GPII 1983 Insegnamenti - Agli "Amici di Raoul Follerau" - Città del Vaticano (Roma)

Agli "Amici di Raoul Follerau" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La guarigione dei lebbrosi: segno messianico del Regno di Dio

Cari fratelli e sorelle dell'Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau!


1. Sono lieto di accogliervi in questa udienza e di salutarvi con affetto, nel momento in cui vi siete radunati a Roma per celebrare la "XXX giornata mondiale dei malati di lebbra".

La vostra presenza mi richiama alla mente l'esperienza che ho vissuto personalmente a contatto con questi nostri fratelli nei lebbrosari dell'Africa e del Brasile, durante i viaggi da me compiuti in quei continenti dell'emisfero sud.

La tragedia di oltre quindici milioni di nostri fratelli afflitti dal tremendo bacillo della lebbra non può lasciarci indifferenti, anche perché esso, se preso in tempo, può essere isolato e debellato.


2. Ho preso conoscenza con interesse delle informazioni da voi offerte circa l'attività svolta in questo ultimo anno da codesta Associazione al fine di appoggiare e sostenere l'opera dei missionari nei principali Centri di cura dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina, mediante l'invio di offerte, di volontari, di automezzi, di medicinali e di attrezzature sanitarie. E' altresi meritevole di incoraggiamento quanto voi fate per informare l'opinione pubblica sulla esatta realtà della lebbra, liberando questa da ogni falsa concezione e dal pregiudizi, che si sono formati col passare dei secoli, e stimolando una migliore comprensione di tale fenomeno ed una risposta responsabile e concreta volta a migliorare le condizioni socio-sanitarie dei malati.


3. La Chiesa, da parte sua, ha sempre considerato questa opera come un settore privilegiato della carità che, per mandato divino, è tenuta ad esercitare, essendo la guarigione dei lebbrosi uno dei segni messianici dell'instaurazione del Regno di Dio (cfr. Mt 11,5).

E di fatto, nel Vangelo, Gesù si fa amico e benefattore dei lebbrosi: li accoglie, li tocca, li guarisce, contrariamente alle prescrizioni allora vigenti, che li escludevano dalla società e li condannavano alla solitudine e alla emarginazione, proibendo perfino di parlare con loro. Riascoltiamo una breve pericope di Marco: "Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi". Mosso a compassione, stese la mano, lo tocco e gli disse: "Lo voglio, guarisci". Subito la lebbra scomparve ed egli guari" (Mc 1,40-42).

Il Signore che fece dei lebbrosi, possiamo dire, dei protagonisti della sua misericordia, chiede all'uomo di oggi il suo sforzo per combattere non solo il bacillo di Hansen, ma anche quello ancor più contagioso dell'egoismo che fa disattendere la situazione di tanti bambini, giovani, uomini, donne e anziani colpiti dalla lebbra che ancora giacciono nell'emarginazione, nell'abbandono, nell'anonimato e nell'incuria.

A voi, ai vostri collaboratori e sostenitori, e a quanti estendono ai nostri giorni la preoccupazione del Maestro per questi malati, vada l'espressione del mio compiacimento, avvalorato dalla benedizione apostolica, che imparto a tutti di gran cuore.

Data: 1983-01-29 Data estesa: Sabato 29 Gennaio 1983



Recita dell'Angelus - La riforma del Codice di diritto canonico frutto del Concilio


1. Il 25 gennaio - festa della Conversione di san Paolo apostolo - è stato promulgato il nuovo Codice di diritto canonico. Oggi, in occasione della preghiera all'Angelus, mi sia permesso di ritornare con la mente alla medesima data dell'anno 1959, quando questo nuovo Codice fu per la prima volta preannunciato dal Servo di Dio Giovanni XXIII. Questo annuncio era come un segno dei nuovi problemi della Chiesa.

Oggi desideriamo ringraziare lo Spirito Santo per l'idea che allora nacque nel cuore del Papa. Egli preannuncio la convocazione del Concilio Ecumenico e la riforma del Codice di diritto canonico. Erano intendimenti di lunga portata.

Il Concilio Vaticano II fu realizzato negli anni 1962-1965. La riforma del diritto canonico doveva seguire le orme del Concilio. Ed ecco che, nel 24° anniversario del primo annuncio, anche quell'intendimento di Papa Giovanni diviene realtà ai nostri giorni.

Rendendo grazie a Dio nella preghiera per questa opera importante, desideriamo pure rievocare con animo grato gli uomini che ad essa hanno contribuito.

Sento il dovere di ricordare in modo particolare il compianto Cardinale Pericle Felici, recentemente scomparso, il quale, in qualità di Presidente della Commissione Pontificia per la revisione del diritto canonico, per lunghi anni si dedico con diligenza e impegno alla gravosa e nobile fatica. Il pensiero va poi a Padre Raimondo Bidagor. Che Dio remuneri tutti!


2. Voglio poi ricordare, nella presente occasione, i fratelli nell'Episcopato della Chiesa che è nel Belgio, venuti a Roma nel settembre scorso per la consueta visita "ad limina", presso la Sede di Pietro. A loro va ora il mio affettuoso e grato saluto: all'arcivescovo di Malines-Bruxelles, Monsignor Godfried Danneels che avro la gioia di elevare alla dignità Cardinalizia, e a tutti gli altri Confratelli che lo hanno accompagnato.

Nel corso della suddetta visita, ho avuto modo di esaminare con loro la situazione attuale della Comunità ecclesiale, i suoi problemi, i suoi progetti, le sue attività, le sue speranze.

Da secoli, come sappiamo, il cristianesimo è vivamente presente in quella Nazione, e oggi là, come del resto in tutto il mondo, la comunità ecclesiale è impegnata nell'attuazione del rinnovamento conciliare.

Ho potuto constatare con gioia che, se negli ultimi anni vi è stata una certa flessione degli operatori pastorali, tuttavia non è seguito un rallentamento della medesima azione pastorale, ma anzi essa è stata particolarmente incisiva e si è estesa ad ogni campo della vita sociale, da quello educativo a quello assistenziale e caritativo. Sebbene dunque anche il Belgio risenta del problema generale della scarsità delle vocazioni, tuttavia il fervore di quanti attualmente lavorano ci dà a bene sperare per il futuro.

Nel rinnovare ai Vescovi del Belgio e, per loro mezzo, a tutta quella cara Nazione il mio ringraziamento per la testimonianza di comunione col successore di Pietro, offerta anche in questa circostanza assicuro il mio costante ricordo nella preghiera.

Ai gruppi di fedeli presenti in Piazza San Pietro Sono presenti oggi in questa Piazza numerosi fratelli e sorelle che hanno partecipato ad una Santa Messa nella Basilica Vaticana per ricordare la XXX Giornata mondiale per i malati di lebbra. Ad essi va il mio cordiale saluto. Lo scopo che si propongono queste Giornate è quello di stimolare le coscienze ad un maggiore impegno di fraterna solidarietà nella lotta contro un male che, per quanto grave, è tuttavia guaribile, a patto che chi ne è colpito riceva l'assistenza necessaria. Per questo, anch'io mi unisco di cuore alla celebrazione odierna con l'augurio e con la preghiera che essa possa raggiungere con abbondanza i risultati che si prefigge, affinché ne sorga un importante contributo al cammino dell'umanità verso quella liberazione dal male che culminerà un giorno nel Regno di Dio. A tutti la mia benedizione.

Un cordiale saluto desidero rivolgere anche ai membri dell'"Associazione famiglie dei modenesi in Roma", i quali hanno inteso onorare oggi il loro patrono, san Geminiano, Vescovo di Modena nel IV secolo. A voi tutti, cari fratelli e sorelle, il mio apprezzamento per la vostra presenza e l'auspicio che continuiate ad offrire una crescente e limpida testimonianza di vita cristiana. La mia benedizione apostolica confermi i vostri propositi di bene.

Data: 1983-01-30 Data estesa: Domenica 30 Gennaio 1983

Omelia nella parrocchia di San Barnaba - Roma

Titolo: La carità è dono di Dio all'uomo e gli è assegnata come compito




1. Cari fratelli e sorelle! Abbiamo sentito la Parola di Dio dell'odierna Liturgia. Al centro di essa si trova il brano che spesso viene denominato l'inno sulla carità, tratto dalla prima Lettera di san Paolo ai Corinzi. Non intendo far qui un commento a questo inno. Troppo denso è il suo contenuto. Desidero soltanto richiamare l'attenzione su alcuni pensieri dell'Apostolo. E soprattutto desidero chiedere a voi stessi di ritornare spesso su queste sue parole. Bisogna leggere spesso la Sacra Scrittura. E tra i brani, ai quali conviene ritornare in modo particolare, vi sono proprio le parole di san Paolo sulla carità.

Queste parole hanno una grande importanza, e acquistando familiarità con esse dobbiamo lasciarci convincere quanto erroneamente, alle volte, pensiamo alla carità, quanto poco sappiamo della sua vera natura. Ma possiamo pure convincerci che le nostre sensazioni, le nostre intenzioni vanno, più di una volta, nella giusta direzione, e che siamo in qualche modo capaci di distinguere il vero amore da quello falso, o piuttosto ciò che è l'amore nella sua sostanza rispetto a ciò che riveste soltanto le sue apparenze. L'Apostolo ci invoglia e ci invita a conoscere proprio la vera carità e a vivere ciò che è la vera carità. "Aspirate ai carismi più grandi..." (1Co 12,31).


2. San Paolo, innanzitutto, desidera mettere in evidenza, non tanto che cosa è e che cosa non è la vera carità, quanto che cosa è senza il vero amore tutto ciò che potremmo compiere nella vita. Le espressioni sono assai eloquenti. Prendiamo soltanto l'ultima, quando l'Apostolo scrive: "E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova" (1Co 13,3). così, dunque, non dalle opere esterne dobbiamo giudicare la carità, ma secondo la carità giudicare tutte le nostre opere. Soltanto per opera della carità esse hanno il loro soprannaturale valore. Senza la carità, ogni nostra attività può perfino stupire e meravigliare, ma non ha un valore soprannaturale.

L'Apostolo ci permette di supporre che, invece, anche le opere modeste e semplici possono avere un valore soprannaturale, se derivano dalla carità.


3. L'Apostolo dedica una buona parte del suo testo a mettere in evidenza quali sono le fondamentali note caratteristiche della carità: per quali segni e per quali attributi la si può riconoscere. Scrive quindi: "La carità è paziente, la carità è benigna: non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia" (1Co 13,4). Bisognerebbe soffermarsi su ognuna di queste brevi frasi e meditare separatamente il loro significato.

San Paolo dice che cosa è la carità, e mediante le sue parole caratterizza l'uomo che possiede la carità e il modo con cui deve lasciarsi guidare da essa. Un tale uomo è paziente, benigno, non è invidioso, non si vanta, non si gonfia... La carità fa si che egli si comporti proprio così ed eviti un comportamento contrario. La carità si manifesta in questi modi di comportamento e contemporaneamente ciascuno di essi è la carità ed esprime la carità in un determinato ambito.

Leggiamo dunque in seguito: "(La carità) non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1Co 13,5-6). In tutto ciò si manifesta la carità.

L'Apostolo ha elencato i suoi numerosi criteri, i sintomi particolarmente importanti ed essenziali. Ma certamente si potrebbe ancora numerarne altri.


4. In tutto ciò che l'Apostolo scrive si manifesta quindi la carità. Viene confermato quasi visibilmente quale essa è e che cosa è. Ebbene, essa è qualcosa di più grande di tutte le sue manifestazioni. E' come il loro cuore nascosto, in cui esse tutte hanno origine. La carità e la vita interiore di questo cuore.

Imparare la carità vuol dire far apprendere al proprio cuore questa vita interiore; farla apprendere al cuore, ma anche all'intelletto, ai sensi, allo spirito, al corpo, farla apprendere all'uomo intero. Per poter praticare la carità, bisogna impararla. A volte ci sembra che sia diversamente. Particolarmente i giovani sono portati a credere che l'amore sia qualche cosa di immediato, qualche cosa che troviamo nel cuore soprattutto come sentimento. Si. E' vero che nel nostro cuore, specialmente nel cuore di un giovane, si trova il sentimento dell'amore e che esso appare come da se stesso. Tutto ciò è vero. Tale è la psicologia dell'amore umano.

Ma non pensiamo che questo sentimento da solo sia già quell'amore, di cui scrive san Paolo nella prima Lettera ai Corinzi. Certo, la carità di cui egli parla è data all'uomo come un singolare dono di Dio. Ma al tempo stesso gli è assegnata come un compito. Basta riflettere un poco sulla descrizione paolina della carità, per ammettere che essa deve essere conquistata dall'uomo con un lavoro paziente e costante, affinché possa maturare, affinché possa compenetrare il suo carattere e il comportamento; affinché essa possa divenire nell'uomo un contrassegno e un fondamento della sua autentica santità.


5. La santità, infatti, consiste proprio nell'amore, nel vero amore. Consiste nella carità, di cui scrive san Paolo e che troviamo nella vita dei tanti santi della Chiesa. La santità di ciascuno di essi consiste soprattutto nella carità. In essa s'uniscono e s'esprimono tutte le virtù. Essa le abbraccia tutte, le racchiude e contemporaneamente è più grande di queste.

Lo dice anche san Paolo nella sua lettera, egli scrive: "La carità non avrà mai fine..." (1Co 13,8). Essa, quale costitutivo della vita interiore dell'anima, è la sorgente della nostra comunione con gli uomini e soprattutto con Dio stesso. In tale comunione la carità si unisce alla fede e alla speranza.

L'Apostolo scrive: "Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!" (1Co 13,13). Essa "non avrà mai fine", poiché costituisce come il cuore stesso della vita eterna.

La santità dell'uomo sulla terra si basa sulla carità. Infatti in essa inizia già ciò che deve riempire tutta l'eternità dell'uomo e renderla felice e beata. Si, la carità di cui ci parla san Paolo nella sua Lettera ha la misura dell'eternità. Ci prepariamo all'eternità mediante la carità. E viviamo eternamente mediante la carità e nella carità. Essa è "più grande".


6. Cari fratelli e sorelle! Accogliete questa breve meditazione sull'amore, sulla carità, nata dalla lettura biblica dell'odierna Liturgia.

Gioisco di potermi incontrare con la vostra parrocchia, nel giorno della visita episcopale, che si svolge proprio intorno a questo tema.

Cari parrocchiani di San Barnaba alla Marranella, sono lieto di salutarvi tutti con grande affetto, a partire dal Cardinale Vicario, dal Vescovo di zona Monsignor Giulio Salimei e dal Parroco Angelo Leva con i suoi più diretti collaboratori dei benemeriti Padri Pavoniani, che hanno la responsabilità di questa parrocchia fin dai suoi inizi nel 1932. Saluto anche le religiose degli Istituti femminili, che so numerosi e molto attivi. In modo particolare intendo salutare il Consiglio parrocchiale, i catechisti e i molti movimenti cattolici: soprattutto quelli dell'Azione cattolica, dei gruppi coniugali "Comunità d'amore" e degli Scouts. So che le energie vive e valide in questa parrocchia sono molte, e io tutti invito a un impegno sempre più generoso ed efficace, poiché certamente esiste ancora lo spazio per una ulteriore dedizione al servizio del Vangelo e dei nostri fratelli.

Vada il mio saluto al giovani, dal cui ardore e dalla cui intelligenza mi aspetto sempre molto sul piano della vita ecclesiale; ai malati, che porto sempre nel mio cuore e ricordo particolarmente nella preghiera; ai lavoratori, a volte minacciati nella loro occupazione e sempre degni di ogni attenzione sociale ma anche cristiana.

Carissimi, per tutti voi sono venuto oggi e per tutti voi prego il Signore, affinché cresciate sempre più nel suo amore e in esso troviate la ragione della vostra vita, per testimoniarlo a quanti più ne hanno bisogno.


7. "Lo Spirito del Signore... mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio" (Lc 4,18). Con queste parole, scritte nel libro del profeta Isaia, il Signore Gesù inizia il suo insegnamento messianico nella sua nativa Nazaret.

Ringrazio il nostro Signore, che oggi mi ha dato di portare il lieto messaggio a voi, cari parrocchiani della parrocchia di San Barnaba. Nel centro stesso di questo lieto messaggio è iscritta la verità sull'Amore e il comandamento dell'amore.

Che questa verità sull'Amore illumini sempre la vostra vita. Che la parrocchia di San Barnaba sia una comunità nella quale conosciate continuamente questa verità. Infatti, solo mediante essa la vita umana ha il suo definitivo valore, un valore eterno. Che in questa Comunità e in tutti gli ambienti di cui essa è composta, in particolare nelle famiglie, impariate l'amore! Il vero amore.

Quell'amore che Dio stesso ci ha rivelato in Gesù Cristo.

Che mediante l'amore siate veramente liberi, vivendo per Dio e per gli uomini.

Che mediante esso abbiate la vita e l'abbiate in abbondanza (cfr. Jn 10,10).

Data: 1983-01-30 Data estesa: Domenica 30 Gennaio 1983

A ufficiali della Nato - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vostro scopo è la costruzione di una pace vera e duratura

Cari amici,


1. Sono lieto di dare il benvenuto oggi in Vaticano ai partecipanti al 61° corso promosso dal Collegio di difesa della Nato. La vostra partecipazione a questo programma vi ha dato occasione di studiare i principi fondamentali e le strutture organizzative della vostra alleanza. Ma vi ha anche permesso di ricordare qual è lo scopo primario per il quale essa è stata fondata, uno scopo che è anche l'aspirazione di tutti gli uomini e le donne del nostro tempo: la costruzione di una pace vera e duratura.


2. Ora che le vostre sessioni di studio e di riflessione volgono al termine, siete senza dubbio più che mai consci dell'utilità, o meglio della necessità, del dialogo per qualsiasi fruttuosa interazione tra individui o tra rappresentanti di differenti Nazioni. Inoltre, dal momento che vi dedicate alla conservazione della pace, voi capite l'importanza del tema che ho scelto per il mio messaggio in occasione della celebrazione della Giornata della pace, cioè: "Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo".

Si, l'adozione di un atteggiamento di dialogo è certamente uno dei fattori più significativi per raggiungere una pace duratura. La paziente introduzione di meccanismi e fasi di dialogo quando la pace è minacciata o è già compromessa, è davvero un mezzo preminente per il ristabilimento dell'unione e dell'armonia tra i popoli.


3. Come ho sottolineato nel Messaggio per la Giornata della pace, il dialogo per la pace non è solo un ideale utopico. La pace è un desiderio fondamentale dell'uomo, radicato nel profondo della persona umana. In quanto uomo di speranza e in quanto cristiano, ho fiducia nella nostra capacità di esseri umani ad essere ragionevoli e ad impegnarci in un dialogo fraterno.

A livello internazionale, il dialogo tra le Nazioni deve essere basato sulla forte convinzione che il bene di un popolo non può essere raggiunto a spese di un altro popolo. La pace deve nascere dalla mutua fiducia tra le Nazioni piuttosto che essere imposta loro dalla paura delle armi l'uno dell'altro.


4. Rivolgendo un cordiale saluto a voi e ai vostri familiari, chiedo oggi a Dio Onnipotente di darvi la forza per proseguire con perseveranza e coraggio nell'opera di costruzione di un mondo pacifico. Quali operatori della sicurezza e della libertà in rappresentanza delle vostre singole Nazioni, voi potete rendere un genuino contributo all'instaurazione della pace. così facendo, voi compirete un'opera di supremo amore per l'umanità.

Che Dio vi benedica e vi sostenga in questo compito urgente.

Data: 1983-01-31 Data estesa: Lunedi 31 Gennaio 1983

Allocuzione al Concistoro segreto - La creazione dei Cardinali pone in luce la varietà dei ministeri


Venerabili e diletti fratelli della Santa Chiesa Romana E' per me motivo di grande gioia il fatto che oggi, nel giorno della Presentazione del Signore, che è "luce del mondo" (Jn 8,12), mi sia data l'occasione di rivolgere il mio saluto a voi tutti presenti qui in Vaticano. Già più volte recentemente è capitato che Membri del Sacro Collegio fossero convocati in riunione; da ciò deriva che si accresca l'importanza del medesimo venerando istituto e mi siano offerti validi aiuti a risolvere importanti questioni per l'utilità della Chiesa. Ma la celebrazione di questo Concistoro è un evento di non lieve importanza nella vita della Chiesa; infatti vengono creati nuovi Cardinali, che si aggregano al vostro Collegio. Infatti "il Concistoro - per esprimermi con le parole di Paolo VI, mio predecessore di venerata memoria - viene sentito come un tempo assai grave e solenne (24 maggio 1976, AAS 58 1976, 270). Di questo fatto è consapevole tutta la Famiglia cattolica, che guarda a questa assemblea; anzi anche l'attenzione di moltissimi altri è rivolta ad essa.

Inoltre questo Concistoro cade in un tempo singolare per la Chiesa, tempo nel quale rifulge la sua grande azione pastorale che si rivolge a tutti i cattolici: poco tempo fa è stato indetto, come sapete, il Giubileo universale, ricorrendo il 1950° anno della Redenzione, e da pochi giorni è stato emanato il nuovo Codice di diritto canonico, opera certamente immane, che era già stato un progetto di Giovanni XXIII e al quale si è lavorato a lungo. Sono certo che darete la vostra collaborazione secondo le vostre forze a che queste opere iniziate, che non hanno altro scopo che il rinnovamento e il consolidamento della Chiesa, raggiungano il loro fine salvifico.

I Cardinali non solo si uniscono a questa Sede Romana con titolo peculiare e sono consiglieri particolari e cooperatori del successore di Pietro nel compito apostolico, ma sono anche per così dire l'immagine dell'unità della Chiesa medesima, in quanto con "affetto collegiale" (LG 23) sono stati costituiti sotto il suo capo visibile.

Inoltre emerge nel Sacro Collegio la nota dell'universalità, propria della Chiesa cattolica, che, secondo la volontà del suo fondatore deve abbracciare tutto il mondo (cfr. Mc 16,15): infatti i Membri del medesimo Collegio sono stati chiamati da tutti i continenti per il loro vastissimo compito e la loro dignità.

Questo carattere di universalità è evidente anche nell'odierno Concistoro, giacché i Membri che si aggiungono al medesimo Senato della Chiesa, sono chiamati dall'Africa, dall'America, dall'Asia, dall'Europa, dall'Oceania. Tra questi ci sono i Presuli non solo di sedi insigni per antica tradizione cattolica, ma anche di nuove Chiese, come quella di Abidjan, di Bangkok, di Lubango. Con il più grande affetto guardiamo a questi nuovi rami "dell'albero frondoso, rigoglioso di fiori e di frutti" come Giovanni XXIII ha chiamato la stessa Chiesa (15 dicembre 1958: AAS, 1958, 982).

Ci sono poi tra coloro che oggi divengono Membri del Sacro Collegio due, al quali è affidato nella Curia Romana un incarico importantissimo, il cui compito è perciò quello di aiutare più da vicino il Pontefice Romano nella responsabilità di governare tutta la Chiesa: uno presiede il Tribunale della Segnatura apostolica, l'altro la Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino.

Infine, con questa stessa creazione dei Cardinali, si pone in luce la varietà dei ministeri, di cui ci si fa carico per il bene della Chiesa: infatti essi sono, in gran parte, ministri del culto che "con l'autorità che viene loro da Dio sono a capo del gregge, del quale sono i pastori" (cfr. LG 20), altri, come ho appena detto, assolvono a un compito di grande importanza presso la Sede Apostolica e ce n'è uno che è al servizio della cristianità, dedicandosi alla Teologia e allo studio dei Padri della Chiesa.

Sarebbero stati più numerosi coloro che nel Sacro ordine sono degni e più numerose le sedi arcivescovili e vescovi degne, gli uni di essere insigniti della dignità di Cardinale o di essere rette le altre da un Presule insignito di tale dignità; tuttavia ci è sembrato di non dover trasgredire la regola, stabilita da Paolo VI, con la quale si stabilisce che il numero dei Padri Cardinali che hanno la facoltà di partecipare alla elezione del Pontefice Romano non superi le centoventi persone. Quello stesso Sommo Pontefice vi aggiunse queste parole; "Auspichiamo che una norma di tal genere, ben ponderata, abbia vigore duraturo e che i Nostri successori nella missione apostolica la vogliano mantenere" (5 marzo 1973, AAS 65 (1973), 163).

Passo ora in rassegna i nomi di coloro che vengono inseriti nell'amplissimo Collegio dei Cardinali.

Essi sono: Antoine Khoraiche, Patriarca di Antiochia dei Maroniti; Bernard Yago, Arcivescovo di Abidjan; Aurelio Sabattini, Arcivescovo titolare di Giustiniana Prima, Pro-Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; Franjo Kuharic, Arcivescovo di Zagabria; Giuseppe Casoria, Arcivescovo titolare di Vescovio, Pro-Prefetto della Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino; José Ali Lebrun Moratinos, Arcivescovo di Caracas; Joseph L. Bernardin, Arcivescovo di Chicago; Michael Michai Kitbunchu, Arcivescovo di Bangkok; Alexandre do Nascimento, Arcivescovo di Lubango e Amministratore Apostolico di Onjiva; Alfonso Lopez Trujillo, Arcivescovo di Medellin; Godfried Danneels, Arcivescovo di Malines-Bruxelles; Thomas Stafford Williams, Arcivescovo di Wellington; Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano; Jean-Marie Lustiger, Arcivescovo di Parigi; Jozef Glemp, Arcivescovo di Gniezno e Varsavia; Julijans Vaivods, Amministratore Apostolico "ad nutum Sanctae Sedis" di Riga e di Liepaja; Joachim Meisner, Vescovo di Berlino; Henri de Lubac, S.I.

perciò, con l'autorità di Dio Onnipotente, dei santi apostoli Pietro e Paolo e mia, creo e solennemente proclamo Cardinali della Santa Chiesa Romana i singoli che ho testé nominati.

Di essi abbiano il titolo diaconale Aurelio Sabattini, Giuseppe Casoria, Henri de Lubac, gli altri invece il titolo presbiterale. Con le dispensazioni, deroghe e clausole necessarie e opportune. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Data: 1983-02-02 Data estesa: Mercoledi 2 Febbraio 1983

Allocuzione al Concistoro pubblico - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Segno della comunione che lega le Chiese particolari a Roma




1. E' con particolare gioia che porgo il mio affettuoso saluto a voi, venerabili e cari confratelli, che siete stati chiamati a far parte del Sacro Collegio dei Cardinali, rivolgendo a ciascuno il mio cordiale augurio, nella luce della parola di Dio ora proclamata.

Ho accolto con viva attenzione le elevate espressioni con le quali Sua Beatitudine il Cardinale Antoine Pierre Khoraiche, anche a nome dei Colleghi, ha voluto sottolineare il significato e l'importanza del momento singolare che stiamo vivendo. Nelle sue parole ho sentito vibrare l'eco appassionata della fede che anima la Chiesa maronita, sempre ferma nell'adesione alle antiche tradizioni, nonostante le tribolazioni nelle quali è coinvolta insieme con l'intera Nazione libanese, che sento tanto più vicina al mio cuore quanto più duramente provata, e alla quale invio l'attestato del mio affetto sincero e della mia costante sollecitudine.

Un saluto rispettoso e cordiale mi è caro altresi rivolgere alle distinte Rappresentanze governative e civili, qui convenute per manifestare la gioia dei rispettivi Paesi per la cooptazione di un Figlio della loro terra nel vetusto e autorevole consesso dei collaboratori del Papa.

Il mio saluto si allarga, infine, ai familiari dei nuovi Porporati, alle delegazioni di sacerdoti e di fedeli delle singole Chiese da cui essi provengono, e a tutti coloro che si sono raccolti in quest'Aula per fare a voi corona, Signori Cardinali, e per esprimervi in festosa letizia la loro commozione e il loro affetto.


2. Sono sentimenti che trovano nel mio cuore eco viva e profonda. E se la vostra modestia non me lo vietasse, venerati fratelli, amerei intrattenermi a delineare la figura, l'opera, i meriti di ciascuno di voi, per trarne motivo di gratitudine a Dio, di consolazione per la Chiesa, di edificazione per tutti.

Vi sono, tra voi, Pastori di Chiese insigni per antica tradizione cristiana e ve ne sono altri preposti a Chiese di più recente fondazione, ma ormai fiorenti per numero di fedeli e per fervore di opere. Vi sono uomini di età diversa, ricchi gli uni di meriti per lunghi anni di dedizione e di amore alla Chiesa, forniti gli altri, nella loro sollecitudine per il bene delle anime, d'un vigore, che gli anni non hanno in alcun modo intaccato.

Nel confermare a ciascuno il mio sincero apprezzamento per il servizio fedele prestato a Cristo in tanti anni di fatica nei diversi campi del ministero ecclesiale, mi è caro valermi di questa circostanza solenne per esprimervi altresi, venerati Padri Cardinali, la mia gratitudine per la prontezza con cui avete accettato di entrare a far parte di quel "peculiare Collegium" al quale il Codice di diritto canonico testé promulgato attribuisce il compito di essere d'aiuto al Romano Pontefice sia nella trattazione delle "quaestiones maioris momenti" che nell'assolvimento dei doveri connessi con la "cura cotidiana universae Ecclesiae" (cfr. CIC 349).


3. E' compito, questo, che affonda le sue radici in una tradizione veneranda. Nel Collegio cardinalizio, infatti, rivive l'antico "presbyterium" del Vescovo di Roma, i cui componenti, mentre svolgevano funzioni pastorali e liturgiche nelle chiese della diocesi del Papa, non mancavano di offrirgli la loro collaborazione per quelle altre responsabilità che, come successore di Pietro, egli doveva affrontare nei confronti di tutta la Chiesa.

Com'è noto, col passare del tempo questa collaborazione nel disimpegno delle mansioni primaziali del Papa divenne prevalente: i membri del Collegio cardinalizio si videro chiamati con intensità sempre maggiore a coadiuvare il Romano Pontefice con un insieme di attività delle quali il rito dell'imposizione della berretta sintetizza i fini con la suggestiva formula: "pro incremento christianae fidei, pace et quiete populi Dei, libertate ed diffusione sanctae Romanae Ecclesiae".

Al progressivo affermarsi di tale funzione universalistica del Collegio cardinalizio si senti il bisogno di far corrispondere sempre meglio la effettiva composizione di esso, curando che entrassero a farne parte, per quanto possibile, rappresentanti dei vari popoli della terra ai quali è giunto l'annuncio della fede. E' quanto hanno fatto soprattutto i recenti Pontefici. Ed è quanto anch'io sia nel Concistoro del 1979 sia nel presente, mi sono preoccupato di attuare chiamando alla dignità cardinalizia persone di ogni continente.

Con la vostra odierna cooptazione, venerati fratelli, il Sacro Collegio non solo si arricchisce ulteriormente di uomini insigni per scienza e virtù, ma si rende altresi immagine sempre più luminosa dell'unità e della cattolicità della Comunità dei credenti e, altresi, della molteplicità del suoi ministeri. E siccome ciascuno di voi, mediante l'assunzione del proprio Titolo, viene a far parte in certa misura del Clero di questa diocesi, può dirsi veramente che, anche in questo modo, la Chiesa di Roma manifesta la sua apertura "cattolica" verso il mondo. In altre parole, nelle vostre persone, provenienti spesso da Chiese anche molto lontane, questa Comunità particolare che fa capo al successore di Pietro testimonia in una forma quanto mai espressiva la sua dimensione universale.

Il Collegio cardinalizio si presenta così come una significativa manifestazione della comunione ecclesiastica che lega le Chiese particolari alla Cattedra di Pietro, "la quale presiede alla comunione universale di carità, tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia all'unità, ma piuttosto la serva" (LG 13).


4. Affermare questo equivale a porre in evidenza la grave responsabilità che pesa su ciascuno di voi, fratelli venerati e cari. Per voi in modo tutto speciale vale l'impegno sottolineato dall'apostolo Pietro nel brano poc'anzi ascoltato: voi dovete "pascere il gregge di Dio che vi è affidato"; voi dovete guidarlo, facendovene "modelli"; voi dovete difenderlo dagli assalti del "nemico", resistendo "saldi nella fede" (cfr. 1P 5,2ss). A voi, infatti, il Popolo di Dio guarda come a sicuri punti di riferimento; presso di voi i fedeli e gli stessi Pastori delle Chiese particolari sparse nel mondo cercano luce e orientamento per vivere più a fondo la comunione con la Sede romana. Non vuole forse alludere a questa responsabilità l'ammonimento contenuto nel rito che stiamo celebrando: "Te intrepidum exhibere debeas"? E non v'è forse un riferimento preciso ai rischi, che con l'esercizio di tale responsabilità si connettono, nella preventivata ipotesi di una fedeltà spinta "usque ad sanguinis effusionem"? Se la consapevolezza di tali formidabili implicazioni della dignità a cui siete oggi elevati può suscitare trepidazione nei vostri animi, venerati fratelli, vi soccorra la rassicurante parola del Maestro divino: "Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore!" (Mt 10,30-31). Cristo è con voi: ecco il saldo fondamento della vostra fiducia! Nel suo nome camminate sicuri, alimentando in voi sentimenti di perseverante comunione con colui che ne è, in terra, l'umile Vicario.

Il vostro esempio sarà di edificazione e di sprone per tutta la Chiesa che quaggiù "prega insieme e lavora, affinché l'intera pienezza del cosmo si trasformi in Popolo di Dio, Corpo del Signore e Tempio dello Spirito Santo, e in Cristo, Capo di tutte le cose, sia reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre dell'universo" (LG 17).

A voi e ai fedeli affidati alle vostre cure pastorali la mia apostolica benedizione.

Cari fratelli e sorelle in Cristo! Mi avete sentito esprimere ai nuovi Cardinali i sentimenti della mia grande stima, pieni di profonda fiducia e di fraterno affetto, mentre li incoraggiavo di tutto cuore ad essere servitori molto coraggiosi e molto umili del Cristo e della sua Chiesa.

Voglio ugualmente salutare voi con calore, voi che siete venuti in delegazione o individualmente - in quanto diocesani, fratelli in religione, compatrioti o amici - ad accompagnarli in questo giorno della loro entrata ufficiale nel Collegio cardinalizio. Domando a Dio che questo evento ecclesiale sia per ciascuno di voi un nuovo motivo di gioia, di pace, di speranza secondo il Vangelo, e stimoli le vostre energie spirituali, personali e comunitarie a meglio servire questa Chiesa che Cristo ha fondato per la salvezza di tutti i popoli.

E' una gioia per me dare il benvenuto ai pellegrini e ai gruppi di lingua inglese che sono giunti a Roma per il Concistoro. Vi ringrazio per l'onore che rendete ai nuovi Cardinali e per il rispetto che mostrate per l'importante ruolo che essi sono chiamati a svolgere al servizio della Chiesa universale. In particolare, a tutti i gruppi che rappresentano le varie Chiese locali, do assicurazione della mia vicinanza nella preghiera e nella carità di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Saluto cordialmente anche tutti i presenti di lingua spagnola in particolar modo i familiari e gli amici dei nuovi Cardinali, così come le Delegazioni dei loro rispettivi Paesi. In comunione di cuore con i membri del Sacro Collegio, anche oggi sperimentate in voi la gioia immensa di vedervi più strettamente uniti alla Chiesa universale. Che questa unione nella fede e nell'amore che scaturiscono dal cuore di Cristo Redentore, continuino a vivificare ora e sempre tutti i momenti della vostra esistenza.

Saluto di cuore anche tutti coloro che hanno accompagnato il nuovo Cardinale di Berlino, per manifestargli la loro lieta partecipazione e per prendere parte, in quest'ora festosa, alla gioia della Chiesa tutta, in rappresentanza della vostra Patria. Che il legame con la Chiesa di Roma, il centro visibile della unità della Chiesa, come anche coi nuovi Cardinali, possa essere per voi fonte di forza e di certezza nella fede.

Cordiali saluti a tutti i presenti di lingua portoghese, in particolare a coloro che fanno corona al nuovo Cardinale dell'Angola, a tutti gli amici che lo circondano e a chi da lontano, dalla sua Patria, lo accompagna in quest'ora. E' un'ora di giubilo - soprattutto per la Chiesa che è in Angola -, di azione di grazie e di richiamo, da parte di Cristo, Redentore dell'uomo: a vita e testimonianza del dono della fede, per i cammini dell'amore umano e cristiano, nella comunione della Chiesa universale. E che Dio vi benedica.

Data: 1983-02-02 Data estesa: Mercoledi 2 Febbraio 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Agli "Amici di Raoul Follerau" - Città del Vaticano (Roma)