GPII 1982 Insegnamenti - Omelia alla Messa nella Basilica di santa Sabina - Roma
Titolo: "Accetta quest'amore!"
Testo:
1. La liturgia delle Ceneri.
Forse mai la parola di Dio suona per noi così direttamente.
Mai si rivolge a ciascuno così, senza eccezione: "Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai".
Ed anche ciascuno accetta queste parole. Sono tanto evidenti! La loro verità viene confermata con tanta esattezza dalla storia dell'umanità. E dall'esperienza di ogni uomo.
Queste parole parlano della morte, con la quale termina la vita di ciascun uomo sulla terra.
Contemporaneamente, esse richiamano ciascuno di noi verso "l'origine".
Sono state pronunciate al primo Adamo come un frutto del peccato: "Dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti" (Gn 2,17).
La morte come frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male.
Frutto del peccato. Queste parole le dice Dio-Jahvè. Il Dio-Creatore. Colui che ha chiamato - e chiama costantemente - dal nulla all'esistenza il mondo e l'uomo. Ed egli creo l'uomo "con polvere del suolo" (Gn 2,7): lo plasmo con la stessa materia, con la quale è costruito tutto il mondo visibile.
2. Quando Dio dice (e la liturgia delle Ceneri ripete) "polvere tu sei e in polvere tornerai" (Gn 3,19), queste parole suonano come una severa sentenza.
E Dio, che le pronunzia, si rivela in esse come il Creatore e come il Giudice.
Tuttavia, queste parole sono contemporaneamente piene di sofferenza. Si esprime in esse un preannunzio del Venerdi Santo. Si esprime in esse la sofferenza del Figlio di Dio, il quale dice: "Abbà, Padre!... allontana da me questo calice!" (Mc 14,36).
Si! Queste parole severe nascondono in sé il dolore di Dio. Infatti, egli le pronunzia all'uomo da lui creato a propria immagine e somiglianza; l'immagine e la somiglianza di Dio... deve tornare in polvere? Non comprendiamo le parole dell'odierna liturgia, se non sentiamo in esse un grande dolore di Dio, se non sentiamo in esse il dolore dell'amore! "Il Signore si mostri geloso per la sua terra e si muova a compassione del suo popolo", prega il profeta Gioele (2,18).
3. "L'amore geloso". L'amore umano è geloso a causa della strettezza del cuore umano e a causa della piccolezza dell'uomo. Ma l'amore può essere "geloso" anche a causa della grandezza del Creatore e del Padre: geloso perché egli ha tanto amato il mondo..., e, in questo mondo, ha tanto amato l'uomo, da farlo a propria immagine e somiglianza. E' l'amore geloso dell'immagine e della somiglianza di Dio, perdute e cancellate nell'uomo dal peccato.
L'amore geloso significa in questo caso la prontezza a tutto per riconquistare e per ricostruire il bene rovinato, la bellezza offuscata dell'immagine e della somiglianza di Dio. Dio ha tanto amato!
4. Le Ceneri: inizio della Quaresima. L'
uomo chiamato a partecipare al dolore di Dio fino alla morte dell'Eterno Figlio il Venerdi Santo. L'uomo chiamato a rispondere all'amore di Dio: all'amore geloso del bene perduto, dell'opera di Dio sfigurata.
L'uomo chiamato alla riconciliazione con Dio nella morte di Cristo.
L'uomo chiamato alla penitenza.
Ed ecco, egli viene, china la testa, riceve la cenere sulla sua fronte e sente le parole, nelle quali si nasconde il dolore di Dio e il suo "amore geloso".
"Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai".
E contemporaneamente sente le parole: "paenitemini"! fai penitenza e credi al Vangelo!
5. L'appe
llo alla penitenza è, al tempo stesso, invito alla fede che libera dalla stretta del male. Credi al Vangelo! Credi alla buona novella! Il dolore di Dio-Creatore, Venerdi Santo del Redentore: sofferenza che mediante l'amore fa rinascere il bene, fa rinascere la vita.
L'amore geloso fino al compimento finale dell'eterno Disegno della Salvezza.
Accetta quest'Amore! Si. China il tuo capo, penitente: ricevi la cenere sulla tua fronte! Ma soprattutto credi al Vangelo! Accetta quest'Amore, che è più potente del peccato e della morte! Incomincia la Quaresima!
1982-02-24 Data estesa: Mercoledi 24 Febbraio 1982
Titolo: Nella cappella Matilde
Testo:
Cari confratelli! In spirito di unione sacerdotale vi porgo il mio saluto in questa comune celebrazione eucaristica. Nelle vostre diocesi vi prendete cura della vocazione di chi è chiamato a lavorare nella vigna del Signore. In tal modo condividete una grande intenzione del papa, che ogni prega il Signore, perché mandi molti e buoni operai per la sua messe. I miei viaggi pastorali mi dimostrano continuamente: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi" (Lc 10,2).
Con particolare gioia ho appreso del vostro desiderio di conoscere personalmente alcuni organismi e collaboratori della Curia romana, durante l'incontro dei rettori di seminari che tenete quest'anno nella città eterna.
Possano i numerosi e amichevoli incontri di questi giorni e la fraterna comunione nella preghiera e nel santo sacrificio della Messa con il vescovo di Roma, rafforzare l'unione di corresponsabilità con il centro vivo della chiesa e il suo supremo ministero di insegnamento e di guida: che diventino incontri fruttuosi anche per le vostre chiese locali. Il sacrificio eucaristico che offriamo in questa concelebrazione diventi una sorgente di ricche benedizioni per tutti noi e per il nostro comune servizio nella chiesa di Cristo.
Nel vostro desiderio vedo anche in voi tutti quelli che qui rappresentate e che nel loro cammino verso il sacerdozio sono affidati alla vostra guida e alla vostra cura.
Trasmettete loro i miei saluti personali e la mia particolare benedizione. Ripongo in loro grande speranza per la chiesa del domani; li incoraggio e li accompagno con la mia continua preghiera nel loro cammino verso l'altare della ordinazione sacerdotale. Vogliamo ricordarli anche qui nella nostra comune preghiera, affinché nella comunità di fede del seminario riconoscano sempre più chiaramente la chiamata del Signore e maturino in risposta il loro si definitivo nelle mani del loro vescovo e il loro servizio sacerdotale.
La mia preghiera in quest'ora è rivolta anche a voi, cari fratelli. Il Signore, cui stava a cuore notte e giorno l'iniziazione dei suoi discepoli alla fede e al loro futuro apostolato, vi faccia percepire che le sue parole valgono proprio per quelli che lo seguono: "Non vi chiamo più servi...ma vi ho chiamato amici" (Jn 15,15). Che la vostra personale confidenza con il Signore animi continuamente il vostro servizio così importante e difficile nei seminari sacerdotali e vi produca frutti abbondanti. Maria, la Regina degli Apostoli, la Madre dei sacerdoti, interceda continuamente per voi e per i vostri seminaristi di oggi, di ieri e di domani, lo Spirito santo datore di vita. Di tutto cuore pertanto vi impartisco la mia particolare benedizione apostolica.
[Traduzione dal tedesco]
1982-02-25 Data estesa: Giovedi 25 Febbraio 1982
Titolo: Umanizzate la medicina amando i malati
Testo:
Cari fratelli e sorelle!
1. Sono veramente lieto di porge
re il mio più cordiale saluto a tutti voi, che partecipate in questi giorni al Secondo Corso-Convegno Internazionale sul tema "Radiodiagnostica e terapie integrate in oncologia", indetto dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore qui a Roma.
Scorrendo il programma del Corso ho notato che gli illustri Relatori provengono, oltre che dall'Italia, anche dalla Iugoslavia, dalla Germania, dalla Francia, dall'Inghilterra, dal Canada, dagli Stati Uniti d'America e dal Giappone. Si tratta di una rappresentanza veramente estesa e soprattutto qualificata nel settore in cui la vostra competenza è ampiamente riconosciuta. Ebbene, a tutti voi, e in primo luogo al Direttore del Corso, il professore Attilio Romanini, rinnovo il mio saluto, che esprime anche la gioia sincera di potervi incontrare; anzi, vi ringrazio per l'occasione che mi è data di indirizzarvi la mia parola sull'importante tema da voi dibattuto, nel campo in cui voi mi siete maestri. Mi piace unicamente aprirvi il mio animo sul problema umano posto dal malato di tumore, ed assicurarvi il mio incoraggiamento nella vostra preziosa attività.
2. Al di là degli aspetti strettamente tecnici, propri dell'oncologia, si propone sempre, non solo ai parenti ma soprattutto al medico, la questione del rapporto migliore, da instaurare col malato. La malattia del cancro, infatti, resta ancora in gran parte davanti a tutti, ed anche davanti a voi che pur siete Specialisti in materia, un enigma: sia nella sua origine che nella sua terapia. Sapete bene che è molto facile un collasso psicologico del malato, in particolare per le terribili o incerte prospettive che essa gli riserva. Terapie costose o addirittura mutilanti, isolamento e discriminazione da parte dei sani, angosciosa preoccupazione per l'esito del male: sono tutti motivi che, oltre al dolore fisico, fanno della malattia una delle più tremende forme di sofferenza. Ma nel contempo, e da un altro punto di vista, questi sono anche motivi perché non si lasci solo il malato, ma se ne prenda a cuore la sorte, gli si dia fiducia e lo si accompagni, direi con partecipazione fraterna, nel cammino del suo dolore sia fisico che psicologico. E tutto questo si richiede non solo ai familiari, che più da vicino ne condividono le pene, ma anche e in modo speciale a voi, medici curanti, oltre che agli infermieri ed a tutta l'èquipe terapeutica.
3. Poiché appartiene alla tradizione della Chiesa considerare cristiano tutto ciò che è autenticamente umano, mi sento in dovere di invitarvi pressantemente ad umanizzare sempre di più la medicina che coltivate, e ad instaurare un vincolo di schietta solidarietà umana con i vostri pazienti, che vada al di là di un puro rapporto professionale. Segretamente il malato aspetta anche questo da voi. Del resto, egli vi sta di fronte in tutta la sua nobiltà di persona umana che, pur essendo bisognosa, dolorante e forse anche menomata, non per questo va considerata un oggetto passivo, fosse pure un oggetto di cure più o meno sperimentali. Al contrario, una persona è sempre un soggetto e come tale va accostata. Questa è la dignità originaria dell'uomo. E proprio nel rapporto con l'uomo sofferente - tanto più se è sofferente di tumore - ci si trova di fronte ad un test che saggia e mette alla prova l'esistenza e la genuinità delle nostre convinzioni in materia.
Una persona esige per natura sua un rapporto personale. Anche l'ammalato non è mai soltanto un caso clinico, ma sempre un "uomo ammalato"; egli si aspetta cure competenti ed efficaci, ma anche la capacità e l'arte di infondere fiducia, magari al punto da discutere onestamente con lui la sua situazione e soprattutto da adottare un sincero atteggiamento di "sim-patia", nel senso etimologico del termine, tale da tradurre in pratica le parole dell'Apostolo Paolo, che riecheggiavano già quelle di un antico sapiente: "Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto" (Rm 12,15 cfr. Si 7,34).
4. In questo senso, come ben si comprende, l'attività del Medico è più prossima ad una missione che ad una mera professione. Infatti vi è coinvolta tutta la sua umanità e gli è richiesta una dedizione totale. Ebbene, cari fratelli e sorelle, sento di dovervi incoraggiare con tutto il cuore nel vostro benemerito lavoro, tanto di ricerca scientifica quanto di assistenza terapeutica. Certamente molti vi debbono molto. E, se permettete, mi faccio portavoce di quanti non hanno forse la possibilità di esprimervelo, presentandovi il ringraziamento di tutti i malati oncologici, ma non solo di essi, per quanto voi fate per il bene loro e dell'uomo in generale in questo settore tanto urgente e drammatico.
Proseguite, pertanto, con tenacia ed entusiasmo il vostro encomiabile impegno, secondo le vostre rispettive specializzazioni. Ad esse auguro che possano essere il più possibile fruttuose, come merita la serietà dei vostri lavori e la stessa causa dell'uomo che, anche sul piano fisico, sempre attende di "entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8,21).
Da parte mia, vi assicuro un particolare ricordo nella preghiera, perché il Signore, che per definizione biblica è "amante della vita" (Sg 11,26), benedica le vostre occupazioni e assecondi le vostre fatiche. Di questi voti è pegno la benedizione apostolica, che sono lieto di impartirvi, anche come segno della mia alta considerazione, e che amo estendere a quanti vi sono cari.
1982-02-25 Data estesa: Giovedi 25 Febbraio 1982
Titolo: A studenti dell'Istituto Ecumenico di Bossey
Testo:
Cari direttori, studenti e collaboratori dell'Istituto Ecumenico di Bossey, Benvenuti a Roma! E' mia gioia ricevervi qui e salutarvi nell'amore del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Negli ultimi cinque mesi avete riflettuto sul disegno d'amore di Dio in Cristo. Siete profondamente consapevoli che preoccupazione fondamentale della Chiesa è che la vita nel mondo sia più conforme alla superiore dignità dell'uomo in tutti i suoi aspetti, in modo da rendere quella vita ancora più umana (cfr. Ioannis Pauli PP. II RH 13).
E' proprio per raggiungere questo che la Chiesa è allo stesso tempo segno e salvaguardia della trascendenza della persona umana. Sia questa forte convinzione la motivazione che porterete con voi nelle vostre terre, dove sarete chiamati ad affermare l'umanità creata a somiglianza di Dio e meravigliosamente ricreata in Cristo.
Spero che il vostro soggiorno a Roma sia felice. Possa esso arricchirvi anche in spirito. Sostando nei luoghi dove giunsero Pietro e Paolo, possiate apprezzare gli inizi della fede Cristiana in questo luogo e il loro significato per il mondo.
Le mie preghiere e i miei pensieri saranno con voi negli anni a venire mentre servirete il nostro Signore Gesù Cristo. Possa Dio benedire voi, le vostre famiglie e i vostri cari, e i paesi ai quali vi accingete a ritornare.
[Traduzione dall'inglese]
1982-02-26 Data estesa: Venerdi 26 Febbraio 1982
Titolo: Obbendienza e disponibilità fiduciosa al gesto d'amore del Vicario di Cristo
Testo:
1. Sono particolarmente lieto di accogliervi oggi, carissimi fratelli in Cristo, in questo speciale incontro! Saluto di cuore il mio Delegato per la Compagnia di Gesù, Padre Paolo Dezza, ed il suo Coadiutore, Padre Giuseppe Pittau, e specialmente il venerato Preposito Generale, Padre Pedro Arrupe, e tutti voi, Assistenti e i Consiglieri della Curia Generalizia e 86 Padri Provinciali, che rappresentate davanti ai miei occhi i 26.000 Gesuiti, i quali, sparsi in ogni parte del mondo, sono impegnati a "servire all'unico Signore ed alla Chiesa sua Sposa, sotto il Romano Pontefice, Vicario di Cristo in terra".
A questi sentimenti di sincera letizia per la vostra presenza, si aggiunge il doveroso sentimento di riconoscenza e di gratitudine, che - nella scia dei miei Predecessori - desidero rivolgere a tutta la Compagnia di Gesù ed ai suoi singoli Membri, per il contributo storico di apostolato, di servizio, di fedeltà a Cristo, alla Chiesa ed al Papa, dato da secoli con una generosità instancabile ed una dedizione esemplare in tutti i campi dell'apostolato, nei ministeri, nelle missioni. E' un riconoscimento che, oggi, a nome della Chiesa tutta io rivolgo a voi, degni eredi di tali religiosi, che hanno fatto da quattro secoli e mezzo della "maggior gloria di Dio" il loro motto e il loro ideale.
Questa gratitudine e questa riconoscenza acquistano uno speciale significato nelle attuali circostanze, che si manifestano e sono oggettivamente delicate per il governo del vostro benemerito Ordine. E' noto che, in seguito alla infermità che ha colpito il carissimo Padre Arrupe, ho giudicato opportuno di nominare un mio Delegato personale, ed un suo Coadiutore, per il governo dell'Ordine e per la preparazione della Congregazione Generale. La situazione, indubbiamente singolare ed eccezionale, ha suggerito un intervento, una "prova", che - e lo dico con intensa commozione - sono stati accolti dai Membri dell'Ordine con spirito autenticamente ignaziano.
Ed esemplare e commovente è stato soprattutto, in tale delicata contingenza, l'atteggiamento del reverendissimo Preposito Generale, il quale ha edificato me e voi con la sua piena disponibilità alle superiori indicazioni, col suo generoso "fiat" alla volontà esigente di Dio, che si manifestava nella improvvisa ed inaspettata malattia, e nelle decisioni della Santa Sede. Tale atteggiamento, evangelicamente ispirato, è stato ancora una volta la conferma di quella totale e filiale obbedienza, che ogni Gesuita deve dimostrare verso il Vicario di Cristo.
Al Padre Arrupe, qui presente col silenzio eloquente della sua infermità, offerta a Dio per il bene della Compagnia, desidero dire, in questa occasione particolarmente solenne per la vita e per la storia del vostro Ordine, il grazie del Papa e della Chiesa!.
Un sentimento di riconoscenza debbo pubblicamente manifestare anche al mio Delegato personale, il Padre Paolo Dezza, il quale, in spirito di perfetta obbedienza ignaziana ha accettato un peso ed un compito, particolarmente difficili, pesanti e delicati. Ma la sua profonda spiritualità, la sua vasta preparazione culturale, la sua consumata esperienza religiosa sono e saranno per la Compagnia una garanzia di fedeltà nella continuità. Analogo sentimento esprimo per il suo Coadiutore, il Padre Giuseppe Pittau, il quale ha per tanti anni lavorato nel Giappone, in quella nobile Nazione, nella quale il Padre Arrupe aveva profuso, specie dopo la terribile seconda guerra mondiale, i tesori della sua apostolica intrepidezza e generosità sacerdotale.
2. Viva soddisfazione ho il dovere di manifestare per l'analogo atteggiamento di obbedienza e di disponibilità fiduciosa, di cui hanno dato concreta dimostrazione in questo periodo gli Assistenti, i Consiglieri della Curia Generalizia come pure i Gesuiti di tutto il mondo. L'opinione pubblica, che forse attendeva dai Gesuiti un gesto dettato solo dalla logica umana, ha ricevuto, con ammirazione, una risposta, dettata invece dallo spirito del Vangelo; dallo spirito profondamente "religioso", dallo spirito delle buone, autentiche tradizioni ignaziane.
Tale atteggiamento di obbedienza e di disponibilità è stato la risposta consapevole da parte della Compagnia di Gesù ad un gesto di amore, compiuto nei suoi riguardi dalla Santa Sede e dal Vicario di Cristo.
Si, carissimi fratelli! La decisione, che è stata presa dalla Santa Sede, ha la sua profonda motivazione e la sua vera scaturigine nel particolare amore, che essa ha nutrito e nutre per il vostro grande Ordine, benemerito nel passato e protagonista del presente e del futuro della storia della Chiesa! Da parte mia, poi, tale amore è dettato da uno speciale rapporto della Compagnia di Gesù alla mia persona ed al mio ministero universale, ma scaturisce anche dalla mia esperienza sacerdotale ed episcopale nell'arcidiocesi di Cracovia, come pure dalla speranza e dalle attese per quanto concerne la realizzazione dei compiti post-conciliari ed attuali della Chiesa.
In tale clima di serena accoglienza della volontà di Dio, voi, in questi giorni, state riflettendo nella meditazione e nella preghiera sul modo migliore di rispondere alle attese del Papa e del Popolo di Dio, in un periodo di polarizzazioni e di contraddizioni, che contraddistinguono la società contemporanea. Oggetto delle vostre riflessioni, animate dal "discernimento" ignaziano, sono i problemi fondamentali della identità e della funzione ecclesiale della Compagnia: il "sentire cum Ecclesia"; l'apostolato; la qualità della vita religiosa del gesuita; la formazione; che cosa attende la Chiesa dalla Compagnia di Gesù.
3. Guardando, in questo nostro incontro, il vostro gruppo qualificato di Figli di sant'Ignazio, si offre alla mia considerazione la visione del vostro Ordine e della sua gloriosa storia.
E' noto a tutti coloro che conoscono la storia della Chiesa come e quanto la Compagnia di Gesù, sorta al tempo del Concilio di Trento, abbia efficacemente contribuito all'attuazione degli orientamenti di quel Concilio ed alla immissione nella Chiesa stessa di quella corrente di vitalità, che esso apporto.
E' pero opportuno riflettere sul passato del vostro Ordine per cogliere le note fondamentali di questo processo e gli aspetti più ricchi e positivi del modo in cui la Compagnia vi contribui: essi saranno come delle luci guida, dei fari indicatori di ciò che la Compagnia di oggi, spinta dal dinamismo tipico del carisma del suo Fondatore, ma in autentica fedeltà ad esso, può e deve fare per favorire ciò che lo Spirito di Dio ha suscitato nella Chiesa col Concilio Vaticano II.
Ripercorrendo i quattro secoli e mezzo della sua storia, emergono alcuni elementi di autentico valore: sono quelli che caratterizzano la vita e la missione di quel Corpo, che per volere d'Ignazio è la Compagnia di Gesù.
La prima preoccupazione di Ignazio e dei suoi compagni fu quella di promuovere un autentico rinnovamento della vita cristiana. La situazione della società e della Chiesa erano tali che solo l'opera di uomini di Dio poteva avere incidenza e dare un apporto di vitalità santificatrice.
Sull'esempio di Gesù, che percorse "tutte le città ed i villaggi, insegnando nelle sinagoghe, predicando il Vangelo del regno" (Mt 9,35), i primi compagni, inviati dall'obbedienza, andarono pellegrinando nelle varie città, diffondendo la buona novella ed apportando un soffio di vita santa; è l'inizio di quelle missioni popolari, destinate a servire il popolo cristiano, a istruirlo nella fede ed a portarlo ad una coerenza di vita; missioni popolari che avranno in seguito un rigoglioso sviluppo ed un vasto benefico influsso.
Per un più profondo rinnovamento nella vita cristiana si rivelano mezzo particolarmente efficace gli "esercizi spirituali" di sant' Ignazio, che hanno segnato un'orma indelebile nella storia della spiritualità. Negli esercizi si formarono i primi compagni e i loro successori, e con gli esercizi essi divennero le guide spiritualli di innumerevoli fedeli, li aiutarono a scoprire la loro vocazione secondo il piano di Dio ed a divenire degli autentici cristiani impegnati, qualunque fosse il loro stato di vita.
4. Accanto alla direzione spirituale fu cura sollecita della Compagnia la diffusione della vera dottrina cattolica, tra i dotti e gli indotti, dai fanciulli ai più anziani. I due santi Dottori della Chiesa gesuiti, san Pietro Canisio e san Roberto Bellarmino, furono gli autori di due celebri catechismi per i fanciulli e furono insieme maestri ammirati, il primo coinvolto nelle discussioni teologiche del Concilio di Trento, il secondo difensore della fede dalle cattedre di Lovanio e di Roma.
Per un simile intento sant'Ignazio, e dopo di lui la Compagnia, si fecero premura dell'educazione della gioventù: fondarono e moltiplicarono i collegi nei quali, seguendo un nuovo sistema pedagogico - la celebre "Ratio studiorum" - miravano a dare una formazione integrale della persona umana, per forgiare degli uomini che, eminenti negli studi ed in ogni professione, fossero insieme degli eminenti cristiani.
Tutto ciò avveniva in un tempo, in cui il mondo, e particolarmente l'Europa, erano in trasformazione, anzi ad una svolta decisiva nel campo letterario e scientifico. In questo processo si inserirono vigorosamente letterati e scienziati gesuiti, svolgendo un'opera di pionieri "ad maiorem Dei gloriam", favorendo cioè quello sviluppo cristiano dell'uomo che, quando si realizza, è in gloria di Dio.
5. Guardando poi ad un settore di vitale importanza per la Chiesa, la preoccupazione di sant'Ignazio, e dietro a lui della Compagnia, fu quella dei seminari e dei centri superiori di studio per la formazione del clero. A sant'Ignazio si deve la fondazione del tanto benemerito Collegio Romano, divenuto l'Università Gregoriana, e parimente la fondazione del Collegio Germanico, al quale seguirono, spesso con la collaborazione di tanti gesuiti, gli altri Collegi nazionali in Roma, per preparare alla Chiesa leve di sacerdoti, dotati di sana dottrina e di solida virtù, che divennero zelanti apostoli nelle proprie patrie e non di rado martiri della fede.
In connessione con questi centri di studio, la Compagnia ha dato un validissimo contributo nel campo delle scienze sacre, di particolare importanza per la Chiesa; e la folta schiera dei gesuiti cultori della teologia, dell'esegesi biblica, della patrologia, della storia ecclesiastica, della morale e del diritto canonico e di tante altre scienze connesse con gli studi sacri.
Ma la visione di sant'Ignazio si apri ad orizzonti ancora più vasti, tanto quanto era vasto il mondo, che in seguito alle recenti scoperte geografiche aveva preso più ampie dimensioni. E' l'anelito di Cristo, che vibrava nel cuore del Santo, e nel cuore di quanti, condividendo il suo spirito, si offrirono interamente a "nostro Signore, re eterno", la cui "volontà è di conquistare tutto il mondo" (Sant'Ignatio di Loyola, "Spir. Ex.", 95).
Il gruppo dei primi compagni di Ignazio era piccolo; eppure il Santo mando in Oriente san Francesco Saverio, il primo di quella ininterrotta schiera di missionari gesuiti che in Oriente e in Occidente furono "inviati" ad annunciare il Vangelo, ed ardenti di zelo apostolico, erano pronti a dare la vita per testimoniare la loro fede, come attestano i numerosi Martiri della Compagnia.
Mentre lo scopo primario della loro missione era quello di comunicare la fede e la grazia di Cristo, essi si sforzarono insieme di elevare il livello urnano e culturale delle popolazioni, in mezzo alle quali lavoravano, di promuovere una vita sociale più giusta e più rispondente ai disegni di Dio, per cui sono tutt'ora ricordate nella storia le famose Riduzioni del Paraguay.
La generosità e lo slancio di questi missionari attiravano nuove leve; le lettere di san Francesco Saverio toccavano il cuore degli studenti universitari di Parigi. Similmente fecero la vita e gli scritti di tanti altri noti apostoli del regno di Cristo, ai quali va aggiunto uno stuolo anonimo di santi religiosi, che nelle sperdute terre di missione hanno sacrificato la loro vita nell'umiltà e nel nascondimento.
Fra i tanti missionati gesuiti desidero nominarne uno, perché il suo ricordo è oggi di particolare attualità: il Padre Matteo Ricci, di cui stiamo per celebrare il quarto centenario del suo ingresso nella Cina; quel grande Paese che era stato il sogno di san Francesco Saverio, morto trent'anni prima nell'isola di Sanciano, alle porte di quella Cina che è stata e vuole ritornare ad essere un campo privilegiato dell'apostolato della Compagnia.
Così nel corso della sua storia, la Compagnia di Gesù, in ogni parte del mondo, dove si combatteva per Cristo e per la sua Chiesa, è stata presente con i suoi figli migliori, ardenti di zelo, armati di virtù, forniti di dottrina, fedeli alle direttive del loro capo, del Vicario di Cristo, il Romano Pontefice.
Questa è la Compagnia di Gesù che la storia pone dinanzi al nostro sguardo; la Compagnia di Gesù che i nemici di Cristo hanno perseguitato fino ad ottenerne la soppressione, ma che la Chiesa ha fatto risorgere, sentendo il bisogno di figli così valorosi e devoti, sui quali i Papi hanno fatto affidamento nel passato e sui quali il Papa vuole fare affidamento anche per il futuro.
6. Se ho parlato della Compagnia nel passato in vista di raccogliere i tratti caratteristici della sua vita e della sua missione, è perché penso alla Compagnia d'oggi e a ciò che si attende da essa la Chiesa per il presente e per l'avvenire.
Chi osserva la ricchezza dell'apporto che il vostro Ordine ha offerto alla Chiesa e dato al mondo e giunge a mettere in valore i suoi aspetti principali, non può fare a meno di notare ciò che per Sant'Ignazio fu una delle note più caratteristiche dell'Ordine fondato da lui sotto l'impulso dello Spirito Santo.
Nella sua storia in effetti la Compagnia di Gesù si è sempre distinta, attraverso molteplici e varie forme del suo ministero apostolico, per la mobilità e il dinamismo che il suo fondatore ha infuso ad essa e che l'hanno resa capace di cogliere i segni dei tempi e attraverso questo di essere all'avanguardia del rinnovamento voluto dalla Chiesa.
In virtù della vostra vocazione apostolica e missionaria i membri del corpo scelto che voi formate per volontà di Sant'Ignazio e della Chiesa si trovano, secondo le parole che vi ha indirizzato Paolo VI "in prima linea del rinnovamento profondo che la Chiesa, particolarmente dopo il Concilio Vaticano II si sforza di realizzare in questo mondo secolarizzato. La vostra Compagnia è, per così dire, un test della vitalità della Chiesa attraverso i secoli: essa costituisce in qualche modo un crocevia in cui si incontrano in modo molto significativo le difficoltà, le tentazioni, gli sforzi e le imprese, la perennità e i successi della Chiesa intera" (Paolo VI, Allocuzione ai Padri della 32° Congregazione generale, 3 dicembre 1974).
Come vi ha detto già il mio venerato predecessore, la Chiesa attende oggi dalla Compagnia che essa contribuisca efficacemente alla messa in opera del Concilio Vaticano II, come, ai tempi di Sant'Ignazio e subito dopo, essa dispiego tutti i suoi sforzi per far conoscere e applicare il Concilio di Trento, e per aiutare in modo essenziale i Romani Pontefici nell'esercizio del loro magistero supremo.
7. Permettetemi di insistere una volta di più e solennemente sull'interpretazione esatta del recente Concilio. Si trattava e si tratta sempre di un'opera di rinnovamento ecclesiale in ascolto dello Spirito Santo. Su questo punto di capitale importanza i documenti conciliari sono di una chiarezza senza pari (cfr. LG 4 LG 7 LG 9; GS 21 §5 e GS 43 §6). E questo rinnovamento di fedeltà e di fervore in tutti i campi della missione della Chiesa - maturato ed espresso nell'ascolto collegiale dello Spirito della Pentecoste - deve essere ugualmente accolto e vissuto ora secondo lo stesso Spirito e non secondo i criteri personali o teorie fisico-sociologiche. E per meglio compiere questo lavoro in seno al popolo di Dio che i contemplativi e i religiosi che praticano la vita apostolica sono stati chiamati dal medesimo Concilio a un rinnovamento della loro esistenza evangelica. Il decreto Perfectae caritatis (PC 2-3) esprime con chiarezza e fervore questi criteri di rinnovamento. Essendo fedeli ad essi, non c'è più posto per le deviazioni certamente nocive per la vitalità delle comunità e della Chiesa intera. Mi sembra che la Compagnia di Gesù, sempre più impregnata dello spirito di un vero rinnovamento, sarà in grado di giocare pienamente il suo ruolo oggi come ieri e sempre: saper aiutare il Papa e il collegio apostolico a far avanzare tutta la Chiesa sulla grande via tracciata dal Concilio, e a convincere coloro che sono ahimè tentati dalle vie sia del progressismo sia dell'integrismo a ritornare con umiltà e con gioia nella comunione senza ombra coi loro Pastori e con i loro fratelli che soffrono dei loro atteggiamenti e della loro assenza. Questo lavoro paziente e delicato e sicuramente l'opera di tutta la Chiesa. Ma, nella fedeltà al vostro padre Sant'Ignazio e a tutti i suoi figli, dovete oggi levarvi come un sol uomo, per questa missione di unità nella verità e carità.
Il quarto voto della Compagnia fu precisamente compreso da Sant'Ignazio come l'espressione vivente e vitale della coscienza che la missione di Cristo si prolunga nel tempo e nello spazio in coloro che, chiamati da lui a seguirlo e a condividere le sue pratiche (cfr. Esercizi spirituali nn. 91-98), fanno propri i suoi sentimenti, vivendo attraverso ciò in intima unione con lui e con il suo Vicario sulla terra.
Ecco perché Sant'Ignazio e i suoi primi compagni, volendo partecipare alla missione di Cristo, che continua nella Chiesa, decisero di mettersi senza condizione a disposizione del Vicario di Cristo e di legarsi a lui con "un voto speciale, così che questa unione con il successore di Pietro, che è il carattere specifico dei membri della Compagnia, ha sempre assicurato la vostra comunione con Cristo, di cui essa è segno; perché Cristo è il capo primo e supremo della Compagnia che per definizione è la Compagnia di Gesù" (Paolo VI, Allocuzione ai Padri della 32° Congregazione generale, 3 dicembre 1974).
8. In ragione di questa nota distintiva e caratteristica del vostro Ordine, la Chiesa si aspetta dunque in primo luogo che voi adempiate alle differenti forme di apostolato tradizionale che conservano ancora oggi tutto il loro valore, lavorando per rinnovare la vita spirituale dei fedeli, l'educazione della gioventù, la formazione del clero, dei religiosi e delle religiose, l'attività missionaria; questo comporta catechesi, proclamazione della Parola di Dio, diffusione della dottrina di Cristo, penetrazione cristiana nel campo della cultura di un mondo che cerca di stabilire una divisione e un'opposizione tra scienza e fede, attività pastorale per i poveri, gli oppressi, gli emarginati, esercizio del ministero sacerdotale in tutte le sue espressioni autentiche, senza dimenticare i nuovi mezzi di apostolato di cui dispone la società moderna, come la stampa e i mass media, perfezionandone l'uso che la Compagnia ha già fatto durante l'epoca recente.
Inoltre, la Chiesa desidera vedere la Compagnia interessarsi sempre più alle iniziative che il Concilio Vaticano II ha particolarmente incoraggiato: - l'ecumenismo per ridurre lo scandalo della divisione tra i cristiani.
Sono più di venti anni che la Chiesa ha creato il Segretariato per l'unità dei cristiani: è necessario che in un mondo che si sta scristianizzando coloro che credono in Dio e in Cristo collaborino tra loro; - l'approfondimento delle relazioni con le religioni non cristiane, perseguito dal Segretariato per i non cristiani, e la presentazione della vita e della dottrina cristiane in una maniera adeguata alle differenti culture, che tenga conto con grande sensibilità dei tratti caratteristici e delle ricchezze di ciascuna; - gli studi e le iniziative concernenti il preoccupante fenomeno dell'ateismo, incoraggiati dal Segretariato per i non credenti, ricordandovi l'impegno che vi ha affidato Paolo VI di "resistere vigorosamente e con tutte le vostre forze all'ateismo" (Allocuzione ai Padri della 31° Congregazione generale, 7 maggio 1965).
C'è ancora un punto sul quale vorrei attirare la vostra attenzione. Ai nostri giorni, si risente con un'urgenza sempre più grande nella azione evangelizzatrice della Chiesa, la necessità di promuovere la giustizia. Se si tiene conto delle vere esigenze del Vangelo e nello stesso tempo dell'influenza che esercitano le condizioni sociali sulla pratica della vita cristiana, si comprende facilmente perché la Chiesa considera la promozione della giustizia come una parte integrante dell'evangelizzazione. Si tratta di un campo importante dell'azione apostolica. In questo campo non tutti hanno la medesima funzione e, in ciò che concerne i membri della Compagnia, non bisogna dimenticare che la necessaria preoccupazione per la giustizia deve esercitarsi in conformità con la vostra vocazione di religiosi e di preti. Come ho già detto il 2 luglio 1980 a Rio de Janeiro, il servizio sacerdotale "se vuole veramente restare fedele a se stesso, è un servizio per eccellenza e essenzialmente spirituale. Questo carattere deve essere ancora accentuato oggi contro le tendenze multiformi a secolarizzare il servizio del prete riducendolo ad una funzione puramente filantropica. Il suo servizio non è quello del medico, dell'assistente sociale, del politico o del sindacalista. In certi casi, è possibile, il prete potrà prestare i suoi servizi, anche se in maniera supplettiva, e nel passato egli li ha prestati in maniera notevole. Ma oggi questi servizi sono forniti in maniera conveniente da altri membri della società mentre il nostro servizio è sempre più chiaramente e precisamente un servizio spirituale. E' sul terreno delle anime, dei loro rapporti con Dio e del loro rapporto interiore con i loro simili che il prete ha una funzione essenziale da compiere. E' qui che egli deve svolgere la sua assistenza agli uomini del nostro tempo. Certo, tutte le volte che le circostanze lo esigeranno, non potrà dispensarsi dal fornire anche un'assistenza materiale, attraverso opere di carità e la difesa della giustizia. Ma, come ho già detto in ultima analisi, si tratterà di un servizio secondario che non deve far mai perdere di vista il servizio principale, che è quello di aiutare le anime a scoprire il Padre, ad aprirsi a Lui e ad amarlo in tutte le cose".
Già il Concilio Vaticano II ha messo in luce il valore e la natura dell'apostolato dei laici e li ha esortati a prendere il loro posto nella missione della Chiesa; ma il ruolo dei preti e dei religiosi è diverso. Non devono prendere il posto dei laici e devono ancora meno dimenticare l'impegno che è loro specificatamente proprio.
9. Le vostre Costituzioni stabiliscono chiaramente i requisiti essenziali che sono necessari alla Compagnia di Gesù per contribuire efficacemente all'adempimento dei Decreti Conciliari come la Chiesa si aspetta che essa faccia.
In primo luogo vi è la lunga e solida formazione dei futuri apostoli della Compagnia. Nella stessa Formula dell'Istituto, dopo aver descritto la linea di condotta tipica della Compagnia, Ignazio scrive: "Sappiamo per esperienza nostra che il cammino comporta molte e gravi difficoltà; abbiamo giudicato perciò opportuno di stabilire che nessuno sia ammesso a far professione in questa Compagnia se non dopo che, con lunghe e accuratissime prove, sia investigato sulla sua vita e condotta" (Formule dell'Istituto della Compagnia di Gesù, n. 9).
Non dovete cedere alla facile tentazione di attenuare questa formazione che ha tanta importanza in ognuno ed in tutti i suoi aspetti: spirituali, dottrinali, disciplinari e pastorali; il conseguente danno supererebbe di gran lunga qualsiasi risultato poteva essere stato immediatamente raggiunto.
Ricordate che anche al tempo del suo Fondatore, la Compagnia dovette affrontare l'angosciante problema che vi si pone oggi. Anche allora vi erano troppo pochi apostoli, idonei e ben preparati, per far fronte adeguatamente ai bisogni pastorali.
10. Comunque, dovete tenere sempre bene in mente che questa preparazione lunga ed esigente ha come scopo primario quello della formazione di uomini che siano eminenti a causa della loro intima unione con Dio. Infatti, Ignazio era convinto che tutta l'attività apostolica ha valore ed è efficace solo se deriva da quella "unione tra lo strumento e Dio" della quale egli parla tanto spesso. Il primato della vita interiore è il vero fondamento della visione e della spiritualità di Ignazio; esso costituisce il cuore di una autentica vita apostolica, perché il vero apostolo vive la sua missione in totale dipendenza da Dio e in unione con Lui.
Il vostro Fondatore e con lui i suoi primi compagni erano veramente uomini di Dio; in risposta alla libera chiamata del Re Eterno (Es. sp., nn. 91-98), e avendo interiormente inteso lo Spirito che animava Gesù stesso, Colui che fu mandato dal Padre, essi vivevano come il Signore aveva chiesto ai suoi Apostoli di vivere, quando Egli disse loro: "Rimanete in me ed io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Jn 15,4-5).
Tuttavia in virtù di quello che è il più ricco elemento dello spirito del vostro Fondatore, vi prego di riflettere sul profondissimo significato della "Contemplazione per ottenere l'amore", mediante il quale l'apostolo vive nella consapevolezza della realtà che: "Tutti i beni e i doni discendono dall'alto, così come la mia limitata potenza dalla somma e infinita di lassù, e così la giustizia, la bontà, la pietà, la misericordia ecc, come dal sole discendono i raggi, dalla fonte le acque..." (Es. Sp., n. 237). Tale è lo spirito del vero apostolo che vive la sua missione in dipendenza totale da Dio e in unione con Lui.
Per questa ragione nella vita apostolica e religiosa della quale Sant'Ignazio, sotto l'impulso di Dio, fu uno dei grandi fondatori, non vi dovrebbe essere separazione tra la vita interiore e l'apostolato. Sono i due elementi essenziali e costitutivi di questa vita: essi sono inseparabili e si influenzano e compenetrano l'un l'altro.
11. Insieme alla solidità della virtù, le vostre Costituzioni insistono su di una solidità e un rigore dottrinale, quale è essenziale per un efficace apostolato.
Per conseguenza: "I gesuiti venivano universalmente considerati quale supporto alla dottrina e alla disciplina della Chiesa intera. Vescovi, sacerdoti e laici erano soliti guardare alla Compagnia come ad un autentico nutrimento alla vita interiore" (Lettera del Cardinale Villot a Padre Arrupe, 2 luglio 1973). Ciò dovrebbe continuare a rimanere valido nel futuro grazie a quella leale fedeltà al Magistero della Chiesa, e in particolare del Romano Pontefice, al quale, come a voi si richiede, siete particolarmente legati.
12. Infatti, un vincolo particolare vi lega al Romano Pontefice, il Vicario di Cristo sulla terra. Come ho già detto prima, Sant'Ignazio e i suoi compagni, avendo afferrato nello spirito il vero significato e valore della missione di Cristo, e come essa si prolunga nella storia, attribuivano un'importanza capitale a questo legame di amore e di servizio al Romano Pontefice, a tal punto che essi desideravano che questo "voto speciale" fosse un elemento caratteristico della Compagnia. Descrivendo la loro propria disposizione interiore, e ciò che essi si aspettavano da chi sarebbero stati in seguito ammessi al Corpo dei Professi della Compagnia, essi scrissero queste parole che sono, e devono rimanere scolpite nel cuore di ogni gesuita degno di questo nome: "Per una maggiore devozione all'obbedienza verso la Sede Apostolica e una maggiore abnegazione delle nostre volontà, e una più sicura direzione dello Spirito Santo, abbiamo giudicato sommamente opportuno, che ognuno di noi e chiunque farà in seguito la medesima professione, oltre che dal vincolo dei tre voti sia legato da un voto speciale. In forza di esso, tutto ciò che l'attuale Romano Pontefice e gli altri successori comanderanno come pertinente al progresso delle anime ed alla propagazione della fede, ed in qualsivoglia paese vorranno mandarci, noi, immediatamente, senza alcuna tergiversazione o scusa, saremo obbligati ad eseguirlo, per quanto dipenderà da noi" (Formule dell'Istituto della Compagnia di Gesù, n. 3). E' evidente che stiamo adesso toccando quello che è l'essenza del carisma ignaziano, e ciò che sta al cuore del vostro Ordine. Ed è ad esso che dovete rimanere sempre fedeli.
Il Romano Pontefice, al quale siete legati da questo voto speciale, è, nelle Parole del Concilio Vaticano Secondo, "il Pastore Supremo della Chiesa" (CD 5). In quanto tale Egli esercita un particolare ministero di servizio per il bene della Chiesa universale, e in esso Egli accetta ben volentieri la vostra collaborazione affezionata, devota e provata nel tempo. Ma il Romano Pontefice stesso accetta anche la collaborazione che voi gli offrite nel suo ruolo di capo del Collegio Episcopale (cfr. LG 22), unito ai suoi Fratelli Vescovi in un collegiale ministero di discernimento e di armonia, che, in virtù di un carisma distintivo, coordina, docile allo Spirito Santo, gli altri ruoli del servizio ecclesiale (cfr. Mutuae Relationes, 6). Per questa ragione voi siete parimenti legati ai membri del Collegio episcopale mediante un vincolo che vi chiede di essere uniti a loro nella carità pastorale e in una stretta collaborazione operativa. Precisamente a causa della vostra particolare disponibilità all'autorità del Romano Pontefice, voi siete in grado di lavorare tanto più efficacemente con il Collegio dei Vescovi e con i suoi membri individualmente, i quali nel Successore di Pietro trovano il loro perpetuo e visibile fondamento dell'unità (cfr. LG 23).
Come ha spiegato il Concilio Vaticano Secondo, il Romano Pontefice si serve anche dei dicasteri della Curia Romana nell'esercizio del suo servizio alla Chiesa universale (cfr. CD 9). Questo fatto richiede di per sé una leale collaborazione tra la Compagnia di Gesù e questi dicasteri. A causa delle esigenze dei vostri voti e della realtà del mio ministero, non potrebbe essere altrimenti. Alcuni dei compiti speciali assegnati alla Compagnia di Gesù ed altre opere importanti che essa si è assunta nel periodo post-conciliare corrispondono ai programmi della Sede Apostolica che sono coordinati da alcuni dei suoi nuovi dicasteri. Mediante la collaborazione con questi vari organi, la Compagnia di Gesù può trovare il suo giusto orientamento in molti problemi e nello stesso tempo dare un enorme contributo alla Chiesa universale. Da parte sua il Romano Pontefice vi offre, in nome di Cristo, di cui è il Vicario, la piena misura del suo affetto pieno di gratitudine per la vostra collaborazione con lui personalmente, con il Collegio dei Vescovi, e con l'intera Curia Romana, che la Compagnia di Gesù ha per anni generosamente assistito in molti modi.
13. Non mi soffermo ulteriormente su queste riflessioni, perché so che in questi giorni state considerando, insieme al Padre Delegato, i desideri da me espressi al riguardo della Compagnia e che, con spirito di fede e di fraterna collaborazione, cercate i mezzi più appropriati per metterli in pratica.
Desidero solo incoraggiarvi a proseguire in quest'opera che, mentre risulterà particolarmente utile per la vostra Compagnia, sarà oltre a ciò di grande utilità per tutta la Chiesa, che guarda alla Compagnia con particolare interesse e apprezzamento.
L'esemplarità della vostra vita religiosa, l'atmosfera spirituale delle vostre comunità, l'austerità nel tenore di vita e il fervore nelle opere apostoliche, saranno motivo di edificazione per tutto il popolo di Dio e attireranno alla vostra Compagnia vocazioni sempre più numerose di giovani generosi, che aspirano non ad una mediocrità nella sequela di Cristo, ma ad una radicalità nella loro consacrazione a Lui.
In questo modo voi andrete preparando in modo eccellente la Congregazione Generale. Confido che questa preparazione procederà in modo che sia possibile, entro quest'anno, la convocazione della Congregazione Generale, secondo il desiderio manifestato da tempo dal venerato Padre Arrupe, ma che nello stesso tempo deve comunicare alla Compagnia intera un nuovo stimolo a compiere con rinnovato vigore la sua missione conformemente alle speranze della Chiesa e del mondo.
Vi accompagno, in questo, con i miei voti e la mia preghiera affinché il Signore, per intercessione di Colei che solete invocare come Regina e Madre della Compagnia di Gesù e dei vostri numerosi Santi e Beati, benedica e renda fecondo il vostro lavoro.
A questi Santi e Beati, già elevati agli onori degli altari, è consolante aggiungere anche tanti altri vostri Fratelli che per le loro insigni virtù attendono che la Chiesa riconosca ufficialmente la loro santità. A questo proposito, mi compiaccio di ricordare che precisamente il passato undici febbraio ho avuto la soddisfazione di proclamare la eroicità delle virtù dell'umile e tanto amato Fratello Coadiutore Francesco Gàrate, morto cinquanta anni fa e originario della medesima terra che ha visto nascere il vostro Santo Fondatore Ignazio di Loyola.
La vita di questi religiosi della Compagnia, come quella di tanti ottimi gesuiti che vivono e lavorano per il mondo intero con uno spirito di fede colmo di amore e uno slancio realmente esemplare verso gli uomini, sta dimostrando che anche nel nostro tempo fiorisce la santità nella Compagnia.
E dimostra che continua ad essere valida la vocazione dei Fratelli Coadiutori della Compagnia, che, con la loro dedizione totale al servizio del Signore, mediante lo svolgimento dei loro compiti, collaborano efficacemente con i Padri al ministero sacerdotale proprio della Compagnia.
Con questi sentimenti, imparto di tutto cuore a voi, e per mezzo vostro a tutti i membri della Compagnia come pegno dei doni divini, la mia Benedizione Apostolica.
1982-02-27 Data estesa: Sabato 27 Febbraio 1982
GPII 1982 Insegnamenti - Omelia alla Messa nella Basilica di santa Sabina - Roma