GPII 1982 Insegnamenti - Ai Vescovi del Kenya in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Ai Vescovi del Kenya in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'anno santo della Redenzione è annuncio di speranza, di salvezza e di misericordia

Testo:

Cari fratelli in nostro Signore Gesù Cristo.


1. Nei giorni passati ho potuto parlare personalmente con tutti voi a riguardo della Chiesa di Dio che è in Kenya. Abbiamo esaminato le vostre speranze e i vostri obiettivi, il rinnovamento che lo Spirito Santo ha generato nelle vostre comunità locali, così come gli ostacoli e le difficoltà di cui voi fate esperienza nel vostro ministero di Pastori del gregge.


2. Queste giornate della vostra visita "ad limina" evocano la mia visita nel vostro paese, quando avemmo l'opportunità di considerare insieme molti aspetti della responsabilità pastorale e della guida episcopale. Molti singoli problemi di grande importanza tornano, in questo momento, alla mente. Sono profondamente lieto di rilevare il vostro zelo apostolico e di incoraggiarvi nei vostri sforzi collegiali in tanti campi diversi, ad esempio: voi lavorate per le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa e la promozione dell'apostolato della famiglia; avete predisposto iniziative finalizzate all'efficace inculturazione del messaggio evangelico nella vita dei fedeli; vi adoperate per favorire lo sviluppo integrale della persona umana mediante l'educazione, la salute e i servizi sociali; vi impegnate nella costituzione di comunità cristiane che diano testimonianza di pace, unità e amore fraterno; nutrite una grande sollecitudine per l'enorme problema dei rifugiati; promuovete una generosa condivisione delle risorse e cercate di affrontare comunitariamente i vari problemi. Per il vostro zelante impegno per il Regno di Dio, e per quello dei vostri sacerdoti e religiosi, sia autoctoni che missionari, vi ringrazio nel nome del Signore Gesù Cristo.


3. Vorrei ora proporre alla vostra particolare attenzione questo tema specifico: la grande verità salvifica della nostra "Redenzione in Gesù Cristo" - una verità che ho cercato di proclamare in mezzo al vostro popolo. Nella mia prima enciclica ho attirato l'attenzione su questo divino mistero, affermando: "Il compito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra è... di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù" (RH 10).


4. Proprio per questa ragione ho richiesto la celebrazione di uno speciale Giubileo nel 1983 per commemorare l'anniversario della Redenzione. In quell'occasione i nostri pensieri si volgeranno a Gesù, il Redentore dell'uomo, che ci dice: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; / per questo mi ha consacrato con l'unzione, / e mi ha mandato ad annunziare ai poveri un lieto messaggio. / ...per predicare un anno di grazia nel Signore" (Lc 4,18-19).

L'anno di salvezza che noi celebreremo - la Redenzione in Gesù Cristo che nuovamente noi proclameremo - offre un reale programma pastorale per le vostre Chiese locali, incentrato sulla persona del Redentore e la sua azione salvifica nella storia delle vostre comunità ecclesiali. Davvero, tutta la Chiesa ha una splendida opportunità per celebrare il potere purificante e santificante del Sangue di Cristo, offerto in sacrificio e versato per il perdono dei peccati. Per la gloria di Dio Padre dobbiamo proclamare sempre di nuovo al nostro popolo: "Il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da tutti i peccati" (1Jn 1,7).

L'Anno del Giubileo della Redenzione deve essere una proclamazione nella fede dell'efficacia del Mistero pasquale di Cristo; è un inno di lode al Signore Crocifisso e Risorto. Proclamando la Redenzione al nostro popolo dobbiamo richiamare la necessità della Chiesa di rispondere all'amore del Redentore. Per questo l'anno del Giubileo diviene una chiamata personale alla conversione interiore; è un tempo privilegiato di riconciliazione che si effettua mediante gli infiniti meriti di Cristo Gesù. Nel contesto della fede vissuta l'anno del Giubileo è un invito alla speranza, perché è un annuncio di salvezza e una proclamazione della misericordia.

Come Pastori del Popolo di Dio conosciamo la necessità profonda della misericordia nel mondo d'oggi. Come ho ricordato nella "Dives in Misericordia": "La Chiesa deve considerare come uno dei suoi principali doveri - in ogni tappa della storia e specialmente nell'età contemporanea - quello di proclamare e di introdurre nella vita il mistero della misericordia, rivelato in sommo grado in Gesù Cristo" (DM 14).

Nel grande avvenimento della Redenzione, Cristo offre alla sua Chiesa la pienezza della misericordia, insieme al perdono amorevole.


5. L'offerta gratuita della misericordia e del perdono in un anno dedicato al mistero della Redenzione deve condurci tutti ad un rinnovato approfondimento del sacramento della Penitenza e della Confessione individuale. E' nell'atto della Confessione individuale che ognuno è chiamato ad incontrare Cristo Redentore nel momento-chiave della conversione. Per grazia di Dio quel momento di conversione è un momento di misericordia e di perdono e di totale riconciliazione con Dio e la sua Chiesa.


6. E poiché il sacramento della Penitenza è il sacramento della conversione, la sua pratica è intimamente connessa alla pienezza del messaggio evangelico che è proclamato nell'Eucaristia: "Cristo, che invita al banchetto eucaristico, è sempre lo stesso Cristo che esorta alla penitenza, che ripete il "convertitevi". Senza questo costante e sempre rinnovato sforzo per la conversione, la partecipazione all'Eucaristia sarebbe priva della sua piena efficacia redentrice..." (RH 20).

Venerabili e cari fratelli Vescovi, oltre alla grande importanza che la Redenzione in Gesù Cristo riveste per tutta la Chiesa, vi e una particolare rilevanza per la Chiesa in Kenya. L'Anno Giubilare di riconciliazione e di penitenza - di profonda ed intima conversione - può costituire anche una preparazione estremamente adatta per il Congresso Eucaristico Internazionale che si terrà a Nairobi nel 1985. Proprio come l'Eucaristia, quale culmine della proclamazione del Vangelo, presuppone la conversione, così la conversione deve condurre il Popolo di Dio all'Eucaristia, sacramento di Redenzione. perciò, la proclamazione della Redenzione in Gesù Cristo è sia un programma pastorale che un inno di lode al "sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offri se stesso senza macchia a Dio" (He 9,14).

Cari fratelli, nel segno di Cristo Redentore e nella potenza del suo Sangue, continuate, nell'unità con la Chiesa universale, a guidare il vostro gregge "per il giusto cammino, per amore del suo nome" (Ps 23 [24],3).

A tutti gli amati fedeli del Kenya invio il mio saluto devoto e la mia apostolica benedizione.




1982-12-06 Data estesa: Lunedi 6 Dicembre 1982




Al Consiglio della Federazione Internazionale dello Sci - Lo sport tenda allo sviluppo integrale



Signor Presidente, Signori.

Nell'occasione del Consiglio della Federazione internazionale dello Sci, avete voluto farmi una visita. Vi sono riconoscente di questa cortesia. Avete voluto far piacere allo sciatore che io sono stato un tempo sulle pendici dei Carpazi. Ma - non ne dubito - siete anche venuti per rendere omaggio, attraverso la mia persona, alla Chiesa fondata da Cristo e affidata all'apostolo Pietro e ai suoi successori. Qualunque siano le vostre convinzioni religiose, io auguro che questo incontro sia per ciascuno di voi sorgente di pace e di gioia, di luce e di speranza.

So che la vostra Federazione internazionale si sforza di vegliare sullo sviluppo qualitativo di questo sport divenuto popolare da qualche decennio.

Tentate, tra l'altro, di far conoscere e rispettare meglio il codice dello sciatore, in modo tale da non mettere in pericolo né la sua vita, né quella di altri. Vi incoraggio allo stesso modo a far il possibile affinché le stazioni sciistiche rimangano luoghi in cui gli splendori della natura non siano in qualche modo deturpati o anche avviliti da forme di corruzione che alcuni sono tentati di introdurvi.

In questo breve incontro, voglio sottolineare - e questo non vi sorprenderà - che ogni sport può e deve essere formatore, cioè contribuire allo sviluppo integrale della persona umana. Voglio precisare che questo tipo di azione volta alla promozione dell'uomo può, nei cristiani, facilitare la crescita delle virtù cardinali di forza, temperanza, prudenza e di giustizia. Gli sciatori, come tutti gli sportivi, migliorano le loro forze fisiche, ivi incluse la elasticità e l'abilità. Queste non sono ancora le virtù cardinali di cui abbiamo parlato. Ma la tecnica acquisita rende possibile una forza d'animo che trascende le capacità muscolari. E anche, ho il piacere di ricordarvi il discorso dell'apostolo Paolo ai cristiani di Corinto (cfr. 1Co 9,24-27). L'atleta si priva di tutto, nel senso che il suo regime alimentare è sottomesso ad un controllo per evitare eccessi che lo priverebbero della forma fisica perfetta. A questo livello, noi siamo molto vicini alla virtù cardinale della temperanza che è un'ascesi ben compresa e perseverante al fine di dare sempre la priorità ai valori spirituali. Quanto alla prudenza dello sportivo, essa è fatta di discernimento, di calcolo, di esperienza insomma, che lo spingono senza posa e prepararsi bene e a ben equipaggiarsi. La virtù cardinale della prudenza, nei cristiani, è ancora più preziosa. Essa sprona a rimanere in grado di discernere ciò che è meglio per Dio e per i loro fratelli uomini. Quanto alla giustizia nelle competizioni sportive, voi sapete bene quanto me che essa esige uguaglianza ed imparzialità. Mi sembra che lo sport possa in modo particolare aiutare i cristiani che lo praticano a presentare queste esigenze alle quali la società moderna è estremamente sensibile.

Ancora una volta grazie per la vostra gradita visita! Vogliate accogliere gli auguri che io formulo per il felice compimento delle vostre responsabilità. Che Dio sia la vostra luce e la vostra forza, io gli domando di benedirvi!




1982-12-06 Data estesa: Lunedi 6 Dicembre 1982




A membri del parlamento della repubblica d'Austria - Testimoniare Cristo nella vita politica e sociale



Illustrissimi Signore e Signori! In occasione della vostra odierna visita in Vaticano, Sede del successore di Pietro, vi porgo il mio cordiale benvenuto. E' per me una gioia particolare poter rivolgere il mio saluto a voi, qui presenti insieme ai vostri parenti ed amici, che, nella qualità di Politici cristiani, servite il bene del vostro popolo nel Senato austriaco, nel Consiglio Nazionale e nelle singole Diete regionali d'Austria.

Nella molteplicità delle opinioni e delle convinzioni politiche voi riconoscete nel vostro Stato la necessità di una politica che derivi da una responsabilità cristiana. Come cristiani avete preso Gesù Cristo, il suo insegnamento e la sua vita, come vostro modello e guida. Da ciò deriva un particolare impegno nella attività che voi svolgete nel paese e nella società.

Esso deve essere accompagnato da una credibilità personale dalla quale si deve poter riconoscere il cristiano nella vita pubblica come in quella privata.

L'apostolato cristiano e la responsabilità politica devono affermarsi reciprocamente e portare frutti nel servizio al prossimo per una degna e giusta organizzazione della convivenza umana. Come politici cristiani voi partecipate in modo particolare al compito dei laici cattolici che, secondo il decreto conciliare sull'apostolato dei laici, consiste nel far si che la concezione cristiana dell'uomo sia riconosciuta e valorizzata nell'àmbito sociale e statale, mentre con decisione vi adoperate a "promuovere il vero bene comune, e far valere il peso della vostra opinione in maniera tale che il potere civile venga esercitato secondo giustizia e le leggi corrispondano ai precetti morali e al bene comune" (AA 14). Nel momento attuale dovrete dedicare particolare attenzione alla difesa della vita umana e alla protezione del matrimonio e della famiglia così come alla promozione della moralità pubblica. Politica cristiana significa nello stesso tempo anche impegno nella sfera culturale, sociale ed economica, affinché progresso, sicurezza e sviluppo non divengano fini a se stessi ma servano all'autentico bene e allo sviluppo integrale dell'uomo.

Una particolare responsabilità deriva al vostro paese dalla sua posizione al centro dell'Europa, al confine tra Est e Ovest. Come nel passato, esso svolge ancor oggi una funzione di ponte tra i popoli. Nella sua posizione di Stato neutrale, l'Austria non si è sottratta alla sua responsabilità nella comunità dei popoli, ma si sforza invece di portare il suo contributo alla pace e alla comprensione fra i popoli. Questo si dimostra soprattutto quando uomini di altri Stati si trovano nel bisogno. Così nei mesi passati anche molti miei connazionali hanno trovato accoglienza ospitale nelle diverse regioni austriache.

Nella speranza che l'anno prossimo io possa compiere di persona la mia progettata visita pastorale nel vostro stimato paese, saluto tramite voi tutti coloro che svolgono incarichi di responsabilità per la vita e l'attività del vostro popolo. Vi auguro inoltre che il vostro soggiorno romano di questi giorni sia bello e fruttuoso. Dall'incontro con il ricco patrimonio culturale e religioso della Città Eterna possiate trarre nuova energia e fiducia per l'attività di grande responsabilità che svolgete nel vostro paese. Questo è ciò che per voi impetro con la mia particolare benedizione apostolica.




1982-12-06 Data estesa: Lunedi 6 Dicembre 1982




Messaggio per la XVI Giornata Mondiale della Pace - Il dialogo per la pace una sfida per il nostro tempo




1. Alle soglie del nuovo anno 1983, in occasione della XVI Giornata Mondiale della Pace, vi presento questo messaggio che ha per tema: "Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo". Lo indirizzo a tutti coloro che sono, in certa misura, responsabili della pace: a coloro che presiedono alle sorti dei popoli, ai funzionari internazionali, agli uomini politici, ai diplomatici, ma anche ai cittadini di ogni paese. Tutti sono, in effetti, sollecitati dalla necessità di preparare una vera pace, di mantenerla o di ristabilirla, su basi solide e giuste.

Ora, io sono profondamente convinto che il dialogo - il vero dialogo - è condizione essenziale per una simile pace. Si, questo dialogo è necessario; non è solamente opportuno; è difficile, ma è possibile, nonostante gli ostacoli che il realismo ci deve far prendere in considerazione. Esso costituisce, dunque, una vera sfida, che io vi invito a raccogliere. E ciò faccio senz'altro scopo che quello di contribuire, io stesso e la Santa Sede, alla pace, prendendo molto a cuore le sorti dell'umanità, come erede e primo responsabile del Messaggio di Cristo, il quale è innanzitutto un Messaggio di Pace per tutti gli uomini.


Aspirazione degli uomini alla pace e al dialogo


2. Sono sicuro di collegarmi, così facendo, all'aspirazione fondamentale degli uomini e delle donne del nostro tempo. Questo desiderio della pace non è forse affermato da tutti i governanti negli auguri alla loro nazione, o nelle dichiarazioni da loro rivolte agli altri paesi? Quale partito politico oserebbe fare a meno di includere nel suo programma la ricerca della pace? Quanto alle organizzazioni internazionali, esse sono state create per promuovere e garantire la pace, e tengono fede a questo obiettivo malgrado gli insuccessi, La stessa opinione pubblica, quando non è eccitata artificialmente da qualche sentimento passionale d'orgoglio o d'ingiusta frustrazione, opta per soluzioni di pace; ed anzi, movimenti sempre più numerosi militano, pur con lucidità o una sincerità che possono a volte lasciar a desiderare, per far prendere coscienza della necessità di eliminare non soltanto ogni guerra, ma anche tutto ciò che può condurre alla guerra. I cittadini, in generale, desiderano che un clima di pace garantisca la loro ricerca del benessere, particolarmente quando si trovano messi di fronte - come ai nostri giorni - ad una crisi economica che minaccia tutti i lavoratori.

Ma bisognerebbe andare fino al fondo di questa aspirazione, fortunatamente molto diffusa: la pace non si stabilirà, non si manterrà, senza che se ne adottino i mezzi. E il mezzo per eccellenza è quello di adottare un atteggiamento di dialogo; è quello di introdurre pazientemente i meccanismi e le fasi del dialogo ovunque la pace è minacciata o è già compromessa, nelle famiglie, nella società, tra i paesi o tra i blocchi di paesi.


L'esperienza passata dimostra l'importanza del dialogo


3. L'esperienza della storia, anche della storia recente, testimonia in effetti che il dialogo è necessario per la vera pace. Sarebbe facile menzionare dei casi in cui il conflitto sembrava fatale, e in cui invece la guerra è stata evitata o abbandonata, perché le parti in causa hanno creduto nel valore del dialogo e lo hanno praticato nel corso di lunghe e leali trattative. Al contrario, quando vi sono stati conflitti - e, contrariamente ad un'opinione assai diffusa, si possono, purtroppo, contare più di centocinquanta conflitti armati dopo la seconda guerra mondiale! -, ciò fu perché il dialogo non aveva avuto veramente luogo, o perché era stato falsato, trasformato in una trappola, volontariamente ridotto. L'anno che si è appena concluso ha offerto una volta di più lo spettacolo della violenza e della guerra; alcuni uomini hanno dimostrato che preferivano servirsi delle proprie armi piuttosto che cercare di intendersi. Si, accanto a segni di speranza, l'anno 1982 lascerà in molte famiglie umane un ricordo di desolazione e di rovine, un sapore amaro di lacrime e di morte.


Il dialogo per la pace è necessario


4. Ora, chi oserebbe, dunque, far poco conto di tali guerre, alcune delle quali durano ancora, o degli stati di guerra, o delle frustrazioni profonde che esse lasciano? Chi oserebbe pensare senza tremare alle guerre ben più estese e ben più terribili, che permangono minacciose? Non si deve forse far tutto il possibile per evitare la guerra, anche la "guerra limitata" (così chiamata con un eufemismo da coloro che non sono direttamente chiamati in causa), essendo scontato il male che rappresenta ogni guerra, il suo prezzo in vite umane, in sofferenze, in devastazione di ciò che sarebbe necessario alla vita e allo sviluppo degli uomini, senza contare lo sconvolgimento della necessaria tranquillità, il deterioramento del tessuto sociale, l'aggravamento della diffidenza e dell'odio che le guerre alimentano verso il prossimo? Ed oggi, quando persino le guerre convenzionali si fanno così micidiali, quando si conoscono le conseguenze drammatiche che avrebbe una guerra nucleare, la necessità di arrestare la guerra o di allontanarne la minaccia è tanto più imperiosa! E più fondamentale, di conseguenza, appare la necessità di ricorrere al dialogo, alla sua virtù politica, che deve evitare di venire alle armi.


Il dialogo per la pace è possibile


5. Ma alcuni, oggi, credendo di essere realisti, dubitano della possibilità del dialogo e della sua efficacia, almeno quando le posizioni sono talmente tese e inconciliabili, che ad essi sembrano non lasciar spazio ad alcuna intesa. Quante esperienze negative, quanti ripetuti scacchi sembrerebbero sostenere questa diffusa opinione! E tuttavia, il dialogo per la pace è possibile, sempre possibile. Non è un'utopia. D'altronde, anche quando esso non è parso possibile e si è giunti al confronto militare, non è stato forse necessario, in ogni caso, dopo la devastazione della guerra, che ha dimostrato la forza del vincitore, ma che non ha risolto nulla per quanto concerne i diritti contestati, ritornare alla ricerca del dialogo? In verità, la convinzione che qui affermo non poggia su questa fatalità, ma su una realtà: sulla considerazione della natura profonda dell'uomo. Colui che condivide la fede cristiana ne sarà più facilmente persuaso, anche se crede pure alla debolezza congenita e al peccato che segnano il cuore umano fin dalle origini. Ma ogni uomo, credente o no, pur restando prudente e lucido circa la possibile ostinazione del suo fratello, può e deve conservare una sufficiente fiducia nell'uomo, nella sua capacità di essere ragionevole, nel suo senso del bene, della giustizia, dell'equità, nella sua possibilità di amore fraterno e di speranza, mai totalmente pervertiti, per scommettere sul ricorso al dialogo e sulla sua possibile ripresa. Si, gli uomini in definitiva sono capaci di superare le divisioni, i conflitti d'interesse, anche le opposizioni che paiono radicali, soprattutto quando ciascuna parte è convinta di difendere una giusta causa, se credono al valore del dialogo, se accettano di ritrovarsi tra uomini per cercare una soluzione pacifica e ragionevole ai loro conflitti. Occorre, inoltre, che non si lascino scoraggiare dai fallimenti reali o apparenti. E occorre pure che siano disposti a ricominciare incessantemente a proporre un vero dialogo - togliendo gli ostacoli e sventando i vizi del dialogo, dei quali parlero più avanti - ed a percorrere fino in fondo questo solo cammino che conduce alla pace, con tutte le sue esigenze e le sue condizioni.


Le virtù del vero dialogo


6. Ritengo utile, perciò, richiamare qui le qualità di un vero dialogo. Esse si applicano, innanzitutto, al dialogo tra le persone; ma penso anche e soprattutto al dialogo tra i gruppi sociali, tra le forze politiche in una nazione, tra gli Stati in seno alla comunità internazionale. Essi si applicano anche al dialogo tra i grandi raggruppamenti umani, che si distinguono e si affrontano sul piano etnico, culturale, ideologico o religioso, poiché i polemologi riconoscono che la maggior parte dei conflitti trovano li le loro radici, pur ricollegandosi anche ai presenti grandi antagonismi tra Est e Ovest da una parte, tra Nord e Sud dall'altra.

Il dialogo è un elemento centrale e indispensabile del pensiero etico degli uomini, chiunque essi siano. Sotto l'aspetto di uno scambio, di una comunicazione tra gli esseri umani, quale permette il linguaggio, esso è in realtà una ricerca comune.

- Fondamentalmente, esso suppone la ricerca di ciò che è vero, buono e giusto per ogni uomo, per ogni gruppo e ogni società, sia nella parte con cui si è solidali, sia in quella che si presenta come avversa.

- Esso dunque esige, in via preliminare, l'apertura e l'accoglienza: che ogni parte esponga i propri elementi, ma ascolti anche l'esposizione della situazione così come è descritta dall'altra parte, la recepisca sinceramente con i veri problemi suoi propri, i suoi diritti, le ingiustizie di cui ha coscienza, le soluzioni ragionevoli che propone. Come potrebbe stabilirsi la pace, se una delle parti non si è neppure data pensiero di considerare le condizioni di esistenza dell'altra? - Il dialogare suppone, dunque, che ciascuno accetti questa differenza e questa specificità dell'altro, prenda bene la misura di ciò che lo separa dall'altro, e che l'assuma col rischio di tensione che ne risulta, senza rinunciare per viltà o per costrizione a ciò che sa essere vero e giusto, ciò che sfocerebbe in un compromesso zoppicante e, inversamente, senza pretendere di ridurre l'altro ad un oggetto, ma stimandolo come soggetto intelligente, libero e responsabile.

- Il dialogo, nello stesso tempo, è la ricerca di ciò che è e resta comune agli uomini, anche in mezzo alle tensioni, opposizioni e conflitti. In questo senso, vuol dite fare dell'altro il proprio prossimo. Vuol dire accettare il suo contributo, e condividere con lui la responsabilità di fronte alla verità e alla giustizia. Vuol dire proporre e studiare tutte le possibili formule di onesta conciliazione, sapendo congiungere alla giusta difesa degli interessi e dell'onore della parte, che si rappresenta, la non meno giusta comprensione e il rispetto delle ragioni dell'altra parte, come pure le esigenze del bene generale comune ad entrambe.

- Del resto, non è forse sempre più evidente che tutti i popoli della terra si trovano in una situazione di interdipendenza vicendevole sul piano economico, politico e culturale? Chi pretendesse di sottrarsi a questa solidarietà non tarderebbe a soffrirne egli stesso.

- Infine, il vero dialogo è la ricerca del bene con mezzi pacifici; è volontà costante di ricorrere a tutte le possibili formule di negoziati, di mediazioni, di arbitrato, per far si che i fattori di avvicinamento prevalgano sui fattori di divisione e di odio. Esso è un riconoscimento della dignità inalienabile degli uomini. Esso poggia sul rispetto della vita umana. Esso è una scommessa sulla socievolezza degli uomini, sulla loro vocazione a camminare insieme, con continuità, mediante un incontro convergente delle intelligenze, delle volontà, dei cuori, verso lo scopo che il Creatore ha loro fissato: rendere la terra abitabile per tutti e degna di tutti.

Il valore politico di un tale dialogo non potrà mancare di portare frutti per la pace. Il mio venerato predecessore Paolo VI ha consacrato al dialogo una grande sezione della sua prima enciclica "Ecclesiam Suam". Egli scriveva: "L'apertura di un dialogo... disinteressato, oggettivo, leale è per se stessa una dichiarazione in favore di una pace libera e onesta. Essa esclude simulazione, rivalità, inganni e tradimenti". Questa virtù del dialogo chiede ai responsabili politici di oggi molta lucidità, lealtà e coraggio, non solo di fronte agli altri popoli, ma davanti all'opinione pubblica del loro proprio popolo. Essa suppone sovente una vera conversione. Ma non c'è altra possibilità dinanzi alla minaccia della guerra. E ancora una volta, essa non è chimerica. Sarebbe facile citare quei nostri contemporanei, che si sono fatti onore praticandola in questo modo.


Gli ostacoli al dialogo, i falsi dialoghi


7. Come contropartita, mi sembra utile anche il denunciare alcuni particolari ostacoli al dialogo per la pace.

Non parlo delle difficoltà inerenti al dialogo politico, come quella, frequente, di conciliare concreti interessi contrapposti, o di far valere condizioni troppo precarie di esistenza senza che si possa invocare un'ingiustizia propriamente detta da parte degli altri. Penso a ciò che irrigidisce o impedisce i normali processi del dialogo. Ho già fatto intendere che il dialogo è bloccato dalla volontà aprioristica di non concedere nulla, dalla mancanza di ascolto, dalla pretesa di essere - personalmente e da soli - la misura della giustizia.

Questo atteggiamento può in realtà semplicemente nascondere l'egoismo cieco e sordo di un popolo, o più spesso la volontà di potenza dei suoi dirigenti. Succede pure, del resto, che essa coincida con una concezione oltranzista e superata della sovranità e della sicurezza dello Stato. Questo allora rischia di diventare l'oggetto di un culto per così dire indiscutibile, per giustificare le imprese più contestabili. Orchestrato dai potenti mezzi di cui dispone la propaganda, un simile culto - che non va confuso con l'attaccamento patriottico ben inteso alla propria nazione - può soffocare il senso critico e il senso morale presso i cittadini più avvertiti e incoraggiare alla guerra.

A più forte ragione bisogna menzionare la menzogna tattica e deliberata, che abusa del linguaggio, ricorre alle tecniche più sofisticate della propaganda, intrappola il dialogo ed esaspera l'aggressività.

Infine, quando alcune parti sono nutrite di ideologie che, nonostante le loro dichiarazioni, si oppongono alla dignità della persona umana, alle sue giuste aspirazioni secondo i sani principi della ragione, della legge naturale ed eterna, di ideologie che vedono nella lotta il motore della storia, nella forza la sorgente del diritto, nell'individuazione del nemico l'"abc" della politica, il dialogo è paralizzato e sterile, oppure, se ancora esiste, è in realtà superficiale e falsato. Esso si fa difficilissimo, per non dire impossibile. Ne segue quasi l'incomunicabilità tra i paesi e i blocchi; anche le istituzioni internazionali vengono paralizzate; e lo scacco del dialogo rischia allora di servire la corsa agli armamenti.

Tuttavia, anche in ciò che può essere considerato come un vicolo cieco, nella misura in cui le persone fanno corpo con queste ideologie, il tentativo di un dialogo lucido sembra ancora necessario per sbloccare la situazione e operare in favore di possibili regolamentazioni della pace su dei punti particolari, contando sul buon senso, sulle prospettive di danno per tutti e sulle giuste aspirazioni, alle quali aderiscono in gran parte i popoli stessi.


Dialogo a livello nazionale


8. Il dialogo per la pace si deve instaurare anzitutto a livello nazionale, per risolvere i conflitti sociali e per ricercare il bene comune. Pur tenendo conto degli interessi dei diversi gruppi, la concertazione pacifica può farsi costantemente, mediante il dialogo, nell'esercizio delle libertà e dei doveri democratici per tutti, grazie alle strutture di partecipazione ed alle molteplici istanze di conciliazione tra i datori di lavoro e i lavoratori, in modo da rispettare ed associare i gruppi culturali, etnici e religiosi che formano una nazione. Quando purtroppo il dialogo tra governanti e popolo è assente, anche la pace sociale è minacciata o assente: si genera come uno stato di guerra. Ma la storia e l'osservazione attuale mostrano che molti paesi sono riusciti o riescono a stabilire una vera concertazione permanente, a risolvere i conflitti che sorgono nel loro ambiente, o perfino a prevenirli, dotandosi di strumenti di dialogo veramente efficaci. Essi si danno, d'altra parte, una legislazione in costante evoluzione, che appropriate giurisdizioni fanno rispettare per corrispondere al bene comune.


Dialogo per la pace a livello internazionale


9. Se il dialogo si è rivelato capace di produrre dei risultati a livello nazionale, perché non dovrebbe essere così a livello internazionale? E' vero che i problemi sono più complicati e le parti e gli interessi in causa più numerosi e meno omogenei. Ma il mezzo per eccellenza resta sempre il dialogo leale e paziente. Là dove esso manca tra le nazioni, bisogna fare del tutto per instaurarlo. Là dove esso è imperfetto, bisogna perfezionarlo. Non bisognerebbe mai scartare il dialogo per rimettersi alla forza delle armi al fine di risolvere i conflitti. E la grave responsabilità che qui è in gioco non è solamente quella delle parti, che al presente si avversano e la cui passione è difficile da dominare, ma anche e più ancora quella di paesi più potenti, i quali si astengono dall'aiutarle a riannodare il dialogo, anzi lo spingono alla guerra, e le tentano con il commercio delle armi.

Il dialogo tra le nazioni deve essere basato sulla forte convinzione che il bene di un popolo non può, in definitiva, realizzarsi contro il bene di un altro popolo: tutti hanno i medesimi diritti, le medesime rivendicazioni ad una vita degna per i loro cittadini. E' essenziale a questo proposito fare progressi nella ricomposizione delle smagliature artificiali, ereditate dal passato, e nel superamento degli antagonismi di blocchi. Bisogna riconoscere sempre di più la crescente interdipendenza tra le nazioni.


Oggetto del dialogo internazionale


10. Se si vuole precisare l'oggetto del dialogo internazionale, si può dire che esso deve portarsi segnatamente sui diritti dell'uomo, sulla giustizia tra i popoli, sull'economia, sul disarmo, sul bene comune internazionale.

Si, esso deve far si che gli uomini e i gruppi umani siano riconosciuti nella loro specificità, nella loro originalità, con un loro necessario spazio di libertà, e in particolare, nell'esercizio dei loro diritti fondamentali. A questo riguardo, si spera in un sistema giuridico internazionale più sensibile alle richieste di coloro, i cui diritti sono violati, e si auspicano giurisdizioni che dispongano di mezzi efficaci e tali da essere in grado di far rispettare la propria autorità.

Se l'ingiustizia, sotto ogni forma, è la prima causa delle violenze e delle guerre, va da sé che, in via di massima, il dialogo per la pace è indissociabile dal dialogo per la giustizia in favore dei popoli, che soffrono frustrazione e dominazione da parte degli altri.

Il dialogo per la pace comporterà necessariamente anche una discussione sulle norme che regolano la vita economica. Infatti la tentazione della violenza e della guerra sarà sempre presente nelle società dove la cupidigia, la corsa ai beni materiali, spinge una minoranza sicura a rifiutare alla massa degli uomini la soddisfazione dei più elementari diritti all'alimentazione, all'educazione, alla cura della salute, alla vita (cfr. GS 69). Ciò vale all'interno di ogni paese, ma vale anche nei rapporti tra paesi, soprattutto se le relazioni bilaterali continuano ad essere preponderanti. E' così che l'apertura alle relazioni multilaterali, nel quadro specifico delle organizzazioni internazionali, porta una possibilità di dialogo, meno appesantito da ineguaglianze, e pertanto più favorevoli alla giustizia.

Evidentemente l'oggetto del dialogo internazionale cadrà anche sulla pericolosa corsa agli armamenti, in modo da farla ridurre progressivamente, come già ho suggerito nel mio messaggio all'ONU, nello scorso mese di giugno, e come è detto nel messaggio che i saggi dell'Accademia Pontificia delle Scienze hanno portato, da parte mia, ai responsabili delle potenze nucleari. Invece di essere al servizio degli uomini, l'economia si militarizza. Lo sviluppo e il benessere sono subordinati alla sicurezza. Scienza e tecnologia si degradano al ruolo di ausiliarie della guerra. La Santa Sede non si stancherà di insistere sulla necessità di frenare la corsa agli armamenti mediante progressivi negoziati, ispirati al principio della reciprocità. Essa continuerà ad incoraggiare tutti i passi, anche i più piccoli, nel dialogo ragionevole, in questo campo di capitale importanza.

Ma l'oggetto del dialogo per la pace non potrà essere ridotto a una denuncia della corsa agli armamenti; si tratta di ricercare tutto un ordine internazionale più giusto; un "consensus" sulla ripartizione più equa dei beni, dei servizi, del sapere, dell'informazione; e una ferma volontà di ordinare queste esigenze al bene comune. So che un tale dialogo, di cui fa parte il dialogo Nord-Sud, è molto complesso; esso deve essere risolutamente perseguito per preparare le condizioni della vera pace, nell'approssimarsi del terzo millennio.



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