GPII 1984 Insegnamenti - Messaggio ai Comitati dell'Unicef - Città del Vaticano (Roma)
Titolo: Il futuro della società dipende dalla stabilità delle famiglie
Testo:
1. E' questa la prima volta nella storia dell'Unicef che rappresentanti di tutti i Comitati nazionali si sono incontrati per riflettere insieme sul loro compito e sulla loro missione. Io sono particolarmente felice di salutare ciascuno di voi, perché, nonostante la diversità dei vostri ambienti e Paesi di provenienza, la principale ispirazione che vi ha spinto a riunirvi insieme in questi giorni è rappresentata da un autentico impegno e interesse per un futuro migliore e una vita migliore per tutti i bambini del nostro mondo.
In tale nobile compito voi potrete sempre contare sull'aiuto della Chiesa cattolica in ogni parte del mondo. E non potrebbe essere diversamente, trattandosi di una Chiesa che riceve la sua missione direttamente da Gesù Cristo, che identificava se stesso con i più umili quando diceva: "Chiunque accoglie uno di questi bambini nel nome mio accoglie me" (Mt 18,5).
I Comitati nazionali che voi rappresentate sono un segno della preoccupazione e dell'impegno di molti dei vostri compagni e delle vostre compagne - e perfino di molti bambini - verso i bambini meno fortunati del mondo. Uno degli aspetti originali della struttura dell'Unicef è rappresentato dal fatto che questa organizzazione riconosce che l'impegno di lavorare con successo per il bene dei bambini di tutto il mondo non può essere portato avanti in modo efficace da un'agenzia centrale internazionale che agisca isolatamente, ma giudica importante il contributo e la partecipazione di una grande quantità di cittadini di molte nazioni. Solo in questo modo è possibile creare una consapevolezza di più profonde dimensioni circa la vastità della domanda, solo così si può creare quella genuina catena di solidarietà umana che è necessaria per trovare adeguate soluzioni e risposte a così vasta domanda.
2. L'Unicef fu concepita originariamente come un "fondo per l'emergenza", ma nonostante la parola "emergenza" sia stata tolta dal titolo, rimane il fatto che la situazione di così tanti bambini in tutte le parti del mondo è più tragica che mai. Infatti, accanto a situazioni in alcune parti del mondo dove i bambini mancano dei più elementari mezzi per la sopravvivenza, nuove forme di sofferenza stanno nascendo per i bambini di altre parti del mondo a causa di una crisi di tipo morale e culturale. Da ciò ne deriva che i bambini vengono a mancare di quell'amore altruistico che è loro diritto ricevere dai genitori e senza il quale essi non potranno mai raggiungere felicità né conseguire lo sviluppo della propria persona. Mi sto riferendo, per esempio, alle sofferenze causate dagli effetti della distruzione di così tante famiglie.
3. La nostra società, in quest'ultima parte del XX secolo, provoca un giudizio su se stessa quando, nonostante il grande progresso nella tecnica e nella medicina e il progresso nelle comunicazioni, ancora ogni giorno così tanti debolissimi membri della nostra società soffrono e muoiono perché mancano delle più semplici e basilari risorse che potrebbero essere facilmente messe a loro disposizione. E nonostante questo fatto, di cui nessuno, in virtù dei numerosi mezzi di comunicazione di massa, può dirsi ignaro, molti uomini e donne ancora vivono e conducono uno stile di vita basato su un consumismo esclusivamente a vantaggio della propria persona, basato sull'esagerato possesso dei beni e perfino sulla distruzione delle risorse della terra.
Se noi diamo uno sguardo approfondito alle domande, ci accorgiamo che la situazione nella quale così tanti bambini sono privati dei mezzi basilari per la sopravvivenza è collegata ad una visione della vita chiusa in se stessa e che ostacola la generosità e la solidarietà. Uno degli aspetti più critici della coscienza della società contemporanea è l'indifferenza per il mistero e la sacralità del dono della vita, che viene troppo facilmente manipolata in un modo da non rispettare la vera natura e il vero destino dell'umana persona, o da osare sopprimere la vita stessa nei momenti nei quali essa è più indifesa.
Oggi io mi appello a voi che siete venuti a Roma come rappresentanti delle vere ansie di molti degli uomini del nostro mondo, perché voi vediate come un fondamentale elemento del vostro lavoro, per il bene dei bambini, il compito dell'educazione delle coscienze, rivolto verso il pieno apprezzamento del valore di ogni vita umana, e specialmente di quella dei più indifesi.
4. Voi capite bene che - senza sottovalutare l'urgenza dei programmi diretti ad assicurare la sopravvivenza dei bambini - il vostro impegno vi deve portare più lontano, vi deve portare a offrire a tutti i bambini del mondo la possibilità di un vero sviluppo fisico, morale e spirituale dai primi giorni di vita in avanti.
In questo contesto, il ruolo della famiglia, e specialmente delle madri, è della più grande importanza. Voi sapete che il futuro sviluppo umano del bambino è legato alla salute della madre, proprio dal momento in cui ha luogo il concepimento, durante la gravidanza e nei primissini anni dello sviluppo del bambino. Voi conoscete il valore di un forte e amorevole ambiente familiare nel quale il padre, la madre, fratelli, sorelle ed altri parenti contribuiscono tutti ad aiutare il bambino o la bambina ad acquisire la propria identità culturale e religiosa. Non è possibile impegnarsi per il bene del bambino senza nello stesso tempo essere sulla stessa linea di coloro che lavorano per la famiglia, senza aiutare tutte le famiglie a prendere coscienza delle proprie possibilità per la formazione di persone mature, che saranno la forza della società di domani.
Proprio un anno fa la Santa Sede presento, alla comunità internazionale e a tutti quelli impegnati nella missione della famiglia nel mondo di oggi, un documento dei Diritti della famiglia diretto a rinforzare una consapevolezza dell'insostituibile ruolo e posizione della famiglia, che "costituisce - più che una mera unità giuridica, sociale ed economica - una comunità di amore e di solidarietà, che è adatta unicamente a insegnare e trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, ed è essenziale per lo sviluppo e il benessere dei suoi membri e della società" (Preambolo E).
Ogni violazione dei diritti della famiglia, ogni politica che porta all'indebolimento dell'istituzione della famiglia, non possono condurre al vero progresso culturale e umano.
5. I problemi umani saranno soltanto risolti con soluzioni che sono integralmente umane. Proporre qualsiasi cosa di diverso sarebbe trattare gli esseri umani come se possedessero minor dignità di noi stessi. Per voi, nel vostro lavoro, trascurare i valori spirituali, che fanno davvero parte dell'eredità di tutti i popoli del mondo, sarebbe come chiudere la porta al totale sviluppo del bambino e condannarlo o condannarla a una nuova forma di povertà.
Il vostro compito vi spinge a portare aiuti materiali di prima necessità in abbondanza, specialmente ai popoli delle nazioni in via di sviluppo. Non si deve mai trascurare, comunque, che questi popoli, nonostante la povertà materiale, possiedono un patrimonio di valori culturali, di commovente solidarietà umana, amore e vita, specialmente nei confronti dei bambini..
Gli uomini di buona volontà non solo esigono che questi valori siano rispettati, ma anche alimentati e identificati come pietre miliari per tutti quelli che, considerando il progresso materiale come fine a se stesso, perdono di vista i più profondi valori della vita stessa.
Con queste riflessioni che scaturiscono dal significato cristiano della vita, che è soprattutto un dono di Dio che, a sua volta, è vita e amore, invoco la benedizione di Dio sul vostro lavoro e sulle vostre organizzazioni, su di voi e sulle vostre famiglie.
Dal Vaticano, 16 ottobre 1984
Data: 1984-10-16 Data estesa: Martedi 16 Ottobre 1984
Titolo: La società spera molto da voi, nel momento attuale
Testo:
E' per me motivo di profonda soddisfazione poter ricevere questa mattina il vostro illustre gruppo, composto dagli insigni membri del Consiglio supremo della magistratura di Spagna. A tutti e a ciascuno di voi, così come ai colleghi che rappresentate, delle diverse parti della Spagna, desidero rivolgere un saluto cordiale.
Conosco le alte funzioni che il vostro Consiglio e gli organismi ad esso associati svolgono, e che hanno tanta ripercussione sul buon funzionamento dei settori vitali, per il retto ordinamento della società spagnola. perciò desidero esprimervi il mio profondo rispetto e la mia stima per queste funzioni e per quanti in Spagna le esercitano con vera competenza e con profondo sentimento di responsabilità giuridica e civica.
A partire da questa stima sincera per le vostre persone e per la vostra missione, permettetemi, signori, che io vi dica una parola su qualcosa che è nel vostro spirito e che attiene all'essenza stessa del mio ministero. Mi riferisco all'aspetto etico che la particolare funzione del magistrato incarna.
Voi sapete bene che le stesse norme legali di ogni nazione debbono tutelare con precisione la libertà e l'indipendenza del magistrato, perché egli possa esercitare con le debite garanzie la sua missione preziosa e insostituibile per la società. ciò vi colloca in una posizione etica di particolare significato e ampiezza, per rispondere all'incarico sacro che la società vi affida, per mantenere un'incorruttibile imparzialità, per discernere con saggia ed equa prudenza l'adeguatezza o meno della norma o la modalità della sua concreta applicazione; e soprattutto per rispondere al dettame di un'indefettibile coscienza alla quale vi incoraggia la voce di Dio.
So che la società spagnola spera molto da voi, nel momento attuale. Mi sia permesso, come successore di Pietro, di pregarvi di non deluderla mai. E che la vostra assoluta rettitudine professionale, l'obiettività e l'indipendenza dei vostri dettami basati unicamente sulla giusta norma giuridica e sulla voce della vostra coscienza, il vostro sentimento morale esercitato con la discrezione dovuta a mansioni tanto alte, siano un esempio di integra moralità per la società intera.
Signori, prego per voi il Giudice dei giudici e il Signore dei signori perché illumini le vostre vite e le vostre azioni. E lo prego di benedire voi, i vostri colleghi e le vostre famiglie.
Data: 1984-10-17 Data estesa: Mercoledi 17 Ottobre 1984
Titolo: Trovo in Cristo la gioia di soffrire per la difesa della fede
Testo:
"Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorero!".
1. Siamo riuniti, cari fratelli e sorelle, per offrire il sacrificio della messa in suffragio del cardinale Josyf Slipyi, quaranta giorni dopo la sua morte, secondo la tradizione liturgica delle Chiese orientali. La parola di Cristo, riportata dal Vangelo di Matteo, sintetizza, si può dire, la lunga e travagliata esistenza dell'amato arcivescovo maggiore.
Sappiamo infatti quanto egli fu affaticato e oppresso: ma sappiamo anche che non gli venne mai meno il conforto di Cristo. Durante la sua prolungata vicissitudine di condannato e poi di esiliato, sempre gli fu di conforto e di stimolo l'affermazione del divin Maestro: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi!". Il cardinale Slipyi in Cristo ha trovato sempre e unicamente il ristoro per poter essere uomo di fede invitta, pastore di fermo coraggio, testimone di fedeltà eroica, eminente personalità della Chiesa.
Oggi noi lo ricordiamo con particolare affetto e preghiamo per lui; la sua memoria rimarrà indelebile negli annali della storia civile e religiosa, e non potremo mai dimenticare la sua figura ascetica e ieratica, severa e solenne; soprattutto non potremo mai dimenticare l'insegnamento che egli ha dato con l'intera sua vita.
2. Nato il 17 febbraio 1892 a Zazdrist, nell'arcidiocesi di Lviv, da famiglia profondamente cattolica, il cardinale Slipyi fu ordinato sacerdote nel 1917.
Laureatosi in teologia a Innsbruck, venne a Roma per perfezionare la sua cultura presso l'Angelicum e l'università Gregoriana. Ritornato a Lviv nel 1922, fu professore di teologia nel seminario, fondo e redasse la rivista teologica trimestrale "Bohoslovia", diventando poi rettore del seminario, e nel 1928 primo rettore dell'Accademia di teologia e presidente della locale società scientifico-teologica. Dedicandosi contemporaneamente all'attività pastorale, partecipo a diversi congressi unionistici e scrisse vari testi di teologia, di filosofia, di letteratura, di storia, di arte e di diritto canonico. Il 25 novembre 1939 venne eletto alla Chiesa titolare di Serra e nominato coadiutore con diritto di successione del metropolita Szeptyckyj, da cui ricevette la consacrazione episcopale e a cui succedette nel governo pastorale dell'arcidiocesi il 1° novembre 1944, assumendo anche il titolo della metropolia di Halyc e di Kamieniec.
Durante la seconda guerra mondiale dovette anche subire il duro controllo delle truppe di occupazione per difendere con amore e con forza il gregge a lui affidato. Purtroppo, col 1945 doveva terminare il primo periodo della vita del cardinale Slipyi, quello certamente più bello e più pieno di soddisfazioni, nonostante le vicende dolorose della guerra, e iniziare il periodo della persecuzione religiosa e delle condanne. Infatti, l'11 aprile 1945, egli veniva arrestato insieme con altri quattro vescovi e condannato a 8 anni di reclusione e di lavori forzati. Cominciava così per lui il doloroso itinerario attraverso durissimi campi di prigionia, insieme con altri detenuti comuni e altri perseguitati. Trascorsi gli otto anni, venne nuovamente condannato all'esilio in Siberia, condanna che si rinnovo nel 1957 e poi nel 1962. E' doloroso ricordare questo lungo calvario, che un innocente, un arcivescovo metropolita, una personalità di grande valore e responsabilità, dovette sopportare a motivo della sua fede cristiana! Ma la verità non può essere ignorata: essa rende testimonianza alla fede intrepida del cardinale Slipyi e alla vittoria finale e sicura dell'amore. Sappiamo che durante quegli anni di prigionia e di lavori forzati, egli riusciva spesso a celebrare segretamente l'Eucaristia, trovando in Cristo la forza e la gioia di soffrire con lui e per lui, per la difesa e il mantenimento della fede nel suo popolo.
Nel 1963, finalmente, giungeva per l'arcivescovo Slipyi il giorno insperato della liberazione. Come è noto, Giovanni XXIII riusci ad ottenere la sua scarcerazione, e il 9 febbraio 1963 l'arcivescovo Josyf Slipyi arrivava a Roma, accolto con grande affetto. Citando l'"Imitazione di Cristo", così gli disse allora il mio predecessore Giovanni XXIII nel commovente primo incontro: "Felix hora quando Iesus vocat de lacrimis ad gaudium spiritus!" (II, VIII). Incominciava così il terzo periodo della vita dell'arcivescovo di Lviv, lontano dalla sua patria e dalla sua diocesi, ma sempre ardente di zelo per la Chiesa per i suoi compatrioti sparsi nel mondo. Il 23 dicembre del medesimo anno, il papa Paolo VI lo nominava arcivescovo maggiore, qualifica che gli conferiva diritti e privilegi simili a quelli dei patriarchi (cfr. OE 10). Lo nominava inoltre membro della Sacra congregazione per le Chiese orientali e, nel Concistoro del 22 febbraio 1965, lo inseriva nel Collegio cardinalizio.
In questo ultimo tratto della sua esistenza, il cardinale Slipyi mantenne il suo fervore e il suo dinamismo pastorale: partecipo attivamente al Concilio Vaticano II; visito i vari gruppi di cattolici ucraini sparsi in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia; curo la scienza teologica fondando il Centro degli studi superiori di San Clemente, per mantenere viva ed efficace la gloriosa tradizione religiosa e culturale della sua gente; nel marzo del 1980 partecipo ai lavori del Sinodo dei vescovi ucraini cattolici.
In questa memoria funebre del compianto cardinale Slipyi era necessario tracciare almeno in sintesi le tappe principali della sua vita, anche se la drammatica vicenda della sua esistenza terrena, colma di impressionanti avvenimenti, rimane nascosta nel segreto di Dio. Come ho detto a Winnipeg, nella cattedrale di san Vladimiro e santa Olga: "Nel periodo di difficoltà per la Chiesa cattolica ucraina, egli provo notevoli sofferenze e patimenti; ma non è crollato; anzi, come un eroe ha resistito con dignità".
3. Dall'esempio della sua vita ci proviene un messaggio, che può servire per noi, ancora pellegrinanti per le vie del mondo, e per la Chiesa intera; e la parola di Dio proposta dalle dense letture della liturgia ce ne indica il contenuto e l'applicazione.
La sofferenza dei martiri, dei perseguitati, degli esiliati, degli emarginati mette in drammatica evidenza che il quadro della storia umana è quasi sempre sconvolto e tormentato. San Paolo afferma che addirittura la creazione stessa - sottomessa alla caducità - geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto, e nutre la speranza di essere pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Ma soprattutto noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando la manifestazione gloriosa dei figli di Dio (cfr. Rm 8,10-23). Tali parole ci fanno comprendere la realtà di una rottura iniziale, di un rifiuto - il "peccato originale" - che nelle prime due creature razionali ha travolto la stessa natura umana, sicché non sarà mai possibile estirpare totalmente dal mondo la zizzania del male e tutte le spine del dolore.
Ma nella speranza siamo stati salvati! E' lo Spirito stesso che intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8,26-27) e ci fa comprendere che esiste un "progetto provvidenziale di salvezza": Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che si è incarnato per salvarci e si è sottoposto alla passione e alla morte in croce per assumere le nostre colpe e ridare così all'umanità la vita soprannaturale. Nel centro della storia umana, che è "storia della salvezza", si erge la croce del Calvario e risuonano le parole di Cristo: "Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Jn 15,20). "Beati voi quando vi perseguiteranno per causa mia!" (cfr. Mt 5,11).
Queste sono le virtù essenziali - fermamente credute dal cardinale Slipyi, convinto che, come scriveva san Paolo, "le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18) - le quali contengono anche il suo fondamentale messaggio con cui ci esorta ad avere una rigorosa fede in Cristo: una fede illuminata, ma semplice e confidente, che accetta il mistero, come logica conseguenza della rivelazione divina; una fede coraggiosa e dinamica, ma anche mite e serena, perché, dice Gesù, "il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero" (Mt 11,30); una fede che può soffrire e gemere, ma che non crolla, perché è sicura che grande è la ricompensa nei cieli (cfr. Mt 5,12).
Cari fratelli e sorelle. Offrendo il santo sacrificio per il cardinale Josyf Slipyi, noi preghiamo il Signore per lui, meditando sulla sua eroica fede; invochiamo la Vergine Maria, per i cristiani perseguitati nell'attuale società, per i nostri fratelli ucraini residenti nella loro nazione e sparsi per il mondo, per l'intera umanità, affinché ognuno possa sentire nell'itinerario della propria esistenza le parole soavi e rassicuranti di Cristo redentore: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorero!".
Data: 1984-10-17 Data estesa: Mercoledi 17 Ottobre 1984
Titolo: Bontà e fedeltà di una ricca fisionomia sacerdotale
Testo:
"Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingero" (Jn 6,37).
1. Questa rassicurante affermazione del Signore illumina le nostre riflessioni e anima i nostri sentimenti nell'atto di offrire il sacrificio eucaristico in suffragio del venerato e compianto fratello cardinale Paolo Marella, a cui stiamo dando l'estremo saluto.
"Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me non lo respingero". E' una parola grande e confortante, che mantiene costantemente fissi i nostri pensieri sulla meta finale del cammino terreno, nella prospettiva dell'abbraccio definitivo con il Signore.
Il monito evangelico ad essere pronti al supremo incontro, è avvalorato dalla certezza che il Signore ci attende per associarci alla beatitudine senza fine. Noi viviamo perciò in un'esaltante speranza. Quella speranza che - proclama san Paolo con i toni di un inno di gioia - "non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5).
La speranza cresce e grandeggia nella consapevolezza che Dio ci ama e con amore accompagna i nostri passi fino al momento in cui, oltrepassato il valico della morte, la speranza lascerà il posto all'amore totale, che costituirà ormai la sola ragion d'essere della creatura rimasta fedele, nella contemplazione ininterrotta del Creatore.
Se tutti i cristiani sono invitati a orientare incessantemente pensieri e aspirazioni alla dimensione escatologica, lo siamo tanto più e a maggiori titoli di responsabilità noi ministri di Dio, che alimentiamo la fiducia di udire in quel traguardo il dolce e accogliente saluto: "Euge, serve bone et fidelis" (Mt 25,21).
2. Servo buono e fedele è stato il nostro fratello cardinale Marella, a cui fu concesso il dono di una vita particolarmente lunga, arrivata alla soglia novantennale dopo sessantasei anni di sacerdozio e mezzo secolo di episcopato.
Bontà e fedeltà furono le caratteristiche forse più evidenti della sua ricca fisionomia sacerdotale.
Nativo di Roma, egli possedeva le qualità connaturate dei cittadini di quest'Alma Urbe, quali la vivacità e l'equilibrio intellettuale, il sorridente e pacato umorismo, il senso di universalità; ma soprattutto e in modo spiccato l'inconcusso e gioioso attaccamento alla fede cattolica e a questa Sede di Pietro, professata con fierezza pari alla semplicità e alla modestia.
Il cardinale Marella appartiene alla distinta schiera di sacerdoti che hanno onorato il presbiterio romano con la saldezza della formazione spirituale e culturale attinta dal seminario diocesano e messa a profitto in compiti ecclesiali di notevole impegno e responsabilità.
3. Tutta la sua esistenza sacerdotale, ad eccezione dei primi tre anni di ministero parrocchiale, è stata dedicata al servizio della Sede apostolica. Fu un lungo itinerario che, iniziatosi nella congregazione di Propaganda Fide, lo porto alla delegazione apostolica in Washington, e quindi, dopo una permanenza di undici anni, in Giappone.
Delegato apostolico a Tokio nel quindicennio che va dal 1933 al 1948, egli dovette affrontare situazioni delicate dapprima in campo nazionale, per la nuova fase cui soggiaceva l'espansione missionaria della Chiesa, poi per le dure contingenze della seconda guerra mondiale. In quel periodo monsignor Marella si adopero con instancabile saggezza per lo sviluppo delle vocazioni indigene e per l'azione di carità della Sede apostolica a soccorso delle vittime del conflitto, particolarmente dei prigionieri di guerra.
Nel 1948 fu inviato come delegato apostolico in Australia e cinque anni dopo in Francia come nunzio, successore in quest'ultima sede del cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII. La prudenza e lo zelo sono le doti che qualificarono il suo ministero di rappresentante del romano Pontefice.
4. La sua elevazione alla porpora nel Concistoro del 14 dicembre 1959 coincideva con il periodo preparatorio del Concilio ecumenico Vaticano II, un capitolo nuovo nel servizio ecclesiale del compianto porporato. Egli fu chiamato infatti a presiedere alla commissione preparatoria "De episcopis et dioecesium regimine" e, in seguito, alla commissione conciliare omonima, partecipando così attivamente all'elaborazione di importanti e qualificati temi dell'ecclesiologia e delle direttive pastorali del Vaticano II.
Al momento dell'istituzione del Segretariato per i non cristiani, Paolo VI ne affido la direzione al cardinale Marella, il quale, come primo presidente del nuovo organismo, vi apporto i frutti delle esperienze maturate in aree geografiche e a contatto diretto con mentalità diverse. In tal modo, il presule che aveva percorso le vie del mondo in Oriente e in Occidente, assolse delicati uffici nel centro della cristianità, tra quelli che contrassegnano la vitalità della Chiesa nel nostro tempo.
Ma non possiamo dimenticare, accanto a numerosi incarichi della Curia romana, le generose prestazioni che il cardinale Marella riservo per molti anni a questa patriarcale basilica di San Pietro come presidente della Fabbrica e soprattutto come arciprete. Ricordiamo la sua assidua presenza qui, durata fino a che le condizioni di salute glielo consentirono, e il suo esemplare raccoglimento nella preghiera liturgica, segni delle premure che coltivava per l'insigne tempio, custode della "memoria" del Principe degli apostoli.
5. Carissimi fratelli! Il richiamo delle principali tappe di una vita che abbraccia un arco tanto ampio, mette sulle nostre labbra gli accenti della riconoscenza al Signore, che ha suscitato e mantenuto alla sua Chiesa la persona dell'amato cardinale Paolo Marella. Riconoscenza anche a lui, servitore buono e fedele, per tutto il bene che ha seminato e compiuto nella vigna di Dio: sull'orizzonte missionario, su quello dei rapporti tra la Cattedra di Pietro e le Chiese locali, nel settore delle relazioni diplomatiche e in quello delle dimensioni pastorali, pensate e sgorgate dall'evento conciliare.
La sua anima, che pensiamo ormai purificata dalle umane fragilità, affidiamo all'infinita bontà del Signore, Pastore dei pastori, di cui egli è stato valoroso e lieto testimone.
Conservando nel cuore gli esempi di umiltà, dedizione, affabilità che il caro defunto ci lascia, noi sciogliamo sulla sua bara l'Alleluia della risurrezione, lasciando echeggiare nel nostro spirito le espressioni, a noi familiari, del salmista: "ll Signore è mia luce e mia salvezza, / di chi avro paura? / Il Signore è difesa della mia vita, / di chi avro timore? / Una cosa ho chiesto al Signore, / questa sola io cerco: / abitare nella casa del Signore / tutti i giorni della mia vita / per gustare la dolcezza del Signore..." (Ps 26,1 Ps 26,4). Amen!
Data: 1984-10-18 Data estesa: Giovedi 18 Ottobre 1984
Titolo: Soddisfazione per il trattato Argentina-Cile
Testo:
Cari fratelli nell'episcopato.
1. Nel ricevere oggi il primo gruppo di vescovi del Cile in visita "ad limina apostolorum" penso a quegli incontri tra il Signore e i suoi discepoli, i quali, dopo una giornata di lavoro, tornavano ad unirsi a lui. Da una parte essi raccontavano a Gesù ciò che avevano fatto e insegnato, dall'altra il Signore li accoglieva con affetto e li confortava, invitandoli al silenzio del riposo e della preghiera (Lc 9,10).
Questa immagine illumina l'incontro del successore di Pietro con i fratelli vescovi della Chiesa in Cile. In questo spirito, la realizzazione di tale visita ci offre l'occasione di incontrarci intimamente intorno a Gesù Cristo, pastore supremo (1P 5,4), e ci invita a una maggior comunione ecclesiale. Unione e comunione con il successore di Pietro e tra voi stessi, per facilitare e dar nuova consistenza al vostro ministero di pastori.
Questa positiva esperienza vi farà sperimentare sempre l'ambiente di fraternità che ha permesso di esaminare tanti aspetti della vita delle comunità affidate al vostro zelo apostolico. Si sta così creando una realizzazione ecclesiale di corresponsabilità più sensibile e immediata, mentre ciascun vescovo può percepire meglio le dimensioni universali della Chiesa.
2. In questo incontro sono soprattutto presenti nel mio cuore i pastori, ciascuno individualmente, spesso affaticati dalle tante difficoltà e dal quotidiano lavoro al servizio della Parola e della direzione comunitaria.
Vorrei perciò dirvi che vi sono vicino, come pure lo sono ai vostri sacerdoti e diaconi; che vedo le vostre fatiche apostoliche e che prego insistentemente il Signore per voi, affinché vi conforti nel vostro lavoro con il dono di una profonda carità. Essa non solo stringe nel nostro apostolato il vincolo della comunione fraterna ed ecclesiale con il popolo di Dio, ma apre anche le nostre menti alla contemplazione del mistero del Cristo redentore.
E quanto più dura e faticosa è l'azione pastorale, tanto più profonda deve essere la contemplazione di questo mistero. ciò implica lo sviluppo della carità nei propri rapporti con Dio, l'ascolto attento della sua parola, la meditazione frequente della sua misericordia, la gioia intima per la munificenza dei suoi doni e per l'entusiasmo fatto preghiera dalla gratuità del suo amore.
Parlare di tutto ciò è porsi un problema perennemente valido: la santità. L'uomo di oggi ha urgente necessità della nostra vita evangelica. La stessa santità è il dono più prezioso e più ricco che possiamo offrire alle nostre comunità. E' anche il cammino di vero rinnovamento che il Concilio ci ha chiesto di apportare alla Chiesa. E' il cammino della piena fedeltà ecclesiale, la gioia nel consegnarsi all'opera salvifica di Cristo e del generoso impegno in un compito che richiede un'intensa carità pastorale.
3. Sapete bene qual è il sostegno per tale fedeltà. Il fatto di attendere in nome di Dio al gregge del quale siete i pastori (cfr. LG 20) vi unisce intimamente a Cristo. Siete consacrati da Dio nella Chiesa per agire "in persona Christi". Il vostro ministero pastorale è totalmente legato a Cristo. Siete i padri, ma anche i responsabili della vostra diocesi "alla cui autorità, conferita da Dio sin dal principio, tutti si sottomettono di buon grado" (CD 16).
Tale originalità del sacerdozio di Cristo si esprime con una parola: la sua dimensione pastorale. Sapete per diretta esperienza ciò che questa preoccupazione pastorale comporta. Il vescovo, infatti, in comunione con il successore di Pietro, è il testimone sacramentale della trascendenza storica di Cristo e l'agente instancabile della sua triplice missione di santificare, insegnare e governare. Per questo è impegnato a vivere come il Buon Pastore.
Tale dimensione pastorale - prima ed essenziale del vostro ministero - vi rende uomini della comunione, padri e fratelli della comunità dei credenti che vi è stata affidata: vi rende gli specialisti del "sensus Ecclesiae", ossia della Chiesa, universale e locale, che nella storia continua la missione di Cristo redentore tra gli uomini. Questo senso pastorale guiderà sempre la vostra fedeltà a Dio e la lealtà verso gli uomini, vostri fratelli.
4. Sulla linea di questo vostro servizio pastorale, vorrei sottoporre alla vostra considerazione il tema della religiosità popolare. Sono a conoscenza dell'importanza dei vostri innumerevoli santuari mariani, e del grande afflusso verso di essi, per esempio La Tirana, Andacollo, Lo Vasquez, Maipu e la basilica di Lourdes a Santiago. Questi santuari e la devozione popolare che essi suscitano racchiudono un significato intensamente ricco di prospettive.
Il significato di questa religiosità popolare, molto profonda nelle vostre diocesi, non si riduce semplicemente a un'espressione antropologica o sociologica. Si tratta anzi di momenti di grande intensità di grazia, in cui l'uomo scopre le sue radici e il terreno che le alimenta. Si sente invitato nello stesso tempo alla preghiera, alla penitenza e alla carità fraterna.
In questa pietà popolare accade con frequenza che, insieme ad elementi talvolta superati e da purificare, ve ne siano altri che sono espressione di autentica fede cristiana. E' quindi necessario valorizzare pienamente la pietà popolare, purificarla dalle indebite sedimentazioni del passato e renderla pienamente attuale. Questo significa evangelizzarla, ossia arricchirla di contenuti di salvezza, portatori del mistero di Cristo e del Vangelo (cfr. discorso a Zapopan, Messico, 30 gennaio 1979, 5).
Urge, inoltre, un profondo lavoro di discernimento nella lettura della ricchezza della vostra cultura popolare, per cercare di percepire in essa l'impronta del Signore che aiuti ad arricchirla di contenuti profondamente cristiani, capaci di un'autentica crescita nella fede. così questo popolo e le comunità dei fedeli si sentiranno più vicini a Dio, vedendo valorizzato tutto ciò che della Parola esse possiedono di genuino ed embrionale.
5. Nella società di oggi rivestono una grande importanza l'annuncio del Vangelo e la trasmissione della fede. Il progresso della civiltà moderna, con i conseguenti fenomeni sociali, caratterizzati da un acuto processo di secolarizzazione accentua infatti sempre più la laicità e l'orientamento puramente terreno, provocando un indebolimento dell'influenza evangelica.
Purtroppo a volte questa situazione favorisce nelle nostre comunità ecclesiali impostazioni tipicamente orizzontalistiche e, in certo modo, prettamente temporali che danneggiano la chiarezza della testimonianza evangelica.
I mutamenti non hanno solo incrinato l'azione pastorale tradizionale, hanno bensi danneggiato, talvolta, l'integrità della fede, facendole perdere forza e attualità.
Si rende quindi ogni giorno più indispensabile la trasmissione di una fede profonda e autentica che presenti con chiarezza tutta la bellezza del Vangelo, senza riduzioni di nessuna specie. Come ben ricordava il mio predecessore Paolo VI, si eviterà così la "tentazione di ridurre la missione della Chiesa alle dimensioni di un progetto semplicemente temporale; di ridurre i suoi compiti a una prospettiva antropocentrica; la salvezza, di cui essa è messaggera, a un benessere materiale; la sua attività - trascurando ogni preoccupazione spirituale e religiosa - a iniziative di ordine politico o sociale" (EN 32).
D'altra parte la situazione presente invita la Chiesa a rinnovare la sua fiducia nell'azione catechetica come "un compito assolutamente primordiale della sua missione" (CTR 15). La catechesi merita, quindi, la priorità nell'azione pastorale della Chiesa. Ad essa siamo invitati a "consacrare le migliori risorse di uomini e di energie, senza risparmiare sforzi, fatiche e mezzi materiali, per meglio organizzarla e per formare un personale qualificato.
In questo compito avete, cari fratelli nell'episcopato, una missione particolare, giacché siete i primi responsabili della catechesi, i catechisti per eccellenza. E' evidente, d'altra parte, che questa catechesi deve essere fedele al contenuto essenziale della rivelazione, con una metodologia che sia capace di educare le generazioni cristiane future a una fede solida (cfr. CTR 50).
6. Al problema della trasmissione della fede è intimamente legato quello delle vocazioni sacerdotali. So che nelle vostre diocesi vi è una profonda tradizione cristiana e che sono molti coloro che chiedono l'ausilio della religione. Guardo anche con speranza all'aumento delle vocazioni. Sono comunque a conoscenza del fatto che nelle vostre regioni, soprattutto nel Nord del Cile, i sacerdoti sono pochi e insufficienti per prestare la necessaria attenzione pastorale.
Mentre condivido con voi la preoccupazione e la sofferenza per questa mancanza di persone dedite alla causa del Vangelo, lodo e benedico tutti quei missionari che dalle varie parti del mondo sono giunti in Cile per prestarvi il loro fraterno servizio. Sono sicuramente un sostegno importante e una grazia di Dio per le vostre comunità ecclesiali.
Penso, per questo, che è necessario intensificare e migliorare incessantemente la pastorale delle vocazioni. So che vi preoccupate debitamente dell'attenzione ai giovani e promuovete con essi missioni a volte di lunga durata.
ciò che interessa in questo momento è sostenere una pastorale audacemente missionaria, incrementando una forte "mistica" apostolica, accompagnata da obiettivi concreti volti a incrementare le vocazioni. Non è necessario che vi ricordi l'importanza della chiamata personale fatta con rispetto, ma anche con la forza e l'autenticità evangelica di Cristo.
La causa delle vocazioni chiede forza missionaria, audacia, magnanimità nelle iniziative, testimonianza di vita e, soprattutto, il forte sostegno dell'amore a Gesù eucaristico e della devozione alla Vergine santissima, Madre della Chiesa. Tali difficoltà hanno bisogno del "miracolo" della fede e della forza della preghiera.
So che quest'anno si celebra il 400° anniversario del seminario maggiore di Santiago e che per l'occasione si ricorderà la sua gloriosa storia secolare.
Esprimo sin d'ora l'augurio, affinché queste celebrazioni promuovano un profondo risveglio delle vocazioni ecclesiali a Santiago e in tutto il Paese.
7. Anche i problemi della famiglia vi interpellano seriamente. Più che un settore dei vostri orientamenti e programmi, la famiglia è un vero e proprio centro, a partire dal quale bisogna studiare nuovamente e pianificare, con speranza, la pastorale.
E' molto importante che, come conseguenza del Sinodo sulla famiglia, cerchiate di rivedere la vostra pastorale d'insieme, per cercare di farla convergere sulla famiglia, sia nella sua identità di segno che irradia l'amore di Dio, sia nelle sue varie missioni e compiti ecclesiali. In un mondo pieno di timori e di preoccupazioni è necessario dare impulso alla famiglia come contributo positivo pieno di speranza, come "alleanza d'amore e di vita". Anche sul piano religioso si deve cercare una solida formazione della famiglia, affinché sia luogo di vita della fede e centro di evangelizzazione della società. E affinché compia questa missione con spirito aperto, rendendosi capace di "formare uomini nell'amore, e ancor più di esercitare l'amore nei rapporti con gli altri, di modo che l'amore sia aperto alla comunità e mosso da un senso di giustizia e di rispetto verso gli altri e che sia cosciente della sua responsabilità verso tutta la società" (Messaggio ai padri sinodali,
9.11).
E' quindi indispensabile che la famiglia svolga adeguatamente il suo ruolo nell'educazione completa dell'uomo e della società. Per questo bisogna arricchirla di una base morale e ideale che si fondi sui genuini valori cristiani, nell'apertura a Dio, perché "l'uomo non può vivere senza amore"; perché senza di esso l'uomo "rimane per se stesso un essere incomprensibile"; perché la sua vita "è priva di senso se non gli viene rivelato l'amore, se egli non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente" (FC 18).
Vissuto in questa prospettiva l'amore familiare dovrà convertirsi in scuola d'amore. Non è forse giunto il momento di richiamare i padri di famiglia, affinché si facciano carico del futuro dell'uomo salvando in esso l'amore e la vita? Anche le nostre istituzioni educative dovranno intraprendere un vero sforzo di rinnovamento per inserire la famiglia nel suo raggio d'azione e per fare di essa una profonda scuola d'amore e di comunicazione di valori religiosi e umani. In tal modo, cari fratelli, non solo compirete un vostro dovere di pastori, ma presterete anche un grande servizio all'intera nazione che nel suo desiderio di ricostruzione deve poter contare sui grandi valori che derivano da una famiglia stabile, sana e fondata su solidi principi morali.
8. Per concludere questo incontro, invoco su di voi la forza e la luce dello Spirito Santo, affinché accompagni con la sua grazia il vostro zelante servizio pieno di abnegazione alla Chiesa. Che egli vi assista nel vostro proposito sincero di comunicare il Vangelo di Cristo a tutte le vostre comunità.
Prima di salutarvi, non posso non manifestarvi la profonda gioia che ha suscitato in me il fatto che le amate nazioni del Cile e dell'Argentina siano arrivate a stabilire il testo del Trattato che, una volta ratificato da entrambe le parti, porrà definitivamente termine alle divergenze tra i due Paesi. La partecipazione della Santa Sede al processo di mediazione ha avuto sempre come meta il bene dei due popoli e la concordia tra di loro. Voglia Dio rendere feconda quest'opera di pace.
Alla Vergine del Carmine, madre e Regina del Cile, raccomando queste intenzioni, le vostre persone, quelle dei vostri sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, seminaristi, quelle dei vostri fedeli e di tutti i vostri cittadini, mentre a voi e a tutti loro impartisco con grande affetto la mia benedizione apostolica.
Data: 1984-10-19 Data estesa: Venerdi 19 Ottobre 1984
GPII 1984 Insegnamenti - Messaggio ai Comitati dell'Unicef - Città del Vaticano (Roma)