GPII 1988 Insegnamenti - Lettera apostolica - Città del Vaticano (Roma)

Lettera apostolica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Iusti Iudicis"

Testo:

Seguendo gli esempi e le parole di Gesù Cristo, giusto giudice (2Tm 4,8), la Chiesa, fin dall'inizio della sua esistenza, è stata particolarmente sensibile ai problemi dell'amministrazione della giustizia, e ciò sia nell'ambito suo proprio sia nei rapporti con gli ordinamenti secolari, in cui essa stessa e i suoi fedeli sono chiamati a vivere e a svolgere la loro missione di salvezza.

perciò, da un lato, nell'ambito della stessa comunità ecclesiale, dotata di un ordinamento giuridico proprio, è stato fin dai primi tempi provveduto a che le persone fisiche e giuridiche fossero patrocinate presso le istanze ecclesiastiche per tutelare i beni spirituali o quelli con essi connessi, loro spettanti a tenore del diritto divino ed umano, vigente nella Chiesa.

D'altro lato, la Chiesa stessa, nelle sue varie articolazioni, si è trovata nella necessità di esigere il riconoscimento e l'osservanza di suoi diritti anche in sede giudiziaria.

Seguace, poi, di colui "che, da ricco che era, si è fatto povero" (2Co 8,9), ha sentito come sua la necessità dei poveri e dei deboli di essere assistiti anche sul piano processuale, ove necessario, per la tutela dei propri diritti.

Nell'espletamento di questa funzione, che ha una dimensione ecclesiale, si sono impegnati gli avvocati.

Presso la Santa Sede hanno svolto questa funzione due istituzioni particolarmente benemerite.

Già san Gregorio Magno stabili sette difensori della Chiesa, dai quali ebbero probabilmente origine gli avvocati concistoriali.

Nel 1130 Innocenzo II assegno il compito di patrocinare le cause davanti al Sommo Pontefice ai procuratori dei sacri Palazzi Apostolici.

Benedetto XII, poi, con la costituzione apostolica "Decens et Necessarium", del 26 ottobre 1340, costitui in due collegi distinti gli avvocati concistoriali e i procuratori dei sacri Palazzi Apostolici.

Nel corso della storia i due citati collegi hanno assolto egregiamente la loro importante e delicata funzione, tanto da meritare riconoscimenti e privilegi dai Sommi Pontefici.

Nel contesto, peraltro, della revisione della costituzione apostolica sulla Curia romana e, quasi a completamento di quell'aggiornamento, di cui il Vaticano II ha posto i principi e fissato gli orientamenti ed il CIC ha perseguito l'attuazione sul piano giuridico, è sembrato opportuno riordinare integralmente la materia alla luce degli sviluppi, che, anche in tema di amministrazione della giustizia, si sono determinati, grazie all'opera di difesa e di promozione dei diritti umani, compiuta dalla Chiesa, in obbedienza al mandato ricevuto dal suo fondatore.

Avvocati presso la Curia romana Articolo 1.

Oltre agli avvocati rotali e per le cause dei santi, che continuano ad esercitare come prima le loro funzioni, secondo le disposizioni generali del diritto e della legge propria di ciascun dicastero, presso la Curia romana e istituito l'albo generale degli avvocati abilitati al patrocinio nelle cause presso il supremo tribunale della segnatura apostolica e a prestare la loro assistenza nei ricorsi gerarchici presso i Dicasteri della Curia romana.

Articolo 2.

Il Cardinale Segretario di Stato, sentita una commissione a ciò stabilmente costituita, provvede alla iscrizione all'albo generale degli avvocati dei candidati in possesso dei requisiti, di cui al successivo articolo.

Articolo 3.

Perché un candidato possa essere iscritto all'albo generale è necessario: 1) che si distingua per esemplare integrità di vita cristiana e attiva partecipazione alla vita della comunità ecclesiale, secondo la propria vocazione specifica; 2) possieda una conveniente preparazione teologica; 3) eccella nella dottrina giuridica, attestata da specifici titoli accademici e connessi ad un'appropriata esperienza professionale.

Articolo 4.

Gli avvocati iscritti all'albo sono tenuti all'osservanza, oltre che delle prescrizioni del diritto universale, delle regole della deontologia professionale.

Articolo 5.

§ 1. Se un iscritto viola gravemente le norme di deontologia professionale, il caso sia deferito al Supremo Tribunale della Segnatura apostolica, il quale procede d'ufficio a norma del diritto ad erogare la sanzione, secondo la gravità della violazione stessa, non esclusa la radiazione dall'Albo.

§ 2. In caso di instaurazione di procedimento penale canonico o civile, pendente il processo, si applica la sospensione cautelativa.

Articolo 6.

§ 1. Inoltre sono espunti immediatamente dall'Albo:


1. coloro che notoriamente vengono meno alla fede cattolica.

2. coloro che vivono in concubinato o che hanno contratto solo il vincolo civile o perseverano manifestamente in grave peccato; 3. coloro che abbiano aderito ad associazioni di qualsiasi genere, che tramano contro la Chiesa.


4. coloro che aderiscono o collaborano con movimenti o associazioni ispirati ad ideologie o prassi incompatibili con la dottrina della fede e della morale cristiana o che propugnano programmi politici o progetti legislativi contrari ai precetti della legge naturale e cristiana.


5. coloro che pubblicamente contrastano o disattendono le istruzioni dottrinali e pastorali delle legittime autorità ecclesiastiche.

§ 2. In questi casi la questione deve essere deferita al Supremo Tribunale della Segnatura apostolica, che procede d'ufficio a norma del diritto ad applicare l'espunzione dall'albo.

Avvocati della Santa Sede Articolo 7.

E' costituito un determinato numero di avvocati della Santa Sede, scelti di preferenza tra gli avvocati, iscritti nell'albo generale, abilitati ad assumere il patrocinio delle cause per conto della Santa Sede o dei dicasteri della Curia romana presso i tribunali ecclesiastici o civili.

Articolo 8.

Gli avvocati della Santa Sede sono nominati per un quinquennio dal Cardinale Segretario di Stato, sentita la commissione, di cui all'articolo 2; per gravi motivi possono essere rimossi.

Cessano dall'incarico al compimento del 75° anno di età.

Articolo 9.

Gli avvocati della Santa Sede sono tenuti a condurre una vita esemplare, secondo i precetti di Dio e della Chiesa, ad adempiere agli incarichi loro affidati con la massima coscienza del dovere.

Sono tenuti inoltre ad osservare il segreto nelle cause e negli affari, che devono essere trattati sotto segreto.

Articolo 10.

§ 1. Gli avvocati della Santa Sede succedono ai componenti del Collegio degli Avvocati Concistoriali e del Collegio dei Procuratori dei Sacri Palazzi Apostolici - i quali collegi vengono perciò a cessare - nell'esercizio delle funzioni, previste dal diritto, presso i tribunali della Curia romana e dello Stato della Città del Vaticano.

§ 2. Gli attuali avvocati concistoriali e i procuratori dei sacri Palazzi Apostolici conservano, oltre il titolo, i diritti e i privilegi personali previsti dalle norme specifiche che li riguardavano.

Tutto quanto da noi stabilito in questa lettera in forma di "Motu Proprio", disponiamo che abbia valore di legge, nonostante qualsiasi cosa in contrario.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 28 del mese di giugno dell'anno 1988, decimo del nostro Pontificato.


Data: 1988-06-28 Data estesa: Martedi 28 Giugno 1988




Omelia durante la Messa per i santi Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Come Pietro, instancabili assertori e costruttori di pace e di concordia. Come Paolo, modelli di incessante dedizione alla proclamazione del Vangelo

Testo:


1. "O Roma felix!" La Chiesa che è in Roma rivolge oggi lo sguardo verso le sue origini.

L'inizio della sua esistenza si collega con i nomi degli apostoli Pietro e Paolo, si collega con l'eredità particolare che essi hanno qui lasciato. L'hanno lasciata non soltanto alla Chiesa di Roma, ma anche a tutto il mondo.

La testimonianza apostolica, l'eredità apostolica.

Oggi è il giorno in cui questa testimonianza apostolica è stata sigillata con la morte; con il martirio. Proprio questa morte degli apostoli, quale testimonianza definitiva, costituisce il "sigillo" della loro eredità.

Noi ritorniamo costantemente ad essa, perché viviamo di essa e ci sviluppiamo da essa. Oggi lo manifestiamo in modo particolare sia qui a Roma, sia nel mondo intero.

"O Roma felix!" 2. La testimonianza apostolica è stata la testimonianza di uomini, di uomini chiamati da Cristo.

La loro storia è conosciuta sufficientemente sia per quanto riguarda Simon Pietro, sia per Paolo di Tarso.

La storia degli uomini ha la sua caratteristica "umana"; la sua "autenticità" umana. I testi del Nuovo Testamento, i Vangeli e le lettere ci permettono di conoscere quest'autenticità umana di Simone figlio di Giona, come anche di Saulo di Tarso.

In questo modo diventa ancor più trasparente la scelta operata da Cristo nella chiamata di ciascuno di essi. Scegliendo Simon Pietro, Gesù ha chiamato un uomo generoso, ma anche impulsivo, che era in grado di dire al maestro: "Anche se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzero mai" (Mt 26,33), ma che poco dopo veniva dolorosamente meno alla sua promessa. E noto - fu quello il momento del rinnegamento e poi delle lacrime amare del pentimento.

Tuttavia Cristo scelse proprio questo uomo, e confermo questa decisione anche dopo il rinnegamento di Pietro.

Il suo imprigionamento a Gerusalemme, ricordato dalla prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, mostra quanto questo apostolo, esposto in seguito alla persecuzione e alla morte, dovesse consolidare in sè la convinzione di essere sostenuto dalla potenza di Dio stesso.

Dato che Cristo un giorno gli aveva detto: "Tu sei pietra" (cfr. Mt 16,18), egli, in base alle esperienze della propria vita, doveva acquistare la sicura certezza di essere una tale "pietra" non grazie a se stesso, ma soltanto ed esclusivamente in virtù della potenza di Dio.


3. Conosciamo bene anche Paolo di Tarso. Mediante gli Atti degli Apostoli e le lettere, il profilo spirituale di quest'apostolo si delinea molto chiaramente.

Saulo, fariseo, nemico del nome di Cristo, persecutore dei discepoli e seguaci del nazareno, viene personalmente convertito da Cristo. Convertito vuol dire fatto passare dalla vita nella quale camminava con accanimento ad una vita diametralmente opposta. Da persecutore ad apostolo. E lo stesso fervore che dimostrava nel combattere Cristo, egli lo trasferisce nel professarlo e nel proclamarlo, raggiungendo con l'annuncio del Vangelo gli angoli più lontani dell'Impero romano.

Uomo di grandi lotte e combattimenti spirituali. Noi sentiamo un'eco di queste lotte e combattimenti anche nelle parole della seconda lettura di oggi, tratta dalla seconda lettera a Timoteo: "Cerca di venire presto da me... Il Signore... mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone... Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conserrvato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno" (2Tm 4,9 2Tm 4,17 2Tm 4,7-8).


4. La Chiesa che è a Roma ritorna a queste due figure, a entrambi gli apostoli, con i quali è collegata la sua apostolica eredità.

E lo fanno nello stesso giorno anche le altre Chiese, perché quest'eredità apostolica di Pietro e Paolo è importante e fondamentale per tutti.

Per tutta la Chiesa in Occidente e in Oriente.

Con gioia grande saluto la delegazione della carissima Chiesa di Costantinopoli, presieduta dal Metropolita Damaskinos di Svizzera. Con questa presenza e con la reciproca partecipazione della Chiesa cattolica alla festa di sant'Andrea al Phanar si esprime il comune desiderio di consolidare le fraterne relazioni che s'addicono a Chiese sorelle, impegnate nella ricerca del ristabilimento della piena unità. L'eredità tramandata dagli apostoli ed accettata in forme e modi diversi fin dai primordi, ci lega in uno spirito di profonda stima, di affetto, di mutua comprensione e di carità.

Saluto pure gli Arcivescovi metropoliti, recentemente nominati, a cui viene oggi imposto il sacro Pallio. Tale rito, che si compie presso la tomba di Pietro per mano del suo successore, è stato sempre interpretato come una manifestazione del "pasce oves meas", detto da Gesù a Pietro (cfr. Jn 21,15-17).

Il Pallio è, perciò, simbolo di speciale legame col Vescovo di Roma, "principio e fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione" (LG 18). Esso è, al tempo stesso, richiamo ad un più generoso spirito di servizio e di fedeltà nella quotidiana dedizione al gregge di Cristo. Vi auguro, venerati fratelli, che l'odierna cerimonia rafforzi in ciascuno di voi il proposito di lavorare per il Regno di Cristo così che, secondo l'auspicio espresso da un'antica formula, "unde advenit fastigium visibile, inde florescat amor invisibilis".

Col contributo di tutti sarà così efficacemente custodita l'eredità comune e universale. Pietro ha portato qui con sè ciò che il Padre stesso gli aveva rivelato su Cristo e che assunse forma di professione di fede per la Chiesa di tutti i tempi: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Ha portato anche la risposta di Cristo, una promessa per tutta la Chiesa: "Tu sei Pietro e su questa pietra edifichero la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18).

Paolo ha portato con sè a Roma l'interpretazione più matura, in quei tempi, della missione universale della Chiesa. Egli fu, tra tutti gli apostoli, colui che in misura maggiore percorse varie parti del mondo, ammaestrando tutte le nazioni (cfr. Mc 16,15 Mt 28,19). In questo modo egli divento un preannuncio vivente della stessa missione universale, di generazione in generazione.


5. Oggi, ricordiamo con venerazione tutti e due gli apostoli, rinnoviamo altresi la consapevolezza di questa eredità apostolica, che per mezzo di essi è stata collegata con Roma.

Tale sicura consapevolezza da quel tempo è durata di generazione in generazione, trovando conferma da parte delle più grandi autorità spirituali della storia cristiana.

E' noto il passo di Ireneo, che parla della Chiesa di Roma "antichissima, da tutti voi conosciuta, fondata e costituita dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo". A questa Chiesa - afferma il santo dottore del secondo secolo - occorre che converga ogni altra Chiesa, cioè l'intera comunità dei fedeli da ogni parte del mondo (cfr. S.Irenaei "Adversus haereses", l. 1, cap. 10). Nota è pure, per tralasciarne altre, la riflessione di san Cipriano, vissuto nel terzo secolo: "Il Signore parla a Pietro: Io ti dico - afferma - che tu sei Pietro, e su questa pietra edifichero la mia Chiesa (cfr. Mt 16,18). Sopra una sola persona egli edifica la Chiesa, e benché dopo la risurrezione abbia attribuito a tutti gli apostoli uguale potestà ...tuttavia, per manifestare l'unità, con la sua autorità egli dispose che l'origine di questa stessa unità cominciasse da un unico principio" (S.Cypriani "Liber de unitate Ecclesiae", cap. IV: PL 4,499s).


6. Dal giorno del martirio degli apostoli Pietro e Paolo, la Chiesa che è in Roma, consapevole di questa speciale eredità che deve a loro, non cessa di supplicare umilmente lo Spirito Santo, lo Spirito di verità, il Paraclito, perché le conceda - malgrado tutte le debolezze umane - di mantenere sempre la sua fede e la fedeltà a tutto ciò che costituisce tale eredità.

Lo specifico ministero "ministerium petrinum" che si collega col servizio del Vescovo di Roma, fa si che esso abbia una singolare importanza per tutta la Chiesa. Come responsabile di tale servizio, il Vescovo di Roma è tradizionalmente eletto dai rappresentanti del presbiterio della sua Chiesa, i quali, a partire dall'inizio del secondo millennio, sono raccolti in uno speciale collegio detto dei "Cardinali", a cui è riservata la competenza esclusiva dell'elezione papale.

A misura della crescita della Chiesa tra le diverse nazioni della terra, entrano a far parte di questo collegio i rappresentanti delle varie comunità ecclesiali del mondo. Anche se, come Cardinali, diventano membri del presbiterio della Chiesa di Roma, essi tuttavia esprimono pure l'universale estensione del "misterium petrinum". E ad un tempo manifestano quel significativo tratto missionario del "ministerium paulinum", che sin dall'inizio è stato iscritto nell'eredità apostolica della Chiesa che è in Roma.


7. Oggi partecipano alla nostra solennità i nuovi Cardinali. E concelebrano con il papa questa solenne Eucaristia, legata al ricordo dei santi apostoli Pietro e Paolo.

Tutto - ricorrenza liturgica, rito sacro, luogo ove la celebrazione si svolge - parla loro della grandezza del compito a cui sono stati chiamati. Tutto li richiama con forza al dovere di una coraggiosa testimonianza di unità fra loro e di fedeltà alla sede di Pietro. Essi sono cooperatori a speciale titolo del Sommo Pontefice, testimoni "usque ad effusionem sanguinis" dell'autentica fede, della parola rivelata, della verità annunciata nella Chiesa. Da essi ci si attende che siano, come Pietro, instancabili assertori e costruttori di pace e di concordia all'interno del Popolo di Dio, modelli, come Paolo, di generosa ed incessante dedizione alla proclamazione del Vangelo in ogni parte del mondo.


8. Nell'anno mariano ci rendiamo consapevoli, ancora una volta che nel mistero della chiesa è presente in modo speciale la Madre di Dio, la Madre di Cristo.

L'inizio di questa presenza risale dapprima al momento dell'annunciazione e dell'incarnazione e poi, al momento della nascita della Chiesa dallo Spirito Santo, nel giorno della Pentecoste. Maria era in quel giorno con gli apostoli, era in mezzo alla Chiesa nascente. Ed è rimasta sempre con essa.

"Infatti, nel mistero della Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre e vergine, la beata Vergine Maria è andata innanzi, presentandosi in modo eminente e singolare, quale vergine e quale madre" (LG 63). Anche la Chiesa "ad imitazione della madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito Santo, conserva verginalmente integra la fede, solida la speranza, sincera la carità" (LG 63).

Che queste parole del Vaticano II rimangano per voi, venerabili e cari fratelli, Cardinali dell'anno mariano, una particolare fonte di ispirazione lungo l'intero vostro servizio.


9. "Celebrate con me il Signore, / esaltiamo insieme il suo nome. / Ho cercato il Signore, e mi ha risposto / e da ogni timore mi ha liberato" (Ps 34,4-5 [33]). La liturgia dell'odierna solennità sembra mettere queste parole del salmista sulla bocca di entrambi gli apostoli: Pietro e Paolo.

Accogliamole nello stesso spirito.

Lo esige la nostra debolezza e indegnità.

Tuttavia "la potenza... si manifesta pienamente nella debolezza" (2Co 12,9). Il Signore è colui che ci libera da ogni male e ci salva per il suo regno eterno. A lui la gloria nei secoli dei secoli (cfr. 2Tm 4,18).

Amen.


Data: 1988-06-29 Data estesa: Mercoledi 29 Giugno 1988




Alla delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gli incontri fra le Chiese cattolica e ortodossa sono una chiamata alla speranza nella piena unità

Testo:

Eminenza, carissimi fratelli nel Signore.

Siate i benvenuti, voi che siete qui a nome della Chiesa sorella di Costantinopoli, per pregare e per essere insieme alla Chiesa di Roma che celebra i suoi celesti patroni, i gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Vi ringrazio per la vostra partecipazione alla nostra festa e in particolare ringrazio sua santità il Patriarca Dimitrios I e il santo Sinodo che vi hanno inviato.

I santi apostoli e martiri Pietro e Paolo "hanno lavorato, ciascuno secondo la loro grazia, a riunire l'unica famiglia di Cristo; ora che sono insieme nella stessa gloria ricevono lo stesso tributo" ("Praef. ad Missam SS. Petri et Pauli"). Con la grazia di Dio, attraverso il ministero apostolico che loro stessi e gli altri apostoli ci hanno trasmesso, le nostre Chiese hanno la missione di chiamare uomini e donne del nostro tempo a far parte della famiglia di Cristo, ed esse venerano insieme coloro che hanno loro affidato una responsabilità così grande ed un'eredità così preziosa.

In questo contesto si trova il senso profondo delle visite che la Chiesa di Costantinopoli e quella di Roma si scambiano in occasione delle feste dei loro santi patroni. La vostra presenza, eminenza e cari fratelli, richiama un'altra visita, anch'essa ricca di significato, di grazia e di promesse. Lo scorso dicembre ebbi la gioia di accogliere il mio carissimo fratello il Patriarca Dimitrios, accompagnato da degni metropoliti della vostra Chiesa. Conservo nel mio cuore il ricordo vivo di quell'incontro fraterno di fede e di amore. Il suo significato per l'oggi e per il futuro non deve esser dimenticato. Spero di tutto cuore che il popolo fedele, e in particolar modo i Vescovi e i teologi per quanto concerne la loro responsabilità e competenza, sappiano aiutare le nostre Chiese ad approfondire la grazia che a loro è stata donata in questa occasione. L'incontro tra il Patriarca ecumenico e il Papa di Roma è consistito in preghiere, conversazioni e gesti che hanno espresso lo stato attuale delle nostre relazioni ecclesiali, hanno ricordato che ci sono ancora alcune difficoltà da superare sulla strada verso la piena comunione, e hanno voluto essere un appello alla speranza, all'intercessione e all'impegno di tutti i fedeli perché arrivi finalmente il giorno in cui noi potremo celebrare di nuovo insieme i sacramenti del Signore.

I Vescovi e i teologi cattolici e ortodossi che hanno ricevuto questo mandato, assicurano per parte loro l'apporto necessario e indispensabile del dialogo perché le nostre Chiese possano ritrovarsi in una stessa comunione di fede e d'amore. Grazie a Dio questo dialogo continua positivamente.

Il Cardinale Willebrands, rientrato due giorni fa da Valamo dove si è svolta la quinta riunione plenaria della commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa, mi ha dato la buona notizia che i membri della Commissione hanno approvato all'unanimità un documento comune sul "sacramento dell'Ordine nella struttura sacramentale della Chiesa".

Hanno anche fissato il tema della prossima riunione. Il Cardinale Willebrands mi ha anche informato dell'atmosfera spirituale che ha caratterizzato l'incontro, e dell'accoglienza fraterna riservata ai membri della commissione da parte della Chiesa ortodossa di Finlandia.

Ringraziamo il Signore che, attraverso il suo Spirito, ci conduce alla realizzazione della meta tanto desiderata: la piena unità tra ortodossi e cattolici! Cercando di rispondere sempre meglio alla volontà di Cristo sulla sua Chiesa, cattolici e ortodossi non ripiegano su loro stessi. Ricevono da Dio questa "carità creatrice che ci conduce a collaborare per la giustizia e per la pace, sia a livello mondiale quanto a livello regionale e locale", come il Patriarca Dimitrios e io stesso abbiamo voluto ricordare nella nostra dichiarazione comune alla fine del nostro primo incontro.

Vorrei, concludendo, aggiungere che la vostra presenza, eminenza, mi ricorda un'altra visita: quella che ho avuto la fortuna di fare al Centro Ortodosso del Patriarcato ecumenico di Chambery. Vi esprimo la mia gratitudine per l'accoglienza cordiale e l'atmosfera di preghiera e di fraternità che hanno caratterizzato questo incontro al Centro patriarcale, che è anche al servizio di tutte le Chiese ortodosse preconciliari, il cui segretariato è affidato alla responsabilità di vostra eminenza.

Impegnandosi sulla strada dell'esperienza conciliare le Chiese ortodosse si aprono alla grazia dello Spirito Santo che riunisce e rinnova senza sosta la Chiesa per confermarla nella fede e nella verità rivelata. Quest'opera di rinnovamento della Chiesa, perché risponda sempre meglio alla sua vocazione, tocca le diverse forme della sua vita e contribuisce direttamente alla gande causa dell'unità dei cristiani. La Chiesa cattolica segue con speranza e interesse i lavori delle conferenze panortodosse preconciliari, e vi assicuro la mia preghiera perché si realizzi il santo progetto delle Chiese ortodosse. Eminenza e cari fratelli, in questo giorno di festa, noi siamo più intensamente uniti attraverso "la carità che edifica" (1Co 8,1).

Che ciascuno di noi consenta che essa porti i suoi frutti in noi stessi e nelle nostre Chiese per la gloria di Dio e il bene dell'umanità intera!


Data: 1988-06-29 Data estesa: Mercoledi 29 Giugno 1988




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rinnoviamo il proposito di essere fedelmente uniti al Papa: lo saremo alla Chiesa e a Cristo

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Con particolare letizia rivolgo a voi la mia parola oggi. Solennità dei santi Pietro e Paolo, sommi apostoli della Chiesa universale e patroni di questa città: oggi è in festa l'intera comunità cristiana e specialmente Roma, centro della cattolicità.

La nostra religione è tutta basata sulla fede, la quale non è soltanto un sentimento spirituale soggettivo, ma è adesione all'evento storico di Cristo, Verbo di Dio incarnato in un certo luogo e in un determinato tempo, noi, lontani di secoli da quell'evento meraviglioso e complesso, ne abbiamo certa notizia attraverso gli apostoli, testimoni oculari "prescelti da Dio" (Ac 10,41), e, in special modo, attraverso Pietro e Paolo, che con l'esperienza sensibile ebbero pure un carisma straordinario di rivelazione divina (cfr. Mt 16,17 Ac 9,3ss. ), grazie al quale divennero assertori qualificati della venuta e della rivelazione del Signore nel mondo.

La loro testimonianza rivive oggi nell'insegnamento dei loro successori, in particolare in quello del successore di Pietro, a cui Cristo ha affidato il compito di "confermare i fratelli" (Lc 22,32). Solo accettando questa testimonianza noi entriamo a far parte della comunità dei redenti. Ecco perché la Chiesa, che ricorda con devozione ogni apostolo, tributa particolare onore a Pietro ed, insieme con lui, a Paolo nel giorno della loro festa. Rinnoviamo oggi il proposito di essere fedelmente uniti a Pietro: lo saremo alla Chiesa, lo saremo a Cristo, nel quale il Padre ci ha rivelato se stesso e ci ha comunicato la sua vita divina.


2. Mi è caro ricordare come dieci anni fa - proprio nella solennità dei santi Pietro e Paolo - Papa Paolo VI nell'omelia della santa Messa celebrata nella Basilica vaticana, pronunziava quello che sarebbe stato il suo testamento di fede e di amore: un discorso molto profondo, accorato e tuttavia pieno di fiducia e di coraggio. "Guardando ai santi apostoli - egli diceva - noi gettiamo uno sguardo complessivo su quello che è stato il periodo durante il quale il Signore ci ha affidato la sua Chiesa... Ci sentiamo a questa soglia estrema confortati e sorretti dalla coscienza di avere instancabilmente ripetuto davanti alla Chiesa e al mondo: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio viventè"; anche noi, come Paolo, sentiamo di poter dire: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede!"".

Paolo VI, avvicinandosi all'incontro con Dio, trovava conforto e serenità nel messaggio dei santi Pietro e Paolo, sempre fermamente creduto e annunziato, pur in mezzo a tante controversie e a tante avversità. A dieci anni dalla morte, lo ricordiamo con affetto, meditando le sue parole di padre e di pastore, specialmente in questa giornata di gaudio per la Chiesa.


Data: 1988-06-29 Data estesa: Mercoledi 29 Giugno 1988




Ai membri dell'Internazionale Democratico Cristiana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'insegnamento sociale cristiano via maestra per giungere alla soluzione dei problemi nuovi

Testo:

Signor presidente, egregi signori.


1. Sono lieto di accogliervi, in occasione di questo convegno internazionale.

Ravviso con vivo compiacimento nel vostro desiderio, ripetutamente espresso, un segno di coerenza interiore con la scelta d'ispirare il comportamento politico al grande patrimonio della dottrina sociale della Chiesa.

Ringrazio con sincera cordialità il presidente, onorevole Flaminio Piccoli, per le parole di omaggio a me rivolte, a nome vostro e dei membri dell'organizzazione, in particolare per l'assicurazione di fedeltà all'insegnamento sociale cristiano che, per la ricchezza e attualità dei suoi contenuti, costituisce la via maestra per giungere alla soluzione dei problemi nuovi. Saluto sentitamente tutti e ciascuno di voi.

Il vostro ufficio, quale espressione culminante di una organizzazione politico-sociale d'ispirazione cristiana nel mondo, raccoglie i rappresentanti dei movimenti di molti Paesi. Son sicuro che ciascuno di voi, rientrando in patria dopo i lavori di questo incontro romano, si sentirà vigorosamente spinto a moltiplicare i propri sforzi perché il programma di difesa e promozione dei diritti umani e di attuazione della giustizia sociale si realizzi per il proprio popolo e per ogni suo membro.

Voi vi siete ritrovati insieme da vari continenti per chiarire il quadro attuale dei maggiori problemi internazionali, per esaminare i punti di crisi della pace, della libertà e della dignità dell'uomo, per individuarne le linee opportune di adeguati piani di soluzione.


2. Ebbene, egregi signori, nell'esprimere il mio compiacimento per i vostri propositi e per i vostri sforzi, desidero riaffermare che l'approfondimento del pensiero sociale della Chiesa vi sarà di valido aiuto per una realistica lettura della presente situazione del mondo e per l'elaborazione di rimedi efficaci.

Nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis", in cui mi sono proposto di tracciare un panorama del mondo di oggi, ho scritto: "In un mondo diverso, dominato dalla sollecitudine per il bene comune di tutta l'umanità, ossia dalla preoccupazione per lo "sviluppo spirituale e umano di tutti", anziché dalla ricerca del profitto particolare, la pace sarebbe possibile come frutto di una "giustizia più perfetta" tra gli uomini" (SRS 10).

Purtroppo siamo di fronte a un panorama dominato in larga parte dall'invadenza di "strutture di peccato", indotte da atteggiamenti opposti alla volontà di Dio, quali "la brama esclusiva del profitto e la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà" (SRS 37). Di qui, allora, la necessità di reagire con comportamenti diversi, soprattutto da parte di movimenti orientati alla luce del messaggio evangelico, al fine di neutralizzare gli effetti negativi delle vigenti strutture di peccato, e di determinare orientamenti nuovi, ispirati a quell'insieme di valori che costituiscono il bene comune.

La "Sollicitudo Rei Socialis" raccomanda in proposito l'impegno a guardare l'uomo nella sua globalità, allo scopo di riformare la società sulla base di principi che non soffochino la persona umana nel chiuso di una sola dimensione.

Di qui l'apertura al "parametro interiore", secondo cui l'uomo è visto nella sua realtà trascendente, partecipata da Dio fin dall'origine, e non esclusivamente secondo la sua capacità produttiva, che si misura in termini puramente economici.

Di qui anche l'attenzione alla completezza della natura, che, presentando l'essere umano nella realtà della coppia uomo-donna, ne pone in radice l'apertura alla dimensione sociale.

Scaturisce di qui il dovere della "solidarietà" estesa a tutti i livelli, all'interno della famiglia, della società, della comunità internazionale.

Solidarietà, che - come nell'enciclica ho sottolineato - non è sentimento di vaga compassione, ma determinazione ferma e costante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti (cfr. SRS 38).


3. Ecco, cari amici, quanto desideravo dirvi in questa circostanza. Vi ringrazio per questa vostra visita e, nell'esprimervi il mio sincero apprezzamento per il vostro lavoro, da cui molti s'attendono un contributo determinante alla corretta impostazione dei problemi nazionali e internazionali, formulo l'auspicio che i vostri movimenti rimangano fedeli ai principi ispiratori. Vi raccomando caldamente il più grande impegno perché i soci delle vostre organizzazioni ed in particolare i giovani, da cui usciranno i dirigenti di domani, siano stimolati a conoscere sempre meglio, ad approfondire e a diffondere la dottrina sociale della Chiesa.

Con questo auspicio rinnovo a tutti il mio benedicente saluto.


Data: 1988-06-30 Data estesa: Giovedi 30 Giugno 1988





GPII 1988 Insegnamenti - Lettera apostolica - Città del Vaticano (Roma)