GPII 1981 Insegnamenti - Alla Comunità religiosa dei Fatebenefratelli - Roma
Titolo: Nel più debole ed indefesso degli uomini la superiore dignità della persona
1. Ho desiderato quest'incontro unicamente con voi, carissimi religiosi dell'Ordine ospedaliero di san Giovanni di Dio, perché mi premeva di esprimervi, insieme con la stima, la viva gratitudine che nutro per il servizio reso a questa città dalla vostra Congregazione nel corso di questi quattro secoli di storia. Non ripeto quanto ho già detto, sia pure in sintesi, solo poco fa. Ma quale poema di carità, di abnegazione, di altruismo è stato scritto dai Fatebenefratelli a partire da quel 25 marzo 1581, "che fu il primo giorno che i detti fratelli cominciarono a curare i poveri in questa città", come è riferito testualmente in una "Memoria" dell'epoca! Né dimentico l'opera discreta, silenziosa e tanto efficace che svolgete in Vaticano, da quando Pio IX, nel 1874 vi chiamo a gestire il "servizio farmaceutico per la notte".
Un così vasto e generoso impegno di dedizione alla cura degli infermi ha tratto origine e stimolo dalla testimonianza di quell'umile servitore dei poveri che fu san Giovanni di Dio, il quale usava firmarsi "Io frate zero", secondo una probabile interpretazione dell'enigmatica sigla che egli soleva apporre in calce alle sue lettere. Per operare le sue meraviglie, Dio ha bisogno di strumenti che siano pienamente consapevoli della propria nullità, perché solo persone di questo genere sanno abbandonarsi, senza opporre resistenze, alle iniziative imprevedibili del suo amore.
Il vostro fondatore fu uno strumento siffatto e Dio lo ha scelto per "confondere i forti" (1Co 1,27), e farne il padre di una così numerosa e benemerita Famiglia di anime generose.
2. Figli carissimi, avete alle vostre spalle il ricchissimo patrimonio di esempi virtuosi, che la lunga schiera dei vostri confratelli è andata accumulando nel corso di questi quattrocento anni di presenza in Roma e in tante altre parti del mondo. Coltivate in voi la legittima ambizione di emularne la testimonianza di fede intrepida e di carità senza confini. Sono significative, a questo proposito, le parole con cui il primo biografo del vostro fondatore descriveva lo zelo ed il fervore della Comunità primitiva, raccoltasi nell'Ospedale di Granada. Con cenni rapidi ma efficaci egli annotava: "Tutti quelli che entrano qui per servire, servono con carità e per amor di Dio, senza che nessuno riceva salario. E così la casa è servita meglio che qualsiasi altra casa del mondo, perché tutti vi entrano per salvare la propria anima esercitandosi nella carità, e ciascuno fa più che può, senza che sia necessaria alcuna riprensione" (F. De Castro, "Storia della vita e sante opere di Giovanni di Dio", Roma, 1975, p. 119).
In un tempo come il nostro, nel quale la cura del malato rischia di passare in second'ordine di fronte all'affermazione di altri valori ritenuti prevalenti, è quanto mai urgente che vi sia chi testimoni con l'esempio e con la parola la superiore dignità della persona, specialmente se debole ed indifesa. Le parole di Cristo: "Ero malato e mi avete visitato".(Mt 25,36), sono li a ricordare che tale dignità sussiste in ogni essere umano foss'anche il più misero e che mai può essere sacrificata in vista d'un guadagno, fosse anche il più rilevante.
. Voi conoscete la risposta che san Giovanni diede all'Arcivescovo di Granada, il quale lo esortava a "ripulire l'ospedale", estromettendone alcuni malati indisciplinati e litigiosi. Il biografo riferisce che il santo "ascolto con molta attenzione tutto ciò che il suo Prelato gli diceva, e con molta umiltà e mitezza gli rispose: "Padre mio e buon Prelato, io solo sono il cattivo, l'incorreggibile ed inutile, che merito di essere scacciato dalla casa di Dio. I poveri che stanno nell'ospedale sono buoni, e di nessuno di essi conosco alcun vizio, E poi, giacché Dio tollera i cattivi e i buoni, ed ogni giorno fa sorgere sopra di tutti il suo sole, no è ragionevole scacciare gli abbandonati e gli afflitti dalla loro propria casa"" (F. de Castro, "Storia della vita e sante opere di Giovanni di Dio", Roma,
1975, p. 103).
3. All'esempio di una carità evangelica così consequenziale e così disarmante si sono formati innumerevoli fratelli del vostro Ordine. Viene spontaneo ricordare qui soprattutto la figura luminosa di Fra Riccardo Pampuri, che il prossimo quattro ottobre sarà elevato alla gloria degli Altari. Gli esempi di virtù di questa, e di tante altre anime sante, che hanno militato nelle file del vostro Ordine, costituiscono quel patrimonio prezioso, di cui parlavo all'inizio.
Ciascuno di voi ne può andar fiero, per trarne ispirazione e stimolo nelle piccole e grandi scelte, mediante le quali egli è chiamato a dare senso alla propria vita.
Il mio augurio e che ciascun religioso dell'Ordine sappia trarre da tali esempi indicazioni concrete, capaci di orientare la sua azione in mezzo ai malati, elevandone il significato a testimonianza di quella presenza misteriosa, e pur reale, con cui Cristo continua a passare tra i sofferenti di oggi "beneficando e risanando", come un tempo passava tra gli infermi della Palestina (cfr. At,
10,38).
Con questi voti, imploro su di voi, sui vostri ammalati e su tutte le persone a voi care l'abbondanza delle consolazioni celesti, in pegno delle quali vi imparto di cuore la mia Apostolica Benedizione.
Data: 1981-04-05
Domenica 5 Aprile 1981
Ai cari handicappati dell'Associazione "Foi et Lumiere" riuniti a Lourdes, ai loro parenti ed amici.
Con il pensiero e la preghiera, mi unisco al vostro grande raduno di pellegrini, presso la grotta di Lourdes, in questi giorni che sono santi per tutta la Chiesa e che vi donano, sul vostro cammino segnato dalla croce, una pace ed una luce nuova.
Gesù, avendo amato i suoi, li amo fino alla fine. Questo amore, è anche per voi, soprattutto per voi, che fate parte dei "poveri", di coloro che soffrono di limitazioni nel loro spirito e nel loro corpo, ma che comprendono spesso meglio d'altri il bisogno di rapporti semplici e veri, di un'amicizia fedele, d'un servizio gratuito, d'una fede a tutta prova. Entrate dunque con Gesù in questa carità ricevuta e donata.
Con Lui, voi attraversate i momenti più tristi, che vi avvicinano alla sera dell'agonia e al Venerdi Santo: solitudine, difficoltà di comunicazione, paura di non ricevere dagli altri la comprensione e l'amore a cui voi aspirate, difficoltà di ogni tipo che vi sono imposte dall'infermità e dalle condizioni di vita. Gesù vi invita a mantenere tutta la vostra fede nel Padre del Cielo, ad offrire a Lui con amore la vostra invalidità, a perdonare agli altri le loro mancanze, ad attendere pazientemente la luce che non mancherà mai di venire. Voi vi trovate ai piedi della Croce con Maria, Madre di Cristo. Voi vi avvicinate ad Essa con san Bernadette, così semplice, così umile, così povera e così serena.
Infine, voi partecipate alla grande gioia di Pasqua. Dio ha resuscitato Gesù, il suo amato Figlio, ne ha fatto il Signore ed il Salvatore di tutti, perché è il Figlio unigenito di Dio, e l'ha fatto sedere alla sua destra, per sempre, nella luce. Ed a voi, ha già dato di essere suoi figli: il Battesimo, la Riconciliazione, la Comunione sono altrettanti segni che manifestano il suo amore e che trasferiscono la vita del Cristo glorioso in voi che siete uniti al suo corpo. Rinnova i vostri cuori attraverso il suo Santo Spirito. Vi promette di trasfigurare tutto il vostro essere, corpo, intelligenza e spirito, in un incontro faccia a faccia.
Già voi prendete posto nel cuore della Chiesa, per vivere la Pasqua, il passaggio del Signore, con tutti i vostri fratelli e sorelle cristiani.
Con loro cantate le meraviglie di Dio! Donate gratuitamente la gioia che ricevete gratuitamente! Coloro che vi circondano vi portano molto aiuto ed affetto; pensate alla parte originale che potete portar loro in questo modo! Ed il Papa, il successore di Pietro, che ha voluto riconfermarvi l'amore privilegiato di Dio, conta molto sulla vostra preghiera.
Mi rivolgo umilmente ai parenti, agli educatori, agli accompagnatori benevoli, agli amici, così numerosi a Lourdes. Avrei ancora tante cose da dirvi.
Ma già il lungo documento che la Santa Sede ha pubblicato il 4 marzo scorso, per "tutti coloro che si dedicano al servizio delle persone handicappate" in questo anno dedicato a loro in tutto il mondo, vi esprime la "viva e vigilante sollecitudine" della Chiesa. La sua lettura fortificherà le convinzioni che già vi animano, sulla dignità e sul valore unico di ogni vita umana, sul clima di rispetto e d'amore dal quale devono essere circondate le persone handicappate, sugli sforzi di integrazione, di normalizzazione, di personalizzazione delle quali devono poter beneficiare.
Oggi, soprattutto a voi che li accompagnate da vicino per tutta la loro vita, vorrei esprimere la comprensione, la simpatia e l'incoraggiamento della Chiesa. L'accogliere ed il farvi carico di vostro figlio o di un amico sfavorito nell'intelligenza o nel fisico vi hanno impegnato in un cammino difficile ed esigente, che porta con sé ogni giorno le sue "ombre" e le sue "luci". Voi avete compreso tutta l'importanza per l'handicappato dell'ambiente familiare, o per lo meno, là dove ciò non è possibile, di un istituto o di una piccola comunità che si avvicini al modello familiare, dove i rapporti personalizzati ed il calore umano gli permettono di soddisfare convenientemente il suo profondo bisogno di amicizia e di sicurezza, sviluppando, nella misura del possibile, le sue qualità umane, morali e spirituali.
E' necessario augurarsi che molti "educatori volontari" vi vengano in aiuto, che le persone vicine coinvolgano sempre di più gli handicappati in normali relazioni invece di emarginarli e che la società intera si dimostri maggiormente solidale alla vostra dedizione contribuendo a fornire mezzi adeguati.
Ma spero anche che la fede cristiana vi aiuti a sopportare la vostra prova con coraggio, serenità ed amore, perché voi siete nei confronti di questi figli i testimoni ed i cooperatori della tenerezza di Dio. Il dolore che voi stessi vivete è una partecipazione alla Passione di Cristo che ha preso su di sé la sofferenza innocente; esso è anche un invito continuo all'amore gratuito, una apertura al dono di Dio, un appello alla speranza.
Sarete voi stessi ad avvicinarli a queste realtà, dalle quali essi, pur in modo misterioso, non sono lontani e la Chiesa vi aiuterà con una adeguata catechesi. Voi contribuirete in questo modo a renderli capaci di donare e di collaborare, a loro modo, ad un mondo più umano.
Le comunità "Foi et Lumière" e le altre iniziative in favore degli handicappati mentali vi permettano, al di là di questo grande raduno gioioso e confortante a Lourdes, di ritrovare e di portare ad altri genitori il coraggio necessario alla vita quotidiana. Lo Spirito Santo vi doni la sua forza e la sua pace! Maria, Nostra Signora di Lourdes, mantenga i vostri cuori rivolti verso il Salvatore, nella speranza! Come il mio predecessore Paolo VI, imploro su voi tutti, cari figli e figlie handicappati, parenti ed amici, la benedizione di Cristo morto e risorto per noi.
Data: 1981-04-06
Lunedì 6 Aprile 1981
Titolo: Il Papa conferisce la cresima a un gruppo di giovani handicappati
Sono oggi particolarmente lieto di amministrare a voi, cari ragazzi di Cologno Monzese, il sacramento della Cresima. Sono contento perché, con questo sacramento, voi ricevete come ben sapete, un dono meraviglioso: lo Spirito Santo, la terza Persona della Santissima Trinità. Egli discenderà in voi e dimorerà in voi come nel tempio più bello e più prezioso.
Con il Battesimo voi siete già divenuti cristiani, figli di Dio, fratelli di Gesù e membri di quella comunità dei discepoli di Gesù che è la Chiesa. Ma questo dono dev'essere ora arricchito e portato a compimento. E tale nuova grazia è appunto il sacramento della Cresima. Oggi lo Spirito Santo porta a perfezione quello che ha iniziato in voi il giorno del Battesimo. Con il sacramento della Cresima voi sarete perciò ancor più perfettamente uniti a Gesù e diventerete membri adulti e responsabili nella Chiesa. Se finora eravate come bambini che solo ricevevano, ora sarete ragazzi e adulti che devono anche imparare a fare, a crescere e compiere qualcosa di bello e di grande per il Signore e per i fratelli.
Ma voi direte: cosa possiamo fare noi che siamo deboli? Ascoltate quello che ci ha detto san Paolo: "Lo Spirito Santo stesso viene in aiuto alla nostra debolezza... intercede per noi con gemiti inesprimibili" (cfr. Rm 8,26-28). Lo Spirito Santo vi comunica forza ed energia.
Tra i sette doni che vi porta ce n'è uno che si chiama fortezza. Vi ricordate quello che avvenne il giorno della Pentecoste? Lo Spirito Santo investi con la sua forza, come un vento impetuoso il Cenacolo, dove stavano riuniti gli apostoli. E quegli uomini ricevettero una fortezza straordinaria e senza più alcuna paura cominciarono a predicare e a testimoniare che Gesù era il Salvatore del mondo. E san Paolo, che aveva anche lui sperimentato la forza dello Spirito Santo, diceva: "Mi vantero ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo" (2Co 12,9). Noi pregheremo dunque perché lo Spirito Santo vi conceda la forza della fede per credere sempre nel Signore che ci salva: la forza della speranza per confidare sempre pienamente nel suo aiuto e nella sua bontà per noi; la forza dell'amore per amare sempre più e con tutto il cuore il Signore e, in Lui e per Lui, i fratelli; la forza della pazienza per saper accettare la nostra condizione con coraggio e offrendo le nostre sofferenze per il bene delle anime; la forza del buon esempio, per saper testimoniare agli altri la bontà e la speranza.
Oltre a questo dono della fortezza, lo Spirito Santo vi porterà il dono della sapienza, che è come una luce interiore dell'anima che vi farà vedere e gustare la bellezza del Signore, la sua verità ed il suo amore. Avete ascoltato quello che ha detto Gesù nel Vangelo di oggi: "Ti benedico, o Padre, perché hai rivelato queste cose ai piccoli" (cfr. Mt 12,25).
Voi siete piccoli, ma lo Spirito Santo vi potrà insegnare tante cose importanti. Egli vi farà comprendere chi è Dio, vi farà capire e amare il Vangelo, allontanerà da voi le ombre della menzogna e le tenebre dell'errore e del peccato, vi darà occhi puri per vedere tutto quello che vi è di bello e di buono nel mondo spirituale; occhi lucenti per vedere dappertutto la presenza e la provvidenza di Dio Padre accanto a noi, occhi illuminati dalla gioia per insegnare anche agli altri il cammino della verità e dell'amore fraterno.
Quando lo Spirito Santo discese sugli apostoli il giorno della Pentecoste, nel Cenacolo vi era anche Maria, la Madre di Gesù e la nostra Madre spirituale. Maria è presente anche oggi spiritualmente accanto a ciascuno di voi come una madre. Che Maria ci aiuti ad aprire il nostro cuore e la nostra mente per ricevere e custodire sempre questo dono meraviglioso dello Spirito Santo.
Data: 1981-04-11
Sabato 11 Aprile 1981
Titolo: Il riflesso della sapienza divina nella formazione integrale dell'uomo
Carissimi fratelli e sorelle!
1. Mentre vivamente ringrazio Don Angelo Comini per le nobili e devote parole indirizzatemi a nome di voi tutti, vi esprimo la mia grande gioia nel potermi oggi incontrare con voi, studenti dei tre Collegi Universitari di Pavia. A voi ed al Rettore Magnifico di quella celebre Università, che vi accompagna, rivolgo il mio cordialissimo saluto.
Voi mi fate conoscere in modo diretto che cosa sono l'Almo Collegio Borromeo, il Collegio Ghisleri, il Collegio Femminile santa Caterina da Siena, che formano un cospicuo vanto della Città di Pavia, perché fanno parte costitutiva della sua plurisecolare tradizione culturale. Quei Collegi hanno certo un altro titolo di nobiltà derivante sia dai fondatori, che sono stati san Carlo e tre grandi Papi, sia dai nomi illustri di uomini eccelsi nelle Lettere e nelle Scienze, che ne sono stati ospiti. Ma quei Collegi ricevono oggi la loro vita ed il loro prestigio da voi, che, insieme ai vostri responsabili, li costituite direi fisicamente. Perciò, non voglio soltanto lodare il passato, tanto più che il Collegio santa Caterina da Siena è tuttora molto giovane, non avendo ancora raggiunto il decennio di esistenza. Voglio invece darvi atto della vostra serietà negli studi ed incoraggiarvi a proseguire con impegno ed entusiasmo nella vostra scelta di vita.
2. Scorrendo l'Annuario 1980 dell'Almo Collegio Borromeo, mi ha colpito una citazione del noto artista e letterato del Cinquecento Giorgio Vasari, il quale, a proposito dell'architetto del medesimo Collegio, scriveva che "ha dato principio a Pavia... a un palazzo per la Sapienza" (ib. p. 10). Mi pare questa una definizione bellissima. E gli studenti del "Borromeo" non se l'avranno a male, se mi permetto di applicarla anche agli altri due Collegi, di cui il Ghisleri e posteriore a quello di appena sei anni, e comunque sono entrambi, al pari del primo, degni di ogni stima ed elogio.
"Un palazzo per la Sapienza": tale è il Collegio, in cui voi rispettivamente trascorrete i vostri giovani anni di frequenza universitaria. E queste parole significano, mi pare, due cose complementari.
Innanzitutto, voi attendete in essi alla vostra preparazione professionale, mediante un assiduo esercizio dell'intelletto, che è nello stesso tempo la vostra disciplina ed il vostro gaudio. E certo siete consapevoli che, ciò facendo, non si tratta soltanto di accumulare erudizione, secondo un puro accostamento quantitativo di dati. L'uomo non è un computer, strumento perfezionato fin che si vuole, ma sempre macchina, cioè privo di anima e di capacità dialogica. Egli piuttosto deve tendere alla "sapienza" cioè ad una formazione umana integrale, che si fondi ed in parte si identifichi con una compiuta sintesi di nozioni intellettuali e di prospettive morali di apprendimento e di visione del mondo, di intelligenza e di vita. La società contemporanea ha certo bisogno di professionisti, ma ancor più di esempi viventi di una felice composizione tra scienza e maturità personale: di uomini, cioè, che sappiano andare incontro al prossimo non solo sulla base di un freddo mestiere ben appreso e ben svolto, ma soprattutto ponendosi in una dimensione veramente umana, di mutua partecipazione, anzi di fraternità.
Vi invito, pertanto, a indirizzare i vostri studi verso un insieme armonioso, che sia insieme il costitutivo e il suggello più vero della vostra personalità. Solo in quest'orizzonte, anche la vostra quotidiana dedizione allo studio acquisterà un colore ed un gusto nuovi, e direi anche una facilità insospettata, perché non lo vedrete più come fine a se stesso, ma come un cammino ed una componente di un progetto più vasto, che è la riuscita globale di voi stessi come immagine di Dio.
3. E qui s'iscrive il secondo aspetto della citata definizione. Il Vasari scrive il termine "Sapienza" con l'iniziale maiuscola. Il vostro Collegio è certamente un palazzo per la sapienza. Ma non ci può essere una sapienza completa, saporosa e davvero feconda, se essa non è in qualche modo il riflesso della Sapienza divina.
L'antico profeta d'Israele vede in essa il primo frutto, anzi la prima qualifica dello Spirito del Signore (cfr. Is 11,2), e l'Autore del libro biblico intitolato appunto alla Sapienza, quasi in un'estatica e amorosa contemplazione che ne moltiplica gli attributi, la loda come "emanazione della potenza di Dio", "effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente", "riflesso della luce perenne", "specchio senza macchia dell'attività di Dio", "immagine della sua bontà" (Sg 7,25-26).
Ma ciò che per Israele era un semplice aspetto della divinità, per noi cristiani è ormai umana incarnazione in Gesù di Nazaret; crocifisso e risorto, diventato per noi, come si esprime l'apostolo Paolo "potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Co 1,24 1Co 30).
Carissimi giovani, è a Cristo che vi esorto: a farlo Signore, cioè punto di riferimento e misura della vostra vita. La lettera ai Colossesi giunge a dire che in Lui "sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3). E certamente, collocandosi nella sua ottica, si vedono le cose, gli uomini e la storia stessa in un altro modo: in maggior profondità e con maggior autenticità. Solo allora, infatti, si realizza appieno il detto biblico: "La sapienza dell'uomo ne rischiara il volto" (Qo 8,1), perché ciò è possibile accettando l'invito del salmista: "Guardate a lui e sarete raggianti" (Ps 34,6).
4. Fratelli e figli dilettissimi, vivete con gioia ed insieme con serietà questi vostri anni. Da voi, come da tutti i giovani, il mondo e la Chiesa di domani si aspettano molto. In particolare da voi, che spendete nello studio e nella ricerca intellettuale le vostre migliori energie, si ha il diritto di aspettarsi una maggior presa di coscienza di ciò che è e di ciò che merita l'uomo: di aspettarsi una più convinta responsabilità.
Amate il vostro Collegio e la vostra Università, poiché sono il grembo in cui vi formate, da cui partirete per i vostri molteplici servizi alla società, e di cui porterete sempre con voi il segno. Ed io vi faccio gli auguri più sentiti per una vera maturità accademica, che si accompagni inscindibilmente con quella umana e cristiana. Sia sempre con voi la mia benedizione apostolica, che sono lieto di impartire a voi tutti, ai vostri amici ed a quanti vi sono cari, come pegno di abbondanti grazie celesti, oltre che del mio affetto.
Data: 1981-04-11
Sabato 11 Aprile 1981
Titolo: Strumento d'unione dell'assemblea liturgica
Egregio Signor Presidente, stimati ed onorati signori, Con particolare gioia ricevo nella odierna cerimonia l'organo mobile che il Signor Cancelliere federale di Germania Helmut Schmidt aveva annunciato in occasione della sua visita in Vaticano il 9 luglio 1979, come dono del Governo federale di Germania alla Santa Sede. Con questa consacrazione liturgica lo assegno ufficialmente al suo compito, che - come si dice nell'atto di donazione - consisterà soprattutto nell'accompagnare con il suo suono le funzioni religiose in Piazza san Pietro.
L'incontro odierno è per me occasione propizia per rinnovare ancora una volta il mio sincero ringraziamento, che ho già avuto modo di dimostrare, al Signor Cancelliere federale ed al Governo della Repubblica federale di Germania e per pregare cortesemente Lei, Signor Presidente, di portarlo personalmente al suo ritorno nella capitale tedesca insieme ad una parola di riconoscimento e di stima.
Ringrazio inoltre tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione di questa gradita iniziativa e hanno preso parte alla preparazione di questa imponente cerimonia di inaugurazione. In loro rappresentanza mi limito a nominare il Presidente della Consociatio Internationalis Musicae Sacrae, il Signor Prelato Prof. Dr. Johannes Overath, al quale si deve inoltre il progetto organizzativo e la sua realizzazione, così come l'artigiano costruttore di organi, il Signor Dr. Werner Walcker Mayer, dal cui laboratorio ricco di tradizione è già stato prodotto un gran numero di organi altamente qualificati. A loro ed a tutti i presenti, soprattutto al Signor Presidente in rappresentanza del Signor Cancelliere federale, vanno il mio cordiale benvenuto e l'espressione del mio particolare ringraziamento.
Nei suoi elementi costitutivi l'organo tubolare appartiene non solo ai più antichi strumenti musicali dell'uomo, ma fra di essi ha acquisito nel corso della storia un particolare posto d'onore. Già nei primi secoli della cristianità esso venne introdotto in Europa attraverso Bisanzio e la corte francone e divenne ben presto lo strumento musicale tradizionale e preferito nella Chiesa latina.
Proprio in terra tedesca la musica d'organo - anche grazie al crescente perfezionamento della tecnica organistica - ha prodotto capolavori di arte e di contenuto religioso altissimi. E' sufficiente menzionare a questo proposito solo il nome di Johann Sebastian Bach. Ed ancora oggi il suono dell'organo gode nel vostro paese di una speciale popolarità, nella cui abilità si distinguono, come tutti sanno, anche alte personalità della vita pubblica.
Solo in epoca più recente la Chiesa ha invitato solennemente con l'autorità del Concilio Vaticano II a tenere "in grande onore" nella Chiesa latina l'organo tubolare come strumento musicale tradizionale; perché, come si dice letteralmente nella Costituzione liturgica, "il suo suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti" (SC 120). E' ben più di un caso fortuito che sia proprio un organo opera dell'artigianato tedesco che d'ora in poi - nello spirito del Concilio - abbellirà le funzioni religiose festive in Piazza san Pietro a più grande lode di Dio e ad edificazione degli uomini. Possa quest'organo elevare con il suo meraviglioso suono i cuori dei fedeli a Dio rendendoli capaci, grazie alla partecipazione all'Eucaristia, di servire Dio con le loro vite nella gioia del cuore. La musica stessa diventa linguaggio, in cui la parola tace (cfr. Sant'Agostino, "Enarrationes in Psalmos", 32). Essa esprime l'ineffabile, l'indicibile. Proprio la musica d'organo, priva com'è di parole, può chiarire ed interpretare in modo straordinario i misteri liturgici e favorire "la preghiera in spirito e verità" (Jn 4,23). Il suo linguaggio comprensibile a tutti gli uomini oltre ogni frontiera diventi messaggero d'amore e di pace! Con lieta riconoscenza per la cerimonia e l'incontro odierno, imploro su tutti i presenti così come su coloro che hanno partecipato in modo particolare alla realizzazione di questo dono, la grazia della pace cristiana e imparto di cuore la benedizione apostolica.
Data: 1981-04-11
Sabato 11 Aprile 1981
Titolo: L'ingresso a Gerusalemme è la profezia che si avvera
1. Perché Gesù ha voluto entrare in Gerusalemme su un asinello? Perché la Domenica delle Palme sta all'inizio della Settimana Santa, che è la Settimana della Passione del Signore? La risposta che dà a questa domanda il Vangelo di san Matteo è semplice: "Perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta" (Mt 21,4). In realtà, il profeta Zaccaria si esprime con queste parole: "Esulta grandemente figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina" (Za 9,9).
Viene proprio così: mite ed umile, non tanto come sovrano o regnante, quanto piuttosto come l'Unto, che l'Eterno ha iscritto nei cuori e nelle aspettative del popolo di Israele.
E non al sovrano, non al re si riferiscono prima di tutto queste parole, che la folla pronuncia riguardo a Lui: "Osanna al figlio di Davide! / Benedetto colui che viene nel nome del Signore! / Osanna nel più alto dei cieli!" (Mt 21,9).
Una volta, quando dopo la miracolosa moltiplicazione dei pani, i testimoni dell'avvenimento vollero prenderLo per farlo re (cfr. Jn 6,15), Gesù si nascose a loro.
Ma ora permette loro di gridare: "Osanna al figlio di Davide" e Davide fu infatti re. Non vi sono tuttavia, in questo grido, associazioni di idee con un potere temporale, con un regno terreno.
Piuttosto, si vede che quella folla è già matura all'accoglienza dell'Unto, cioè del Messia, di Colui "che viene nel nome del Signore".
2. L'ingresso a Gerusalemme è una testimonianza dell'eredità profetica nel cuore di quel popolo che acclama Cristo. E' nello stesso tempo una verifica e una conferma che il Vangelo, da Lui annunciato per tutto questo tempo a partire dal battesimo al Giordano, porta i suoi frutti. Infatti, il Messia doveva rivelarsi appunto come un tale re: mite, che cavalca un asino, un puledro figlio d'asina; un re che dirà di se stesso: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (Jn 18,37).
Questo re, che entra a Gerusalemme su un asino, è proprio un tale re. E gli uomini che lo seguono, sembrano vicino a un tale Regno: al Regno che non è di questo mondo. Infatti gridano: "Osanna nel più alto dei cieli". Sembra che siano proprio coloro che hanno ascoltato la sua voce e che "sono dalla verità".
Oggi, nella Domenica delle Palme, siamo venuti anche noi per rivivere, in modo liturgico, quell'avvenimento profetico. Ripetiamo le stesse parole che allora - all'entrata in Gerusalemme - ha pronunciato la folla. Teniamo nelle mani le palme. Saremmo disposti a stendere i nostri mantelli sulla strada, per la quale viene alla nostra comunità Gesù di Nazaret - così come allora è entrato in Gerusalemme.
Gesù di Nazaret accetta questa nostra liturgia, così come ha accettato spontaneamente il comportamento della folla gerosolimitana, perché vuole che si manifesti in questo modo la verità messianica sul Regno, che non indica dominazione sui popoli, ma rivela la regalità dell'uomo: quella dignità vera, che fin dall'inizio gli ha dato Dio Creatore e Padre, e che gli restituisce Cristo Figlio di Dio nella potenza dello Spirito di Verità.
3. Tuttavia, il giorno odierno è soltanto un'introduzione. Costituisce appena il preludio degli avvenimenti, che la Chiesa desidera vivere in modo particolare ed eccezionale nel corso di questa Settimana Santa.
E questo preludio è esteriormente dissimile da ciò che porteranno con sé i giorni successivi della settimana, specialmente gli ultimi.
La liturgia ci parla anche di ciò, anzi parla soprattutto di questo. E' la Liturgia di Passione: è la Domenica della Passione del Signore.
E perciò il Salmo responsoriale, al posto delle voci di benedizione, piene di entusiasmo, e delle grida di "Osanna", ci fa ascoltare già oggi le voci di scherno, che inizieranno nella notte di Giovedì Santo e raggiungeranno il culmine sul Calvario: "Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: Si e affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se e suo amico" (Ps 21,8-9).
Nelle ultime parole lo scherno va più in profondità. Assume la forma più dolorosa, e insieme più provocante.
E in seguito quel penetrante Salmo 21 descrive (dalla prospettiva dei secoli) gli avvenimenti della Passione del Signore, così come li si guardasse da vicino: "Hanno forato le mie mani e i miei piedi, / posso contare tutte le mie ossa. / Essi... si dividono le mie vesti, / sul mio vestito gettano la sorte" (Ps 21,17-19).
E il grande "evangelista dell'Antico Testamento", il profeta Isaia, completa il resto: "Ho presentato il dorso ai flagellatori, / la guancia a coloro che mi strappavano la barba; / non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi" (Is 50,6).
E come se dal Golgota rispondesse allo scherno più doloroso, aggiunge: "Il Signore Dio mi assiste, / per questo non resto confuso, / per questo rendo la mia faccia dura come pietra, / sapendo di non restare deluso" (Is 50,7).
4. così, da quella prova di ubbidienza fino alla morte, Cristo esce vittorioso nello spirito, mediante la sua assoluta dedizione al Padre, mediante il suo radicale affidamento alla volontà del Padre, che è la volontà di vita e di salvezza.
E perciò la descrizione completa degli avvenimenti di questa Settimana, alla quale ci introduce l'odierna Domenica, si riassume nelle parole di san Paolo: Cristo Gesù "umilio se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome"; e aggiunge: "Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre" (Ph 2,8-11).
Perciò anche noi oggi portiamo nella processione le palme e cantiamo: "Osanna al Figlio di Davide. Benedetto colui che viene nel nome del Signore..." (Mt 21,9).
Cristo ha permesso che alla soglia degli avvenimenti della sua Passione, proprio oggi, Domenica delle Palme, si delineasse davanti agli occhi del Popolo dell'elezione Divina quel Regno della definitiva aspettativa dei cuori umani e delle coscienze.
L'ha fatto nel preciso momento in cui tutto era già pronto perché Egli stesso, mediante la propria umiliazione e l'obbedienza fino alla morte e alla morte di croce, aprisse il Regno di Dio mediante la sua esaltazione ad opera del Padre; quel Regno, al quale sono chiamati tutti coloro che confessano il suo Nome.
Data: 1981-04-12
Domenica 12 Aprile 1981
GPII 1981 Insegnamenti - Alla Comunità religiosa dei Fatebenefratelli - Roma