GPII Omelie 1996-2005 266
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Giovedì 29 giugno 2000
1. "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16,15).
Questa domanda circa la sua identità Gesù la pone ai discepoli, mentre si trova con loro nell'alta Galilea. Era accaduto più volte che fossero loro a porre delle domande a Gesù; ora è Lui che li interpella. La sua è una domanda precisa, che attende una risposta. Per tutti prende la parola Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).
La risposta è straordinariamente lucida. Vi si rispecchia in modo perfetto la fede della Chiesa. In essa ci rispecchiamo anche noi. In modo particolare, si rispecchia nelle parole di Pietro il Vescovo di Roma, per volontà divina suo successore. E intorno a lui e con lui, vi rispecchiate in tali parole voi, cari Arcivescovi Metropoliti, qui convenuti da tante parti del mondo per ricevere il Pallio nella solennità dei santi Pietro e Paolo.
A ciascuno di voi rivolgo il mio più cordiale saluto; saluto che volentieri estendo a quanti vi hanno accompagnato a Roma ed alle vostre Comunità, spiritualmente a noi unite in questa solenne circostanza.
2. "Tu sei il Cristo!". Alla confessione di Pietro Gesù replica: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).
Beato te, Pietro! Beato, perché questa verità, che è centrale nella fede della Chiesa, non poteva emergere nella tua consapevolezza di uomo, se non per opera di Dio. "Nessuno - ha detto Gesù - conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27).
Noi riflettiamo su questa pagina di Vangelo singolarmente densa: il Verbo incarnato aveva rivelato il Padre ai suoi discepoli; ora è il momento che lo stesso Padre rivela ad essi il Figlio suo unigenito. Pietro accoglie l'illuminazione interiore e proclama con coraggio: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"!
Queste parole sulle labbra di Pietro provengono dal profondo del mistero di Dio. Rivelano l'intima verità, la vita stessa di Dio. E Pietro, sotto l'azione dello Spirito divino, diventa testimone e confessore di questa sovrumana verità. La sua professione di fede costituisce così la solida base della fede della Chiesa: "Su di te edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18). Sulla fede e sulla fedeltà di Pietro è edificata la Chiesa di Cristo.
Ne era ben consapevole la prima comunità cristiana che, come narrano gli Atti degli Apostoli, quando Pietro si trovò in prigione, si raccolse per elevare a Dio una preghiera accorata per lui (cfr Ac 12,5). Fu ascoltata, perché la presenza di Pietro era ancora necessaria alla comunità che muoveva i suoi primi passi: il Signore inviò il suo angelo a liberarlo dalle mani dei persecutori (cfr ibid., 12, 7-11). Era scritto nei disegni di Dio che Pietro, dopo aver confermato a lungo nella fede i suoi fratelli, avrebbe ricevuto il martirio qui a Roma, insieme con Paolo, l'Apostolo delle genti, anch'egli più volte scampato alla morte.
3. "Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili" (2Tm 4,17). Sono parole di Paolo al fedele discepolo Timoteo: le abbiamo ascoltate nella seconda Lettura. Esse rendono testimonianza dell'opera in lui compiuta dal Signore, che lo aveva scelto come ministro del Vangelo, "afferrandolo" sulla via di Damasco (cfr Ph 3,12).
Avvolto in una luce sfolgorante, il Signore gli si era presentato dicendo: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (Ac 9,4), mentre una potenza misteriosa lo gettava a terra (cfr Ac 9,5). "Chi sei, o Signore?", aveva chiesto Saulo. "Io sono Gesù, che tu perseguiti!" (Ac 9,5). Fu questa la risposta di Cristo. Saulo perseguitava i seguaci di Gesù e Gesù gli faceva sapere che era Lui stesso ad essere perseguitato in loro. Lui, Gesù di Nazareth, il Crocifisso, che i cristiani affermavano essere risorto. Se, ora, Saulo ne sperimentava la potente presenza, era chiaro che Dio l'aveva realmente risuscitato dai morti. Era proprio Lui il Messia atteso da Israele, era Lui il Cristo vivo e presente nella Chiesa e nel mondo!
Avrebbe potuto Saulo con la sola sua ragione comprendere tutto ciò che un simile evento comportava? Certamente no! Era parte infatti dei disegni misteriosi di Dio. Sarà il Padre a dare a Paolo la grazia di conoscere il mistero della redenzione, operata in Cristo. Sarà Dio a permettergli di capire la stupenda realtà della Chiesa, che vive per Cristo, con Cristo e in Cristo. Ed egli, diventato partecipe di questa verità, non cesserà di proclamarla instancabilmente fino agli estremi confini della terra.
Da Damasco Paolo inizierà il suo itinerario apostolico che lo porterà a diffondere il Vangelo in tante parti del mondo allora conosciuto. Il suo slancio missionario contribuirà così alla realizzazione del mandato di Cristo agli Apostoli: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni..." (Mt 28,19).
4. Carissimi Fratelli nell'Episcopato venuti per ricevere il Pallio, la vostra presenza pone in eloquente risalto la dimensione universale della Chiesa scaturita dal comando del Signore: "Andate ... e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19).
Voi provenite, infatti, da quindici Paesi di quattro continenti, e siete stati chiamati dal Signore ad essere Pastori di Chiese Metropolitane. L'imposizione del Pallio ben sottolinea il particolare vincolo di comunione che vi lega alla Sede di Pietro e manifesta l'indole cattolica della Chiesa.
Ogni volta che indosserete questi Palli, ricordate, Fratelli carissimi, che come Pastori siamo chiamati a salvaguardare la purezza del Vangelo e l'unità della Chiesa di Cristo, fondata sulla "roccia" della fede di Pietro. A questo ci chiama il Signore; questa è la nostra irrinunciabile missione di guide previdenti del gregge che il Signore ci ha affidato.
5. La piena unità della Chiesa! Sento echeggiare in me la consegna di Cristo. E' una consegna quanto mai urgente in quest'inizio di nuovo millennio. Per questo preghiamo ed operiamo senza mai stancarci di sperare.
Con questi sentimenti, abbraccio e saluto con affetto la delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, venuta per celebrare con noi la memoria liturgica di Pietro e di Paolo. Grazie, venerati Fratelli, per la vostra presenza e per la vostra cordiale partecipazione a questa solenne Celebrazione liturgica. Ci conceda Iddio di pervenire quanto prima alla piena unità di tutti i credenti in Cristo.
Ci ottengano questo dono gli Apostoli Pietro e Paolo, che la Chiesa di Roma ricorda in questo giorno, nel quale si fa memoria del loro martirio, e perciò della loro nascita alla vita in Dio. Per il Vangelo essi hanno accettato di soffrire e di morire e sono diventati partecipi della risurrezione del Signore. La loro fede, confermata dal martirio, è la stessa fede di Maria, la Madre dei credenti, degli Apostoli, dei santi e delle sante di tutti i secoli.
Oggi la Chiesa proclama nuovamente la loro fede. E' la nostra fede, l'immutabile fede della Chiesa in Gesù unico Salvatore del mondo; in Cristo, il Figlio del Dio vivente, morto e risorto per noi e per l'intera umanità.
Giovedì, 6 Luglio 2000
1. "Ti lodino i popoli, Dio, ti lodino i popoli tutti" (Sal 66[67], 4). Questa invocazione risuona da qui, da questo luogo, dalla porta aperta dell’anno del Grande Giubileo. E rispondono ad essa non soltanto le singole persone, ma anche interi popoli e intere nazioni. Giungono i pellegrinaggi nazionali da varie parti dell’Europa e del mondo, per rendere qui, nel cuore della Chiesa, gloria e onore a Dio. Oggi è ospite a Roma il pellegrinaggio dalla Polonia.
Il mio cordiale benvenuto va a voi tutti. Saluto il Signor Cardinal Primate, i Signori Cardinali Franciszek e Henryk, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Sacerdoti, le Religiose e i Fedeli di tante parrocchie e comunità. Saluto i rappresentanti delle Autorità dello Stato e di quelle territoriali con a capo il Signor Presidente, il Signor Primo Ministro, i Presidenti del Parlamento e del Senato. Che l’abbondanza delle grazie giubilari diventi la parte di tutti i pellegrini qui presenti! L’ottengano anche le vostre famiglie e i vostri cari in Patria e nel mondo.
2. "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!" (He 13,8). A Lui vogliamo legare il nostro futuro. Solo Lui è la Porta e soltanto Lui ha parole di vita eterna. Questo è il piùprofondo senso del Grande Giubileo: questo è il tempo del ritorno alle radici della fede e contemporaneamente dell’entrata nel futuro attraverso la Porta che è Cristo. In Lui, infatti, nel Figlio di Dio incarnato, si compie l’eterno mistero dell’elezione dell’uomo da parte di Dio - il mistero che oggi svela davanti ai nostri occhi l’apostolo Paolo mentre scrive: "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto" (Ep 1,3-4). Seguendo il pensiero dell’Apostolo conosciamo che cosa è questo eterno piano di Dio nei riguardi dell’uomo, che egli ha fatto a sua immagine e somiglianza. Creandolo in questo modo, Dio sin dall’inizio ha reso l’uomo simile al suo Figlio e l’ha unito a Lui. Se in quest’Anno Giubilare ricordiamo in modo particolare la nascita del Figlio di Dio avvenuta duemila anni fa, mediante questo evento, il più grande nella storia dell’uomo, ci troviamo alla soglia del mistero che comprende ciascuno e tutti: il Figlio di Dio si è fatto Uomo, affinché noi in Lui e per Lui diventassimo figli adottivi di Dio. Quando infatti "venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli" (Ga 4,4-5). Se oggi facciamo il pellegrinaggio alla porta santa del Grande Giubileo, lo facciamo prima di tutto per rendere grazie per la grande grazia della figliolanza adottiva di Dio, che mediante la nascita di Cristo divenne la parte dell’uomo.
Come scrive San Paolo - abbiamo ricevuto questa grazia da Dio per essere "santi e immacolati al suo cospetto" (Ep 1,4) e "perché noi fossimo a lode della sua gloria" (Ep 1,12). Non si può raggiungere la santità, non è possibile esistere per la gloria di Dio se non per mezzo di Cristo, con Cristo e in Cristo. In Lui "abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia" (Ep 1,7). Perciò in questo Anno Giubilare la Chiesa ci conduce in modo particolare lungo il cammino della penitenza e della riconciliazione, affinché ci accostiamo con fiducia a Cristo e attingiamo alle inesauribili sorgenti della sua misericordia. "Egli perdona tutte le nostre colpe, guarisce tutte le nostre malattie, salva dalla fossa la nostra vita, ci corona di grazia e di misericordia" (cfr Sal 102[103], 3-4). Se oggi la Chiesa si richiama all’antica pratica dell’indulgenza e ad essa esorta, lo fa proprio perché il tempo del giubileo è particolarmente propizio affinché l’uomo apra il suo cuore all’azione di questa grazia che scaturisce dal Cuore aperto del Redentore.
San Paolo scrive: Cristo "è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria" (Ep 1,14). Come dunque non approfittare della grazia di questo tempo che ci avvicina a Cristo e ci permette di partecipare più pienamente all’eredità che Dio ha preparato per noi nella sua gloria?
3. Una volta, a Nazaret, Cristo disse di sé: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore... Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito" (Lc 4,18-19 Lc 4,21). Questo "oggi" perdura incessantemente sin dal giorno in cui il Figlio di Dio venne sulla terra. Dopo la sua morte e risurrezione questo "oggi" permane nella Chiesa, nella quale è presente Cristo, sino alla fine del mondo. Questo "oggi" si compie in ognuno di noi, che mediante il battesimo siamo stati inseriti in Cristo.
Bisogna che nell’Anno del Grande Giubileo ci rendiamo conto in modo particolare di questa verità. Occorre che ci ricordiamo che questo "oggi" di Cristo deve continuare nei secoli futuri, fino alla sua seconda venuta. Tale consapevolezza deve determinare il programma di vita della Chiesa e quello della vita di ciascuno di noi nel nuovo millennio.
Negli ultimi anni si ricollegavano a questo programma le singole diocesi durante i sinodi pastorali locali e tutta la Chiesa in Polonia nel Sinodo Plenario, cercando di definire quali erano le sfide che venivano poste dinanzi ai credenti dal presente e dal futuro, e in quale modo occorreva andare incontro ad esse. Chiedendo la luce dello Spirito Santo i pastori e i fedeli compivano un esame dei fenomeni presenti attualmente nella Chiesa in Polonia, cercavano di discernere i compiti, di fronte ai quali si trova la nostra generazione nella prospettiva del nuovo millennio e tracciavano i percorsi, lungo i quali la Chiesa deve entrare nel nuovo secolo. Tutto questo è stato messo insieme per iscritto come programma di evangelizzazione per il terzo millennio. La porta aperta del Grande Giubileo ricorda in modo particolare a noi tutti e a tutta la Chiesa in Polonia, che questo programma non può rimanere lettera morta, ma deve essere accolto da tutti ed attuato con dedizione e perseveranza.
Esso tocca numerosi settori della vita della Chiesa. Oggi, tuttavia, ponendomi in ascolto del Vangelo che appena abbiamo udito, voglio far notare le due dimensioni dell’attività pastorale del clero e dei laici nel nostro paese. Ecco, Cristo dice: "Lo Spirito del Signore è sopra di me e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio" (cfr Lc 4,18). Il primo compito dunque, per cui fu mandato, era l’annuncio del Vangelo. Tale fu il primo compito degli Apostoli: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Questa chiamata è sempre attuale ed impellente. Riguarda tutti i fedeli - chierici e laici. Tutti siamo chiamati a testimoniare nella vita di ogni giorno il Vangelo della salvezza. Bisogna che, entrando nel nuovo millennio rispondiamo a questa chiamata con tutto il fervore. I genitori siano testimoni nei confronti dei bambini e dei giovani! I giovani portino la Buona Novella ai loro coetanei, che spesso perdono il senso della vita, smarriti tra le proposte del mondo. I pastori non dimentichino che lo spirito missionario, la sollecitudine per ogni uomo che cerca Cristo e per quanti da Lui si allontanano, appartiene all’essenza della loro missione pastorale. Nello stesso spirito chiedo a tutti i fedeli della Polonia la preghiera secondo le intenzioni dei missionari e per le vocazioni missionarie. Lo faccio tanto più volentieri perché oggi ricorre la memoria liturgica della beata Maria Teresa Ledòchowska, chiamata "Madre degli Africani", patrona della Cooperazione Missionaria della Chiesa in Polonia, fondatrice delle Suore Claveriane, della cui beatificazione quest’anno celebriamo il 25° anniversario. Grande è la ricchezza spirituale e grandi sono le possibilità della Chiesa in Polonia. Occorre attingere da questo tesoro, per aiutare efficacemente le Chiese sorelle dell’Africa, dell’America, dell’Asia ed anche dell’Europa. Prego Dio di ispirare con lo spirito di questo particolare apostolato i numerosi cuori dei sacerdoti e dei religiosi del nostro paese. La Chiesa universale ha bisogno di servitori del Vangelo dalla Polonia.
Mentre stiamo in ascolto delle parole di Cristo: "Lo Spirito del Signore mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, per predicare un anno di grazia del Signore" (cfr Lc 4,18-19), ci rendiamo conto che il Giubileo, come periodo in cui sperimentiamo in modo particolare la misericordia di Dio, ci conduce verso coloro che hanno bisogno della nostra misericordia. L’"oggi" della Chiesa, vissuto come un "oggi" in cui si compie la missione messianica di Cristo, deve essere vissuto come un "oggi" dei poveri, degli oppressi, dei soli, degli infermi - di tutti coloro che Cristo si è scelti come destinatari particolari a cui "proclamare un anno di grazia del Signore". Che questo "anno di grazia" venga loro proclamato mediante opere d’amore attivo, tramite lo sforzo di formare una cultura di solidarietà e di collaborazione. Che il fantasma della perdita del lavoro, di un tetto, della salute o della possibilità di istruirsi non si ponga come un’ombra sulla gioia del vivere l’Anno Giubilare che schiude la prospettiva del nuovo millennio. Occorre che tutti i responsabili della forma della vita sociale nel nostro paese facciano ogni sforzo affinché l’introduzione delle giuste riforme economiche si compia con profitto per tutti, specialmente per i più poveri. Chiedo questo in modo particolare a tutti coloro che basano sui valori cristiani il programma della loro attività.
Il dovere di andare incontro alle necessità di coloro che hanno subito un torto da parte della sorte grava tuttavia non soltanto sui politici, sugli imprenditori o sulle organizzazioni caritative, ma su tutti coloro che possono in qualunque modo rimediare all’indigenza altrui. L’Anno Giubilare è un’occasione particolare affinché tutti i membri della comunità della Chiesa - ecclesiastici e laici - intraprendano opere di misericordia nei riguardi dei fratelli. Approntando i programmi pastorali nel paese, nella diocesi o nella parrocchia, bisogna tornare costantemente all’idea dell’opzione preferenziale a favore dei poveri e dei bisognosi. Pensando alle famiglie con molti figli, agli anziani, agli ammalati, agli abbandonati chiedo a voi, cari fratelli e sorelle, e a tutti i credenti della Polonia, insieme con San Paolo: "La vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno" (2Co 8,14-15).
4. "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!" (He 13,8). Questa verità ci parla con una forza particolare, mentre ci presentiamo alla soglia della porta del grande Giubileo, per entrare nel nuovo millennio con la fede, la speranza e la carità, che abbiamo ricevute insieme alla grazia del santo battesimo. "Passare per quella porta significa confessare che Gesù Cristo è il Signore, rinvigorendo la fede in lui per vivere la vita nuova che Egli ci ha donato" (Incarnationis mysterium, 8). Soltanto Lui è la Porta che permette di entrare nella vita di comunione con Dio: "E’ questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti" (Sal 117[118], 20). Che questo pellegrinaggio nazionale in occasione del Giubileo ci avvicini tutti a Cristo Redentore. Egli è la fonte della vita e della speranza per il terzo millennio che si avvicina. "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre".
Domenica 9 Luglio 2000
1. "Ero ... carcerato... " (Mt 25,35-36): queste parole di Cristo sono risuonate oggi per noi nel brano evangelico poc'anzi proclamato. Esse richiamano dinanzi agli occhi della nostra mente l'immagine di Cristo effettivamente carcerato.Ci pare di rivederlo la sera del Giovedì Santo nel Getsemani: Lui, l'innocenza personificata, attorniato come un malfattore dagli sgherri del Sinedrio, catturato e condotto davanti al tribunale di Anna e di Caifa. Seguono le lunghe ore della notte in attesa del giudizio davanti al tribunale romano di Pilato. Il giudizio ha luogo la mattina del Venerdì Santo nel pretorio: Gesù è in piedi davanti al Procuratore romano, che lo interroga. Sul suo capo pende la richiesta della condanna a morte mediante il supplizio della croce. Lo vediamo poi legato ad un palo per la flagellazione. Successivamente è coronato di spine... Ecce homo - "Ecco l'uomo". Pilato pronunciò quelle parole, contando forse su una reazione di umanità da parte dei presenti. La risposta fu: "Crocifiggilo, crocifiggilo!" (Lc 23,21). E quando finalmente tolsero i lacci dalle sue mani, fu per inchiodarle alla croce.
2. Carissimi Fratelli e Sorelle, dinanzi a noi qui riuniti si presenta Gesù Cristo - il detenuto."Ero... carcerato e siete venuti a trovarmi" (Mt 25,35-36). Egli chiede di essere incontrato in voi, come in tante altre persone toccate dalle varie forme della sofferenza umana: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Queste parole contengono, si può dire, il "programma" del Giubileo nelle Carceri, che oggi celebriamo. Esse ci invitano a viverlo come impegno per la dignità di tutti, quella dignità che scaturisce dall'amore di Dio per ogni persona umana.
Ringrazio quanti hanno voluto partecipare a questo evento giubilare. Rivolgo un deferente saluto alle Autorità intervenute: il Signor Ministro della Giustizia, il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, il Direttore di questa casa circondariale, il Comandante del Reparto di Polizia, unitamente agli Agenti che con lui collaborano.
Saluto soprattutto ciascuno di voi, detenuti, con affetto fraterno. Mi presento a voi come testimone dell'amore di Dio. Vengo a dirvi che Dio vi ama, e desidera che percorriate un cammino di riabilitazione e di perdono, di verità e di giustizia. Vorrei potermi mettere in ascolto della vicenda personale di ciascuno. Ciò che non posso fare io, lo possono i vostri Cappellani, che sono accanto a voi a nome di Cristo. A loro va il mio saluto cordiale e il mio incoraggiamento. Il mio pensiero si estende pure a tutti coloro che svolgono questo compito così impegnativo in tutte le carceri d'Italia e del mondo. Sento, inoltre, di dover di esprimere il mio apprezzamento ai Volontari, che collaborano con i Cappellani nell'esservi vicini con opportune iniziative. Anche con il loro aiuto, il carcere può acquistare un tratto di umanità ed arricchirsi di una dimensione spirituale, che è importantissima per la vostra vita. Proposta alla libera accettazione di ciascuno, questa dimensione va considerata un elemento qualificante per un progetto di pena detentiva più conforme alla dignità umana.
3. Proprio su tale progetto fa luce il brano della prima Lettura, in cui il profeta Isaia delinea il profilo del futuro Messia con alcuni significativi tratti: "Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta. Proclamerà il diritto con fermezza; non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra" (Is 42,1-4). Al centro di questo Giubileo c'è Cristo, il detenuto; al tempo stesso, c'è Cristo il legislatore.Egli è colui che stabilisce la Legge, la proclama e la consolida. Tuttavia non lo fa con prepotenza, ma con mitezza. Cura ciò che è malato, rafforza ciò che è spezzato. Là dove arde ancora una tenue fiammella di bontà, egli la ravviva con il soffio del suo amore. Proclama con forza la giustizia, ma cura le ferite con il balsamo della misericordia.
Nel testo di Isaia un'altra serie di immagini apre la prospettiva della vita, della gioia, della libertà: il Messia futuro verrà ad aprire gli occhi ai ciechi, a far uscire dal carcere i prigionieri (cfr Is 42,7). Immagino che soprattutto quest'ultima parola del profeta, cari Fratelli e Sorelle, trovi nei vostri cuori un'eco immediata, carica di speranza. Ognuno di voi, infatti, vive guardando al giorno in cui, espiata la pena, potrà riacquistare la libertà. E quale prospettiva è più gioiosa, quale traguardo più desiderabile? Consapevole di ciò, nel messaggio che ho inviato al mondo intero per questa giornata giubilare, sulle orme dei miei Predecessori, ho invocato per voi un segno di clemenza, attraverso una "riduzione della pena". L'ho chiesto nella profonda convinzione che una tale scelta costituisca un segno di sensibilità verso la vostra condizione, capace di incoraggiare l'impegno del pentimento e di sollecitare il personale ravvedimento (cfr n. 7).
4. E' doveroso, infatti, accogliere il messaggio della Parola di Dio nel suo significato integrale. Il "carcere" da cui il Signore viene a liberarci è, in primo luogo, quello in cui si trova incatenato lo spirito. Prigione dello spirito è il peccato. Come non ricordare, in proposito, quella profonda parola di Gesù: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato" (Jn 8,32)? E' questa la schiavitù da cui Egli è venuto in primo luogo a liberarci. Ha detto infatti: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,31).
Le parole di liberazione del profeta Isaia vanno dunque comprese alla luce dell'intera storia della salvezza, che ha il suo culmine in Cristo, il Redentore che ha preso su di sé il peccato del mondo (cfr Jn 1,29). Dio ha a cuore la liberazione integrale dell'uomo. Una liberazione che non riguarda soltanto le condizioni fisiche ed esteriori, ma è innanzitutto liberazione del cuore.
5. La speranza di questa liberazione - ci ha ricordato l'apostolo Paolo nella seconda Lettura - attraversa l'intera creazione: "Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" (Rm 8,22). Il nostro peccato ha turbato il disegno di Dio, e non solo la vita umana, ma il creato stesso ne risente. Questa dimensione cosmica degli effetti del peccato si tocca quasi con mano nei disastri ecologici. Non meno preoccupanti sono i danni provocati dal peccato nella psiche umana, nella biologia stessa dell'uomo. Il peccato è devastante. Esso toglie pace al cuore e produce sofferenze a catena nei rapporti umani. Immagino quante volte, riandando alle vostre storie personali o ascoltando quelle dei vostri compagni di cella, vi capita di constatare questa verità.
E' da questa schiavitù che lo Spirito di Dio viene a liberarci. Egli, che è il Dono per eccellenza ottenutoci da Cristo, "viene in aiuto della nostra debolezza... intercedendo con insistenza per noi con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26). Se seguiamo le sue ispirazioni, egli produce la nostra salvezza integrale, "l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo" (Rm 8,23).
6. Occorre dunque che sia Lui, lo Spirito di Gesù Cristo, ad operare nei vostri cuori, cari Fratelli e Sorelle detenuti. Occorre che lo Spirito Santo pervada questo carcere in cui ci incontriamo e tutte le prigioni del mondo. Cristo, il Figlio di Dio, si fece detenuto, lasciò che gli legassero le mani e poi le inchiodassero alla croce proprio perché il suo Spirito potesse raggiungere il cuore di ogni uomo. Anche dove gli uomini sono chiusi con i catenacci delle carceri, secondo la logica di una pur necessaria giustizia umana, bisogna che soffi lo Spirito di Cristo Redentore del mondo. La pena infatti non può ridursi ad una semplice dinamica retributiva, tanto meno può configurarsi come una ritorsione sociale o una sorta di vendetta istituzionale. La pena, la prigione hanno senso se, mentre affermano le esigenze della giustizia e scoraggiano il crimine, servono al rinnovamento dell'uomo, offrendo a chi ha sbagliato una possibilità di riflettere e cambiare vita, per reinserirsi a pieno titolo nella società.
Lasciate, dunque, che io vi chieda di tendere con tutte le vostre forze ad una vita nuova, nell'incontro con Cristo. Di questo vostro cammino non potrà che gioire l'intera società. Le stesse persone a cui avete causato dolore sentiranno forse di aver avuto giustizia più guardando al vostro cambiamento interiore che al semplice scotto penale da voi pagato.
Auguro a ciascuno di voi di fare esperienza dell'amore liberante di Dio. Scenda tra voi e tra i detenuti di tutto il mondo lo Spirito di Gesù Cristo, che fa nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5), e infonda nei vostri cuori fiducia e speranza.
Vi accompagni lo sguardo di Maria "Regina Caeli", la Regina del Cielo, alla cui tenerezza materna affido voi e le vostre famiglie.
Parole del Santo Padre al termine della Messa:
Ringrazio il Signor Ministro, il Direttore delle Carceri e il vostro rappresentante per le parole che mi hanno rivolto. Con essi ringrazio tutte le Autorità presenti, esprimendo a tutti sentita riconoscenza per l'accoglienza cordiale che mi è stata riservata.
Nell'accomiatarmi da voi, cari detenuti, desidero rinnovarvi il mio saluto, che estendo anche ai vostri familiari. So bene che ognuno di voi vive guardando al giorno in cui, espiata la pena, potrà riacquistare la libertà e tornare nella propria famiglia.
Consapevole di ciò, nel Messaggio che ho inviato al mondo intero per questa giornata giubilare, sulle orme dei miei Predecessori e, nello spirito dell'Anno Santo, ho invocato per voi un segno di clemenza, attraverso una "riduzione della pena". L'ho chiesto nella profonda convinzione che una tale scelta costituisce un segno di sensibilità verso la vostra condizione, capace di incoraggiare 1'impegno del pentimento e di sollecitare il personale ravvedimento. In questa prospettiva, rivolgo a ciascuno il mio augurio più cordiale.
* * *
Una parola vorrei aggiungere: non possiamo dimenticare che questo carcere romano porta il nome Regina Coeli. E questo nome suscita una grandissima speranza. Auguro questa speranza, che viene dalla Regina Coeli, a tutti voi.
Sia lodato Gesù Cristo.
22 luglio 2000
1. Carissimi Sacerdoti della diocesi di Aosta, sono particolarmente lieto di celebrare insieme con voi questa Santa Messa, al termine del mio soggiorno tra le vostre montagne. Vi saluto tutti con grande affetto e, in modo speciale, saluto il vostro Vescovo, che ringrazio di cuore per le tante premure avute in questi giorni verso di me ed i miei collaboratori.
Celebriamo la festa di Santa Maria Maddalena e la liturgia è oggi contrassegnata da una sorta di movimento, di "corsa" del cuore e dello spirito, animati dall'amore di Cristo. Le parole di san Paolo: "caritas Christi urget nos" (2Co 5,14), che abbiamo ascoltato nella prima lettura, possono e debbono ispirare la vita di ogni sacerdote, come hanno contrassegnato quella di Maria di Magdala.
La Maddalena ha seguito al Calvario colui che l’aveva guarita. È stata presente alla sepoltura di Gesù. Insieme con la Madre santissima e il discepolo amato ne ha raccolto l'ultimo respiro e la tacita testimonianza del costato trafitto: ha compreso che in quella morte, in quel sacrificio stava la sua salvezza. Ed il Risorto, come ci narra l'odierno Vangelo, ha voluto mostrare il suo corpo glorioso anzitutto a lei, che intensamente aveva pianto la sua morte. A lei ha voluto affidare "il primo annuncio della gioia pasquale" (Colletta), quasi a ricordarci che proprio a chi fissa lo sguardo con fede e con amore sul mistero della passione e morte del Signore, viene svelata la luminosa gloria della sua risurrezione.
2. Maria Maddalena ci insegna così che le radici della nostra vocazione di apostoli affondano nell'esperienza personale di Cristo. Dall'incontro con Lui ha origine un nuovo modo di vivere non più per se stessi, ma per Lui, che è morto e risorto per noi (cfr 2Co 5,15), lasciando alle spalle l'uomo vecchio per conformarsi sempre più pienamente a Cristo, Uomo nuovo.
Quest'insegnamento di vita è, con speciale eloquenza, per noi pastori della Chiesa, chiamati a guidare il Popolo di Dio con la parola, ma anzitutto con la testimonianza della vita. E pertanto chiamati ad un'intimità più grande con Cristo, che ci ha scelti come amici: "vos autem dixi amicos" (Jn 15,15).
Carissimi fratelli nel sacerdozio, auguro a ciascuno di voi di mantenere sempre viva la vostra comunione con Cristo. Vi sospinga, nel vostro apostolato, il suo amore, non solo nelle grandi occasioni, ma soprattutto in quelle ordinarie, nelle vicende di ogni giorno. L'intima unione con Dio, alimentata nella Santa Messa, nella Liturgia delle Ore, nella preghiera personale, muove il sacerdote a compiere con fede e carità il suo ministero pastorale. Sta proprio in quest'intimità con Gesù il
segreto della sua missione.
Preghiamo, nel corso di questa celebrazione eucaristica, perché il Signore ci renda degni ministri della sua grazia. Invochiamolo, per intercessione di Santa Maria Maddalena, affinché, attraverso di voi, carissimi sacerdoti, giunga ai residenti ed ai villeggianti di questa Regione l'incessante annuncio della morte e risurrezione di Cristo. Iddio, che ha arricchito di stupende bellezze naturali la Valle d'Aosta, alimenti con il suo Spirito la fede di quanti vi abitano. E la Vergine Santa vegli materna su di voi e sul servizio apostolico che siete chiamati a svolgere con costante generosità, rendendolo ricco di abbondanti frutti di bene.
Castel Gandolfo, 17 agosto 2000
1. "Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato" (Jr 1,5). La Parola rivolta da Dio al profeta Geremia ci tocca personalmente. Essa evoca il disegno che Dio ha su ciascuno di noi. Egli ci conosce individualmente perché dall’eternità ci ha scelti ed amati, affidando a ciascuno una specifica vocazione all’interno del piano generale della salvezza.
Cari giovani del Forum Internazionale, sono lieto di accogliervi insieme con il Signor Cardinale James Francis Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, ed i suoi Collaboratori. Vi saluto con affetto.
Giustamente voi vi sentite interpellati in prima persona dalle parole del Profeta. Molti di voi infatti ricoprono già una responsabilità nella propria Chiesa locale, e molti saranno chiamati ad assumerne una. È quindi importante che portiate con voi la ricchezza dell’esperienza umana, spirituale ed ecclesiale di questo Forum. Siete inviati ad annunciare ad altri le parole di vita che avete ricevuto: esse agiranno e getteranno radici in voi quanto più voi le condividerete con gli altri.
Cari giovani, non dubitate dell’amore di Dio per voi! Egli vi riserva un posto nel suo cuore e una missione nel mondo. La prima reazione può essere la paura, il dubbio. Sono sentimenti che ha sperimentato prima di voi lo stesso Geremia: "Ahimè, Signore Dio, ecco, io non so parlare, perché sono giovane!" (Jr 1,6). Il compito sembra immenso, perché assume le dimensioni della società e del mondo. Ma non dimenticate che, quando chiama, il Signore dona anche la forza e la grazia necessaria per rispondere alla chiamata.
Non abbiate paura di assumere le vostre responsabilità: la Chiesa ha bisogno di voi, ha bisogno del vostro impegno e della vostra generosità; il Papa ha bisogno di voi e, all'inizio di questo nuovo millennio, vi chiede di portare il Vangelo sulle strade del mondo.
2. Nel Salmo responsoriale abbiamo udito una domanda che nel mondo inquinato di oggi risuona con una particolare attualità: "Come potrà un giovane conservare pura la sua via?" (Ps 118,9). Abbiamo anche udito la risposta, semplice ed incisiva: "Custodendo le tue parole" (ibid). Occorre dunque domandare il gusto per la Parola di Dio e la gioia di poter testimoniare qualcosa che è più grande di noi: "Nel seguire i tuoi ordini e la mia gioia…" (Ps 118,14).
La gioia nasce anche dalla consapevolezza che innumerevoli altre persone nel mondo accolgono come noi gli "ordini del Signore" e ne fanno sostanza della loro vita. Quanta ricchezza nell’universalità della Chiesa, nella sua "cattolicità"! Quanta diversità secondo i paesi, i riti, le spiritualità, le associazioni, movimenti e comunità, quanta bellezza, e nello stesso tempo quale comunione profonda nei valori comuni e nel comune attaccamento alla persona di Gesù, il Signore!
Avete percepito, vivendo insieme e pregando insieme, che la diversità dei vostri modi di accogliere e di esprimere la fede non vi separa gli uni dagli altri ne’ vi mette in concorrenza. Essa è solo una manifestazione della ricchezza di quell’unico, straordinario dono che è la Rivelazione, di cui il mondo ha tanto bisogno.
3. Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, il Risorto pone a Pietro la domanda che determinerà tutta la sua esistenza: "Simone di Giovanni, mi ami?" (Jn 21,16). Gesù non gli chiede quali siano i suoi talenti, i suoi doni, le sue competenze. Non domanda neppure a colui che poco tempo prima lo aveva tradito se d'ora in poi gli sarà fedele, se non cadrà più. Gli domanda la sola cosa che conti, la sola che possa dare fondamento ad una chiamata: mi vuoi bene?
Oggi il Cristo rivolge la stessa domanda a ciascuno di voi: mi vuoi bene? Non vi domanda di saper parlare alle folle, di saper dirigere un’organizzazione, di saper amministrare un patrimonio. Vi domanda di volergli bene. Tutto il resto verrà di conseguenza. Infatti, mettere i propri passi sulle orme di Gesù non si traduce immediatamente in cose da fare o da dire, ma innanzitutto nel fatto di amarlo, di restare con lui, di accoglierlo completamente nella propria vita.
Oggi rispondete con sincerità alla domanda di Gesù. Certuni potranno dire con Pietro: "Certo, Signore, tu lo sai che ti amo!" (Jn 21,16). Altri diranno: "Signore, tu sai come vorrei volerti bene, insegnami ad amarti per poterti seguire". L’importante è di rimanere sulla strada, di continuare il cammino senza perdere di vista la meta, fino al giorno in cui potrete dire con tutto il cuore: "Tu lo sai che ti amo!".
4. Cari giovani, amate Cristo e amate la Chiesa! Amate Cristo come egli vi ama. Amate la Chiesa come Cristo la ama.
E non dimenticate che l'amore vero non pone condizioni, non calcola, non recrimina, ma semplicemente ama. Come potreste, infatti, essere responsabili di un'eredità che non accettate se non in parte? Come partecipare alla costruzione di qualcosa che non si ama con tutto il cuore?
La comunione al corpo e al sangue del Signore aiuti ciascuno a crescere nell'amore per Gesù e per il suo corpo che è la Chiesa.
Tor Vergata, domenica 20 agosto 2000
1. "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68).
Carissimi giovani e ragazze della quindicesima Giornata Mondiale della Gioventù! Queste parole di Pietro, nel dialogo con Cristo alla fine del discorso sul "pane di vita", ci toccano personalmente. In questi giorni abbiamo meditato sull'affermazione di Giovanni: "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14). L'evangelista ci ha riportato al grande mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio, il Figlio a noi donato attraverso Maria "quando venne la pienezza del tempo" (Ga 4,4).
Nel suo nome vi saluto ancora tutti con grande affetto. Saluto e ringrazio il Cardinale Camillo Ruini, mio Vicario Generale per la Diocesi di Roma e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, per le parole che ha voluto rivolgermi all'inizio di questa Santa Messa; saluto pure il Cardinale James Francis Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, e i tanti Cardinali, Vescovi e sacerdoti qui convenuti; saluto, altresì, con grata deferenza il Signor Presidente della Repubblica e il Capo del Governo italiano, come pure tutte le altre Autorità civili e religiose che ci onorano della loro presenza.
2. Siamo giunti al culmine della Giornata Mondiale della Gioventù. Ieri sera, carissimi giovani, abbiamo confermato la nostra fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio che il Padre ha mandato, come ha ricordato la prima lettura di oggi, "a portare il lieto annuncio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri... a consolare tutti gli afflitti" (Is 61,1-3).
Con l'odierna Celebrazione eucaristica Gesù ci introduce nella conoscenza di un particolare aspetto del suo mistero. Abbiamo ascoltato nel Vangelo un brano del discorso da Lui tenuto nella sinagoga di Cafarnao, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani. In esso Egli si rivela come il vero pane delle vita, il pane disceso dal cielo per dare la vita al mondo (cfr Jn 6,51). E' un discorso che gli ascoltatori non comprendono. La prospettiva in cui si muovono è troppo materiale per poter raccogliere il vero intendimento di Cristo. Essi ragionano nell'ottica della carne, che "non giova a nulla" (Jn 6,63). Gesù invece apre il discorso sugli orizzonti sconfinati dello spirito: "Le parole che vi ho detto - Egli insiste - sono spirito e vita" (ibid.).
Ma l'uditorio è refrattario: "Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?" (Jn 6,60). Si ritengono persone di buon senso, con i piedi sulla terra. Per questo scuotono il capo e, brontolando, se ne vanno uno dopo l'altro. La folla iniziale si riduce progressivamente. Alla fine resta solo lo sparuto gruppetto dei discepoli più fedeli. Ma sul "pane della vita" Gesù non è disposto a transigere. E' pronto piuttosto ad affrontare il distacco anche dei più intimi: "Forse anche voi volete andarvene?" (Jn 6,67).
3. "Forse anche voi?". La domanda di Cristo scavalca i secoli e giunge fino a noi, ci interpella personalmente e sollecita una decisione. Quale è la nostra risposta? Cari giovani, se siamo qui oggi, è perché ci riconosciamo nell'affermazione dell'apostolo Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68).
Di parole intorno a voi ne risuonano tante, ma Cristo soltanto ha parole che resistono all'usura del tempo e restano per l'eternità. La stagione che state vivendo vi impone alcune scelte decisive: la specializzazione nello studio, l'orientamento nel lavoro, lo stesso impegno da assumere nella società e nella Chiesa. E' importante rendersi conto che, tra le tante domande affioranti al vostro spirito, quelle decisive non riguardano il "che cosa". La domanda di fondo è " chi": verso "chi" andare, "chi" seguire, "a chi" affidare la propria vita.
Voi pensate alla vostra scelta affettiva, e immagino che siate d'accordo: ciò che veramente conta nella vita è la persona con la quale si decide di condividerla. Attenti, però! Ogni persona umana è inevitabilmente limitata: anche nel matrimonio più riuscito, non si può non mettere in conto una certa misura di delusione. Ebbene, cari amici: non c'è in questo la conferma di quanto abbiamo ascoltato dall'apostolo Pietro? Ogni essere umano, prima o poi, si ritrova ad esclamare con lui: "Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna". Solo Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio e di Maria, il Verbo eterno del Padre nato duemila anni orsono a Betlemme di Giudea, è in grado di soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore umano.
Nella domanda di Pietro: "Da chi andremo?" c'è già la risposta circa il cammino da percorrere. E' il cammino che porta a Cristo. E il Maestro divino è raggiungibile personalmente: è infatti presente sull'altare nella realtà del suo corpo e del suo sangue. Nel sacrificio eucaristico noi possiamo entrare in contatto, in modo misterioso ma reale, con la sua persona, attingendo alla sorgente inesauribile della sua vita di Risorto.
4. Questa è la stupenda verità, carissimi amici: il Verbo, che si è fatto carne duemila anni fa, è presente oggi nell'Eucaristia. Per questo l'anno del Grande Giubileo, in cui stiamo celebrando il mistero dell'Incarnazione, non poteva non essere anche un anno "intensamente eucaristico" (cfr Tertio millennio adveniente, 55).
L'Eucaristia è il sacramento della presenza di Cristo che si dona a noi perché ci ama. Egli ama ciascuno di noi in maniera personale ed unica nella vita concreta di ogni giorno: nella famiglia, tra gli amici, nello studio e nel lavoro, nel riposo e nello svago. Ci ama quando riempie di freschezza le giornate della nostra esistenza e anche quando, nell'ora del dolore, permette che la prova si abbatta su di noi: anche attraverso le prove più dure, infatti, Egli ci fa sentire la sua voce.
Sì, cari amici, Cristo ci ama e ci ama sempre! Ci ama anche quando lo deludiamo, quando non corrispondiamo alle sue attese nei nostri confronti. Egli non ci chiude mai le braccia della sua misericordia. Come non essere grati a questo Dio che ci ha redenti spingendosi fino alla follia della Croce? A questo Dio che si è messo dalla nostra parte e vi è rimasto fino alla fine?
5. Celebrare l'Eucaristia "mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue" significa accettare la logica della croce e del servizio. Significa cioè testimoniare la propria disponibilità a sacrificarsi per gli altri, come ha fatto Lui.
Di questa testimonianza ha estremo bisogno la nostra società, ne hanno bisogno più che mai i giovani, spesso tentati dai miraggi di una vita facile e comoda, dalla droga e dall'edonismo, per trovarsi poi nelle spire della disperazione, del non senso, della violenza. E' urgente cambiare strada nella direzione di Cristo, che è anche la direzione della giustizia, della solidarietà, dell'impegno per una società ed un futuro degni dell'uomo.
Questa è la nostra Eucaristia, questa è la risposta che Cristo attende da noi, da voi, giovani, a conclusione di questo vostro Giubileo. Gesù non ama le mezze misure, e non esita ad incalzarci con la domanda: "Volete andarvene anche voi?". Con Pietro, davanti a Cristo, Pane di vita, anche noi, oggi, vogliamo ripetere: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!" (Jn 6,68).
6. Carissimi, ritornando alle vostre terre, mettete l'Eucaristia al centro della vostra vita personale e comunitaria: amatela, adoratela, celebratela, soprattutto la Domenica, giorno del Signore. Vivete l'Eucaristia testimoniando l'amore di Dio per gli uomini.
Affido a voi, carissimi amici, questo che è il più grande dono di Dio a noi, pellegrini sulle strade del tempo, ma recanti nel cuore la sete di eternità. Possa esservi sempre, in ogni comunità, un sacerdote che celebri l'Eucaristia! Chiedo per questo al Signore che fioriscano tra voi numerose e sante vocazioni al sacerdozio. La Chiesa ha bisogno di chi celebri anche oggi, con cuore puro, il sacrificio eucaristico. Il mondo ha bisogno di non essere privato della presenza dolce e liberatrice di Gesù vivo nell'Eucaristia!
Siate voi stessi ferventi testimoni della presenza di Cristo sui nostri altari. L'Eucaristia plasmi la vostra vita, la vita delle famiglie che formerete. Essa orienti tutte le vostre scelte di vita. L'Eucaristia, presenza viva e reale dell'amore trinitario di Dio, vi ispiri ideali di solidarietà e vi faccia vivere in comunione con i vostri fratelli sparsi in ogni angolo del pianeta.
Dalla partecipazione all'Eucaristia scaturisca, in particolare, una nuova fioritura di vocazioni alla vita religiosa, che assicuri la presenza nella Chiesa di forze fresche e generose per il grande compito della nuova evangelizzazione. Se qualcuno di voi, cari ragazzi e ragazze, avverte in sé la chiamata del Signore a donarsi totalmente a Lui per amarlo "con cuore indiviso" (cfr 1Co 7,34), non si lasci frenare dal dubbio o dalla paura. Dica con coraggio il proprio «sì» senza riserve, fidandosi di Lui che è fedele in ogni sua promessa. Non ha Egli forse assicurato, a chi ha lasciato tutto per Lui, il centuplo quaggiù e poi la vita eterna? (cfr Mc 10,29-30).
7. Al termine di questa Giornata Mondiale, guardando a voi, ai vostri giovani volti, al vostro entusiasmo sincero, voglio esprimere, dal profondo del cuore, un grazie sentito a Dio per il dono della giovinezza, che per mezzo vostro permane nella Chiesa e nel mondo.
Grazie a Dio per il cammino delle Giornate Mondiali della Gioventù! Grazie a Dio per i tanti giovani che esse hanno coinvolto lungo questi sedici anni! Sono giovani che ora, divenuti adulti, continuano a vivere nella fede là dove risiedono e lavorano. Sono certo che anche voi, cari amici, sarete all'altezza di quanti vi hanno preceduto. Voi porterete l'annuncio di Cristo nel nuovo millennio. Tornando a casa, non disperdetevi. Confermate ed approfondite la vostra adesione alla comunità cristiana a cui appartenete. Da Roma, dalla Città di Pietro e di Paolo, il Papa vi accompagna con affetto e, parafrasando un'espressione di Santa Caterina da Siena, vi dice: "Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!" (cfr Lett. 368).
Guardo con fiducia a questa nuova umanità che si prepara anche per mezzo vostro, guardo a questa Chiesa perennemente ringiovanita dallo Spirito di Cristo e che oggi si rallegra dei vostri propositi e del vostro impegno. Guardo verso il futuro e faccio mie le parole di un'antica preghiera, che canta insieme il dono di Gesù, dell'Eucaristia e della Chiesa:
"Ti rendiamo grazie, Padre nostro,
per la vita e la conoscenza
che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo.
A Te gloria nei secoli!
Come questo pane spezzato
era sparso qua e là sopra i colli
e raccolto divenne una sola cosa,
così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno
dai confini della terra ...
Tu, Signore onnipotente,
hai creato l'universo,
a gloria del tuo nome;
hai dato agli uomini il cibo
e la bevanda a loro conforto,
affinché Ti rendano grazie;
ma a noi hai donato un cibo
e una bevanda spirituale
e la vita eterna per mezzo del tuo Figlio ...
Gloria a Te, nei secoli!" (Didaché 9, 3-4; 10, 3-4).
Amen.
GPII Omelie 1996-2005 266