GPII 1985 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)
Titolo: Il cuore di Gesù è amore che trasforma il mondo
1. Cuore di Gesù fornace ardente di carità.
Durante la preghiera dell'Angelus desideriamo, insieme con la Madre di Dio, rivolgere i nostri cuori verso il cuore del suo Figlio divino. Ci parlano profondamente le invocazioni di queste splendide litanie, che recitiamo oppure cantiamo soprattutto nel corso del mese di giugno. La Madre ci aiuti a capire meglio i misteri del cuore del suo Figlio.
2. "Fornace di carità". La fornace arde. Ardendo, brucia ogni materiale, sia legno o altra sostanza facilmente combustibile. Il cuore di Gesù, il cuore umano di Gesù, brucia dell'amore, che lo ricolma. E questo è l'amore per l'eterno Padre e l'amore per gli uomini: per le figlie e i figli adottivi.
La fornace, bruciando, a poco a poco si spegne. Il cuore di Gesù invece è fornace inestinguibile. In questo assomiglia a quel "roveto ardente" del libro dell'Esodo, nel quale Dio si rivelo a Mosè. Il roveto che ardeva nel fuoco, ma... non si "consumava" (Ex 3,2). Infatti, l'amore che arde nel cuore di Gesù è soprattutto lo Spirito Santo, nel quale il Dio-Figlio si unisce eternamente al Padre. Il cuore di Gesù, il cuore umano di Dio-uomo, è abbracciato dalla "fiamma viva" dell'amore trinitario, che non si estingue mai.
3. Cuore di Gesù, fornace ardente di carità. La fornace, mentre arde, illumina le tenebre della notte e riscalda i corpi dei viandanti raggelati.
Oggi desideriamo pregare la Madre del Verbo eterno, perché sull'orizzonte della vita di ciascuna e di ciascuno di noi non cessi mai di ardere il cuore di Gesù, fornace ardente di carità. Perché esso ci riveli l'amore che non si spegne e non si deteriora mai, l'amore che è eterno. Perché illumini le tenebre della notte terrena e riscaldi i cuori.
4. Quanto si rallegra la chiesa per il fatto che da questo cuore divino si accendono d'amore i cuori umani! Quanto gioisce oggi, che di un tale amore si è acceso il cuore del padre Benedetto Menni, sacerdote, dell'Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio e fondatore della Congregazione delle Suore Ospedaliere del Sacratissimo Cuore di Gesù; e il cuore di fra Pietro Friedhofen, laico, fondatore dei Fratelli della Misericordia di Maria ausiliatrice.
5. Ringraziando per l'unico amore capace di trasformare il mondo e la vita umana, ci rivolgiamo insieme con la Vergine immacolata, nel momento dell'annunciazione, al cuore divino che non cessa di essere "fornace ardente di carità". Ardente: come quel "roveto" che Mosè vide ai piedi del monte Oreb.
[In spagnolo e tedesco:] Rivolgo i più cordiali saluti a tutti i pellegrini venuti dalla Spagna e da alcuni Paesi dell'America Latina per assistere alla solenne cerimonia di beatificazione del sacerdote Benedetto Menni, fondatore della congregazione delle suore Ospedaliere del Sacro cuore di Gesù. In particolare, i miei migliori auguri e le mie congratulazioni vanno alle suore ospedaliere, che con grande gioia hanno assistito oggi alla glorificazione del loro fondatore, il beato Benedetto Menni.
Di tutto cuore saluto ancora una volta tutti i pellegrini provenienti dalla Repubblica Federale di Germania, che sono venuti a Roma per la beatificazione del loro compatriota Pietro Friedhofen. Il vostro nuovo beato ha un messaggio molto attuale per il nostro tempo. Egli ci invita col suo esempio a farci, per volontà di Cristo, fratelli sempre pronti a soccorrere il nostro prossimo malato e bisognoso. Vi accompagnino il suo aiuto e la sua intercessione insieme alla mia particolare benedizione apostolica.
Data: 1985-06-23 Data estesa: Domenica 23 Giugno 1985
Titolo: Non imporre riforme sociali, ma spiegare i principi etici
Cari fratelli nell'episcopato.
1. E' sempre motivo di gioia per il Vescovo di Roma, nella sua funzione di successore di Pietro, incontrarsi con le diverse categorie di persone e con i vari gruppi di fedeli che vengono alla Città eterna; ancor più quando può incontrarsi con scelti gruppi di fratelli vescovi, provenienti dalle differenti parti del mondo, in rappresentanza delle loro Chiese particolari. Assume un carattere di particolare giubilo e comunione l'incontro con i pastori delle comunità ecclesiali, quando questo avviene nel quadro della loro visita "ad limina apostolorum". Sono persuaso, quanto voi, che la mia gioia è la stessa di tutti voi (cfr. 2Co 2,3) nel momento in cui il nostro pensiero, all'unisono, si eleva ringraziando Dio che ci permette oggi di vivere e di testimoniare qui "l'unità di spirito nel vincolo della pace" (cfr. Ep 4,3) e dell'amore, avendo gli stessi sentimenti gli uni verso gli altri.
Desidero salutarvi - e con voi saluto i sacerdoti, i religiosi e i fedeli della vostra comunità diocesana - con le parole dell'apostolo, che esprimono nello stesso tempo gratitudine per il nostro incontro: "Il nostro cuore si è tutto aperto per voi" (2Co 6,11). Aperto per tutti voi, arcivescovi e vescovi delle province ecclesiastiche degli Stati del Mato Grosso, di Goias e di Brasilia, che rappresentate i segretariati regionali del "Centro-Ovest" e dell'"Estremo Ovest" della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile; e anche per coloro che qui rappresentate.
2. Negli incontri personali, ho potuto ottenere maggiori informazioni rispetto a quelle piuttosto costanti contenute nelle relazioni; ho potuto introdurmi più direttamente nella vitalità e nella problematica delle vostre comunità. Ho potuto condividere un poco le gioie e le difficoltà dell'oggi, le prospettive e le speranze del domani che il vostro servizio pastorale pieno di dedizione comporta.
Esso si svolge in terre da poco "scoperte" - se così mi posso esprimere -, generose dal punto di vista della natura per la fertilità e per le vaste risorse, umanamente ricche e che sono più che una promessa dal punto di vista religioso ed ecclesiale. Per tutta l'opera di edificazione del regno che lo Spirito Santo ha ispirato, guidato e permesso di realizzare, credo di aver fondati motivi per rendere grazie a Dio.
La parte di gregge del Signore affidata alle vostre cure pastorali è situata su una vasta fascia di territorio e abbraccia una numerosa porzione dell'amato popolo brasiliano. Come vescovi, voi continuate in quelle zone la meritoria opera di numerosi missionari e pastori, che hanno speso la loro vita con generosità, spargendo il seme nel campo che già biondeggia per la mietitura (cfr. Jn 4,35), in attesa di più numerosi "operai". Voglia Dio che in breve tempo, come frutto della vostra intensa e ampia pastorale vocazionale, possiate contare su nuovi operai per il regno! Le basi delle vostre attuali diocesi e prelature, per la maggior parte con una storia del tutto recente, sono iscritte in quest'opera pionieristica dell'evangelizzazione che voi, nonostante la scarsezza di mezzi, vi impegnate coraggiosamente e devotamente a consolidare e ampliare. Condividendo le vostre sollecitudini, ho potuto rendermi conto degli ostacoli che si frappongono al maggior esito del vostro lavoro e zelo pastorale: si tratta di ostacoli che sono peculiari delle situazioni concrete vissute dalla gente delle vostre Chiese particolari. Ve ne sono pero altri che costituiscono oggi delle sfide per la Chiesa universale.
3. Per quanto riguarda questi problemi comuni a tutta la Chiesa, insieme e in un coordinamento di sforzi, nella costante convinzione che "se il Signore non edifica la casa, invano vi faticano i costruttori" (Ps 126,1), dobbiamo cercare e percorrere, dandoci la mano, le strade del superamento. L'energia e l'audacia per il cammino ci vengono dalla certezza che siamo al servizio del "Principe dei pastori" che ha promesso, in un momento decisivo, di restare con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20); dalla certezza del fatto che "il servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato" (Jn 13,16). Egli, che ci ha lasciato l'esempio, non ci vuole padroni di coloro che ci sono stati affidati, ma servitori e modelli del gregge (cfr. 1P 5,3 1P 5,4).
Questo servizio e questa esemplarità comprendono come componente indispensabile insieme alla capacità di amore e di condivisione di vita, prova suprema della profondità della comunione interiore e della sua credibilità all'esterno - l'impegno ad essere sempre "segni e costruttori dell'unità". Il documento di Puebla mette in rilievo con esattezza l'imperativo della comunione in tutte le funzioni e compiti, "con il Papa e i fratelli vescovi, specialmente quelli della stessa Conferenza episcopale" (nn. 687 e 688). Per questo, ogni momento e ogni atto del nostro ministero pastorale si verifica all'interno del "sacro mistero dell'unità della Chiesa, in Cristo e per mezzo di Cristo, che fa di essa l'unico gregge di Dio, quale vessillo levato tra i popoli, porgendo a tutto il genere umano il Vangelo della pace, che compie nella speranza il suo pellegrinaggio alla meta della patria celeste" (UR 2).
4. Questa messa a fuoco in qualche modo lascia nell'oscurità il fatto di essere discepoli di Cristo, e guide autorizzate di altri discepoli di Cristo, per i quali nulla esiste di veramente umano che non debba trovare eco nel vostro cuore (cfr. GS 1). Sappiamo tuttavia che la compenetrazione della città terrena con quella celeste si può percepire solamente tramite la fede: permane il mistero della storia umana, sempre perturbata dal peccato. Ma la Chiesa, attraverso i suoi membri e la comunità che essa è, pensa di poter contribuire molto a rendere sempre più umana la famiglia degli uomini e la loro storia.
Inoltre, la Chiesa sa - avendolo proclamato ripetutamente nel Concilio Vaticano II - di poter raggiungere questo solamente nella fedeltà alla coscienza di se stessa, come la volle il suo divino Fondatore. Effettivamente Gesù Cristo, per mezzo della fedele predicazione del Vangelo, dell'amministrazione dei sacramenti e della guida piena d'amore da parte degli apostoli e dei loro successori, i vescovi, che hanno come capo il successore di Pietro, vuole che il suo popolo, sotto l'azione dello Spirito Santo, cresca e perfezioni la sua comunione nell'unità, nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio (cfr. UR 2).
5. Con questa visione e questa prospettiva conciliare, e dimostrando zelo e impegno pastorale animato dall'amore a Cristo e alla Chiesa, voi affrontate, ne sono sicuro, i peculiari problemi socio-religiosi delle vostre comunità, che non cessano di condizionare il lavoro che svolgete e di creare nuove necessità di evangelizzazione. Tra questi problemi ne emergono alcuni, dei quali mi avete parlato con maggior insistenza.
a) I continui spostamenti in massa delle popolazioni e il loro aumento, le migrazioni forzate nel tentativo di superare carenze o di incontrare migliori condizioni di vita; tutto ciò, come è ovvio, porta con sé situazioni nuove, specifiche e, a volte, critiche. In primo piano appare il problema dell'integrazione che si pone per tutte le categorie di persone, ma in modo particolare per quelle che si presentano più vulnerabili sotto l'aspetto fisico, psichico, professionale e religioso.
b) Al pari del delinearsi della mobilità sociale, diminuisce il senso religioso o addirittura si arriva alla sua perdita graduale, accompagnata da assenza di scrupoli sul piano morale, che non risparmia il santuario della famiglia e non si arresta di fronte ai confini imposti dai diritti umani fondamentali. Ciò fa in modo che si sviluppino forze istintive latenti, che incontrano molte brecce in un processo migratorio per di più abbandonato a se stesso, generando conseguenti situazioni conflittuali.
c) La mentalità che in queste circostanze tende a prevalere, a livello di base, è quella della collusione tra l'avere e il potere, con un disprezzo dell'essere. Avviene la concentrazione dei beni e della forza nelle mani di pochi, in contrasto con la "miseria immeritata" di molti, che dà pretesti a nuove aree di colonizzazione. Questa constatazione fu già fatta dal Concilio: "In un tempo in cui lo sviluppo della vita economica, purché orientata e coordinata in una maniera razionale e umana, potrebbe permettere un'attenuazione delle disparità sociali, troppo spesso essa si tramuta in causa del loro aggravamento o in alcuni luoghi perfino del regresso delle condizioni sociali dei deboli e del disprezzo dei poveri" (GS 63).
Non possiamo limitarci a esaminare e deplorare, tanto meno tali elementi devono spaventarci, con il loro insieme di conseguenze nella vita delle persone, delle famiglie e dei gruppi, creando condizioni più o meno sfavorevoli all'evangelizzazione della fede. E' necessario, al contrario, considerare, per trovarvi rimedio fin dove è possibile, le cause spirituali di tutto ciò: la mancanza di fede, di solidità nell'adesione a Cristo, di formazione religiosa e forse di fedeltà ecclesiale. E' necessario predicare il Dio del nostro Signore Gesù Cristo, ovviare con tutti i mezzi alla tentazione di tacitare, trascurare o rifiutare Dio, in nome di un'umanità vista, forse, senza apertura alla trascendenza e in modo incompleto. In questo senso, si comprende il rilievo che voi date, come vescovi, e la serietà con cui cercate di rispondere alle sfide nei campi della pastorale sociale e dell'agricoltura, dei minori, della salute e delle periferie urbane. Debbo solo sollecitare a questo sforzo e prego Dio che lo sostenga.
6. Per dare nitidezza, libertà e agilità all'azione pastorale, la Chiesa presente in Brasile, nel contesto dell'America Latina, parte della Chiesa universale, una e unica, ha fatto un'opzione preferenziale per i poveri, certamente sulla base di una nozione cristiana e illuminata di povero, cosciente del fatto che l'ordine sociale e il suo progresso debbono risolversi sempre a favore della persona umana: di ciascun uomo e di tutti gli uomini. La Chiesa, di fatto, vuole essere nel mondo intero la Chiesa dei poveri, permanendo pero la Chiesa di tutti, per elargire a tutti il mistero della redenzione. Non quindi Chiesa di una classe, di un clan o di un partito, ma Chiesa in cui non c'è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, ma tutti sono uno in Gesù Cristo (cfr. Ga 3,28).
Durante la visita pastorale in Brasile, che ricordo volentieri, parlando al popolo brasiliano nella Favela do Vidigal (2 luglio 1980), ebbi l'occasione di dire che mi sentivo portatore del messaggio della Chiesa delle "beatitudini": della Chiesa che non vuole suscitare tensioni né aggravare conflitti, né far esplodere la lotta violenta tra gli uomini. Della Chiesa che "parla il linguaggio del Vangelo, spiegandolo anche alla luce della scienza umana, ma senza introdurvi elementi estranei, eterodossi e contrari al suo spirito". Della Chiesa che parla a tutti, senza eccezione: a coloro che vivono nella miseria, a coloro che possiedono come unico bene la propria dignità, a coloro che si trovano in cima alla gerarchia sociale e a coloro che hanno potere decisionale. Della Chiesa, quindi, che parla in nome di Cristo e anche in nome dell'uomo; particolarmente di coloro per i quali il nome di Cristo non esprime tutta la verità in esso contenuta.
7. Con la sua opzione preferenziale per i poveri, Puebla ha fornito principi basilari - come già aveva fatto il Concilio - per un'azione pastorale e un rinnovamento spirituale delle comunità. Accade pero che, per vari motivi - conoscenza superficiale di questi avvenimenti ecclesiali, rilettura ideologica del loro messaggio, applicazioni imprevidenti delle loro norme - sorgano posizioni che ingannano, dividono e disorientano riguardo alla realtà e alla funzione della Chiesa: essere "in Cristo, come sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1). L'apostolo Paolo ha sentito la necessità di ammonire, a proposito degli operai evangelici e la loro missione: "Ciascuno stia attento a come costruisce, infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo" (1Co 3,11).
Istruiti dalla parola di Dio, sappiamo che "il frutto della giustizia viene seminato nella pace, per coloro che fanno opera di pace" (Jc 3,18). Ma sappiamo anche che l'ordine sociale deve svilupparsi basandosi sulla verità, deve essere radicato nella giustizia e vivificato dall'amore; deve trovare un equilibrio sempre più umano nella libertà. Per raggiungere tutti questi obiettivi è necessario, nello stesso tempo, un profondo rinnovamento delle mentalità e una coraggiosa applicazione di ampie riforme sociali.
Non fa parte della missione propria della Chiesa imporre queste riforme sociali o indicare le modalità contingenti della loro realizzazione. Suo compito è spiegare i principi etici che devono ispirare queste riforme, un compito che incide prevalentemente nel rinnovamento delle mentalità e nella conversione degli spiriti, delle volontà e dei cuori. Frutto di tale conversione sarà la riconciliazione.
Vivendo in diretto e intimo contatto con l'esistenza quotidiana dell'uomo e condividendo le lotte e le speranze del popolo delle vostre comunità, vi lasciate guidare, senza dubbio, dalla vostra coscienza di servitori della Chiesa, "sacramento universale della salvezza", la quale prolunga nel tempo e nello spazio "la rivelazione dell'amore e della misericordia, che ha nella storia dell'uomo una forza e un nome: Gesù Cristo" (RH 9).
Un'evangelizzazione autentica ed efficace, capace di portare gli uomini alla conversione e alla riconciliazione, illuminata dal binomio "amore - misericordia", non potrà verificarsi se non nella fedeltà a Cristo e alla Chiesa; mai ai margini e, ancor meno, in opposizione a Cristo e alla Chiesa come Cristo l'ha desiderata.
8. La storia religiosa del Brasile rivela un segno caratteristico, componente essenziale del popolo brasiliano: un affetto sincero e filiale al successore di Pietro, per volontà di Cristo, suo vicario in terra come pastore della Chiesa universale e capo del collegio dei vescovi. Questo stesso affetto abbraccia necessariamente le persone o gli organismi che collaborano intimamente con il Papa e lavorano nel suo nome e con la sua autorità "per il bene delle Chiese particolari e al servizio dei pastori consacrati" (cfr. CD 9; CIC 331 CIC 360).
A voi è affidata la missione di pascere una porzione del popolo di Dio che cammina pellegrina nelle promettenti regioni del Brasile - popolo umile, pacifico e generoso - tracciando percorsi di evangelizzazione e guidandola come strumento di quello Spirito che anima tutta la Chiesa nella sua presenza nel mondo. Fa parte del vostro zelo di pastori la preoccupazione di tradurre il contenuto del Vangelo e dell'autentica dottrina della Chiesa in linguaggio comprensibile ai suoi destinatari con quel margine legittimo di saggio pluralismo nella pratica pastorale che permette maggior incisività nelle situazioni concrete e maggiore efficacia del messaggio di salvezza. Tale preoccupazione non può pero essere mai separata dall'attenzione a far si che non si scivoli in posizioni contrarie o parallele al magistero, in posizioni ecclesialmente inaccettabili e pastoralmente sterili. E' questa una dimensione del nostro servizio ecclesiale e della nostra carità pastorale, ispirata dallo Spirito di verità e di amore e alimentata dall'intimità con il cuore di Cristo, buon pastore.
9. Cari fratelli, sono a conoscenza dell'importanza da voi data all'impegno di gruppo nel lavoro pastorale, e dello zelo che mettete nei vari settori del vostro ministero, aiutati da un clero purtroppo numericamente scarso ma generoso, aiutati da religiose e da laici pieni di dedizione, gradualmente preparati, inseriti e impegnati in incarichi ecclesiali e di evangelizzazione. Mi rallegro della saggezza con la quale vengono stabilite le priorità e avviate le attività pastorali specifiche, delle prospettive di aumento del clero diocesano, del rilievo che date alla catechesi, intensiva ed estensiva, ai bambini, agli adolescenti e agli adulti (fino a rimediare a forme di lusinga della religiosità del vostro popolo compiute da sette e movimenti frequentemente inquinati da sincretismo e relativismo). Mi rallegro della preparazione offerta prima dell'amministrazione dei sacramenti; della partecipazione di tutto il popolo di Dio alla vita delle comunità; dell'iniziativa di missioni cicliche in centri non seguiti abitualmente dal sacerdote e, ancora, della particolare attenzione per le famiglie e i giovani.
Per tutto ciò rendo grazie a Dio insieme a voi; a lui chiedo, per intercessione della Vergine Maria, che vi assista, vi conforti e vi illumini nella dedizione al vostro servizio ecclesiale, come autentici animatori della fede, promotori della dignità delle persone e strumenti di riconciliazione, nei confronti del gregge affidato a ciascuno di voi. Con la mia affettuosa benedizione apostolica.
Data: 1985-06-24 Data estesa: Lunedi 24 Giugno 1985
Titolo: Dalla parola rivelata nasce la fede e la regola di vita
Al venerato fratello monsignor Giuseppe Chiaretti, vescovo di Montalto e Ripatransone-San Benedetto del Tronto.
Le sono sinceramente grato per le devote espressioni di spirituale affezione e di comunione ecclesiale, con le quali ella ha voluto accompagnare l'annunzio di un simposio internazionale su "La traduzione Vulgata della Bibbia dalle origini ai nostri giorni", che sarà celebrato a Grottammare, in occasione del IV centenario dell'elevazione a sommo pontefice del mio predecessore Sisto V, illustre figlio di codesta terra marchigiana, avvenuta appunto nel 158 5.
L'occasione mi offre l'opportunità di porgere un cordiale e benedicente saluto a lei e ai qualificati studiosi e docenti di scienze bibliche, nonché a tutti coloro che prendono parte al convegno, per onorare la memoria di quel grande pontefice che nulla tralascio affinché "la parola del Signore si diffondesse e fosse glorificata" (cfr. 2Th 3,1).
A questo anelito, che già fu di Paolo di Tarso, il papa Sisto V informo tutta la sua attività pastorale, nella quale si distinse come geloso custode del "depositum fidei" e come infaticabile propagatore del messaggio della salvezza.
Infatti all'indomani della sua ascesa alla cattedra di Pietro si diede fervida premura di adempiere le direttive del Concilio di Trento, riguardanti la revisione della versione biblica di San Girolamo: "Vulgata editio quam emendatissime imprimatur" ("Enchiridion Biblicum", n. 63). Nel 1586 istitui un'apposita commissione di esperti cultori di Sacra Scrittura, i quali curarono quella famosa Bibbia sistina che, riveduta in seguito per disposizione del papa Clemente VIII, passo alla storia col nome di Vulgata sisto-clementina; e rimase il testo ufficiale per la Chiesa latina fino all'emanazione della costituzione apostolica "Scripturarum Thesaurus", con la quale ho avuto la gioia di promulgare, nel 1979, l'edizione tipica della versione detta neo-Vulgata, che ha portato un ulteriore specifico contributo al doveroso ossequio dovuto all'opera monumentale dell'eminente cultore della "parola di salvezza" (Ac 13,26) che fu il singolare eremita di Betlemme, Girolamo, a cui, come egli scrisse, Dio parlava "ogni giorno per mezzo della testimonianza delle sante scritture" (cfr. "Ep. 133", 13: PL 29, 1160).
Al di là di ogni valutazione di carattere specificamente filologico e critico, è indubbio che l'impegno dimostrato da Sisto V costituisce un'eloquente testimonianza della costante preoccupazione della Chiesa nel promuovere gli studi biblici e nell'assicurare un'interpretazione fedele alla verità rivelata e insieme rispondente alle esigenze degli uomini di ogni epoca. Con la revisione della Vulgata, questo intese fare Sisto V, mosso da un amore veemente per la Chiesa e per la parola di Dio.
Mi auguro che un pari amore sostenga lo svolgimento di codesto convegno, destinato a ripercorrere il lungo e faticoso itinerario della Vulgata geronimiana, la quale dal IV secolo fino ai nostri giorni non ha cessato di offrire un più largo accesso alle fonti della rivelazione e di nutrire generazioni e generazioni di fedeli.
La stretta connessione tra Chiesa e Bibbia, che distinse, tra l'altro, l'opera apostolica di Sisto V, valga agli studiosi a mettere sempre meglio in luce i legami che uniscono indissolubilmente la Sacra Scrittura alla tradizione della Chiesa. Infatti se da una parte la parola di Dio convoca e illumina la Chiesa, dall'altra è la Chiesa interprete primordiale delle Scritture, è la Chiesa che in esse ha attinto attraverso i secoli la propria fede, la propria speranza e la propria regola di vita. La ricerca delle varie traduzioni e redazioni del testo sacro non può limitarsi a una mera discussione erudita o ad una semplice ricostruzione filologica ed esegetica, pur sempre doverose e indispensabili; tutto deve infatti mirare alla comprensione totale della "Scrittura divinamente ispirata" (Tm 3,16). Non si riuscirebbe mai a comprendere pienamente il testo biblico, se esso venisse isolato e strappato dal suo ambiente vitale, cioè dalla viva tradizione della Chiesa. Non si può concepire la parola di Dio fuori del mistero ecclesiale, fuori dallo spirito che anima la coscienza attuale della Chiesa; la Bibbia diventerebbe una lettera che uccide (cfr. 2Co 3,6), un puro documento del passato.
Perciò, come già ho detto recentemente ai membri della Pontificia commissione biblica, l'impegno del buon esegeta "duas debet habere proprietates, nempe scientiae subtilitatem et fidei integritatem" (19 aprile 1985).
Prego il Signore perché gli studiosi intervengano a codesto convegno con la dovuta preparazione scientifica, ma anche con la necessaria e umile richiesta della grazia divina, senza la quale il disegno salvifico di Dio racchiuso nei testi sacri rimane inaccessibile (cfr. Mt 11,25). In questo senso, sant'Agostino esortava i maestri di Sacra Scrittura ad avere una profonda conoscenza delle lingue bibliche, non disgiunta da un grande spirito di preghiera: "orent ut intelligant" ("De doctrina christiana", 3; 36; PL 34, 89).
Con questi ardenti voti accompagno lo svolgimento del simposio invocando su quanti vi interverranno a vari titoli i lumi dello Spirito Santo, mentre di cuore imparto la propiziatrice benedizione apostolica, in segno della mia benevolenza.
Dal Vaticano, 24 giugno 1985.
Data: 1985-06-24 Data estesa: Lunedi 24 Giugno 1985
Titolo: Grazie ai benefattori della "Casa del pellegrino polacco"
Cari fratelli e sorelle, compatrioti, sia lodato Gesù Cristo.
1. I nostri incontri dedicati alla Casa polacca a Roma e alle questioni ad essa collegate sono ormai divenuti una tradizione.
Nel settembre 1981 accolsi un gruppo di persone, costituito da polacchi che vivono in Polonia e da emigrati. Queste persone si riunirono qui per riflettere insieme sul carattere adeguato da dare al Centro polacco della cultura cristiana appena istituito e sull'indirizzo dei suoi lavori e compiti.
Poi, nel novembre dello stesso anno, potei incontrare - in presenza della Commissione generale dell'episcopato polacco e dei rettori delle Missioni cattoliche polacche all'estero - numerosi rappresentanti degli emigrati polacchi di tutto il mondo, i quali mi consegnarono un grande, storico dono finanziato dai compatrioti emigrati; una splendida casa costruita in via Cassia, nella quale hanno la loro piccola parte - bisogna ricordarlo - anche gli amici stranieri della Polonia e i nostri compatrioti che vivono in patria.
Accolsi questo dono con grande gratitudine e, il giorno dopo, mi recai nella casa offertami per benedirla, cioè per dedicarla a Dio, affinché servisse agli uomini e alla causa della presenza dei polacchi nella sede del cristianesimo.
Sono lieto di questo incontro con voi, che avete partecipato in modo particolare alla realizzazione di questa importante iniziativa. Siete venuti qui - talvolta a costo di grandi sacrifici - per partecipare all'inaugurazione della lapide sulla quale si vedono scolpiti i vostri nomi e anche i nomi degli altri fondatori: persone, parrocchie, organizzazioni benemerite e gruppi di emigrati polacchi di tutto il mondo, che voi oggi rappresentate. Siete venuti dagli Stati Uniti - il gruppo più numeroso - dal Canada, dall'Inghilterra, dal Brasile, dal Belgio, dalla Svizzera, dalla Germania, dall'Australia, dal Venezuela, dal Messico, dalla Spagna, dalla Francia e dall'Italia.
Ci sono i rappresentanti della cosiddetta vecchia emigrazione e di quella del dopoguerra. Ci sono i veterani delle forze armate polacche all'estero, ci sono anche persone che durante l'ultima guerra hanno passato l'inferno delle persecuzioni a causa del loro atteggiamento patriottico, della loro fedeltà e affetto per il Paese dal quale provengono. Ci sono i sacerdoti emigrati e gli attivisti laici. E un'immaginazione eloquente che riempie di speranza.
Non c'è da meravigliarsi che a questa celebrazione partecipi anche il delegato dell'episcopato polacco, arcivescovo monsignor Bronislaw Dabrowski, il quale è venuto appositamente per testimoniare dinanzi a voi la Chiesa polacca e per esprimere la sua gratitudine per tutto quello che le comunità polacche all'estero fanno per la Chiesa, per il popolo e per la patria.
E' qui presente anche il delegato dell'episcopato polacco per la pastorale dei polacchi emigrati, monsignor Szczepan Wesoly. Ringrazio Dio per l'opera della vostra carità che poco tempo fa è stata creata a Roma. A voi e, tramite voi, a tutti i fondatori dico: "Dio vi ricompensi". Che Dio ricompensi tutti coloro di cui si leggono i nomi sulla lapide inaugurata ieri, con il signor Edward Piszek a capo, e che ricompensi tutti i donatori anonimi, poiché come ha detto nel 1981 il vostro rappresentante che oggi non è più tra i vivi: "Per noi è stata ugualmente preziosa l'offerta di un dollaro, di un marco o di una peseta che mille sterline o anche più".
Tra i donatori si sono spesso trovate persone anziane e povere, le quali, sentendosi legate al patrimonio spirituale polacco ed essendo pronte a sacrifici, hanno voluto offrire una parte di quello che avevano conquistato con il loro duro e lungo lavoro, hanno dato "wdowi grosz" affinché questo patrimonio fosse custodito e moltiplicato, dimostrando la loro fiducia nella fondazione vaticana, nella casa nonché nel Centro polacco della cultura cristiana, e dimostrando anche le profonde speranze legate a queste istituzioni.
La risposta migliore a queste speranze è e sarà sicuramente il diligente servizio reso da queste istituzioni alla Chiesa in patria e all'emigrazione, alla cultura cristiana polacca e alla sua presenza nel mondo. Grazie a tale servizio saranno per sempre ricordati i nomi delle persone che hanno reso possibile la realizzazione di questa iniziativa.
2. Ciononostante metto la mia firma sotto le parole scolpite nella lapide che dicono: "La Casa polacca... segna per sempre nella storia le persone che hanno dato un contributo particolare alla sua nascita". E' bene che questo contributo sia trasmesso nella storia anche in questo modo. Che rimanga per sempre, insieme con la casa, testimonianza dei nostri tempi ed espressione della solidarietà e dell'affetto per la fede degli uomini che vivono sulla Vistola e sull'Oder e di quelli che, anche se dispersi in tutto il mondo, hanno le stesse radici e che ritornano ad esse volendo in questo modo arricchire sia se stessi che tutta la famiglia dalla quale provengono e con cui si sentono uniti da vincoli di sangue, sia quelle comunità e società in mezzo alle quali gli è capitato vivere, lavorare e cooperare per il bene comune delle nuove patrie.
Lo sradicamento è una grave malattia sociale. Più l'uomo è cosciente della propria genealogia, del terreno spirituale da cui proviene, più è maturo per adempiere agli oneri di una concreta situazione. Ciò riguarda anche i compatrioti che devono affrontare le difficoltà che si presentano loro dinanzi in patria, nonché quelli che per vari motivi si sono sentiti costretti a cercare per sé e per i propri figli un nuovo nido all'estero.
La caratteristica particolare dell'emigrazione polacca sta nel fatto che gli emigrati hanno conquistato i loro diritti nella nuova patria spesso con sacrifici e non di rado con il proprio sangue versato per la libertà "vostra" alla quale veniva sempre legata la libertà "nostra". La maggioranza dei compatrioti ha costituito la propria autocoscienza non in base al concetto dell'"emigrazione", ma in base alla realtà: "patria". Ciò avveniva ai vari livelli della coscienza.
Talvolta la realtà "patria" si limitava al luogo di provenienza e ai legami familiari. Gli emigrati pensavano in questo caso a costruirsi una casa nella quale sarebbero potuti tornare un giorno per vivere con dignità. Nel caso dell'emigrazione politica si trattava di rivendicare o ricostruire la casa-patria degna della vita umana di tutti i cittadini.
Anche quelli che non pensavano affatto di tornare erano assillati dal pensiero e dalla preoccupazione per la casa che avevano abbandonato. In questo spirito vivevano e in questo spirito lavoravano per il bene e per lo sviluppo dei Paesi in cui avevano trovato ospitalità. E tale spirito cercavano di trasmettere ai loro figli e figlie, la maggioranza dei quali ha acquisito e conservato il patriottismo dei padri e delle madri, il che si manifestava e si manifesta tuttora soprattutto nei momenti di grave crisi e di pericolo che minacciano la patria delle loro origini. Inestimabili sono anche i meriti dell'emigrazione nel creare e moltiplicare la nostra cultura nel mondo e nel dare una testimonianza alla Polonia: di quello che era e di quello che dovrebbe essere.
3. Dallo stesso spirito è nata anche la Casa polacca di Roma, che è conforme alla nostra tradizione storica e arricchisce in larga misura quello che la Chiesa polacca possiede nella Città eterna. Diciamo casa, perché questa idea ci è molto vicina e cara, sappiamo pero che si tratta di cose molto più vaste di un semplice tetto. Si tratta della presenza della Polonia, del suo retaggio spirituale nel mondo. Si tratta della presenza e del contatto con tutti coloro che possiedono lo spirito polacco, la storia e la cultura polacche.
Questa cultura l'abbiamo ricevuta da Roma, insieme con il Battesimo, più di mille anni orsono. Essa ha modellato la nostra storia e lo spirito nazionale.
Siamo legati ai valori del passato poiché essi costituiscono la nostra tradizione storica e in essi i Polacchi, difendendo la propria identità, hanno sempre ritrovato il sostegno e la fonte di unità e d'identità nazionale. Il cristianesimo non era solo fonte e lievito di questa cultura, poiché la Chiesa, partecipando fedelmente alla sorte della nazione, si è unita strettamente con la sua esistenza e con la sua storia. E l'aspirazione dell'uomo a Dio non lo distoglieva dai problemi della vita terrena, anzi, la ispirava nella lotta per l'indipendenza, per la giustizia e la dignità della nazione e di ogni singolo.
Perciò è lecito desiderare che questa cultura, arricchita dall'esperienza e dal proprio patrimonio, sia presente nel mondo occidentale al quale dobbiamo così tanto; che sia presente nel dialogo sulla cultura e nel dialogo delle culture e che, insieme ad esse, possa avere ed elaborare, in base al Vangelo di Cristo, i valori che arricchiscono e perfezionano l'uomo, che servono alla sua dignità e la sua piena vocazione.
Molto prezioso è il ruolo di questa Casa polacca di Roma, di questo tetto che trovano i pellegrini i quali, grazie a Dio, vengono numerosi dalla Polonia e dalle altre nazioni. Molto preziosa è la cura pastorale che aiuta loro a vivere Roma e la sua ricchezza cristiana nello spirito della fede. Sotto questo aspetto la casa dovrebbe diventare per loro ancora più casa, casa polacca, casa propria.
E' anche necessario che maturi fino a diventare il ponte tra la patria e l'emigrazione. Che diventi luogo d'incontro tra la nostra cultura cristiana e le culture delle altre nazioni; che serva al pellegrinaggio spirituale di queste culture, al loro scambio e al loro vicendevole arricchimento; che possa contribuire alla costruzione dell'unità dell'Europa e del mondo fondata sui principi di Cristo: sull'amore, sulla giustizia, sulla verità e sulla pace.
4. Cari fratelli e sorelle! Vi ho presentato solo alcuni miei pensieri generali riguardanti l'opera che grazie a voi è stata chiamata a vivere e a svolgere i suoi compiti. La vostra presenza qui non è soltanto formale. Vorreste guardare quest'opera da vicino e conoscerla meglio. Possa questa presenza servire a precisare meglio il profilo e i compiti di queste istituzioni, delle quali potete essere fieri. Dei loro successi e difficoltà ve ne hanno parlato dettagliatamente - o ve ne parleranno - le persone competenti, responsabili dei singoli settori.
Vi ringrazio ancora una volta della vostra presenza, di tutto quello che avete fatto e che farete in questo campo nel futuro: principalmente, a quanto pare, tramite l'associazione degli Amici della fondazione. La preoccupazione per le basi materiali della cultura è una preoccupazione per la cultura stessa. Quel che grazie a voi è nato, sta cercando le vie adatte e si sta sviluppando, è l'espressione del senso di responsabilità per il contenuto della nostra cultura e per la sua sorte. Testimonia l'unione delle aspirazioni di grandi schiere di miei compatrioti.
Che questo pellegrinaggio alla tomba dei santi Pietro e Paolo, pellegrinaggio sulle tracce degli inizi del cristianesimo e di tutta la sua storia, vi arricchisca interiormente e corrobori la vostra fede speranza e amore.
Affido tutti i benefattori e tutte le comunità degli emigrati polacchi nel mondo alla protezione materna della Regina della Polonia di Jasna Gora.
Accogliete la mia gratitudine e la mia benedizione apostolica. Portatele alle vostre famiglie, agli amici, alle parrocchie, alle organizzazioni e comunità.
Consegnatele a tutti coloro che in qualche modo provengono dalla terra dove scorre la Vistola.
Data: 1985-06-27 Data estesa: Giovedi 27 Giugno 1985
GPII 1985 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)