GPII Omelie 1996-2005 91

91

VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (31 MAGGIO - 10 GIUGNO 1997)

SOLENNE INCORONAZIONE DELL'ICONA


DELLA VERGINE MARIA DI KRZESZÓW




Spianata dell'aeroporto di Legnica - Lunedì 2 giugno 1997



1. "L'anima mia magnifica il Signore" (Lc 1,46).

Il Magnificat! Abbiamo riascoltato le parole del cantico nel Vangelo di oggi. Maria dopo l'annunciazione andò a visitare la cugina Elisabetta. E questa, all'udire il saluto di Maria, ebbe una particolare illuminazione. Nel profondo del suo cuore conobbe che la giovane parente portava nel suo seno il Messia. Esclamò, dunque, salutando Maria: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo" (Lc 1,42). Ed allora, rispondendo al saluto di Elisabetta, Maria rende lode a Dio con le parole del Magnificat:

"L'anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio,
mio salvatore . . ." (Lc 1,46-47).

La Chiesa non si stanca di riandare alle parole del cantico. Le ripete, in particolare, ogni giorno nella liturgia vespertina, rendendo grazie a Dio per lo stesso motivo per cui ringraziava Maria: per il fatto che il Figlio di Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. E noi oggi, durante la liturgia della S. Messa a Legnica dei Piast, cantiamo insieme a Maria il Magnificat, per esprimere la nostra gratitudine per il dono dell'incessante presenza di Cristo nell'Eucaristia. Ci incontriamo infatti nell'ambito del Congresso Eucaristico Internazionale di Wroclaw che si è concluso ieri. Con le parole di Maria ringraziamo per ogni bene, in cui abbiamo parte mediante il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore.

Eleviamo questo ringraziamento insieme a tutte le generazioni dei credenti nel mondo intero. Ed è per noi una gioia particolare il fatto che questo inno universale di lode risuoni nella Bassa Slesia è qui, a Legnica. Sono lieto di essere potuto venire qui ad incontrare la comunità cristiana, che da cinque anni fa parte della nuova diocesi di Legnica. Rivolgo parole di cordiale saluto al vostro Pastore, Monsignor Tadeusz, al suo Vescovo ausiliare, ai presbiteri, alle persone consacrate e a tutti i fedeli della diocesi. Saluto anche i pellegrini giunti dalla Germania e dalla Repubblica Ceca e i Serbo Lusazi. Li ringrazio per la loro presenza.

La vostra diocesi è giovane, ma il cristianesimo in queste terre ha una lunga e ricca tradizione. Sappiamo tutti che Legnica è un luogo storico, il posto dove un principe della dinastia dei Piast, Enrico il Pio, figlio di santa Edvige, oppose resistenza agli invasori dall'Est - ai Tartari - fermando la loro marcia pericolosa verso Ovest. Per questo motivo, benché la battaglia fosse sul momento perduta, molti storici la ritengono una delle più importanti nella storia d'Europa. Ha anche un'importanza eccezionale dal punto di vista della fede. E' difficile precisare quali furono i motivi che prevalsero nel cuore di Enrico - la volontà di difendere la terra patria e il popolo tormentato, oppure quella di fermare l'esercito musulmano che minacciava il cristianesimo. Sembra che i due motivi fossero in lui ugualmente presenti. Enrico, dando la vita per il popolo affidato al suo governo, la donava allo stesso tempo per la fede in Cristo. E ciò era una caratteristica significativa della sua pietà, che le generazioni di allora notarono e conservarono nel soprannome.

Questa circostanza storica legata al luogo della nostra liturgia odierna predispone ad una riflessione sul mistero dell' Eucaristia in una prospettiva particolare, nella prospettiva della vita sociale. Al riguardo, insegna giustamente il Concilio: "non è possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della Sacra Eucaristia"; da questa, pertanto, deve "prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità" (Presbyterorum Ordinis PO 6).

Il segno visibile dell' amore è la sollecitudine per ogni bisognoso.

2. "Non sapete, dunque, che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1Co 3,16). Queste parole di san Paolo erano dirette ad una comunità cristiana determinata - quella di Corinto -, ma esse valgono per ogni comunità che si sviluppa in qualsiasi città o villaggio nell'arco dei secoli. Di che cosa vivevano le comunità degli inizi? Da dove ricevevano lo Spirito di Dio? Gli Atti degli Apostoli testimoniano che i cristiani sin dall'inizio erano assidui nella preghiera, nell'ascoltare la parola di Dio e nella frazione del pane, cioè nella liturgia eucaristica (cfr Ac 2,42). In tal modo tornavano ogni giorno al Cenacolo, fino al momento in cui Cristo istituì l'Eucaristia. Da allora l'Eucaristia divenne l'inizio di una nuova costruzione. L'Eucaristia divenne fonte di un legame profondo tra i discepoli di Cristo: era essa ad edificare la "comunione", la comunità del suo Mistico Corpo, radicata nell'amore e dall'amore pervasa. Il segno visibile di tale amore era la sollecitudine quotidiana per ogni persona che si trovasse nel bisogno. La condivisione del pane eucaristico costituiva per i cristiani un invito ed un impegno a condividere anche il pane quotidiano con coloro che ne erano privi. C'era anche chi è come leggiamo negli Atti degli Apostoli -, avendo proprietà e sostanze, " le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno" (Ac 2,45). Quest'attività della prima comunità della Chiesa in tutte le dimensioni della vita sociale era la continuazione della missione di Cristo di portare al mondo una nuova giustizia è la giustizia del regno di Dio.

Compito dei cristiani di questo tempo è portare la luce di Cristo nella vita quotidiana

3. Fratelli e Sorelle! Oggi, mentre celebriamo l'Eucaristia, diventa chiaro anche per noi che siamo chiamati a vivere della stessa vita e dello stesso Spirito. E' questo un grande compito della nostra generazione, di tutti i cristiani di questo tempo: portare la luce di Cristo nella vita quotidiana. Portarla agli "areopaghi moderni", negli enormi terreni della civiltà e cultura contemporanee, della politica e dell'economia. La fede non può essere vissuta soltanto nell'intimo dello spirito umano. Deve trovare la sua espressione esterna nella vita sociale. "Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello" (1Jn 4,20-21). Questo è il grande compito che sta dinanzi a noi, uomini di fede.

Più volte ho trattato le questioni sociali nei discorsi, e soprattutto nelle encicliche: Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis, Centesimus annus. Bisogna, tuttavia, tornare a questi temi, fino a quando nel mondo accade un'ingiustizia, anche piccolissima. Altrimenti la Chiesa non sarebbe fedele alla missione affidatale da Cristo è alla missione della giustizia. Mutano infatti i tempi, mutano le circostanze, ma sempre ci sono in mezzo a noi coloro che hanno bisogno della voce della Chiesa e di quella del Papa, affinché vengano espresse le loro angosce, i loro dolori e le loro miserie. Non possono essere delusi. Devono sapere che la Chiesa era ed è con loro, che è con loro il Papa; che egli abbraccia con il cuore e con la preghiera chiunque sia toccato dalla sofferenza. Il Papa parlerà - e non può non parlare - dei problemi sociali, perchè qui è in gioco l'uomo, la persona concreta.

Parlo di questo anche in Polonia, perchè so che la mia Nazione ha bisogno di questo messaggio sulla giustizia. Oggi, infatti, nel tempo della costruzione di uno Stato democratico, nel tempo di un dinamico sviluppo economico, si scoprono con particolare chiarezza tutte le carenze della vita sociale nel nostro paese. Ogni giorno ci rendiamo conto quanto siano numerose le famiglie provate dall'indigenza, specialmente le famiglie numerose. Quante sono le madri sole, che lottano per mantenere i propri figli!

Quanti sono gli anziani abbandonati e privi di mezzi per vivere! Negli istituti per bambini orfani e abbandonati non mancano coloro che non hanno a sufficienza il pane quotidiano e il vestiario. Come non ricordare i malati, che non possono essere circondati della dovuta cura, a causa della mancanza di mezzi? Nelle strade e nelle piazze aumentano i senzatetto. Non si può lasciar passare sotto silenzio la presenza tra noi di tutti questi fratelli, che fanno pure parte della stessa Nazione e dello stesso Corpo di Cristo. Accostandoci alla tavola eucaristica per nutrirci del suo Corpo, non possiamo rimanere indifferenti riguardo a coloro ai quali manca il pane quotidiano. Bisogna parlare di loro, ma anche bisogna venir incontro alle loro necessità. E' un obbligo che grava specialmente su coloro che esercitano il potere: ad essi, che sono al servizio del bene comune, spetta il compito di stabilire leggi adatte e di dirigere l'economia del Paese, in modo tale che questi fenomeni dolorosi della vita sociale trovino la loro giusta soluzione. Ma è anche nostro comune dovere, un dovere d'amore, quello di portare aiuto, a seconda delle nostre possibilità, a coloro che l'attendono. "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me", dice Cristo (Mt 25,40). "Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me" (Mt 25,45). C'è bisogno della nostra opera cristiana, del nostro amore, affinché Cristo presente nei fratelli non soffra indigenza.

Nel nostro Paese è già stato fatto molto sotto questo aspetto. Anche la Chiesa in Polonia ha fatto e fa molto a questo riguardo. Nell'attività pastorale della Chiesa sono entrate ormai stabilmente le iniziative a favore dei bisognosi, degli infermi, dei senzatetto non soltanto nel Paese, ma anche fuori dei suoi confini. Si stanno sviluppando il volontariato e le opere caritative. Voglio, dunque, esprimere il mio apprezzamento a tutti coloro che - tra il clero, i religiosi ed i laici - dimostrano ogni giorno sensibilità per i bisogni altrui, capacità di una generosa condivisione dei beni e grande impegno a favore dell'altro uomo. Il vostro servizio, spesso nascosto, spesso passato sotto silenzio dai mezzi di comunicazione, rimane sempre segno della credibilità pastorale della missione della Chiesa.

Nonostante questi sforzi, rimane ancora un grande campo d'azione. Vi incoraggio, Fratelli e Sorelle, a destare in voi la sensibilità verso ogni tipo di indigenza, ed a collaborare con generosità nel portare la speranza a tutti coloro che ne sono privi. Che l'Eucaristia sia per voi fonte inesauribile di questa sensibilità e della forza necessaria per attuarla nella vita di ogni giorno.

Chiedo ardentemente a Dio che chi desidera ottenere onestamente il pane con il lavoro abbia le condizioni per farlo.

4. Vorrei soffermarmi un po' sulla questione del lavoro umano. Agli inizi del mio Pontificato ho dedicato a questo problema un'intera Enciclica, la Laborem exercens.Oggi, a sedici anni dalla sua pubblicazione, molti problemi continuano ad essere attuali.

Molti di essi si sono accentuati ancor di più nel nostro Paese. Come non menzionare coloro che in conseguenza della riorganizzazione delle imprese e delle aziende agricole si sono trovati di fronte al dramma della perdita del lavoro? Quante persone e intere famiglie sono cadute per questo in una povertà estrema! Quanti giovani non vedono più una ragione per intraprendere gli studi ed elevare la loro qualifica di studio, di fronte alla prospettiva della mancanza di impiego nella professione scelta! Scrissi nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, che la disoccupazione è il segno del sottosviluppo sociale ed economico degli Stati (cfr. Giovanni Paolo II, Sollicitudo Rei Socialis SRS 18). Perciò bisogna fare tutto il possibile per prevenire questo fenomeno. Il lavoro infatti "è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità -, perchè mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo»" (Giovanni Paolo II, Laborem exercens LE 9). E', tuttavia, anche un obbligo che scaturisce dalla fede e dall'amore, per i cristiani che dispongono di mezzi di produzione, quello di impegnarsi a creare posti di lavoro, contribuendo in tal modo alla soluzione del problema della disoccupazione nell'ambiente più vicino. Chiedo ardentemente a Dio che tutti coloro che desiderano ottenere onestamente il pane con il lavoro delle proprie mani abbiano le condizioni adatte per farlo.

Accanto al problema della disoccupazione vi è poi l'atteggiamento di chi considera il lavoratore come uno strumento di produzione, con la conseguenza che l'uomo è offeso nella sua dignità di persona. In pratica, questo fenomeno prende la forma dello sfruttamento. Spesso esso si manifesta in modalità di impiego in cui non soltanto non è garantito al lavoratore alcun diritto, ma questi è sottoposto ad un tale senso di provvisorietà e di timore della perdita del lavoro da essere praticamente privato di ogni libertà di decisione. Più volte questo sfruttamento si manifesta, inoltre, nella fissazione di un tale orario di lavoro da privare il lavoratore del diritto al riposo e della sollecitudine per il bene spirituale della famiglia. A ciò s'unisce spesso anche un'ingiusta paga, insieme con negligenze nel campo delle assicurazioni e dell'assistenza sanitaria. Né mancano casi in cui, specialmente per quanto concerne le donne, è negato il diritto al rispetto della dignità della persona.

Il lavoro umano non può essere trattato solamente come una forza necessaria alla produzione - la cosiddetta "forza lavorativa". L'uomo non può essere visto come strumento di produzione. L'uomo è creatore del lavoro e suo artefice. Occorre far di tutto affinché il lavoro non perda la dignità sua propria. Il fine del lavoro - di ogni lavoro - è l'uomo stesso. Grazie ad esso, egli dovrebbe poter perfezionare ed approfondire la propria personalità. Non ci è lecito dimenticare - e questo lo voglio dire con fermezza - che il lavoro è "per l'uomo" e non l'uomo "per il lavoro". Dio ci pone dinanzi dei grandi compiti, esigendo da noi la testimonianza nel campo sociale. Come cristiani, come persone che credono, dobbiamo sensibilizzare le nostre coscienze di fronte ad ogni specie di ingiustizia e ad ogni forma di sfruttamento palese o camuffato.

Qui mi rivolgo prima di tutto a quei fratelli in Cristo che danno lavoro agli altri. Non vi lasciate ingannare dalla visione di un profitto immediato, a spese degli altri. Guardatevi da ogni segno di sfruttamento. Altrimenti ogni condivisione del Pane eucaristico diventerà per voi un rimprovero e un'accusa. A quanti, invece, intraprendono un lavoro, ogni tipo di lavoro, dico: eseguitelo in modo responsabile, onesto e accurato. Assumetevi i vostri doveri in spirito di collaborazione con Dio nell'opera della creazione del mondo. "Soggiogate la terra" (cfr Gn 1,28). Assumetevi il lavoro con senso di responsabilità per la promozione del bene comune, che deve servire non soltanto a questa generazione, ma a tutti coloro che in futuro abiteranno questa terra - la nostra terra patria -, la Polonia.

Non abbiate paura
di assumervi
le responsabilità
della vita sociale:
andate con coraggio
verso il mondo.

5. "Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perchè tu viva e ti moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica" (Dt 30,15-16) - queste parole del testamento di Mosè risuonano oggi con grande forza nella nostra Patria. "Scegli dunque la vita!" (Dt 30,19), esorta Mosè.

Su quale strada andremo nel terzo millennio? "Io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male", dice il Profeta. Fratelli e Sorelle, vi prego: "scegliete, dunque, la vita"! Questa scelta si compie nel cuore, nella coscienza di ogni uomo, ma non rimane senza un'influenza anche sulla vita di una società - di una nazione. Dunque, ogni credente è in qualche modo responsabile della forma della vita sociale. Un cristiano che vive di fede, che vive di Eucaristia, è chiamato a costruire il futuro proprio e quello della sua Nazione - un futuro basato sulle solide fondamenta del Vangelo. Non abbiate dunque paura di assumervi la responsabilità della vita sociale nella nostra Patria. Questo è il grande compito che sta davanti all'uomo: andare con coraggio verso il mondo; porre le basi del futuro: affinché esso sia il tempo del rispetto per l'uomo; un tempo aperto alla Buona Novella! Fatelo con l'unanimità che nasce dall'amore per l'uomo e dall'amor di Patria.

Al tramonto di questo secolo, occorre "un grande atto e una grande opera", - così un giorno scriveva Stanislaw Wyspianski (Przy wielkim czynie i przy wielkim dziele) - per permeare la civiltà in cui viviamo con lo spirito di giustizia e di amore. C'è bisogno di "un grande atto e una grande opera", affinchè la cultura contemporanea si apra largamente alla santità, affinchè coltivi la dignità umana, insegni il contatto con la bellezza. Costruiamo sul Vangelo, per poter, insieme alle successive generazioni di Polacchi viventi in una Patria libera e prospera, ringraziare Dio insieme al Salmista:

"Ti voglio benedire [Signore] ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Grande è il Signore e degno di ogni lode,
la sua grandezza non si può misurare.
Una generazione narra all'altra le tue opere,
annunzia le tue meraviglie" (Sal 144[145], 2-4).
Gesù e Maria regnino
nei nostri cuori e nella vita della Polonia

6. "L'anima mia magnifica il Signore"! Durante il Congresso Eucaristico Internazionale in Bassa Slesia, insieme a Maria rendiamo grazie per l'Eucaristia è fonte dell'amore sociale. L'espressione di tale unità sia l'incoronazione dell'immagine miracolosa della Madonna delle Grazie di Krzeszów.

Il Santuario di Krzeszów è stato fondato da Anna, vedova di Enrico il Pio, un anno dopo la battaglia di Legnica. Già nel XIII secolo davanti all'immagine della Madre Santissima si radunavano le schiere dei pellegrini. E già allora il santuario veniva chiamato Domus Gratiae Mariae. Veramente era la Casa della Grazia distribuita con generosità dalla Madre di Dio, dove giungevano numerosi i pellegrini di vari paesi, specialmente i Boemi, i Tedeschi, i Serbo Lusazi e i Polacchi. Siamo lieti che anche oggi la Madre di Dio abbia riunito numerosi pellegrini di queste nazioni confinanti tra loro.

Che questo segno dell'imposizione delle corone sul capo di Maria e del Bambino Gesù, sia espressione della nostra gratitudine per i benefici divini, che così copiosi hanno ricevuto e sempre ricevono i devoti di Maria che si affrettano alla Casa della Grazia di Krzeszów. Sia esso anche segno dell'invito, da noi rivolto a Gesù e a Maria, a regnare nei nostri cuori e nella vita della nostra Nazione. Affinchè tutti diveniamo tempio di Dio e coraggiosi testimoni del suo amore per gli uomini.

Il saluto del Papa al termine della Santa Messa a Legnica

Ringrazio la Divina Provvidenza per questo bell' incontro eucaristico illuminato dal sole. Desidero salutare tutti gli abitanti della terra di Legnica. La maggior parte di voi è arrivata qui dopo la guerra. Nonostante molte difficoltà avete coltivato la vita religiosa e la cultura polacca. Oggi esprimo a tutti voi la gratitudine per questo atteggiamento caratterizzato da profonda fede e da sincero amore verso la Patria.

Saluto gli ex deportati in Siberia e le loro famiglie che sono qui presenti. Nel territorio della diocesi di Legnica vivono molte persone che attingendo la forza dalla fede hanno vissuto l' esperienza della Siberia e le pesanti prove degli anni della guerra e del dopoguerra e dei terribili campi di concentramento. Solo grazie alla fede siete sopravvissuti alle terribili condizioni della "terra disumana", sulla quale vi è toccato di vivere a volte anche per lunghi anni. Che il Buon Dio vi ricompensi per le vostre sofferenze e dia ai morti l' eterno riposo.

Saluto gli ex prigionieri del campo di concentramento Gross-Rosen (Rogoznica). Questo campo si trova nel territorio dell' odierna diocesi di Legnica. In difficili condizioni, specialmente nelle cave dove veniva estratto il granito, hanno lavorato in quel campo uomini di varie nazionalità, e tra di loro anche polacchi: sacerdoti e laici. Molti sono morti. E' bene che vi ricordiate di quel luogo in cui l'uomo è stato profondamente degradato, ma in cui si è anche manifestata la grandezza dello spirito umano.

Ci sono qui anche i minatori e gli operai dell' acciaieria di Walbrzych e dei dintorni, e della regione delle miniere di rame. Vi saluto tutti, fratelli e sorelle, come pure saluto tutto il mondo del lavoro della terra di Legnica. Dio sia con voi! Desidero salutare in modo particolare i nostri ospiti. Ci sono tra di loro il Segretario di Stato, il Primate, il Metropolita di Wroclaw , il Card. Maida di Detroit, negli Stati Uniti, il Card. Vlk di Praga, il Card. Meisner di Colonia, il Card. Macharski di Cracovia e molti altri Vescovi della Polonia e del mondo. Ringrazio tutti per la solidarietà dimostrata nei confronti della Chiesa di Legnica. Un particolare augurio a Mons. Adam Kozlowiecki, dallo Zambia, in occasione del 60° anniversario di sacerdozio.

Ci sono qui molti gruppi organizzati dell' intera diocesi di Legnica. A tutti mando una parola di saluto.

Ringrazio le autorità del voivodato e della città e tutti coloro che hanno preparato l'odierna celebrazione. Che la Madonna delle Grazie, la cui immagine abbiamo oggi incoronato, vegli sulla vostra fede e sostenga ognuno di voi e tutta la giovane diocesi di Legnica nella realizzazione dei compiti che la Divina Provvidenza vi affida nel nostro tempo.

Dio vi ricompensi per la profonda esperienza eucaristica di oggi. Dio vi benedica tutti.


92

VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (31 MAGGIO - 10 GIUGNO 1997)

CELEBRAZIONE DELLA PAROLA




Spianata della Chiesa dei Primi Martiri Polacchi (Gorzów)

Lunedì, 2 giugno 1997



1. "Chi ci separerà . . . dall'amore di Cristo?" (Rm 8,35). E' la domanda posta da san Paolo nella Lettera ai Romani.

Oggi la ripetiamo nella liturgia, in occasione della visita alla Chiesa di Gorzów Wielkopolski. Nello spirito di questo amore, saluto cordialmente tutto il Popolo di Dio della diocesi. Saluto il Vescovo Adam, Pastore di questa Chiesa, e i suoi Vescovi ausiliari, il clero, ed anche i pellegrini giunti dalle diocesi vicine e dall'estero. Sono lieto di poter pregare oggi insieme con voi, celebrando questa Liturgia della Parola. Rendo grazie alla Divina Provvidenza per questo incontro.

Ringrazio i Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi che partecipano al nostro incontro.

La vostra comunità ha come patroni alcuni martiri, che è accanto a sant'Adalberto - sono i più antichi testimoni di Cristo in terra polacca. La tradizione della Chiesa ha conservato il ricordo di questi eremiti, i cui nomi erano: Benedetto, Giovanni, Matteo, Isacco e Cristino. Essi vissero qui, dalle parti vostre, ai tempi di Boleslao il Prode. Come la morte per martirio di sant'Adalberto, così anche il loro martirio è stato descritto nella cronaca di san Bruno di Querfurt, apostolo e Vescovo missionario che, ai tempi di Boleslao il Prode, svolse un'opera di evangelizzazione nei territori della Polonia occidentale e a nord. Vengono chiamati Fratelli Polacchi, benché tra loro fossero degli stranieri. Due di essi vennero in Polonia dall'Italia, per trapiantare qui la vita monastica secondo la regola di san Benedetto. La loro morte per martirio, accanto a quella di sant'Adalberto, si pone in un certo senso alla soglia del millennio del cristianesimo nelle nostre terre.

2. I martiri sono eccezionali testimoni del Dio Altissimo, Padre e Figlio e Spirito Santo. Il testo della Lettera ai Romani appena letto ci ricorda il mistero trinitario da cui prende inizio la redenzione del mondo. Dio, scrive l'Apostolo, "non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi"; sulla base di questa constatazione, Paolo poi domanda: "Come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?" (Rm 8,32). Ecco: Gesù Cristo, che per noi morì e il terzo giorno risuscitò, sta alla destra di Dio e intercede per noi. Proprio da questo amore di Cristo nulla ci potrà separare (cfr Rm 8,34-35). Siamo ad esso uniti mediante la fede. E questa fede nella potenza redentrice della morte e della risurrezione di Cristo è la fonte della vittoria: "In tutte le cose noi riportiamo la piena vittoria grazie a colui che ci ha amati" (cfr Rm 8,37). Il suo amore redentore ci unisce a Dio. Esso è la fonte della nostra giustificazione. Da esso attingiamo la certezza della vittoria annunciata dall'Apostolo.

Questa certezza della vittoria l'ebbero i primi martiri in terra polacca. L'ebbero i martiri della Chiesa di tutti i tempi. Mentre, tuttavia, ammiriamo la loro testimonianza, da cui appare che "l'amore è più forte della morte" (cfr Ct 8,6), nel cuore di ciascuno di noi nasce spontanea la domanda: mi basterebbe la fede, la speranza e la carità che posseggo, per dare una testimonianza così eroica? Sembra che la risposta venga dalla preghiera liturgica che ho appena recitato: "O Dio, tu hai santificato gli albori della fede nella nazione polacca con il sangue dei santi martiri Benedetto, Giovanni, Matteo, Isacco e Cristino; sostieni con la tua grazia la nostra debolezza, affinché imitando i martiri che per te non esitarono a morire, ti professiamo coraggiosamente con la nostra vita". E' Dio colui che con la sua grazia sostiene la nostra debolezza. Lui, con la potenza del suo spirito ci rafforza, affinché siamo capaci di rendere con coraggio una testimonianza di fede.

3. "In tutte le cose noi riportiamo la piena vittoria grazie a colui che ci ha amati" (cfr Rm 8,37). Fratelli e Sorelle, là dove non è richiesta la testimonianza del sangue, ancor più leggibile dovrà essere la testimonianza della vita quotidiana. Si deve testimoniare Dio con le parole e con i fatti dovunque, in ogni ambiente: in famiglia, nei luoghi di lavoro, negli uffici e nelle scuole. Nei luoghi dove l'uomo fatica e dove riposa. Bisogna confessare Dio mediante la fervente partecipazione alla vita della Chiesa; attraverso la premura per chi è debole e per chi soffre, ed anche assumendosi la responsabilità per le questioni pubbliche, in spirito di sollecitudine per il futuro della nazione, edificato sulla verità del Vangelo. Un atteggiamento di questo genere esige una fede matura, un impegno personale. Chiede di realizzarsi in fatti concreti. A volte, un atteggiamento così deve essere pagato con l'eroismo di una totale abnegazione. Anche nei nostri tempi e nella nostra vita non abbiamo forse sperimentato varie forme di umiliazioni, per mantenere la fedeltà a Cristo e in tal modo conservare la dignità cristiana? Ogni cristiano è chiamato, sempre e dovunque lo pone la Provvidenza, a riconoscere Cristo davanti agli uomini (cfr Mt 10,32).

Come non ricordare qui la testimonianza di fedeltà alla tradizione e alla Chiesa, che davate in tempi per voi molto difficili? Molti di voi portano nel cuore le dolorose esperienze della seconda guerra mondiale. Dopo la fine della guerra, in questi territori in un certo senso ricominciavate una nuova vita, venendo da varie parti della Polonia, e perfino da fuori dei suoi confini. Sradicati dai vostri territori d'origine, avete tuttavia conservato le radici della fede. Nel difficile periodo delle trasformazioni foste vicini alla Chiesa, che cercava di venir incontro ai vostri bisogni spirituali e materiali, come una buona madre premurosa per i propri figli. Esprimo la mia gratitudine al clero e alle religiose, che non esitarono a lasciare le diocesi d'origine per intraprendere qui un generoso servizio. Aiutavate insieme a costruire la casa comune, non soltanto quella materiale, ma prima di tutto quella spirituale, nei cuori degli uomini. Nei momenti difficili eravate il sostegno di questa gente, portando loro la luce della fede e indicando Cristo come unica fonte di speranza. Non posso qui elencare tutti i nomi, ma voglio almeno ricordare con gratitudine il defunto Monsignor Wilhelm Pluta, grande Pastore di questa diocesi. Fu in un certo senso lui a porre le fondamenta di questa diocesi, in tempi molto difficili per il nostro Paese. Per lunghi anni governò la Chiesa di Gorzów, prima come Amministratore, e poi come suo primo Vescovo. Oggi è certamente qui con noi. Ti ringrazio, Vescovo Wilhelm, per quanto hai fatto per la Chiesa in queste terre. Ti ringrazio per la tua fatica, per il tuo coraggio, per la tua saggezza e per la tua grande religiosità. Ti ringrazio anche per quanto hai fatto per la Chiesa in Polonia.

Un grande contributo allo sviluppo della vita religiosa in questi territori è venuto dal vostro Seminario Maggiore, dalle cui mura sono uscite schiere di sacerdoti così attesi e tanto necessari qui. Oggi tutto questo produce una messe abbondante. Rendiamo grazie alla Divina Provvidenza perchè oggi la Chiesa nella vostra diocesi si sviluppa così rigogliosa. Questa terra ai suoi albori fu bagnata dal sangue dei santi martiri Fratelli Polacchi, i quali come fiaccole ardenti guidano oggi la vostra Chiesa verso i tempi nuovi. I tempi nuovi, il terzo millennio che si sta approssimando, continueranno a richiedere la vostra testimonianza. Davanti a voi saranno dei nuovi compiti. Non abbiate paura di assumerli.

I compiti che Dio ci pone dinanzi sono a misura di ciascuno di noi. Non superano le nostre possibilità. Dio ci viene in aiuto nei momenti della nostra debolezza. Solo Lui la conosce veramente. La conosce meglio di noi stessi, e tuttavia non ci respinge. Al contrario, nel suo amore misericordioso si china sull'uomo, per confortarlo. Questo conforto l'uomo lo riceve attraverso il vivo contatto con Dio. Vorrei richiamare la vostra particolare attenzione su questo aspetto. In mezzo alle solite occupazioni umane non possiamo perdere il contatto con Cristo. Abbiamo bisogno di momenti speciali destinati esclusivamente alla preghiera. La preghiera è indispensabile, sia nella vita personale che nell'apostolato. Non vi può essere testimonianza cristiana autentica, senza prima essere stati corroborati dalla preghiera. Essa è fonte di ispirazione, di energia, di coraggio di fronte alle difficoltà e agli ostacoli; è fonte della perseveranza e della capacità di prendere iniziative con forze rinnovate.

La vita di preghiera si nutre innanzitutto della partecipazione alla liturgia della Chiesa. Per potersi sviluppare, la vita interiore richiede la partecipazione alla Santa Messa e l'uso del Sacramento della Riconciliazione. In questo modo tutta è l'esistenza viene pervasa da Cristo: da Lui stesso, dalla sua grazia. Infatti è stato Lui a dire: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Jn 6,56). L'Eucaristia è il cibo spirituale da cui attingiamo in modo particolare la forza spirituale nel cammino della testimonianza e possiamo portare frutto abbondante. Perciò è così importante la partecipazione alla Santa Messa domenicale. Né le preoccupazioni familiari, né altre questioni dovrebbero rimanere fuori dell'ambito della vita spirituale. Ogni attività umana acquista in Cristo un più profondo significato, divenendo autentica testimonianza. Radicata nello spirito di preghiera, l'anima si apre, di conseguenza, al Dio infinito ed eterno. Vuole servire questo Dio e da Lui attingere la forza e la luce perchè il suo agire sia cristiano. Grazie alla fede, riconosciamo nella nostra vita l'attuazione del piano divino dell'amore, scopriamo la costante premura del Padre, che è nei cieli.

Cari Fratelli e Sorelle, i Fratelli Polacchi martiri ci danno l'esempio di una tale vita. Furono proprio essi, Benedetto, Giovanni, Matteo, Isacco e Cristino nel silenzio dei loro eremi, a dedicare molto tempo alla preghiera e in questo modo si prepararono al grande compito che Dio nei suoi inscrutabili disegni aveva loro preparato: a dare la somma testimonianza a Lui, ad offrire la vita per il Vangelo. I Fratelli Polacchi - come li chiamiamo - mediante il loro tributo di sangue, offerto a Dio agli inizi della nostra nazione e della Chiesa in questa nazione, volevano dire a tutti quelli che sarebbero venuti dopo che per dare testimonianza a Cristo occorre prepararsi. La testimonianza, infatti, nasce, matura e si nobilita nell'atmosfera di preghiera, di quel profondo e misterioso colloquio con Dio. In ginocchio! Non si può mostrare Cristo agli altri, se prima non lo si è incontrato nella propria vita. Soltanto allora la testimonianza avrà vero valore. Diventerà germoglio per l'umanità, sale della terra e luce che dirada le tenebre ai nostri fratelli in cammino sulle vie di questo mondo.

"Chi ci separerà . . . dall'amore di Cristo?". Così esclama oggi per noi san Paolo. Che questo grido penetri fino in fondo ai cuori e alle menti! Siate vigilanti, affinché nulla vi separi da quest'amore: nessun falso slogan, nessuna ideologia errata, nessun cedimento alla tentazione di scendere a compromessi con ciò che non è da Dio, o con la ricerca del proprio tornaconto. Respingete tutto ciò che distrugge e indebolisce la comunione con Cristo. Siate fedeli ai comandamenti di Dio e agli impegni del Battesimo.

4. "E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima" (Mt 10,28). Sono parole di Cristo, tratte dal Vangelo di Matteo. La Chiesa le riferisce ai martiri, e nel nostro contesto a sant'Adalberto e ai santi Fratelli Polacchi. Il martirio è la più alta espressione della fortezza di un uomo che, collaborando con la grazia, si rende capace di una testimonianza eroica. Nel martirio la Chiesa vede "un segno preclaro" della sua santità. Un segno prezioso per la Chiesa e per il mondo, "perchè aiuta ad evitare il più grave pericolo che può toccare all'uomo: il pericolo della confusione del bene e del male, il che rende impossibile costruire e conservare l'ordine morale dei singoli e delle comunità. Sono proprio i martiri, ed insieme a loro tutti i santi della Chiesa, grazie all'esempio eloquente ed affascinante della loro vita, a costruire il senso morale. Mediante la loro testimonianza resa al bene, diventano rimprovero per tutti coloro che trasgrediscono la legge" (cfr Giovanni Paolo II, Veritatis splendor VS 93). Guardando all'esempio dei martiri, non abbiate paura di rendere testimonianza. Non abbiate paura della santità. Abbiate il coraggio di aspirare alla piena misura dell'umanità. Esigetelo da voi stessi, anche se altri non dovessero esigerlo da voi!

L'uomo ha un naturale timore non soltanto della sofferenza e della morte, ma anche delle opinioni diverse dalle sue, specialmente se diffuse con mezzi di comunicazione così potenti da diventare mezzi di pressione. Perciò spesso egli preferisce adattarsi all'ambiente, alla moda vigente, piuttosto che correre il rischio di testimoniare la fedeltà al Vangelo di Cristo. I martiri ricordano che la dignità della persona umana non ha prezzo; è una dignità che "non è mai permesso di svilire o di contrastare, sia pure con buone intenzioni, qualunque siano le difficoltà" (Veritatis splendor VS 92). "Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la propria anima?" (Mc 8,36). Perciò ripeto con Cristo ancora una volta: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima" (Mt 10,28). La dignità della coscienza non è più importante di qualsiasi profitto esteriore? I Fratelli Polacchi martiri, che ricordiamo oggi nella liturgia, sant'Adalberto, san Stanislao, sant'Andrea Bobola, san Massimiliano Maria Kolbe e i martiri di ogni tempo, tutti testimoniano il primato della coscienza e la sua indistruttibile dignità, il primato dello spirito sul corpo, il primato dell'eternità sulla temporalità. Ciò che accadde qui all'inizio di questo millennio del cristianesimo, ai tempi di Boleslao il Prode, ha trovato molte volte una eco nella storia e, da ultimo, anche nella storia del nostro secolo. Quanti sono stati in questo secolo coloro, uomini e donne, che hanno confessato eroicamente Cristo davanti agli altri! Crediamo che la morte che subirono per essere fedeli alla propria coscienza, per essere fedeli a Cristo, troverà una risposta nei cuori dei credenti: la loro testimonianza rafforzerà i deboli e i pusillanimi, sarà la semina di una nuova vitalità della Chiesa in questa terra dei Piast. Cristo ci assicura che riconoscerà davanti al Padre celeste tutti coloro che non hanno esitato a riconoscerlo davanti agli uomini (cfr Mt 10,32-33), anche a costo di massimi sacrifici. Cristo ci mette in guardia anche contro il rinnegamento della fede e contro la rinuncia a testimoniarlo davanti agli altri. E la Chiesa intera attinge oggi le grazie in virtù della mediazione dei martiri. La Chiesa intera gioisce per la loro coraggiosa confessione di fede, nella quale trova conforto la nostra debolezza. E' per noi il segno della speranza!

"Chi ci separerà . . . dall'amore di Cristo? . . . Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore" (Rm 8,35 Rm 8,38-39).

Al termine dell' omelia il Papa ha aggiunto le parole che pubblichiamo in una nostra traduzione italiana:

Miei cari, quando vedo questa grande assemblea del popolo di Dio della diocesi di Gorzów, mi tornano alla memoria i tempi passati, ma non troppo lontani. Mi torna alla memoria il Millennio del Battesimo che abbiamo celebrato insieme qui nel 1966. E proprio allora noi tutti Vescovi polacchi abbiamo imparato a conoscere la nostra Patria. Abbiamo imparato a conoscere, una dopo l' altra, tutte le diocesi polacche. Dappertutto abbiamo cantato insieme "Te Deum Laudamus". Oggi desidero da qui ringraziare per quel particolare dono quale era per me il Millennio polacco.

Il 16 ottobre del 1978, memoria liturgica della santa Edvige di Slesia, durante il Conclave, dopo la mia elezione, il Primate del Millennio mi ha detto: "Ora devi condurre la Chiesa nel Terzo Millennio". E per questo motivo, miei cari sono venuto in Polonia. Sono venuto al Congresso Eucaristico di Wroclaw. Sono venuto per andare a Gniezno alle celebrazioni del Millennio di sant'Adalberto. Sono venuto per chiedere su questi itinerari millenari la grazia di poter compiere quella missione che forse la

Divina Provvidenza mi ha affidato nelle parole del grande Primate del Millennio. Ma, cari miei, gli anni passano e voi dovete supplicare Dio in ginocchio affinché io possa riuscirci.

Il saluto del Papa al termine della Celebrazione della Parola a Gorzów

Al termine della Celebrazione della Parola a Gorzów, Giovanni Paolo II ha salutato i numerosi fedeli presenti con le parole che pubblichiamo in una nostra traduzione italiana:

Per concludere desidero esprimere la mia gioia per aver potuto pregare insieme con voi. Ringrazio la Divina Provvidenza per quest' incontro a Gorzów. Molti ricordi mi legano alla vostra diocesi. Essa è immersa nella bellissima natura che ho potuto ammirare durante le mie gite a piedi e soprattutto durante quelle con il kajak. Questi ricordi rimangono per sempre nel mio cuore e nella mia preghiera. La terra di Gorzów è molto bella. Ringrazio questa terra perchè è stata sempre ospitale e cordiale con me.

Quei legami che mi univano allora alla vostra diocesi oggi si rinnovano mentre guardo voi qui riuniti in così gran numero in questa grande piazza davanti alla chiesa dei Fratelli Polacchi martiri.

Questi ricordi si rinnovano mentre vedo tra i vescovi Mons. Jerzy Stroba, Mons. Ignacy Jez, Mons. Józef Michalik. Saluto molti sacerdoti che conosco ma che mi sarebbe difficile elencare per nome.

Saluto tutti coloro che sono qui presenti. Ci sono tra di voi anche gli ex combattenti e i rappresentanti delle organizzazioni degli ex combattenti venuti dalla Polonia e dall'estero. Ringraziamo oggi questi figli della nostra Nazione per tutti i loro sacrifici offerti senza risparmio nella difesa dei valori più alti: della libertà e della dignità dell' uomo.

Con particolare affetto pensiamo agli ex deportati in Siberia, alle loro famiglie, a quelli di loro che sono qui presenti e a coloro che si trovano in altre parti della Polonia oppure all' estero.

Si potrebbero ricordare tante altre cose, ma bisogna finire.

Dio benedica tutta la vostra terra alla quale devo così tanto. Sia lodato Gesù Cristo.
93
GPII Omelie 1996-2005 91