GP2 Discorsi 1999 320
Sala Clementina - Venerdì, 19 novembre 1999
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri Signori e Signore!
321 1. Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra partecipazione alla Conferenza Internazionale, che il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari ha voluto dedicare quest'anno alla riflessione sul rapporto che lega economia e salute: un tema tanto attuale e denso di problematiche, che coinvolge sia l'impostazione delle politiche nazionali sia il compito di evangelizzazione della Chiesa.
Saluto Mons. Javier Lozano Barragán e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto poc'anzi, facendosi interprete dei sentimenti di tutti. Rivolgo un cordiale benvenuto ai Collaboratori del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, come pure egli eminenti studiosi, ricercatori, rappresentanti di Stati e di Governi, che hanno voluto onorare con la loro presenza e con il loro contributo scientifico questo importante simposio.
Nell'intento di individuare linee d'azione concrete, avete affrontato l'argomento non da un lato semplicemente tecnico, ma in modo scientificamente organico e articolato. La vostra riflessione s'è mossa nell'orizzonte della fede. E', infatti, a partire dalla Parola di Dio, portatrice di salvezza integrale per tutta l'umanità, che viene meglio posto in luce il rapporto economia-salute, sia globalmente che nei suoi diversi aspetti specifici.
Una migliore comprensione di questa realtà, che è in sé così complessa ed ha una portata mondiale, vengono certamente favoriti dal serio accostamento interdisciplinare da Voi opportunamente scelto. Voi avete voluto considerare il rapporto economia e salute alla luce sia dello sviluppo storico che della dottrina sociale della Chiesa, della teologia e della morale. E, tutto, nello spirito di un costruttivo dialogo ecumenico e interreligioso.
2. Non manca, inoltre, nella vostra riflessione un conseguente intento operativo: avete formulato proposte di linee d'azione capaci di migliorare il rapporto esistente tra economia e salute a tutti i livelli: economico, sociale, politico, culturale e religioso. Avete, cioè, cercato di rispondere alla domanda su che cosa fare, a livello mondiale e in ogni Paese, per attuare in modo più umano e cristiano il rapporto tra economia e salute.
E' questo un interrogativo inquietante, che dal Congresso deve raggiungere tutti gli uomini di buona volontà e interpellare particolarmente coloro che a livello mondiale e di ogni singolo Paese hanno una maggiore responsabilità in questo ambito.
Non è tollerabile, infatti, che la limitatezza delle risorse economiche, oggi variamente sperimentata, si ripercuota di fatto prevalentemente sulle fasce deboli della popolazione e sulle aree del mondo meno abbienti, privandole delle necessarie cure sanitarie. Ugualmente non è ammissibile che tale limitatezza conduca a escludere dalle cure sanitarie alcune stagioni della vita o situazioni di particolare fragilità e debolezza, quali sono, ad esempio, la vita nascente, la vecchiaia, la grave disabilità, le malattie terminali.
Ogni persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio e chiamata a partecipare alla stessa vita divina, ha diritto di potersi sedere alla mensa del banchetto comune e ad usufruire dei benefici offerti dal progresso, dalla scienza, dalla tecnica, dalla medicina.
3. Allo stesso modo, è importante acquisire una più adeguata visione della salute, che si fondi in un'antropologia rispettosa della persona nella sua integralità. Lungi dall'identificarsi con la semplice assenza di malattie, un tale concetto di salute si pone come tensione verso una piena armonia e un sano equilibrio a livello fisico, psichico, spirituale e sociale (cfr Messaggio per l'VIII Giornata Mondiale del Malato, 6 agosto 1999).
E' a partire da questa rinnovata visione di economia e di salute che si potrà attuare in termini più positivi un loro reciproco rapporto. Non è compito della Chiesa definire quali modelli economici e quali sistemi sanitari possono meglio risolvere il rapporto economia-salute, ma è sua missione adoperarsi perché, nel contesto della cosiddetta «globalizzazione», esso venga affrontato e risolto alla luce di quei valori etici che favoriscono il rispetto e la tutela della dignità di ogni essere umano, a partire dai più deboli e poveri.
4. Con vivo dolore si deve constatare che il divario tra situazioni di ricchezza perfino smodata e di povertà spinta talora fino all'indigenza, anziché diminuire, tende ad allargarsi sempre più (cfr Sollicitudo rei socialis SRS 14). Un fatto, questo, che comporta ripercussioni quanto mai pesanti e talvolta drammatiche proprio in riferimento al rapporto economia e salute.
322 Fortunatamente in questa situazione si va facendo strada una maggiore consapevolezza della dignità di ogni persona e della radicale interdipendenza umana, con un conseguente accresciuto senso del dovere della solidarietà. E' solo in questo orizzonte che si può realizzare il superamento di una visione economicista e quindi riduttiva della salute, lasciandosi alle spalle le tante ingiuste sperequazioni esistenti nel rapporto economia-salute.
Per i cristiani, in particolare, la solidarietà diventa virtù che sfocia nella carità e da questa viene costantemente alimentata, suscitando conseguenti atteggiamenti di accoglienza e di sostegno anche nell'ambito della cura dei malati. Punto di riferimento supremo resta la comunione trinitaria, alla quale il cristiano sa di dover ispirare la propria vita per realizzare un rapporto di carità autentica, di cui soggetti privilegiati sono sicuramente i fratelli più deboli, tra i quali sono da annoverare i malati.
5. Ad essi voglio ora rivolgere uno speciale pensiero di affetto, che estendo alle rispettive famiglie preoccupate per la loro salute ed a quanti operano con generosità e solidarietà al loro servizio. A ciascuno di essi voglio rinnovare l'espressione della vicinanza premurosa della Chiesa e l'assicurazione del suo impegno instancabile, perché si costruisca una società più giusta e fraterna.
Un appello speciale rivolgo ai governanti ed agli organismi internazionali, perché nell'affrontare il rapporto economia e salute si lascino guidare unicamente dalla ricerca del bene comune.
Alle industrie farmaceutiche chiedo di non far mai prevalere il profitto economico sulla considerazione dei valori umani, ma di mostrarsi sensibili alle esigenze di quanti non godono di un'assicurazione sociale, ponendo in atto valide iniziative per favorire i più poveri ed emarginati. Occorre operare per ridurre e, se possibile, eliminare le differenze esistenti tra i vari Continenti, esortando i Paesi più avanzati perché mettano a disposizione di quelli meno sviluppati esperienza, tecnologia e una parte delle loro ricchezze economiche.
Possa l'alba del terzo millennio vedere il nostro Pianeta, con tutte le sue risorse, più conforme al disegno di Dio, in modo tale che nessuno si senta escluso dalla cura dovuta alla sua persona e alla sua salute, nel rispetto della uguale dignità di ciascuno.
Alla Vergine Maria, modello della Chiesa e di una umanità riconciliata, affido il frutto dei vostri lavori, perché con la sua materna intercessione dia compimento agli aneliti di bene, di giustizia e di pace presenti nel cuore di ogni uomo.
A tutti la mia Benedizione!
Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell'Episcopato e nel sacerdozio,
Cari amici,
323 1. Sono lieto di accogliervi, in occasione dell'Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura, rallegrandomi per il tema scelto per questa sessione, "Per un nuovo umanesimo cristiano, alle soglie del nuovo millennio", tema fondamentale per il futuro dell'umanità, poiché invita a prendere coscienza del posto centrale che la persona umana occupa nei diversi ambiti della società. D'altro canto, la ricerca antropologica è una dimensione culturale necessaria a qualsiasi pastorale e una condizione indispensabile per una evangelizzazione profonda. Ringrazio il Cardinale Paul Poupard per le cordiali parole con le quali si è fatto vostro interprete.
2. Ad alcune settimane dall'apertura del Grande Giubileo dell'Anno 2000, tempo di eccezionale grazia, la missione di annunciare Cristo si fa più pressante; molti nostri contemporanei, soprattutto i giovani, provano grandi difficoltà a percepire quello che in realtà sono, sommersi e disorientati dalla molteplicità delle concezioni dell'uomo, della vita e della morte, del mondo e del suo significato.
Troppo spesso le concezioni dell'uomo presenti nella società moderna sono divenute autentici sistemi di pensiero che tendono ad allontanarsi dalla verità e a escludere Dio, credendo così di affermare il primato dell'uomo, in nome della sua presunta libertà e del suo pieno e libero sviluppo; così facendo, tali ideologie privano l'uomo della sua dimensione costitutiva di persona creata a immagine e somiglianza di Dio. Questa mutilazione profonda diviene oggi un'autentica minaccia per l'uomo, in quanto porta a concepirlo senza alcuna relazione con la trascendenza. È un compito fondamentale per la Chiesa, nel suo dialogo con le culture, condurre tutti i nostri contemporanei alla scoperta di una sana antropologia, per farli pervenire a una conoscenza di Cristo, vero Dio e vero uomo.
Vi sono grato per l'aiuto che offrite alle Chiese locali, mediante le vostre riflessioni, per raccogliere questa sfida, "per rinnovare dall'interno e per trasformare alla luce della Rivelazione le visioni dell'uomo e della società che modellano le culture", come ha sottolineato il recente documento pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Cultura "Per una pastorale della cultura" (n. 25). Cristo risorto è una Buona Novella per tutti gli uomini, poiché ha "il potere di raggiungere il cuore di ogni cultura, per purificarlo, fecondarlo, arricchirlo e permettergli di dispiegarsi nella misura senza misura dell'amore di Cristo" (Ibidem, n. 3). È quindi opportuno far nascere e sviluppare un'antropologia cristiana per il nostro tempo che costituisca il fondamento di una cultura, come hanno fatto i nostri predecessori (cfr Fides et ratio, n. 59), antropologia che deve tener conto delle ricchezze e dei valori delle culture degli uomini di oggi, seminandovi i valori cristiani.
La diversità delle Chiese d'Oriente e d'Occidente non rende forse testimonianza, fin dalle origini, di un'inculturazione feconda della filosofia, della teologia, della liturgia, delle tradizioni giuridiche e delle creazioni artistiche? Come nei primi secoli della Chiesa, con san Giustino, la filosofia è passata a Cristo, poiché il cristianesimo è "la sola filosofia sicura e proficua" (Il dialogo con l'ebreo Trifone, n. 8, 1) così è oggi nostro dovere proporre una filosofia e un'antropologia cristiane che preparino la vita alla scoperta della grandezza e della bellezza di Cristo, il Verbo di Dio. È indubbio che l'attrattiva del bello, dell'estetica, condurrà i nostri contemporanei all'etica, ossia a condurre una vita bella e degna.
3. L'umanesimo cristiano può essere proposto a qualsiasi cultura; esso rivela l'uomo a se stesso nella consapevolezza del suo valore e gli consente di accedere alla sorgente stessa della sua esistenza, il Padre Creatore, e di vivere la sua identità filiale nel Figlio Unigenito, "generato prima di ogni creatura" (Col 1,15), con un cuore che si gonfia al soffio del suo Spirito d'amore. "Davanti alla ricchezza della salvezza operata da Cristo, cadono le barriere che separano le diverse culture" (Fides et ratio, n. 70). La follia della Croce, di cui parla san Paolo (cfr 1Co 1,18), costituisce una saggezza e una potenza che superano tutte le barriere culturali potendo essere insegnate a tutte le nazioni.
L'umanesimo cristiano è in grado d'integrare le conquiste migliori della scienza e della tecnica per la più grande felicità dell'uomo. Al contempo scongiura le minacce contro la sua dignità di persona, soggetto di diritti e di doveri, e contro la sua stessa esistenza, oggi così seriamente chiamata in causa, dal suo concepimento al termine naturale della sua esistenza terrena. Di fatto, se l'uomo conduce una vita umana grazie alla cultura, non vi è cultura realmente umana se non dell'uomo, attraverso l'uomo e per l'uomo, vale a dire di ogni uomo e di tutti gli uomini. L'umanesimo più autentico è quello che la Bibbia ci rivela nel disegno d'amore di Dio per l'uomo, disegno divenuto ancora più mirabile attraverso il Redentore. "In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (Gaudium et spes GS 22).
La pluralità degli approcci antropologici, che rappresenta una ricchezza per l'umanità intera, può anche generare scetticismo e indifferenza religiosa; si tratta di una sfida che è opportuno raccogliere con intelligenza e coraggio. La Chiesa non teme la legittima diversità, che mette in luce i ricchi tesori dell'animo umano. Al contrario, si avvale di questa diversità per inculturare il messaggio evangelico. Ho potuto rendermene conto nei diversi viaggi che ho effettuato in tutti i continenti.
4. Ad alcune settimane dall'apertura della Porta Santa, simbolo di Cristo il cui cuore completamente aperto è pronto ad accogliere tutti gli uomini e tutte le donne di qualsiasi cultura in seno alla sua Chiesa, auspico vivamente che il Pontificio Consiglio per la Cultura prosegua nei suoi sforzi, nelle sue ricerche e nelle sue iniziative, in particolare sostenendo le Chiese locali e favorendo la scoperta del Signore della storia da parte di coloro che sono immersi nel relativismo e nell'indifferenza, volti nuovi della miscredenza. Sarà un modo d'infondere in queste persone la speranza di cui hanno bisogno per edificare la loro vita personale, per partecipare alla costruzione della società e per volgersi verso Cristo, l'Alfa e l'Omega. In particolare, vi invito a sostenere le comunità cristiane che non ne hanno sempre i mezzi affinché rivolgano un'attenzione rinnovata al mondo così diversificato dei giovani e dei loro educatori, degli scienziati e dei ricercatori, degli artisti, dei poeti, degli scrittori e di tutte le persone impegnate nella vita culturale, di modo che la Chiesa riveli le grandi sfide della cultura contemporanea. Ciò è valido sia per l'Occidente che per le terre di missione.
Tengo a rinnovarvi la mia riconoscenza per il lavoro svolto e, affidandovi all'intercessione della Vergine Maria, che ha saputo donare a Dio un sì incondizionato, e ai grandi Dottori della Chiesa, vi imparto di cuore una particolare Benedizione Apostolica, in pegno della mia fiducia e della mia stima, che estendo a tutti coloro che vi sono cari.
Dal Vaticano, 19 novembre 1999.
324 Sabato, 20 novembre 1999
Signor Cardinale,
cari Fratelli nell'Episcopato!
1. Con il "profondo affetto che ho per tutti Voi nell'amore di Cristo Gesù" (Ph 1,8) Vi saluto, accogliendo in Voi il terzo gruppo dei Vescovi tedeschi in visita ad limina. Ringrazio il Padre celeste per l’impegno che ci accomuna nella diffusione del Vangelo (cfr Ph 1,5) e per la comunione di fede e di amore che ci unisce nel servizio al popolo di Dio. Con Voi saluto le Chiese particolari che presiedete con grande dedizione. Spinto dalla "preoccupazione per tutte le Chiese" (2Co 11,28), Vi invito ad assicurare i sacerdoti, diaconi, religiosi e laici delle Vostre diocesi che il Papa condivide le loro gioie e tristezze e prega per la loro costante crescita nella grazia e nella santità di vita. Sotto questo profilo la Vostra visita ad limina diventa un pellegrinaggio spirituale. Infatti, la Vostra venuta non costituisce soltanto l'adempimento di un obbligo amministrativo o giuridico del ministero pastorale, ma è anche una testimonianza di autentica fratellanza e unione nell'amore di Cristo, Pastore Supremo (cfr 1P 5,4), il quale manda alla Chiesa in cammino nel tempo i suoi ministri "affinché, partecipi del suo potere, rendano tutti i popoli discepoli, li santifichino e governino" (Lumen gentium LG 19).
Come ho fatto durante i due precedenti incontri con i Vescovi del Vostro Paese, vorrei riflettere anche oggi su qualche aspetto fondamentale del "sacramento universale della salvezza" (Lumen gentium, LG 48). Svilupperò la mia considerazione intorno al fondamentale tema della Chiesa come mistero. Nell'ambito delle varie attività giornaliere del ministero pastorale ci dobbiamo occupare di tante cose. Conviene prendersi di tanto in tanto qualche spazio di riflessione per togliere il velo dell'apparenza, nel quale il nostro sguardo rimane spesso imprigionato, e per scoprire così quanto di veramente essenziale è nascosto sotto la superficie.
2. Mi piace rievocare un pensiero formulato dal mio predecessore di venerata memoria, il Papa Paolo VI, nella sua enciclica Ecclesiam suam riguardo alla Chiesa e alla autoconsapevolezza che essa ha della propria realtà e della propria missione. Il suo invito, rivolto trentacinque anni fa ai Padri durante i lavori del Concilio Vaticano II, oggi può servire come chiave di lettura per scrutare fino in fondo i "segni dei tempi" alla soglia del terzo millennio: "In questo momento la Chiesa si deve interrogare per rafforzare la propria conoscenza del piano divino su di essa, per trovare maggiore luce, energie nuove e maggior gioia nell'adempimento della sua missione e per scoprire i mezzi e le vie migliori che rendono più diretti, efficaci e salvifici i suoi rapporti con l'umanità" (n.1). Dobbiamo ringraziare Dio perché anche la Chiesa del nostro tempo, con la forza dal Signore risorto, si impegna a "svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce" (Lumen gentium LG 8).
Non si deve comunque dimenticare che la Chiesa stessa, quale "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano", è un mistero. Con buona ragione il primo capitolo della Costituzione dogmatica Lumen gentium s’intitola "Il mistero della Chiesa". Non si può, pertanto, riformare la Chiesa in maniera autentica, se non si parte dal presupposto del suo essere mistero. L'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi convocata per i vent'anni dalla chiusura del Concilio ha rievocato ciò che esso aveva ribadito: "In quanto comunione con Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo, la Chiesa è, in Cristo, 'mistero' dell'amore di Dio presente nella storia umana" (Messaggio, II). Questa verità deve ispirare l'insegnamento, il servizio e la cura delle anime di tutta la Chiesa. Su questa convinzione si basano anche i documenti postsinodali del Magistero Pontificio, che intendono promuovere un rinnovamento della Chiesa tale da rispondere ai bisogni contemporanei.
3. Inoltre, si osserva che lo stesso Sinodo speciale del 1985 si sentiva, a ragione, costretto a levare la sua voce ammonitrice. I Vescovi in assemblea sottolineavano che "una lettura parziale e selettiva del Concilio e una presentazione unilaterale della Chiesa come struttura puramente istituzionale, privata dal suo mistero”, hanno causato gravi carenze soprattutto in certe associazioni laiche che "considerano criticamente la Chiesa come pura istituzione" (Documento finale, I,4). Di conseguenza, molti rivendicano il diritto di costruire la Chiesa come se fosse una sorta di “multinazionale” governata da uomini più o meno intelligenti. Ma in realtà la Chiesa come mistero non è la "nostra", ma la "Sua" Chiesa: essa è il popolo di Dio, il corpo di Cristo, il tempio dello Spirito Santo.
Cari Fratelli nell'Episcopato! L’Apostolo Paolo ci esorta: "Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono" (1Th 5,21). Compito del Vescovo è di incoraggiare i sacerdoti e tutti quelli che condividono la responsabilità della cura delle anime a intraprendere iniziative di rinnovamento spirituale delle comunità. Se si corre da un incontro all'altro, senza pausa, ci si esaurisce presto. Quindi, per prevenire l'esaurimento spirituale, è sempre necessario riprendere nuovo respiro attraverso la preghiera. Infatti, la comunità parrocchiale più vivace non è quella con il maggior numero di impegni e di incontri, ma quella che concentra tutta la sua opera sulla propria chiamata a vivere l'unione con Dio Uno e Trino mediante l'ascolto della parola di Dio e la partecipazione ai sacramenti. Questa necessità è stata sottolineata da molti promotori di un'ecclesiologia di comunione ispirata agli insegnamenti del Concilio. In questo compito anche molti teologi del vostro Paese hanno acquistato meriti.
4. Ci troviamo alla fine della preparazione al Grande Giubileo dell'anno 2000. L'anno corrente è dedicato alla prima persona della Santissima Trinità. La riflessione su Dio Padre riporta al concetto di Chiesa espresso da San Cipriano con formula lapidaria: "Non può avere Dio per Padre, chi non ha la Chiesa per madre" (De Ecclesiae catholicae unitate, 6).
Questa affermazione del Vescovo di Cartagine, fatta dopo l'esperienza delle persecuzioni di Decio e le vicende dei lapsi, si conclude con l'auspicio "che nessuno dei fratelli (e delle sorelle) perisca e che la madre gioiosamente racchiuda l'unico corpo del popolo unito nel suo grembo" (Ibid., 23). Siamo tutti consapevoli dello scarto che vi è tra il messaggio affidato alla Chiesa e l’umana fragilità di coloro che l’annunciano. Qualunque sia il giudizio della storia riguardo alle debolezze dei rappresentanti della Chiesa, non dobbiamo dimenticare queste mancanze; al contrario, dobbiamo fare quanto è possibile per impedire che possano nuocere alla diffusione del Vangelo. Perciò "la madre Chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, esortando i figli a purificarsi e rinnovarsi perché l'immagine di Cristo risplenda più chiara sul suo volto" (Lumen gentium LG 15).
325 5. Mentre nella sua sollecitudine la Chiesa, in quanto Mater, è solidale con i suoi figli e figlie, allo stesso tempo essa è anche Magistra. Per questo, possiede l'autorità di educare e di ammaestrare i figli per condurli sulle vie della salvezza. La madre Chiesa partorisce, nutre ed educa i figli e le figlie. Essa li raccoglie dando loro una missione e anche la certezza di trovare rifugio nel grembo materno. Al tempo stesso, essa si rattrista per coloro che l'abbandonano, e tiene aperte le porte per la sempre desiderata riconciliazione. Voi pastori avete una particolare responsabilità. Come "padri delle vostre comunità" avete il diritto e l'obbligo di esercitare "l'autorità materna" della Chiesa. Lo ha detto chiaramente il Concilio Vaticano II: nell'annuncio i Vescovi devono "dimostrare la materna sollecitudine della Chiesa verso tutti gli uomini, sia fedeli sia non fedeli; facendo segno di una particolare premura i poveri ed i più deboli (. . .). E poiché la Chiesa non può non stabilire un colloquio con l'umana società in seno alla quale vive, incombe in primo luogo ai Vescovi il dovere di avvicinare gli uomini e di sollecitare e promuovere un dialogo con essi. Ma perché in questi dialoghi di salvezza la verità vada sempre unita con la carità, e l'intelligenza con l'amore, è necessario non solo che essi si svolgano con chiarezza di linguaggio, con umiltà e con mitezza, ma anche che in essi ad una doverosa prudenza si accompagni una vicendevole fiducia; perché tale fiducia, favorendo l'amicizia, è destinata ad unire gli animi" (Christus Dominus CD 13).
6. All'amore materno della Chiesa deve corrispondere l'obbedienza cordiale dei figli e delle figlie. Nell'epoca contemporanea, mentre negli ambiti non soltanto della società civile ma anche della Chiesa si parla tanto di emancipazione, si sta diffondendo sempre di più una mentalità che ritiene di poter ottenere la vera libertà staccandosi dalla Chiesa. Come Vescovi Voi cercate di correggere tali tendenze erronee, annunciando e testimoniando con chiarezza e fermezza ciò che ha sempre costituito una regola fondamentale per i grandi Santi, i quali pure in momenti difficili non si sono mai staccati dal grembo della madre Chiesa. Vorrei ritornare all'analogia di San Cipriano, completandola: soltanto chi ubbidisce alla madre Chiesa ubbidisce anche a Dio Padre. Il Vescovo di Cartagine sviluppava questo pensiero indicando le gravi conseguenze tuttora possibili: "Ciò che si stacca dal grembo materno non può né vivere né respirare separatamente e perde la possibilità di salvarsi" (De Ecclesiae catholicae unitate, 23).
7. Queste riflessioni non sono avulse dalla realtà. Anche Voi, Pastori dei Vostri greggi in Germania, avete sperimentato, soprattutto in questi anni, che il ministero episcopale diventa particolarmente faticoso e richiede un grande dispendio di energie quando alcuni gruppi tentano di provocare nella Chiesa, attraverso azioni concertate e pressioni insistenti, cambiamenti che non corrispondono alla volontà di Cristo. Di fronte a tali situazioni il compito del Vescovo è di andare avanti, indicando la direzione, chiarendo con pazienza e cercando sempre di unire mediante il dialogo. Vi esorto a non perdere la speranza. Pur ascoltando e assecondando, non permettete che un'autorità umana di qualsiasi genere possa allentare i legami indissolubili che esistono tra Voi e il Successore di Pietro!
A questo punto desidero rivolgere un saluto speciale ai laici. Esprimo il mio profondo apprezzamento ai numerosi uomini e donne che seguono in modo autentico la loro chiamata come stirpe eletta e sacerdozio regale (cfr 1P 2,9). Alla luce del loro comportamento, sottolineo allo stesso tempo quali devono essere gli atteggiamenti dei laici verso i loro Vescovi e sacerdoti. Ai sacri pastori essi "manifestino le loro necessità e i loro desideri con quella libertà e fiducia che si addice ai figli di Dio e ai fratelli in Cristo (. . .). Se occorre, lo facciano attraverso gli organi stabiliti a questo scopo dalla Chiesa, e sempre con verità, fortezza e prudenza, con rispetto e carità verso coloro che, per ragione del loro sacro ufficio, rappresentano Cristo" (Lumen gentium, LG 37).
Infatti, l'unione con il Vescovo è l'atteggiamento essenziale e indispensabile del cattolico fedele. Non ci si può illudere di stare dalla parte del Papa se non si sta anche dalla parte dei Vescovi che sono in comunione con lui. E non si può affermare di stare dalla parte dei Vescovi se non si sta anche con il Capo del Collegio.
8. Rilevo con apprezzamento che da parte Vostra, venerati Fratelli, non mancate di dare testimonianza ai Vostri fedeli per la comunione all'interno della Chiesa. Sono consapevole, infatti, che Vostra preoccupazione primaria è di inserire ogni iniziativa pastorale nel quadro di una piena sintonia con l'Episcopato del mondo intero, stretto intorno al Successore di Pietro.
Penso, in special modo, al problema della difesa della vita, in cui è essenziale che i Vescovi di tutta la Chiesa rendano una testimonianza unanime ed univoca. Dalle Lettere scritte da me o per mio incarico su tale questione sapete, quanto mi stiano a cuore la consulenza e l'aiuto alle donne incinte. Spero che fra poco questa significativa attività della Chiesa nel Vostro Paese sia riordinata in modo definitivo secondo la mia direttiva. Sono convinto che una consulenza ecclesiale, che si distingue per la sua qualità, diventa un segno eloquente per la società e costituisce un mezzo efficace per incoraggiare le donne in difficoltà a non rifiutare la nuova vita che recano nel loro seno.
9. Riflettendo sul rapporto tra i pastori ordinati e i laici nelle categorie del sacerdozio regale, vorrei evocare il sacerdozio comune. Sia ringraziato Dio perché il Concilio Vaticano II ha messo nuovamente in luce questa verità profonda! Nella nuova alleanza c'è un unico sacrificio e un solo sacerdote: Cristo. A questo sacrificio di Cristo partecipano tutti i battezzati, uomini e donne, i quali sono chiamati ad offrire i loro "corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio" (Rm 12,1). Questa partecipazione riguarda non soltanto la missione sacerdotale di Cristo, ma anche la sua missione profetica e regale. Inoltre, si manifesta così pure l'unione organica della Chiesa con Cristo, che nella lettera agli Efesini viene descritta con l'immagine dello sposo e della sposa (cfr Ep 5,12-33).
Ci troviamo qui nel cuore del Mistero pasquale, nel quale si rivela il profondo amore sponsale di Dio. Cristo è lo sposo perché si è donato: per noi ha dato il suo corpo e versato il suo sangue (cfr. Lc Lc 22,19-20). Il fatto che Gesù "amò sino alla fine" (Jn 13,1) esalta il carattere sponsale dell'amore divino. Cristo Salvatore è lo sposo della Chiesa. Possiamo, quindi, considerare l'Eucaristia, nella quale Cristo costruisce il corpo della Chiesa, come il sacramento dello sposo e della sposa.
Ne consegue una differenza fondamentale tra il sacerdozio comune di tutti i battezzati e il sacerdozio dei sacri ministri (cfr Istruzione interdicasteriale circa la collaborazione dei laici al sacro ministero). La Chiesa ha bisogno di sacerdoti ordinati che negli atti sacramentali agiscono "in persona Christi", rappresentando Cristo sposo di fronte alla Chiesa sposa. In altre parole, i sacri pastori, membri dell'unico corpo della Chiesa, rappresentano il suo capo che è Cristo. Perciò ogni tentativo di trasformare lo stato laico in stato clericale, oppure di trasformare il clero in laici, deve essere respinto, perché non è conforme all'ordinamento misterioso voluto dal suo Fondatore. E neanche certe tendenze volte ad annullare la differenza sostanziale tra clero e laici potranno suscitare vocazioni. Cari Fratelli, Vi prego di tenere sempre vivo nelle vostre comunità parrocchiali il desiderio di sacerdoti ordinati. Anche un lungo periodo d'attesa, dovuto all'odierna scarsità di sacerdoti, non deve indurre una comunità parrocchiale alla rassegnazione di fronte allo stato d'emergenza. Entrambi, sacerdoti e laici, hanno bisogno gli uni degli altri: non si possono sostituire, ma soltanto completare reciprocamente.
10. A questo riguardo, vorrei ancora fare un rilievo. Nel Vostro Paese si manifesta un crescente malessere rispetto all'atteggiamento della Chiesa verso il ruolo della donna. Purtroppo non si è ancora diffusa dappertutto la consapevolezza che tutti gli insegnamenti sul sacerdozio comune dei battezzati valgono per gli uomini e le donne in uguale misura. Senza dubbio, la dignità delle donne - che va valorizzata sempre e ancora di più - è grande! Ma i diritti umani e civili della persona sono di natura diversa rispetto ai diritti, i doveri, le funzioni del ministero ecclesiale, e questo fatto viene messo troppo poco in evidenza. Proprio per questo, qualche tempo fa, in forza del mio mandato di confermare i fratelli, ho ricordato che "la Chiesa non possiede nessuna potestà di conferire la consacrazione sacerdotale alle donne e che tutti i fedeli della Chiesa sono tenuti a osservare senza discutere questa decisione" (Ordinatio sacerdotalis, 4).
326 Come autentici Pastori delle Vostre Diocesi avete il dovere di respingere le opinioni contrarie, che da singoli o gruppi vengono proposte, e di promuovere quel dialogo aperto e chiaro nella verità e nell'amore che la madre Chiesa deve continuare in vista della promozione delle sue figlie. Non esitate a ribadire che il Magistero della Chiesa ha preso questa decisione non come un atto del suo potere, ma nella consapevolezza del dovere di ubbidire alla volontà del Signore della Chiesa stessa. Perciò l'insegnamento sul sacerdozio riservato agli uomini riveste il carattere di quella infallibilità che è legata al Magistero ordinario e universale della Chiesa, del quale parlava già la Lumen gentium ed al quale ho dato forma giuridica nel Motu Proprio Ad tuendam fidem: "Ogni qual volta i Vescovi, presi a uno a uno, (. . .) anche dispersi per il mondo, ma conservando il vincolo della comunione tra di loro e col successore di Pietro, si accordano per insegnare autenticamente che una dottrina concernente la fede e i costumi si impone in maniera assoluta, allora esprimono infallibilmente la dottrina di Cristo" (Lumen gentium LG 25 cfr Ad tuendam fidem LG 3).
Comunque, dobbiamo sostenere coloro che non riescono a comprendere o ad accettare l'insegnamento della Chiesa, di modo che aprano il cuore e la mente alla sfida che la fede impone loro. Come maestri autentici della Chiesa, che è madre e maestra, una delle nostre priorità assolute deve essere di sostenere e confermare le nostre comunità nella fede. Se necessario, non dobbiamo esitare a chiarire le confusioni e a correggere le deviazioni. Invoco perciò i doni dello Spirito Santo sui Vostri sforzi, perché siate in grado di conferire al ruolo della donna un'autentica impronta, quale è propria della dottrina cristiana, per il rinnovamento della società e anche per la riscoperta del vero volto della Chiesa.
11. Cari Fratelli! Durante questo incontro abbiamo riflettuto innanzitutto sul mistero della Chiesa. Un mistero che in realtà rimane incomprensibile alla ragionevolezza umana e che soltanto può essere guardato con amore e percepito in profondità con gli occhi della fede. Le immagini della Chiesa come madre, maestra, sposa, corpo ci hanno sempre condotto a Cristo, che è lo Sposo e il Capo della sua Chiesa. E’ soprattutto davanti a Lui che ci sentiamo responsabili svolgendo il nostro ministero pastorale. Perciò le mie parole, rivolteVi durante questi incontri, sono state chiare e schiette. Non vi nascondo che a volte in questi mesi ho provato in me le emozioni dell'Apostolo Paolo quando si rivolgeva alla comunità di Corinto con le ben note parole: "Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e col cuore angosciato, tra molte lacrime, però non per rattristarvi, ma per farvi conoscere l'affetto immenso che ho per voi" (2Co 2,4).
Dite ai Vostri sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose che il Papa è loro vicino! Assicurate agli uomini e alle donne, ai giovani e agli anziani, ai malati e ai portatori di handicap che nel grembo della madre Chiesa tutti possono trovare rifugio. Con amore paziente e fiducioso cercate di sostenere le Chiese locali, affidate a ciascuno di Voi, per condurle come spose al banchetto nuziale del cielo.
Invoco l'intercessione della Vergine Maria, chiedendoLe di proteggere Voi e tutti coloro che sono affidati alle Vostre cure pastorali. Quanta fiducia filiale rivelano le parole di una preghiera antica diffusa nella Vostra patria: "Vergine santa, Madre di Dio e Madre mia, che io sia sempre tuo"!
Accompagni tutti e ciascuno di Voi la Benedizione Apostolica che vi imparto di cuore.
GP2 Discorsi 1999 320