di questa fede. Conservate e sviluppate la cultura dei vostri padri.
Infine un saluto speciale ai croati della madre patria, qui convenuti assai numerosi ed a quelli che vivono all'estero. So che con non pochi sacrifici siete venuti a questo incontro con il Papa. A voi e a tutti i vostri nella cara Croazia, a voi che siete tanto fedeli al Vicario di Cristo, la mia apostolica benedizione.
Sia lodato Gesù e Maria!
Data: 1988-06-24 Data estesa: Venerdi 24 Giugno 1988
GPII 1988 Insegnamenti - Al Corpo diplomatico - Vienna (Austria)