GPII 1980 Insegnamenti - L'udienza ai gruppi di "Rinnovamento nello Spirito" - Città del Vaticano (Roma)
Titolo: L'autentico rinnovamento della Chiesa si realizza nei frutti della carità
Carissimi fratelli e sorelle! 1. Grazie, innanzitutto, di questa gioiosa visita, e in particolare, delle preghiere che avete rivolto al Signore per me e per le responsabilità del mio servizio pastorale. Vi diro con san Paolo che avevo "un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati o, meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi ed io" (Rm 1,11-12).
Stamani ho la gioia di incontrarmi con questa vostra assemblea, in cui vedo giovani, adulti, anziani, uomini e donne, solidali nella professione della stessa fede, sorretti dall'anelito di una medesima speranza, stretti insieme dai vincoli di quella carità che "è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5). A questa "effusione dello Spirito" noi sappiamo di essere debitori di una esperienza sempre più profonda della presenza di Cristo, grazie alla quale possiamo ogni giorno crescere nella conoscenza amorosa del Padre. Giustamente, pertanto, il vostro movimento presta particolare attenzione all'azione, misteriosa ma reale, che la terza persona della santissima Trinità svolge nella vita del cristiano.
2. Le parole di Gesù nel Vangelo sono esplicite: "Io preghero il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà con voi" (Jn 14,16-17).
Prima di ascendere al cielo, Gesù rinnova agli apostoli la promessa che saranno battezzati "in Spirito Santo" (Ac 1,5) e, pieni della sua potenza (cfr. Ac 2,2), gli renderanno testimonianza in tutto il mondo, parlando "in altre lingue come lo Spirito darà loro il potere di esprimersi" (cfr. Ac 2,4). Nel libro degli Atti lo Spirito viene presentato attivo e operante in coloro di cui si narrano le gesta, siano essi le guide della comunità (cfr. Ac 2,22-36 Ac 4,5-22 Ac 5,31 Ac 9,17 Ac 15,28ecc.) o semplici fedeli (cfr. Ac 4,31-37 Ac 10,45-47 Ac 13,50-52ecc.).
Non desta meraviglia che i cristiani di allora traessero da tali esperienze l'intima convinzione che "se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene" (Rm 8,9); e si sentissero perciò impegnati a "non spegnere lo Spirito" (1Th 5,19), a "non rattristarlo" (Ep 4,30), ma a "lasciarsi guidare" da lui (Ga 5,18), sorretti dalla speranza che "chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna" (Ga 6,8).
In effetti, Cristo ha affidato allo Spirito la missione di portare a compimento la "nuova creazione", a cui egli stesso ha dato inizio con la sua risurrezione. Dallo Spirito, dunque, deve attendersi la progressiva rigenerazione del cosmo e dell'umanità, tra il "già" della pasqua ed il "non ancora" della parusia.
E' importante che anche noi, cristiani posti dalla provvidenza a vivere negli anni conclusivi di questo secondo millennio, ravviviamo l'intima consapevolezza delle vie misteriose attraverso le quali essa persegue il suo disegno di salvezza. Dio si è comunicato irrevocabilmente nel Cristo. E' tuttavia per mezzo dello Spirito che il Risorto vive ed agisce in permanenza in mezzo a noi e può farsi presente in ogni "qui" ed "ora" dell'esperienza umana nella storia.
Con gaudio profondo e commossa gratitudine noi rinnoviamo, pertanto, il nostro atto di fede in Cristo redentore, ben sapendo che "nessuno può dire "Gesù è il Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo" (1Co 12,3). E' lui che nell'unità della vocazione cristiana e nella molteplicità dei carismi ci riunisce in un solo corpo. E' lui che opera la santificazione e l'unità della Chiesa (cfr. "Pontificale Romanum", "Ritus Confirmationis", 25.47).
3. Il Concilio Vaticano II ha riservato una particolare attenzione alla multiforme azione dello Spirito nella storia della salvezza: ha sottolineato la "mirabile provvidenza" con cui egli sospinge la società ad evolvere verso mete sempre più avanzate di giustizia, di amore, di libertà (cfr. GS 26); ne ha illustrato la presenza operante nella Chiesa, che è da lui sollecitata ad attuare il piano divino (cfr. LG 17) mediante una comprensione sempre più profonda della rivelazione (cfr. DV 5 DV 8), conservata integra nel fluire del tempo (cfr. LG 25; DV 10) e grazie ad un impegno sempre rinnovato di santificazione (cfr. LG 4 LG 40. ecc...) e di comunione nella carità (cfr. LG 13; UR 2 UR 4); ha rilevato, infine, la sua azione nei singoli fedeli, che egli stimola ad una coraggiosa testimonianza apostolica (cfr. AA 3), fortificandoli per mezzo dei sacramenti ed arricchendoli di "grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere ed uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa" (LG 12).
Quali ampie prospettive, figli carissimi, si aprono dinanzi ai nostri occhi! Certo, non mancano i rischi, perché l'azione dello Spirito si svolge "in vasi di creta" (cfr. 2Co 4,7), che ne possono comprimere la libera espansione.
Voi conoscete quali essi siano: un eccessivo peso dato, ad esempio, all'esperienza emozionale del divino; la ricerca smodata dello "spettacolare" e dello "straordinario"; l'indulgenza ad interpretazioni affrettate e distorte della Scrittura; un ripiegamento intimistico che rifugge dall'impegno apostolico; il compiacimento narcisistico che si isola e si chiude... Questi ed altri sono i rischi che si affacciano sul vostro cammino, e non sul vostro soltanto. Vi diro con san Paolo: "Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono" (1Th 5,21). Restate, cioè, in atteggiamento di costante e grata disponibilità verso ogni dono, che lo Spirito desidera effondere nei vostri cuori, mai dimenticando, tuttavia, che non v'è carisma che non sia dato "per l'utilità comune" (1Co 12,7).
Aspirate, in ogni caso, ai "carismi più grandi" (1Co 12,31). E voi sapete, a questo proposito, qual è la "via migliore di tutte" (1Co 12,31): in una pagina stupenda, san Paolo indica tale via nella carità, che sola dà senso e valore agli altri doni (cfr. 1Co 13).
Animati dalla carità, voi non soltanto vi metterete in spontaneo e docile ascolto di coloro che "lo Spirito Santo ha posto come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio" (cfr. Ac 20,28), ma sentirete anche il bisogno di aprirvi ad una comprensione sempre più attenta degli altri fratelli, nel desiderio di arrivare ad avere con essi veramente "un cuor solo ed un'anima sola" (Ac 4,32). Scaturirà di qui l'autentico rinnovamento della Chiesa, che il Concilio Vaticano II ha auspicato e che voi vi studiate di favorire con la preghiera, con la testimonianza, con il servizio. Il "rinnovamento nello Spirito" infatti, ho ricordato nell'esortazione apostolica "Catechesi Tradendae", "avrà una vera fecondità nella Chiesa, non tanto nella misura in cui susciterà carismi straordinari, quanto piuttosto nella misura in cui porterà il più gran numero possibile di fedeli, sulle strade della vita quotidiana, allo sforzo umile, paziente, perseverante per conoscere sempre meglio il mistero di Cristo e per testimoniarlo" (Ioannis Pauli PP. II CTR 72).
Nell'invocare su di voi e sul vostro impegno l'amorevole ed assidua protezione di colei che "per opera dello Spirito Santo" concepi nel suo seno e diede alla luce il Figlio di Dio incarnato (cfr. Lc 1,35), vi concedo di cuore la mia apostolica benedizione, che volentieri estendo a quanti fanno parte del movimento ed a tutte le persone che vi sono care nel Signore.
Data: 1980-11-23 Data estesa: Domenica 23 Novembre 1980.
Titolo: Il regno di Dio si diffonda nel cuore umano
1. Oggi siamo invitati a rendere grazie a Dio, nostro Padre celeste, "che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati" (Col 1,13-14). Oggi, infatti, celebriamo la solennità di Cristo re.
Recitando l'"Angelus" noi ringraziamo, contemporaneamente, anche Maria, madre terrena del Figlio di Dio, per aver risposto alla parola dell'angelo che le aveva annunziato la volontà del Padre celeste, con il suo "fiat": "Avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).
Il regno di Dio, che è venuto nel mondo insieme con Cristo, è stato concepito, in modo singolare, sotto il cuore di Maria. La nostra preghiera ce lo ricorda ogni volta, e oggi in modo particolare: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14) - ripetiamo con le parole del Vangelo.
"Benedetto colui che viene nel nome del Signore: benedetto il suo regno che viene" - cantiamo nella liturgia odierna.
In questo giorno solenne noi supplichiamo il Padre celeste, per l'intercessione della Madre di Cristo, affinché "trasferiti nel regno del suo Figlio diletto" (Col 1,13) permaniamo in esso e maturiamo fino al tempo del compimento dei nostri giorni. Chiediamo che questo regno di grazia e di verità, regno di amore e di pace, si diffonda, per opera della Chiesa e mediante il suo servizio, nelle anime di tutti gli uomini.
2. Oggi desidero pure ritornare con la memoria ai cinque giorni della mia recente visita in terra tedesca in occasione del 700° anniversario della morte di sant'Alberto Magno, durante i quali mi è stato dato di incontrarmi non soltanto con i numerosi figli e figlie della Chiesa cattolica, ma anche con i fratelli separati e soprattutto con la comunità luterana; con essa ricordiamo, in quest'anno, il 450° anniversario della "confessione augustana", cercando in questo ricordo le luci e le ispirazioni per l'ulteriore lavoro ecumenico.
Su questa visita storica occorrerà che ritorni ancora in un discorso più ampio. Oggi desidero soltanto ringraziare tutti molto cordialmente per l'ospitalità che mi hanno dimostrata: prima di tutto i fratelli nell'episcopato, con a capo il Cardinale Höffner, dai quali è partita l'iniziativa di questa visita, e poi anche il presidente della Germania federale e le autorità statali, che tanto hanno fatto per facilitare il mio servizio in mezzo ai fratelli in Germania.
3. Desidero che la preghiera odierna si unisca alle intenzioni dei nostri fratelli del Cile, i quali oggi si radunano per le celebrazioni conclusive dell'XI congresso eucaristico nazionale, che si sta svolgendo all'insegna del motto "No teman. Abramos las puertas a Cristo": "Non temete. Apriamo le porte a Cristo".
Al congresso presiede, come mio inviato speciale, il Cardinale Raul Primatesta, Arcivescovo di Cordoba in Argentina, e la sua persona testimonia la fratellanza profonda esistente tra quelle due grandi nazioni sudamericane, al di là di alcune divergenze attuali.
L'anno scorso, come sapete, ho accettato la richiesta di mediazione nella controversia sulla zona australe che è in atto tra questi due paesi e recentemente, alla vigilia del mio viaggio in Germania, ho ricevuto le delegazioni che i due Governi hanno qui inviato a tale scopo.
Voglia Iddio ascoltare le preghiere del popolo cileno, come quelle già elevate nel mese di ottobre dal popolo argentino durante il congresso mariano di Mendoza, affinché - conservando tutti la calma e la serenità, ed evitando tutto ciò che nel frattempo possa nuocere alla necessaria mutua fiducia, secondo anche gli impegni presi al momento di chiedere la mediazione - si possa pervenire quanto prima ad una soluzione completa e definitiva e si manifesti più chiaramente, nei rapporti tra i due paesi, il regno di "amore e di pace" instaurato dal Cristo.
[Omissis. Seguono i saluti ad un gruppo di allieve di due scuole milanesi; ad un pellegrinaggio spagnolo proveniente da Gerona.]
Data: 1980-11-23 Data estesa: Domenica 23 Novembre 1980.
1. "Regnavit a ligno Deus"! Il testo del Vangelo di san Luca, ora proclamato, ci riporta col pensiero alla scena altamente drammatica che si svolge nel "luogo detto Calvario" (Lc 23,33) e ci presenta, intorno a Gesù crocifisso, tre gruppi di persone che variamente discutono della sua "figura" e della sua "fine". Chi è, in realtà, colui che sta li crocifisso? Mentre la gente comune ed anonima resta piuttosto incerta e si limita a guardare, "i capi invece lo schernivano, dicendo: Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto". Come si vede, la loro arma è l'ironia negatrice e demolitrice. Ma anche i soldati - il secondo gruppo - lo deridevano e, quasi in tono di provocazione e di sfida, gli dicevano: "Se tu sei il re dei giudei, salva te stesso", prendendo forse lo spunto dalle parole stesse della scritta, che vedevano posta sopra il suo capo. C'erano, poi, i due malfattori in contrasto tra loro nel giudicare il compagno di pena: mentre uno lo bestemmiava, raccogliendo e ripetendo le espressioni sprezzanti dei soldati e dei capi, l'altro dichiarava apertamente che Gesù "non aveva fatto nulla di male" e, rivolgendosi a lui, così l'implorava: "Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno".
Ecco come, nel momento culminante della crocifissione, proprio quando la vita del profeta di Nazaret sta per essere soppressa, noi possiamo raccogliere, sia pure nel vivo di discussioni e contraddizioni, queste arcane allusioni al re ed al regno.
2. Tale scena vi è ben nota, fratelli e figli carissimi, e non ha bisogno di altri commenti. Ma quanto è opportuno e significativo e, direi, quanto è giusto e necessario che l'odierna festa di Cristo re sia inquadrato appunto sul Calvario.
Possiamo dire senz'altro che la regalità di Cristo, quale anche oggi noi celebriamo e meditiamo, deve esser sempre riferita all'evento, che si svolge su quel colle, ed esser compresa nel mistero salvifico, ivi operato da Cristo: dico l'evento ed il mistero della redenzione dell'uomo. Cristo Gesù - dobbiamo rilevare - si afferma re proprio nel momento in cui, tra i dolori e gli strazi della croce, tra le incomprensioni e le bestemmie degli astanti, agonizza e muore. Davvero, una regalità singolare è la sua, tale che solo l'occhio della fede può riconoscerla: "Regnavit a ligno Deus"!
3. La regalità di Cristo, che scaturisce dalla morte sul Calvario e culmina con l'evento da essa indissociabile della risurrezione, ci richiama a quella centralità, che a lui compete in ragione di quel che è e di quel che ha fatto.
Verbo di Dio e Figlio di Dio, innanzitutto e soprattutto, "per mezzo del quale - come tra poco ripeteremo nel "credo" - tutte le cose sono state create", egli ha un intrinseco, essenziale ed inalienabile primato nell'ordine della creazione, rispetto alla quale è la suprema causa esemplare. E dopo che "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14), anche come uomo e figlio dell'uomo, egli consegue un secondo titolo nell'ordine della redenzione, mediante l'ubbidienza al disegno del Padre, mediante la sofferenza della morte ed il conseguente trionfo della risurrezione.
Convergendo in lui questo duplice primato, noi abbiamo, dunque, non solo il diritto e il dovere, ma anche la soddisfazione e l'onore di confessare l'eccelsa sua signoria sulle cose e sugli uomini, che con termine non certo improprio né metaforico può esser chiamata regalità. "Umilio se stesso, facendosi obbediente fino alla morte ed alla morte di croce. Per questo, Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e negli inferi; ed ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore" (Ph 2,8-11). Ecco il nome di cui ci parla l'apostolo: è il nome di Signore e vale a designare l'impareggiabile dignità, la quale spetta a lui solo e pone lui solo - come ho scritto, all'inizio della mia prima enciclica - al centro, anzi al vertice del cosmo e della storia. "Ave Dominus noster! Ave rex noster"!
4. Ma volendo considerare, oltre ai titoli ed alle ragioni, anche la natura e l'ambito della regalità di Cristo nostro Signore, noi non possiamo fare a meno di risalire a quella potestà che egli stesso, sul punto di lasciare questa terra, defini totale ed universale, ponendola alla base della missione confidata agli apostoli: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,18-20). In queste parole non c'è solo - com'è evidente - l'esplicita rivendicazione di un'autorità sovrana, ma è altresi indicata, nell'atto stesso in cui essa viene partecipata agli apostoli, una sua ramificazione in distinte, pur se coordinate, funzioni spirituali. Se, infatti, Cristo risorto dice ai suoi di andare e ricorda ciò che ha già comandato, se dà loro l'incarico sia di ammaestrare che di battezzare, ciò si spiega perché egli stesso, proprio in forza della somma potestà che gli appartiene, possiede in pienezza tali diritti ed è abilitato ad esercitare tali funzioni, come re, maestro e sacerdote.
Non è certo il caso di chiederci quale sia il primo di questi tre titoli, perché, nel contesto generale della missione salvifica che Cristo ha ricevuto dal Padre, a ciascuno di essi corrispondono funzioni ugualmente necessarie e importanti. Tuttavia, anche per mantenerci aderenti al contenuto dell'odierna liturgia, è opportuno insistere sulla funzione regale e concentrare il nostro sguardo, illuminato dalla fede, sulla figura di Cristo come re e signore.
Al riguardo, ovvia appare l'esclusione di qualsiasi riferimento di natura politica o temporalistica. Alla formale domanda fattagli da Pilato: "Sei tu il re dei giudei?" (Jn 18,33), Gesù risponde esplicitamente che il suo regno non è di questo mondo e, dinanzi all'insistenza del procuratore romano, afferma: "Tu lo dici: io sono re", aggiungendo subito dopo: "Per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità" (Jn 18,37). In tal modo, egli dichiara quale sia l'esatta dimensione della sua regalità e la sfera in cui si esercita: è la dimensione spirituale che comprende, in primo luogo, la verità da annunciare e da servire. Il suo regno, anche se comincia quaggiù sulla terra, nulla ha pero di terreno e trascende ogni umana limitazione, proteso com'è verso la sua consumazione oltre il tempo, nell'infinità dell'eterno.
5. E' a questo regno che Cristo Signore ci ha chiamato, facendoci dono di una vocazione che è partecipazione a quei suoi poteri che ho già ricordato. Noi tutti siamo al servizio del regno e, nello stesso tempo, in forza della consacrazione battesimale, siamo investiti di una dignità e di un ufficio regale, sacerdotale e profetico, al fine di poter efficacemente collaborare alla sua crescita ed alla sua diffusione. Questa tematica, sulla quale ha tanto provvidenzialmente insistito il Concilio Vaticano nella costituzione sulla Chiesa e nel decreto sull'apostolato dei laici (cfr. LG 31-36; AA 2-3), vi è certamente familiare, carissimi fratelli e figli della diocesi di Roma che mi state ascoltando. Ma oggi, proprio nella circostanza della festa di Cristo re, desidero richiamarla e raccomandarla vivamente alla vostra attenzione e sensibilità.
Voi, infatti, siete venuti a questa sacra assemblea, come rappresentanti e primi responsabili del laicato romano, che più direttamente è impegnato nell'azione apostolica. Chi più e meglio di voi, anche per il dovere dell'esemplarità che incombe sui cristiani dell'urbe, in una ricorrenza così significativa è sollecitato a riflettere circa il modo di concepire e di svolgere un tale lavoro? Si tratta realmente di un servizio del regno, e proprio questo è il motivo per cui oggi vi ho convocato nella Basilica vaticana, per incoraggiare i vostri animi a prestare un sempre vigile, concreto e generoso servizio al regno di Cristo.
So che, in vista del nuovo anno pastorale, state studiando il tema "comunità e comunione", ed avete posto a base delle vostre riflessioni le note parole rivolte dall'apostolo Giovanni ai primi battezzati, le quali possono esser considerate come il programma dinamico di ogni comunità cristiana: "Ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita,... noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1Jn 1,1 1Jn 1,3).
Ecco enunciato, carissimi, il vostro schema di vita e di lavoro: voi, credenti e cristiani, laici e sacerdoti impegnati, raccogliendo la testimonianza degli apostoli, avete già visto il Cristo redentore e re, vi siete con lui incontrati nella realtà della sua presenza umana e divina, storica e trascendente, siete entrati in comunicazione con lui, con la sua grazia, con la verità e con la salvezza da lui portate, ed ora, in base a questa forte esperienza, intendete annunciarlo alla città di Roma, alle persone, alle famiglie, alle comunità che in essa vivono. E' questo un grande compito, un alto onore, un dono ineffabile: servire Cristo re ed impegnare tempo, fatica, intelligenza e fervore per farlo conoscere, amare, seguire, nella certezza che solo in Cristo - via, verità e vita (Jn 14,6) - la società e il singolo potranno trovare il vero significato dell'esistenza, il codice dei valori autentici, la giusta linea morale, la necessaria forza nelle avversità, la luce e la speranza circa le realtà metastoriche. Se grande è la vostra dignità e magnifica è la vostra missione, siate sempre pronti e lieti nel servire Cristo re in ogni luogo, in ogni momento, in ogni ambiente.
Conosco bene le gravi difficoltà che si trovano nella società moderna e, in modo particolare, nelle città popolose e febbrili, come è la Roma d'oggi.
Nonostante certe situazioni complicate e a volte ostili, io vi esorto a non perdervi mai d'animo. Coraggio! Lavorate con zelo nell'ambito dell'intera diocesi e delle singole parrocchie e comunità, portando dappertutto l'entusiasmo della vostra fede e del vostro amore per un servizio puntuale e fedele a Cristo Signore.
Così sia.
Data: 1980-11-23 Data estesa: Domenica 23 Novembre 1980.
Il cordoglio per le vittime del sisma che ha colpito Campania e Basilicata
S. Em.za Cardinale Corrado Ursi Arcivescovo di Napoli In questi momenti di dolore e di costernazione per il tremendo terremoto che ha colpito codesta città e tante altre località della Regione Campana desidero esprimere a Lei ed alla popolazione, la mia profonda commozione e la mia viva partecipazione alla loro indicibile sofferenza. Con la forza della speranza cristiana elevo al Signore la mia fervida preghiera per le povere vittime, tra le quali tanti bambini innocenti, e la mia invocazione per la sollecita guarigione dei feriti, ai quali invio una confortatrice Benedizione Apostolica che estendo ai loro familiari, a tutto il buon Popolo della Campania e in particolare a quanti, con generoso disinteresse e con instancabile dedizione, si adoperano per lenire i disagi e le pene dei terremotati.
Ioannes Paulus PP. II S. E. Monsignor Giuseppe Vairo Arcivescovo di Potenza Profondamente rattristato dalla notizia del terremoto che ha così duramente colpito codesta città di Potenza e l'intera regione della Basilicata, rivolgo il mio pensiero commosso alla cara popolazione lucana ed esprimo rimpianto e suffragio per i morti, compassione per i superstiti provati da lutti e ferite come pure rammarico per le rovine e distruzioni di chiese, di case e di altri beni. Nel pregarLa di voler partecipare questi profondi sentimenti a quanti soffrono e a quanti si prodigano per recare aiuto e sollievo, invoco dal Signore il dono della fortezza cristiana a coloro che sono in così grande prova e celesti ricompense per i benemeriti soccorritori e di gran cuore imparto a Lei e all'intera popolazione la confortatrice Benedizione Apostolica.
Ioannes Paulus PP. II
Fattivo e generoso contributo alla consacrazione del mondo
Fratelli carissimi!
1. Sono vivamente lieto di potermi incontrare con voi, che in questi giorni vi siete raccolti a Roma per rinnovare insieme la vostra professione di fede cristiana sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo e per celebrare, con intensa spiritualità, la professione perpetua, l'emissione di voti e l'ammissione di nuovi soci nell'aspirantato del vostro Istituto Secolare.
Questo complesso di circostanze mi testimonia sia la coerenza costante del vostro benemerito Istituto alle sue originarie finalità, sia la sua continua, feconda crescita interiore, sia il suo generoso impegno per l'avvento del Regno di Dio, al quale voi tutti, nella varia e molteplice qualificazione professionale di operai, artigiani, impiegati, insegnanti, dirigenti industriali, vi siete dedicati in maniera del tutto speciale di fronte a Dio ed alla Chiesa.
Siate pertanto i benvenuti nella casa del Papa, che vi accoglie con affetto e vi rivolge il suo cordiale saluto. Il mio deferente pensiero va al Professor Giuseppe Lazzati, Rettore Magnifico dell'Università Cattolica di Milano, attorno al quale nel lontano 1938 un gruppo di laici si raccolse con la chiara consapevolezza e l'ardente desiderio di offrire al mondo contemporaneo, da laici viventi nel mondo, una testimonianza significativa del messaggio evangelico, vissuto in tutta la sua novità e radicalità.
Il vostro Istituto Secolare ha trovato poi nelle direttive e nelle prospettive teologiche e pastorali del Concilio Vaticano II nuove strade e nuovo slancio per irradiare nel mondo, in una più intima unione con Dio, la luce della verità e il calore della carità.
Come ha affermato il citato Concilio, gli Istituti Secolari comportano una vera e completa professione dei consigli evangelici nel secolo, riconosciuta dalla Chiesa; e, parlando della vostra speciale forma di vita consacrata, ne ha chiaramente sottolineato il carattere di apostolato, che si svolge in seno al mondo e, per così dire, a partire dal mondo, ciò che è il fine specifico per cui gli Istituti Secolari sono sorti nella Chiesa. Sappiamo tuttavia - così continua il testo conciliare - che non potranno assolvere un compito così importante, se i loro membri non riceveranno una formazione nelle cose divine ed umane tale da far si che essi siano realmente come fermento nel mondo, per dare vigore ed incremento al Corpo di Cristo" (PC 11).
2. Con totale dedizione voi volete, mediante le opere dell'apostolato e la vostra esperienza personale e professionale nell'ambito della società civile, dare il vostro fattivo, concreto e generoso contributo alla "consecratio mundi", alla quale tutti i laici, per la loro partecipazione alla funzione sacerdotale del Cristo, sono chiamati e destinati in forza del Battesimo e della Confermazione (cfr. LG 34). La "sequela Christi" è esigenza fondamentale per ogni cristiano; lo è, in modo speciale, per voi, che avete voluto denominare il vostro Istituto Secolare "Cristo Re". Si! "Cristo il vostro Maestro! E' Cristo la vostra Strada! E' Cristo la vostra Vita! Ma la sua "regalità" è totalmente diversa da quella del potere mondano; essa si manifesta e trionfa solennemente sulla croce e dalla croce: è una regalità di umiltà, di povertà, di nascondimento, di disponibilità, di donazione, di sacrificio fino alla morte. E la sua corona regale è composta di spine pungenti e dolorose! E' questo il Cristo "Re", che voi vi siete impegnati a seguire mediante la professione dei consigli evangelici, i quali, invece di impoverire l'uomo, lo arricchiscono incomparabilmente, perché lo rendono capace di accogliere in pienezza il dono di Dio.
Auspico pertanto che in continua preghiera e l'approfondimento personale e comunitario della Parola di Dio alimentino e nutriscano la vostra fede, per farla penetrate nel profondo del vostro essere e per trasfonderne la forza in tutti i momenti della vostra vita, consacrata all'aperta e limpida testimonianza a Cristo e alla Chiesa, ed altresi all'impegno di ordinare la realtà temporale secondo il disegno di Dio.
Con le parole stesse, a voi rivolte nell'aprile del 1968 dal mio grande Predecessore Paolo VI, che tanto amo e stimo il vostro Istituto Secolare, desidero incoraggiarvi a "portare fino alle estreme, logiche conseguenze questo impegno di vita, che è stile esteriore di bontà, di delicatezza, di amicizia, di apostolato attraverso la cultura e il prestigio personale, e si alimenta all'interno delle linfe vivificanti della pietà biblica, eucaristica, liturgica".
Io vi sono e vi saro vicino con la mia preghiera per tutti voi, perché la Chiesa possa sempre guardare a voi con totale fiducia. Con tali voti vi imparto di cuore la propiziatrice Benedizione Apostolica.
Titolo: Aprite i cuori e la società a Cristo
Signor Cardinale Inviato Speciale, Venerabili fratelli nel Episcopato, Carissimi figli e figlie, Si conclude oggi, all'ombra di questo Santuario Mariano di Maipù, che tato dice al cuore di ogni cileno, l'XI Congresso Eucaristico Nazionale del Cile.
L'Episcopato ha scelto un motto che mi è molto caro e che racchiude un vibrante invito ad un impegnato programma di vita: "Non abbiate paura, spalancate le porte a Cristo!".
Sono con voi n questa solenne circostanza, unendo la mia devozione alla vostra, il mio omaggio al vostro, per così insieme adorare Cristo, che nel sacramento della Eucarestia ci ha lasciato il pane della vita eterna (Jn 6,48ss), il pane della fratellanza (1Co 10,16ss), l'alimento per i viandanti in cammino verso la patria finale (Sequentia Missae in festo Corporis et Sanguinis Christi).
So che nei mesi scorsi il Congresso si è svolto in ogni diocesi mediante un piano pastorale di evangelizzazione e catechesi, che è culminato in una solenne Eucarestia. Oggi coroniamo gli avvenimenti ecclesiali delle diverse comunità locali con questa celebrazione finale intorno al sacramento dell'Amore, uniti in stretta fratellanza con tutti i fratelli venuti dalle diverse parti del paese e con tanti altri che vivono questa giornata, associati spiritualmente agli atti di chiusura del Congresso.
Mi compiaccio nel ribadire oggi a voi quell'invito - la cui risonanza giunge ancora a me sin dagli albori del mio pontificato - a liberarvi da ogni timore ed a spalancare le porte a Cristo. Esso voleva essere un gesto di attenzione, una chiamata affinché i cristiani, le persone di buona volontà, le società e i sistemi si aprissero all'accettazione e al rispetto di quei valori genuinamente umani e che trovano la loro espressione più elevata nei piani divini.
Per questo, molto opportunamente, tale invito si è fatto principio ispiratore di questo Congresso che ruota attorno all'Eucarestia, manifestazione somma dell'Amore, "Sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità" (Sacrosanctum Concilium).
Infatti, quando il Signore ci invita a partecipare al banchetto - chiamata che Egli rivolge a tutti, senza eccezione - scompare ogni differenza di razza o classe sociale, e la partecipazione di tutti è identica, perché significa ed esige la soppressione di tutto quando divide gli uomini, e facilita l'incontro di tutti ad un livello più elevato, dove ogni opposizione o differenza deve essere superata, dove si superino gli ostacoli e si stabiliscano nuovi rapporti interpersonali e intercomunitari. Ciò deve condurre alla soddisfazione delle esigenze della giustizia, precisamente per poter stabilire quei nuovi rapporti che la carità, originata nella Eucarestia, crea all'interno della stessa comunità.
Effettivamente, la forza vitale della Chiesa e del cristiano, uomo o donna che sia, raggiunge la sua pienezza precisamente nella Eucarestia (PO 6). Per questo la comunità cristiana non si edifica e consolida se non ha la sua radice e il suo punto di partenza nella celebrazione della Eucarestia.
D'altra parte, se il culto eucaristico viene veramente vissuto, ciascuna comunità, ciascun cristiano in particolare, comproverà che esso accresce la sua coscienza della dignità di ogni uomo, la quale si convertirà in motivo di adeguato rapporto con il prossimo, a livello personale e istituzionale.
L'Eucarestia è anche sacramento di unità, giacché "Noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo, ma ogni membro è al servizio delle altre membra" (Rm 12,5). I cattolici del Cile vi siete congregati in questo Santuario, per rendere testimonianza di tale unità, partecipando dello stesso Corpo e Sangue di Cristo, che costruiscono la Chiesa come autentica comunità del Popolo di Dio.
Partendo da questa unità profonda che significa e realizza l'Eucarestia, è possibile chiamarci fratelli a vicenda. Che profonde conseguenze derivano da qui per la nostra vita individuale e sociale! L'Eucarestia è anche vincolo di carità che rinforza la vita cristiana nell'adempimento dell'amore di Dio e del prossimo, un amore che trova la sua fonte nell'Amore per eccellenza. Infatti, ogni volta che partecipiamo coscientemente all'Eucarestia, "Si apre nella nostra anima una dimensione reale di quell'amore imperscrutabile che racchiude in sé tutto quello che Dio ha fatto per noi uomini e che continuamente attualizza" (Ioannis Pauli PP. II Epistula ad universos Ecclesiae Episcopos: de SS. Eucharistiae Mysterio et Cultu, 5, die 24 febr. 1979: , III,1[1980] 587).
Come conseguenza, affinché la celebrazione dell'Eucarestia sia sincera e piena, deve orientare ogni cristiano verso l'efficace aiuto ai fratelli, così come alle diverse forme di vera testimonianza cristiana. Soltanto così potrà dirsi che il contatto con Cristo conduce ad aprirsi a Lui e, per mezzo Lui, a tutti gli altri, all'uomo come immagine di Dio.
La chiusura di questo Congresso Eucaristico Nazionale nella solennità di Cristo Re è un invito a spalancare il vostro cuore e la vostra società attuale a Cristo, affinché in un clima di costante rispetto individuale e sociale dei valori religiosi e umani di ciascuna persona, Egli stabilisca il suo "regno eterno ed universale: regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace" (Praefatio in festo Christi Regis).
Infine, elevo la mia preghiera affinché la fede cristiana, nutrita dall'Eucarestia, ispiri la condotta privata e pubblica nella vostra società, in modo tale che il Cile possa costruire il suo futuro in un clima veramente cristiano di concordia, di giustizia, di rispetto dei diritti di ciascuno.
Invocando la protezione materna di Nostra Signora di Maipù, vi impartisco con affetto la mia benedizione: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Così sia.
[Traduzione dallo spagnolo]
Data: 1980-11-24 Data estesa: Lunedi 24 Novembre 1980.
GPII 1980 Insegnamenti - L'udienza ai gruppi di "Rinnovamento nello Spirito" - Città del Vaticano (Roma)