GPII 1982 Insegnamenti - L'omelia della Messa per la beatificazione di suor Angela della Croce - Siviglia (Spagna)
Titolo: La "carità d'urgenza" di Angela della Croce è impulso a progredire verso la giustizia sociale
Testo:
Signor Cardinale, fratelli nell'Episcopato, cari fratelli e sorelle.
1. Oggi ho la gioia di trovarmi per la prima volta sotto il cielo dell'Andalusia; questa bella regione, la più estesa e popolosa della Spagna, centro di una delle più antiche culture d'Europa. Qui s'incontrarono diverse civiltà che diedero origine alle peculiari note caratteristiche dell'uomo andaluso.
Voi avete dato all'Impero romano imperatori, filosofi e poeti; otto secoli di presenza araba hanno raffinato la vostra sensibilità poetica e artistica; qui si è forgiata l'unità nazionale; dalle coste vicine a questo "Guadalquivir sonoro" parti la formidabile impresa della scoperta del Nuovo Mondo e la spedizione di Magellano e di Elcano fino alle Filippine.
Conosco l'origine apostolica del cristianesimo della Bética, fecondato dai vostri martiri e sostenuto dai vostri santi: Isidoro e Leandro, Ferdinando e Giovanni di Ribera, Giovanni di Dio e il beato Giovanni Grande, Giovanni d'Avila e Diego Giuseppe di Cadice, Francesco Solano, Raffaella Maria, il venerabile Michele di Manara e molte altre figure insigni.
Il ricordo affettuoso di tanta ricchezza storica e spirituale è il mio miglior saluto al vostro popolo, al vostro nuovo Arcivescovo, ai Pastori presenti e a tutti gli spagnoli, specialmente a quelli venuti dalle Canarie; ma soprattutto è voce prestata a chi tanto ha dato alle vostre genti: il mio carissimo fratello e vostro amato Cardinale che ci accompagna.
2. In questa cornice sivigliana, circondata come i vostri cortili dalla "fragranza" dell'Andalusia, incontro le genti della campagna spagnola. E lo faccio mettendo davanti ai loro occhi un'umile figlia del popolo, così vicina a questo ambiente per la sua origine e la sua opera. perciò ho voluto lasciarvi un dono prezioso, glorificando qui suor Angela della Croce.
Abbiamo ascoltato le parole del profeta Isaia che invita a dividere il pane con l'affamato, ad ospitare chi è misero, a vestire chi è nudo e a non chiudere gli occhi di fronte al fratello (cfr. Is 58,7); perché "se offrirai il pane all'affamato, / se sazierai chi è digiuno, / allora brillerà fra le tenebre la tua luce, / la tua oscurità sarà come il meriggio" (cfr. v. 10).
Le parole del profeta sembrano riferirsi direttamente a suor Angela della Croce: quando esercita eroicamente la carità con i bisognosi di pane, di vestiti, di amore; e quando, come succede oggi, questo esercizio eroico della carità fa brillare la sua luce sugli altari, come esempio per tutti i cristiani.
So che la nuova Beata è considerata un tesoro comune di tutti gli andalusi, al di sopra di ogni divisione sociale, economica, politica. Il suo segreto, la radice da cui nascono i suoi esemplari atti di amore, è espresso nelle parole del Vangelo, che abbiamo appena ascoltato: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà" (Mt
16,25).
Ella si chiamava Angela della Croce. Come se volesse dire che, secondo le parole di Cristo, ha preso la sua croce per seguirlo (cfr. Mt 16,24). La nuova Beata comprese perfettamente questa scienza della croce e la espose alle sue figlie con una espressione plastica di grande forza. Ella immagina che sul Calvario esista, accanto al Signore inchiodato alla croce, un'altra croce "alla stessa altezza, non a destra o a sinistra, ma di fronte e molto vicino". Questa croce vuota la vogliono occupare suor Angela e le sue sorelle, che desiderano "vedersi crocifisse di fronte al Signore", con "povertà, distacco e santa umiltà" ("Escritos Intimos", Primeros escritos, fol. 1P 176). Unite al sacrificio di Cristo, suor Angela e le sue sorelle potranno realizzare la testimonianza dell'amore ai bisognosi.
In realtà, la rinuncia dei beni terreni e il distacco da ogni interesse personale, colloco suor Angela in quell'atteggiamento ideale di servizio, che ella definisce in maniera espressiva chiamandosi "espropriata per la pubblica utilità".
In qualche modo appartiene già agli altri, come Cristo nostro Fratello.
L'esistenza austera, crocifissa, delle Sorelle della Croce, nasce anche dalla loro missione al mistero redentore di Gesù Cristo. Non pretendono di lasciarsi morire inutilmente di fame o di freddo, sono testimoni del Signore, per noi morto e risuscitato. Così il mistero cristiano si compie perfettamente in suor Angela della Croce, che sembra "immersa in una gioia pasquale". Quella gioia lasciata come testamento per le sue figlie e che tutti ammirano in loro. Perché la penitenza è esercitata come rinuncia al proprio piacere, per essere disponibili al servizio del prossimo; ciò suppone una grande fede, per immolarsi sorridendo, senza accampare diritti, togliendo importanza al proprio sacrificio.
3. Suor Angela della Croce, fedele all'esempio di povertà di Cristo, mise il suo Istituto al servizio dei poveri più poveri, i diseredati, gli emarginati. Volle che la Compagnia della Croce si trovasse "nella povertà", non aiutando dall'esterno, ma vivendo le condizioni dell'esistenza proprie dei poveri. Suor Angela pensa che lei e le sue figlie appartengono alla categoria dei lavoratori, degli umili, dei bisognosi, "sono mendicanti che ricevono tutto in elemosina".
La povertà della Compagnia della Croce non è puramente contemplativa, serve alle Sorelle da piattaforma dinamica per un lavoro assistenziale con i lavoratori, le famiglie senza tetto, i malati, i poveri, le bimbe orfane o senza scuola, le adulte analfabete. Ad ogni persona cercano di procurare ciò di cui ha bisogno: denaro, casa, istruzione, vestiti, medicinali; e tutto, sempre, offerto con amore. I mezzi che utilizzano sono il loro lavoro personale e le elemosine che chiedono a chi può darle.
In questo modo, suor Angela stabili un vincolo, un ponte tra i bisognosi e i potenti, tra i poveri e i ricchi. Evidentemente ella non può risolvere i conflitti politici né gli squilibri economici. Il suo compito significa una "carità d'urgenza", al di sopra di ogni divisione, portando aiuto a chi ne necessita. Chiede in nome di Cristo, e dà in nome di Cristo. La sua è quella carità riferita dall'apostolo Paolo nella sua prima lettera ai Corinti: "Paziente, benigna... non cerca il suo interesse, non si adira, non tien conto del male ricevuto... Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1Co 13,4-7).
4. La testimonianza e l'azione caritatevole di suor Angela esercito un'influenza benefica molto più in là delle periferie delle grandi città e si diffuse immediatamente nell'ambiente rurale. Non poteva avvenire diversamente, poiché negli ultimi decenni del secolo XIX, quando suor Angela fonda il suo Istituto, la regione andalusa ha visto fallire i suoi tentativi di industrializzazione e resta soggetta a modi di vita prettamente rurali.
Molti uomini e donne della campagna si dirigono in città alla ricerca di un posto di lavoro fisso e ben remunerato, ma senza successo. La stessa suor Angela è figlia di padre e madre giunti a Siviglia da piccoli paesi per stabilirsi in città. Qui lavorerà per alcuni anni in una piccola fabbrica di scarpe.
Anche la Compagnia della Croce si compone per la maggior parte di donne provenienti da famiglie contadine, in perfetta sintonia con la gente semplice del paese, e conserva i tratti caratteristici dell'origine. I suoi conventi sono poveri, ma molto puliti; sono arredati col mobilio caratteristico delle umili case dei contadini.
Durante la vita della Fondatrice, le Sorelle aprono nove case in altrettanti paesi della provincia di Siviglia, quattro in quella di Huelva, tre a Jaén, due a Malaga e una a Cadice. La loro azione nella periferia delle grandi città si svolge tra le famiglie contadine, spesso appena giunte dalla campagna e sistemate in misere abitazioni, senza neppure i mezzi necessari per affrontare una malattia, la mancanza o la scarsità di alimenti e di vestiario.
5. Oggi, il mondo rurale di suor Angela ha assistito alla trasformazione delle società agrarie in società industrializzate, a volte con un successo impressionante. Ma questa attrattiva dell'orizzonte industriale ha provocato, di conseguenza, un certo disprezzo per la campagna "al punto da ingenerare negli agricoltori l'impressione di essere socialmente degli emarginati, e da accelerare in essi il fenomeno della fuga in massa dalla campagna verso le città, e purtroppo verso condizioni di vita ancor più disumanizzanti" (LE 21).
Questo disprezzo parte da presupposti falsi, poiché tanti ingranaggi dell'economia mondiale continuano a dipendere dal settore agrario, "che offre alla società i beni necessari al sostentamento quotidiano" (LE 21).
In questa linea di difesa dell'uomo della campagna, la Chiesa contemporanea annuncia agli uomini di oggi le esigenze della dottrina sulla giustizia sociale, tanto in ciò che si riferisce ai problemi della campagna quanto in ciò che si riferisce al lavoro della terra: il messaggio di giustizia del Vangelo che trae origine dai profeti dell'Antico Testamento. Il profeta Isaia ce lo ricordava poco fa: se dividi il tuo pane con l'affamato, "Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, /... Davanti a te camminerà la tua giustizia" (Is 58,8).
Chiamata attuale allora ed oggi, perchè la giustizia e l'amore per il prossimo sono sempre attuali.
Lungo il secolo XX, la campagna, per fortuna, ha cambiato alcune condizioni che la rendevano disumana: salari bassissimi, case misere, mancanza di scuole per i bambini, proprietà tenute da pochi, estensioni sfruttate poco o male, mancanza di assicurazioni che offrissero un minimo di serenità per il futuro.
L'evoluzione della società e del lavoro ha certamente migliorato questo panorama tristissimo, nel mondo intero e in Spagna. Ma la campagna continua ad essere la cenerentola dello sviluppo economico. Per questo il potere pubblico deve affrontare gli urgenti problemi del settore agricolo. Rivedendo debitamente costi e prezzi in modo da renderlo redditizio; dotandolo di industrie sussidiarie e di trasformazione che lo liberino dalla piaga penosa della disoccupazione e della emigrazione forzata che affligge tanti cari figli di questa e di altre terre di Spagna; razionalizzando la commercializzazione dei prodotti agrari, e procurando alle famiglie contadine, soprattutto ai giovani, condizioni di vita che li stimolino a considerarsi lavoratori degni allo stesso modo di quelli addetti all'industria.
Speriamo che le prossime tappe della vostra vita pubblica ottengano un avanzamento in questa direzione, allontanandosi da facili demagogie che stordiscono il popolo senza risolvere i suoi problemi, e chiamando tutti gli uomini di buona volontà per coordinare gli sforzi in programmi tecnici ed efficaci.
6. Per progredire in questo cammino è necessaria la forza spirituale e l'amore per l'uomo che animo suor Angela della Croce; quella carità che mai avrà fine (cfr. 1Co 13,8), possa informare la vita umana e religiosa di ogni cristiano.
So che l'Andalusia nutre le radici culturali e religiose del suo popolo, grazie a un patrimonio di tradizioni tramandato di padre in figlio. Tutti ammirano le belle espressioni di pietà create dal popolo andaluso per rivestire sensibilmente i propri sentimenti religiosi. D'altra parte, le confraternite create lungo i secoli, hanno avuto notevole influenza nel corpo sociale.
Questa religiosità popolare deve essere rispettata e coltivata, come una forma di accordo cristiano con le esigenze fondamentali del messaggio evangelico; integrando l'azione delle confraternite nella pastorale rinnovata dal Concilio Vaticano II, purificandole delle riserve rispetto al ministero sacerdotale e allontanandole da qualsiasi tensione interessata o di parte. In tal modo, questa religiosità purificata potrà essere un cammino valido verso la pienezza di salvezza in Cristo, come dissi ai vostri Pastori (cfr. "Discorso in occasione della visita "ad limina"", 30 gennaio 1982: "Insegnamenti", V,1 [1982] 253ss).
7. Amati andalusi e spagnoli tutti. La figura della nuova Beata si erge davanti a noi con tutta la sua esemplarità e la sua vicinanza all'uomo, soprattutto all'umile e all'uomo del mondo rurale. Il suo esempio è una prova permanente di quella carità che non ha fine (cfr. 1Co 13,8).
Ella continua ad esser presente fra la sua gente con la testimonianza del suo amore. Di quell'amore che è il suo tesoro nell'eterna comunione dei Santi, che si realizza per l 'amore e nell 'amore.
Il Papa che oggi ha beatificato suor Angela della Croce, conferma in nome della Chiesa la risposta di amore fedele che ella diede a Cristo. E nello stesso tempo si fa eco della risposta che Cristo stesso dà alla vita della sua serva: "Il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni" (Mt 16,27).
Oggi veneriamo questo mistero della venuta di Cristo, che premia suor Angela "secondo le sue azioni".
1982-11-05 Data estesa: Venerdi 5 Novembre 1982
Titolo: L'apostolo partecipa al Vangelo per trasmetterlo in maniera più matura
"Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Si, o Padre, perché così è piaciuto a te" (Mt 11,25-26).
1. Desidero, cari fratelli e sorelle, pronunciare con voi queste parole di benedizione che Gesù Cristo rivolge al Padre.
Egli lo benedice perché il Padre è "Signore del cielo e della terra".
E lo benedice per "il dono della rivelazione". In un certo senso, la rivelazione è il primo frutto della compiacenza di Dio sugli uomini. Dio, "sin dalla eternità" si è compiaciuto nell'uomo, e per questo nel tempo ha rivelato sé stesso e i piani misericordiosi della sua volontà. Dice il Concilio Vaticano II: "Dio, nella sua Sapienza, dispose di rivelare sé stesso e di far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo Incarnato, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e divengono partecipi della natura divina" (DV 2).
Voi, "educatori nella fede", adempite un servizio speciale alla rivelazione divina, prendendo ispirazione da questa eterna compiacienza che risiede in Dio stesso.
Siete allo stesso tempo discepoli e apostoli del Cristo. A Lui, precisamente a Lui, "è stato consegnato tutto" dal Padre (Mt 11,17). In Lui il Padre ha rivelato tutto quello che doveva essere rivelato alla umanità, a partire dal tesoro dalla sua divina compiacienza: "E nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27).
Cari fratelli e sorelle: il Figlio desidera rivelarvi tutta la verità dell'amore di Dio, affinché voi l'annunciate agli altri uomini, giacché siete educatori nella fede.
2. Uniti in questo amore del Padre, mi trovo oggi con i Pastori di questa regione, con tutti voi che avete in Spagna la missione importantissima di educare nella fede, e con voi che ci accompagnate e siete venuti soprattutto dalle diocesi dell'Andalusia orientale e di Murcia.
Lo scenario stupendo per questo incontro, ce lo offre la città di Granada, uno dei gioielli artistici della Spagna, che evoca avvenimenti trascendentali nella storia della nazione e della sua unità.
Conosco l'antichissima tradizione della fede cristiana di queste chiese, la testimonianza ammirevole dei vostri martiri, la vitalità riflessa già nel Concilio di Elvira, agli inizi del secolo IV.
Quella fede ricevuta nei primi tempi del cristianesimo, continua ad esistere radicata nella vita personale e familiare e nella religiosità popolare della vostra gente, espressa soppratutto nella devozione ai misteri della Passione del Signore, dell'Eucarestia e nell'amore filiale alla Vergine Maria.
Queste terre hanno avuto la fortuna di disporre di eccellenti educatori cristiani che le hanno aiutate a mantenere e fortificare la loro fede. Tra di loro, Hernando di Talavera, il celebre arcivescovo catechista che con grande maestria seppe esporre i misteri cristiani a giudei e musulmani.
E nei tempi recenti avete dato all'educazione nella fede maestri di grande elevatezza come il vescovo di Malaga, Manuel Gonzalez, lo stupendo pedagogo Andres Manjon, fondatore delle scuole e del seminario dei Maestri dell'Ave Maria, e l'insigne padre Poveda, fondatore della benemerita Istituzione Teresiana.
Essi si sono uniti ad altri grandi educatori cristiani provenienti dalle diverse regioni della Spagna; tra di loro ricordiamo sant'Antonio Maria Claret e Daniel LLorente. Figure luminose ed incisive che hanno anticipato il rinnovamento del catechismo avvenuto nei tempi posteriori culminati con l'ultimo Concilio Ecumenico. Figure che continuano ad essere un esempio eloquente per tutti coloro che oggi devono continuare la missione di educare nella fede le nuove generazioni.
3. Questa missione che è un dovere ecclesiale: "Guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1Co 9,16), continua ad avere nei nostri giorni un'importanza trascendentale, per poter condurre i fedeli, - bambini, giovani e adulti-, attraverso le diverse forme di catechesi ed educazione cristiana, al centro della rivelazione: Cristo.
Per questo ho scritto nella mia prima Enciclica: "L'impegno fondamentale della Chiesa in ogni epoca, e particolarmente nella nostra, è quello di indirizzare lo sguardo dell'uomo, orientare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo, aiutando tutti gli uomini ad avere familiarità con l'avvenimento profondo della Redenzione compiuta in Cristo Gesù" (RH 10).
Tale missione non è affatto riservata ai ministri sacri o al mondo religioso, ma deve estendersi ai laici, alla famiglia, alla scuola.
"Ogni cristiano deve partecipare all'impegno della formazione cristiana. Deve sentire l'urgenza di evangelizzare "Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me" (1Co 9,16).
Oggi sopratutto questo compito diventa necessario e urgente, affinché si aiuti ogni cristiano a mantenere e sviluppare la sua fede nel contesto delle rapide trasformazioni sociali e culturali che la società spagnola sta sperimentando.
A tale scopo deve essere potenziata l'educazione nella fede tramite una profonda formazione religiosa, che stabilisca una organica concatenazione tra la catechesi infantile, giovanile e degli adulti e che accompagni e promuova la crescita della fede del cristiano durante tutta la vita. Vi è infatti una "minoranza di età" cristiana ed ecclesiale, che non può sopportare gli assalti di una società sempre più secolarizzata.
Per queste ragioni, la catechesi dei giovani e degli adulti deve aiutare a trasformare in convinzioni profonde e personali i sentimenti e le esperienze forse non sufficientemente radicati nell'infanzia. Il compito educativo si realizza così in tutta la sua panoramica e ampiezza al fine di condurre tutti alla novità della vita in Cristo. La fede cristiana, infatti, comporta per il credente una ricerca e accettazione personale della verità, superando la tentazione di vivere nel dubbio sistematico, e sapendo che la sua fede "lungi dal provenire dal nulla o da pure illusioni, da opinioni fallaci o da incertezze, è basata sulla parola di Dio, che non inganna né s'inganna" (Catechesi Tradendae, CTR 60). Per questo, la catechesi deve dare anche "quelle certezze, semplici ma solide, che aiutano a cercare ogni volta di più e meglio, la conoscenza del Signore" (Catechesi Tradendae, CTR 60).
Il credente dovrà dunque aprirsi ad una nuova prospettiva che abbracci ed orienti tutta la sua esistenza, e che possa offrirgli col programma cristiano "ragioni per vivere e ragioni per sperare" (GS 31). In questa linea, oggi, l'educatore cattolico può trovare il suo posto di onore, orientando il suo sforzo verso una formazione integrale che offra le risposte valide contenute nella Rivelazione sul senso dell'uomo, della storia e del mondo.
4. Quantunque l'educazione cattolica sia un compito che abbraccia tutta la vita, vi sono fasi della crescita del cristiano che richiedono una particolare attenzione, come quelle della iniziazione cristiana, l'adolescenza, la scelta dello stato di vita e altre circostanze di maggior rilievo nella vita personale quali possono essere una crisi religiosa o un'esperienza dolorosa. Sono momenti che dovranno essere seguiti con particolare cura per aiutare la persona che li vive a sentire opportunamente la chiamata di Dio.
Per poter offrire questo aiuto efficace, è necessario e indispensabile che i catechisti e gli educatori vengano formati solidamente, tramite un'adeguata formazione biblica, teologica e antropologica, affinché innanzi tutto vivano loro stessi quella fede, per poter poi catechizzare gli altri con la parola e soprattutto con la professione integra della fede, assunta come stile di vita.
Questo atteggiamento esige, da una parte, la disponibilità totale ad una fede vissuta, e dall'altra, la disponibilità al servizio della fede stessa e degli altri. L'apostolo lo sottolinea così nella lettura che abbiamo ascoltato: "Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero" (1Co 9,19). Utilizzando la parola "servo", San Paolo vuol evidenziare la consegna totale al servizio della fede e di coloro che serve.
Sono ancora più eloquenti queste sue altre parole: "Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Co 9,22).
L'apostolo è un uomo realista; capisce che la sua fatica produce soltanto frutti parziali. Tuttavia egli si dona interamente: "Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro" (1Co 9,23).
Infatti, il Vangelo non va semplicemente trasmesso, si deve partecipare ad esso. Chi partecipa di più, trasmette in maniera più matura, e chi più generosamente trasmette, più profondamente partecipa. In definitiva, l'annuncio del Vangelo, il servizio della fede, consiste nell'"avvicinare il Cristo agli uomini e gli uomini al Cristo". Allora trovano il loro compimento le parole: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorero" (Mt 11,28).
5. All'interno del vasto campo dell'educazione nella fede, i vescovi spagnoli, nella loro ultima assemblea plenaria hanno scelto come impegno prioritario il servizio della fede ed in particolare hanno considerato l'importanza della trasmissione del messaggio cristiano per mezzo della catechesi e della educazione scolastica.
E' un campo che merita tanta cura pastorale. Non c'è dubbio che la parrocchia deve continuare la sua missione privilegiata di formatrice nella fede: non c'è dubbio che i genitori devono essere i primi catechisti dei loro figli.
Questo non significa che si debba tralasciare la trasmissione del messagio di salvezza tramite l'insegnamento religioso nella scuola privata e pubblica, soprattutto in un Paese in cui la maggioranza dei genitori chiede l'insegnamento religioso per i suoi figli durante il periodo scolastico. Si dovrà impartire l'insegnamento con la dovuta discrezione, col pieno rispetto della giusta libertà di coscienza, ma rispettando contemporaneamente il diritto fondamentale dei genitori, i primi responsabili dell'educazione dei lori figli.
Da parte loro, i professori e i maestri cattolici possono avere anche nel campo religioso, un ruolo di primaria importanza. In loro confidano tanti genitori ed anche la Chiesa, per ottenere questa educazione integrale dell'infanzia e della gioventù, da cui in definitiva dipende che il mondo futuro sia più o meno vicino a Gesù Cristo.
6. "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli". Queste parole hanno aperto il nostro incontro. E nel corso di esso è stata sempre presente nella nostra mente la figura di un ampio e importantissimo settore degli educandi nella fede: i bambini. A loro voglio riferirmi ora in maniera diretta.
Voi, cari bambini e bambine di Spagna, siete i primi a conoscere tante cose della Rivelazione che si celano ai più grandi. Siete per questo i prediletti di Gesù. In voi, i piccoli, Egli lodo il Padre perche vi ha fatto partecipi di verità e di esperienze che restano nascoste ai sapienti. Davanti alla vostra bontà, semplicità e sincerità e amore per tutti, Egli proclamava: "Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli" (Mt 19,14). La vostra innocenza e assenza del male ha fatto anche dire a Gesù che: "se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 19,3).
Mentre vi parla da Granada, durante questo incontro dedicato all'educazione nella fede, il Papa vuol dirvi che vi tiene tanto presenti nella sua mente e nel suo cuore; e vuole raccomandarvi che prendiate con tanto impegno la vostra formazione catechistica, tanto nella parrochia, come nella scuola o collegio e nella istruzione religiosa ricevuta dai vostri genitori. così, poco a poco, imparerete a conoscere e amare Gesù e a rivolgervi quotidianamente a di Lui con le preghiere, ad invocare la nostra Madre del cielo, la Vergine Maria, a comportarvi bene in ogni momento per rendervi graditi a Dio che ci contempla sempre con sguardo amoroso di Padre.
Io prego per voi, vi mando un abbracio e una benedizione come amico dei bambini e vi chiedo che preghiate anche per me. Vero che lo farete?
7. Cari educatori nella fede, dinanzi a questo panorama così stupendo di un mondo da catechizzare per avvicinarlo a Cristo, davanti a tanti adulti, giovani e bambini, che richiedono una consegna fedele alla causa del Vangelo, "con quale vigore e convizione" risuonano in questo incontro le parole dell'Apostolo: "Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me. Guai a me se non predicassi il Vangelo!". Mi auguro che queste parole siano incise profondamente nei vostri cuori, cari fratelli e sorelle.
L'Apostolo continua: "Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato".
Infatti, si tratta di un incarico affidato ad amministratori.
Ricordate questa espressione: "Dispensatori della Rivelazione divina".
Giacché questa rivelazione prende spunto della compiacenza di Dio verso gli uomini, allora, indirettamente voi siete anche "dispensatori" di quella compiacenza, di quell'"amore eterno".
Dovrete pregare e sforzarvi affinché i vostri discepoli nella fede accettino da voi non soltanto la parola della verità rivelata, ma anche quell'amore dal quale nasce la Rivelazione e che in essa si esprime e realizza.
Per questo l'apostolo scrive poi a coloro che prestano il servizio di dispensatori: "Quale è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il Vangelo senza usare del diritto conferitomi dal Vangelo". Perché il Vangelo vi attribuisce il diritto al sostentamento, se il servizio spirituale accupa tutto il vostro tempo e assorbe tutte le vostre energie. Senza dubbio, la ricompensa maggiore, secondo l'apostolo consiste nel "poter annunciare il Vangelo". Poter essere dispensatori delle parole e dell'amore di Dio, essere collaboratori e apostoli di Gesù Cristo.
"Guai a me se non predicassi il Vangelo!".
Cari educatori nella fede: Che il Cristo sia "la ricompensa" per le vostre fatiche, compiute con disinteresse e magnanimità in tutte le chiese di Spagna. Che questa fatica produca raccolti di cento per uno. Questo chiedo alla Vergine delle Angustie, patrona di Granada.
[Traduzione dallo spagnolo]
1982-11-05 Data estesa: Venerdi 5 Novembre 1982
Titolo: Offrite agli uomini una testimonianza degna della vostra vocazione
Testo:
Cari fratelli nell'Episcopato, cari fratelli e sorelle.
Sia lodato Gesù Cristo!
1. Provo una grande gioia di essere potuto venire fino a Loyola, nel cuore di questa terra basca tanto cara, per manifestare l'amore del Papa a tutti e ciascuno dei figli di questa Chiesa di Cristo. Saluto anzitutto il Pastore della diocesi e gli altri Vescovi presenti. In questo mio viaggio apostolico in Spagna, i Vescovi hanno voluto che si svolgesse qui questo significativo incontro con i Superiori Generali e i Superiori Maggiori degli Ordini e delle Congregazioni religiose di origine spagnola.
Era anche un modo di rendere omaggio ad un grande figlio di questa terra, di proiezione universale per le sue aspirazioni e le sue realizzazioni: sant'Ignazio di Loyola. La figura che più ha fatto conoscere questo luogo in tutto il mondo, che gli ha dato più gloria. Un figlio della Chiesa che ben può essere guardato con gioia e legittimo orgoglio.
In questo incontro-omaggio al fondatore del maggior Ordine religioso della Chiesa sono associati i Fondatori delle altre Famiglie religiose nate nelle terre spagnole, e qui rappresentate dai loro rispettivi Superiori Generali. A tutti i membri delle stesse Famiglie religiose giunga il saluto del Papa.
Che ampio orizzonte si apre davanti a noi, al di là di queste belle montagne verdi con le loro croci e i loro Santuari, se pensiamo alla panoramica ecclesiale che ci offrono! Non possiamo farne la lista interminabile, pero come non nominare la Famiglia dei figli e delle figlie di san Domenico, quella carmelitana di santaTeresa di Gesù e di san Giovanni della Croce, quella francescana scalza riformata da san Pietro di Alcantara, quella trinitaria, quella mercedaria, quella ospedaliera, quella degli Scolopi, quella claretiana? A queste occorre aggiungere la Famiglia religiosa delle Adoratrici del santissimo Sacramento, di sant'Anna, la Compagnia di santa Teresa, le Serve del Sacro Cuore, la confraternita degli Anziani, le Figlie di Gesù, le Serve di Maria, le Figlie di Maria Immacolata e tante altre Congregazioni non meno benemerite.
Tutte queste rappresentano una buona parte dei circa novantacinquemila membri del mondo religioso spagnolo, ai quali si uniscono i diversi Istituti Secolari di origine spagnola.
Quanti figli e figlie di questa cristiana terra basca, nobile e generosa, si contano fra di essi! E quanto hanno portato al bene della Chiesa in tanti campi! Ad essi invio il mio affettuoso ricordo, e soprattutto a quelli che lavorano nei Paesi dell'America Latina, uniti a noi attraverso la televisione.
Un frutto silenzioso e di speciale esemplarità è l'ammirevole Fratel Garate, che speriamo di vedere presto sulla gloria degli altari, e la cui tomba è qui a Loyola, assieme a quella di Dolores Sopena.
2. Nel parlare di sant'Ignazio a Loyola, culla e luogo della sua conversione, vengono spontaneamente alla memoria gli "esercizi spirituali", un metodo tanto sperimentato di efficace avvicinamento a Dio, e la Compagnia di Gesù, estesa per tutto il mondo, che tanti frutti ha colto e continua a cogliere, alla causa del Vangelo.
Egli seppe obbedire quando, dopo essere guarito dalle ferite, la voce di Dio busso con forza al suo cuore. Fu sensibile alle ispirazioni dello Spirito Santo, e per questo comprese quali soluzioni erano necessarie per i mali del suo tempo. Fu sempre obbediente alla Sede di Pietro, nelle cui mani volle lasciare uno strumento adatto per l'evangelizzazione. Fino al punto che lascio questa obbedienza come uno dei tratti caratteristici del carisma della sua Compagnia.
Abbiamo appena ascoltato san Paolo: "Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo...; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l'utile mio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza" (1Co 11,1 1Co 10,33).
Queste parole dell'Apostolo possiamo porle in bocca a sant'Ignazio anche oggi, a distanza di secoli. Infatti il carisma dei Fondatori deve rimanere nelle comunità alle quali hanno dato origine. Esso deve costituire in ogni tempo il principio di vita di ciascuna Famiglia religiosa. Per questo l'ultimo Concilio giustamente ha indicato: "Fedelmente si interpretino e si osservino lo spirito e le finalità proprie dei Fondatori, come pure le sane tradizioni, poiché tutto ciò costituisce il patrimonio di ciascun Istituto" (PC 2).
A partire da questa fedeltà alla propria vocazione peculiare all'interno della Chiesa, vissuta nello spirito di aggiornamento al momento presente secondo le regole stabilite dallo stesso Concilio, ciascun Istituto potrà svolgere le varie attività più congeniali ai suoi membri. Così potrà offrire alla Chiesa la sua ricchezza specifica, armonicamente unita nell'amore di Cristo, per un servizio più efficace al mondo di oggi.
3. Loyola è una chiamata alla fedeltà. Non solo per la Compagnia di Gesù ma, indirettamente, anche per gli altri Istituti. Mi trovo qui con i Superiori maggiori che oggi governano tanti Ordini e Congregazioni religiose. Desidero esortarvi ad esercitare con generosa dedizione le vostre funzioni di servizio evangelico di comunione, di animazione spirituale e apostolica, di discernimento nella fedeltà e di coordinamento.
So che non è facile ai nostri giorni compiere la vostra missione di Superiori. Per questo vi incoraggio a non abdicare al vostro dovere e all'esercizio dell'autorità; a esercitarla con profondo senso di responsabilità che avete davanti a Dio e ai vostri fratelli. Pur con tutta la comprensione e la fraternità, non rinunciate a praticare, quando fosse necessario, la paziente correzione, affinché la vita dei vostri fratelli adempia la finalità della consacrazione religiosa.
Queste difficoltà irrinunciabili della vostra missione sono parte della donazione vocazionale. Cristo, che un giorno sceglieste come la parte migliore, continua a far risuonare nelle vostre orecchie le parole del Vangelo che abbiamo ascoltato prima: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23).
Queste parole si riferiscono a ciascun cristiano e in maniera particolare a chi segue la vocazione religiosa. Di essa parla in particolare Cristo quando dice: "Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà" (v. 24).
Non possiamo dimenticare che la vocazione religiosa proviene, nella sua radice più profonda, dalla gerarchia evangelica delle priorità: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?" (v. 25).
Non possiamo nemmeno perdere di vista il fatto che la vita religiosa è anche una vocazione ad una testimonianza particolare; e proprio in riferimento a questa testimonianza dobbiamo intendere le parole di Cristo: "Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell'uomo" (v. 26). Diletti fratelli e sorelle: Cristo vuole testimoniare davanti al Padre (cfr. Mt 10,32) in favore di ciascuno di voi. Cercate di meritarlo offrendo "davanti agli uomini" una testimonianza degna della vostra vocazione.
4. Questa vostra testimonianza deve essere personale ed anche come Istituti: capace di offrire modelli validi di vita alla comunità dei fedeli che vi osserva.
Quest'ultima ha bisogno della fedeltà dei vostri Istituti per ricalcare in essa la propria fedeltà. Ha bisogno del vostro sguardo di universalità ecclesiale per mantenersi aperta, resistendo alla tentazione, che impoverisce, di ripiegarsi su se stessa. Ha bisogno della vostra ampia fraternità e capacità di accoglienza per apprendere ad essere fraterna ed accogliente con tutti. Ha bisogno del vostro modello di amore, all'interno ed all'esterno del vostro Istituto, per vincere barriere di incomprensione e di odio. Ha bisogno del vostro esempio e della vostra parola di pace, per superare tensioni e violenze. Ha bisogno del vostro modello di dedizione ai valori del Regno di Dio, per evitare i pericoli del materialismo pratico e teorico che la insidiano.
Un'efficace dimostrazione di questa apertura e disponibilità potrete darla con il vostro inserimento nelle comunità delle Chiese locali. Facendo bene attenzione per evitare che la vostra esenzione religiosa non possa mai essere una ragione per disattendere i piani pastorali diocesani e nazionali. Non dimenticate che il vostro apporto in questo campo può essere decisivo per la rivitalizzazione delle diocesi e delle comunità cristiane.
Lo sarà se questa comunità cristiana del paese Basco, di Spagna e fuori di essa, possa incontrare in voi una risposta di vita. Se alla domanda di Cristo: "Ma voi chi dite che io sia?", potete rispondere come un'eco degli Apostoli: siamo il prolungamento della tua presenza nel mondo attuale, del Cristo di Dio (cfr. Lc 9,20).
5. Questo duplice versante dell'imitazione di Cristo e di esemplarità nel mondo d'oggi, debbono essere le coordinate dei vostri Istituti religiosi. Per seguirle, essi debbono inculcare nei propri appartenenti atteggiamenti ben definiti.
In realtà, il mondo religioso vive immerso in società ed ambienti, di cui deve apprezzare e promuovere i valori umani e religiosi, perché l'uomo e la sua dignità sono il cammino della Chiesa e perché il Vangelo deve penetrare in ogni popolo e cultura. Pero senza confusione di piani o di valori. I consacrati - come ci insegna la liturgia di oggi - sanno che la loro attività non è centrata nella realtà temporale, né in quello che è campo dei laici che debbono lasciare ad essi. Debbono sentirsi, soprattutto, al servizio di Dio e della sua causa: "Benediro il Signore in ogni tempo, / sulla mia bocca sempre la sua lode" (Ps 33 [34],2).
Le vie del mondo religioso non seguono i calcoli degli uomini, non usano come parametro il culto del potere, della ricchezza, del piacere. Sanno, invece, che la loro forza è la grazia dell'accettazione divina della propria dedizione: "Questo povero grida e il Signore lo ascolta" (v. 7). Questa stessa povertà si fa così apertura al divino, libertà di spirito, disponibilità senza limiti.
Segni indicatori nelle vie del mondo, i religiosi indicano il cammino verso Dio. Per questo diventa necessità imperiosa l'orazione implorante: "Gridano (i giusti) ed il Signore li ascolta" (v. 18). In un mondo in cui è in pericolo l'aspirazione alla trascendenza, sono necessari coloro che si dedicano a pregare, coloro che accolgono quelli che pregano, coloro che danno un supplemento di spirito a questo mondo, coloro che si pongono ogni giorno a disposizione di Dio.
Al di sopra di tutto, il mondo religioso deve mantenere l'aspirazione costante alla perfezione. Con rinnovata conversione quotidiana per rinforzarsi in questo proposito. Che capacità di elevazione e di umanizzazione possiedono le parole - autentico programma - del Salmo responsoriale: "Sta' lontano dal male e fa il bene, / cerca la pace e perseguila" (v. 15). E' un programma per ogni cristiano; molto di più per chi fa professione di dedicarsi al bene, al Dio dell'amore, della pace, della concordia.
Voi, cari Superiori e Superiore, diletti religiosi e religiose, siete tutti chiamati a vivere questa splendida realtà. E' una grande lezione da imparare in Ignazio di Loyola. Per i suoi figli, per ciascun Istituto, per ciascun religioso e religiosa: Quella della fedeltà assoluta a Dio, ad un ideale senza frontiere, all'uomo senza distinzione. Senza rinnegare, anzi amando profondamente la propria terra e i suoi valori genuini, con pieno rispetto di quelli altrui.
6. Non posso concludere questa omelia senza rivolgere una parola particolare ai figli della Chiesa nel paese Basco, ai quali parlo pure negli altri incontri con i fedeli di Spagna.
Siete un popolo ricco di valori cristiani, umani e culturali: la vostra lingua millenaria, le vostre tradizioni ed istituzioni, la fermezza ed il carattere sobrio della vostra gente, i sentimenti nobili e dolci manifestati in bellissime canzoni, la dimensione umana e cristiana della famiglia, l'esemplare dinamismo di tanti missionari, la fede profonda di questa gente.
So che vivete momenti difficili, dal punto di vista sociale e religioso.
Conosco lo sforzo delle vostre Chiese locali, dei Vescovi, dei sacerdoti, delle anime di speciale consacrazione e dei laici, per dare un orientamento cristiano alla vostra vita con l'evangelizzazione e la catechesi. Vi incoraggio di cuore in questo sforzo, ed in quello che realizzate in favore della riconciliazione degli spiriti. E' una dimensione essenziale del vivere cristiano, del primo comandamento di Cristo che è l'amore. Un amore che affratella e che pertanto non ammette barriere o distinzioni. Perché la Chiesa, come unico Popolo di Dio (cfr. LG 9) è e deve essere sempre segno e sacramento di riconciliazione in Cristo. In lui "non c'è più Giudeo né Greco; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Ga 3,28).
Non posso fare a meno di pensare specialmente a voi giovani. Tanti hanno vissuto ideali grandi ed hanno realizzato opere mirabili; nel passato e nel presente. Sono la grande maggioranza. Desidero elogiarvi e farvi questo omaggio davanti a possibili generalizzazioni o accuse ingiuste. Pero, disgraziatamente, vi sono anche coloro che si lasciano tentare da ideologie materialiste e di violenza.
Vorrei dire loro con affetto e con fermezza - e la mia voce è quella di chi ha sofferto personalmente la violenza - di riflettere sulla loro strada; di non lasciare strumentalizzare la loro generosità ed altruismo. La violenza non è un mezzo di costruzione; offende Dio, offende chi la soffre e chi la pratica.
Ancora una volta ripeto che il cristianesimo comprende e riconosce la nobile e giusta lotta per la giustizia a tutti i livelli, pero proibisce di cercare soluzioni per le vie dell'odio e della morte (cfr. "Omelia a Drogheda", 29 settembre 1979: "Insegnamenti", II,2 [1979] 422ss)).
Diletti cristiani del paese Basco: desidero assicurarvi che avete un posto nelle mie orazioni e nel mio affetto; che faccio mie le vostre gioie e le vostre sofferenze. Guardate avanti, non amate nulla senza Dio e mantenete la speranza.
Desidererei che rimanesse nelle vostre città, nelle vostre belle valli e montagne l'eco affettuosa ed amichevole della mia voce a ripetervi: Guztioi nere agurrik beroena! Pakea zuei! Si, il mio più cordiale saluto a tutti voi! La pace sia con voi! Che la Vergine Maria, in tutte le immagini con cui è venerata in questa terra, vi accompagni sempre. Così sia.
1982-11-06 Data estesa: Sabato 6 Novembre 1982
GPII 1982 Insegnamenti - L'omelia della Messa per la beatificazione di suor Angela della Croce - Siviglia (Spagna)