Laborem exercens
Venerabili fratelli, diletti figli e figlie, salute e Apostolica Benedizione! L'uomo, mediante il lavoro, deve procurarsi il pane quotidiano (cfr. Ps 127(128); cfr. anche Gn 3,17ss; Pr 10,22 Ex 1,8-14 Gn 22,13) e contribuire al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto all'incessante elevazione culturale e morale della società, in cui vive in comunità con i propri fratelli. E con la parola "lavoro" viene indicata ogni opera compiuta dall'uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalle circostanze, cioè ogni attività umana che si può e si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni, delle quali l'uomo è capace ed alle quali è predisposto dalla stessa sua natura, in forza della sua umanità. Fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso (cfr. Gn 1,26) nell'universo visibile, e in esso costituito perché dominasse la terra (cfr. Gn 1,28), l'uomo è perciò sin dall'inizio chiamato al lavoro. Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro: solo l'uomo ne è capace e solo l'uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra. così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura.
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Poiché si sono compiuti, il 15 maggio dell'anno corrente, novant'anni dalla pubblicazione - ad opera del grande Pontefice della "questione sociale", Leone XIII - di quell'enciclica di importanza decisiva, che inizia con le parole "Rerum Novarum", desidero dedicare il presente documento proprio al lavoro umano, e ancora di più desidero dedicarlo all'uomo nel vasto contesto di questa realtà che è il lavoro. Se, infatti, come mi sono espresso nell'enciclica "Redemptor Hominis", pubblicata all'inizio del mio servizio nella Sede romana di san Pietro, l'uomo "è la prima e fondamentale via della Chiesa" (RH 14), e ciò proprio in base all'inscrutabile mistero della Redenzione in Cristo, allora occorre ritornare incessantemente su questa via e proseguirla sempre di nuovo secondo i vari aspetti, nei quali essa ci svela tutta la ricchezza e al tempo stesso tutta la fatica dell'esistenza umana sulla terra. Il lavoro è uno di questi aspetti, perenne e fondamentale, sempre attuale e tale da esigere costantemente una rinnovata attenzione e una decisa testimonianza. Perché sorgono sempre nuovi interrogativi e problemi, nascono sempre nuove speranze, ma anche timori e minacce connesse con questa fondamentale dimensione dell'umano esistere, con la quale la vita dell'uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell'umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell'ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale, all'interno delle singole Nazioni e sul piano internazionale. Se è vero che l'uomo si nutre col pane del lavoro delle sue mani (cfr. Ps 127,2), e cioè non solo di quel pane quotidiano col quale si mantiene vivo il suo corpo, ma anche del pane della scienza e del progresso, della civiltà e della cultura, allora è pure una verità perenne che egli si nutre di questo pane col sudore del volto (Gn 3,19), cioè non solo con lo sforzo e la fatica personali, ma anche in mezzo a tante tensioni, conflitti e crisi che, in rapporto con la realtà del lavoro, sconvolgono la vita delle singole società ed anche di tutta l'umanità.
Celebriamo il 90° anniversario dell'enciclica "Rerum Novarum" alla vigilia di nuovi sviluppi nelle condizioni tecnologiche, economiche e politiche che, secondo molti esperti, influiranno sul mondo del lavoro e della produzione non meno di quanto fece la rivoluzione industriale del secolo scorso. Molteplici sono i fattori di portata generale: l'introduzione generalizzata dell'automazione in molti campi della produzione; l'aumento del prezzo dell'energia e delle materie di base; la crescente presa di coscienza della limitatezza del patrimonio naturale e del suo insopportabile inquinamento; l'emergere sulla scena politica dei popoli che, dopo secoli di soggezione, richiedono il loro legittimo posto tra le nazioni e nelle decisioni internazionali. Queste nuove condizioni ed esigenze richiederanno un riordinamento e un ridimensionamento delle strutture dell'economia odierna, nonché della distribuzione del lavoro. Tali cambiamenti potranno forse significare, purtroppo, per milioni di lavoratori qualificati, la disoccupazione, almeno temporanea, o la necessità di un riassestamento; comporteranno con molta probabilità una diminuzione o una crescita meno rapida del benessere materiale per i Paesi più sviluppati; ma potranno anche dare sollievo e speranza ai milioni di uomini che oggi vivono in condizioni di vergognosa e indegna miseria.
Non spetta alla Chiesa analizzare scientificamente le possibili conseguenze di tali cambiamenti sulla convivenza umana. La Chiesa pero ritiene suo compito di richiamare sempre la dignità e i diritti degli uomini del lavoro e di stigmatizzare le situazioni, in cui essi vengono violati, e di contribuire ad orientare questi cambiamenti perché si avveri un autentico progresso dell'uomo e della società.
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Certamente il lavoro, come problema dell'uomo, si trova al centro stesso di quella "questione sociale", alla quale durante i quasi cento anni trascorsi dalla menzionata enciclica si volgono in modo speciale l'insegnamento della Chiesa e le molteplici iniziative connesse con la sua missione apostolica. Se su di esso desidero concentrare le presenti riflessioni, ciò voglio fare non in modo difforme, ma piuttosto in collegamento organico con tutta la tradizione di questo insegnamento e di queste iniziative. Al tempo stesso, pero, faccio questo, secondo l'orientamento del Vangelo, per estrarre dal patrimonio del Vangelo "cose antiche e cose nuove" (cfr. Mt 13,52). Certamente, il lavoro è una "cosa antica" - tanto antica quanto l'uomo e la sua vita sulla terra. La situazione generale dell'uomo nel mondo contemporaneo, diagnosticata ed analizzata nei vari aspetti geografici, di cultura e di civiltà, esige, tuttavia, che si scoprano i nuovi significati del lavoro umano, e che si formulino, altresì, i nuovi compiti che in questo settore sono posti di fronte ad ogni uomo, alla famiglia, alle singole Nazioni, a tutto il genere umano e, infine, alla Chiesa stessa.
Nello spazio degli anni che sono passati dalla pubblicazione dell'enciclica "Rerum Novarum", la questione sociale non ha cessato di occupare l'attenzione della Chiesa. Ne danno testimonianza i numerosi documenti del Magistero, emanati sia dai Pontefici sia anche dal Concilio Vaticano II; ne danno testimonianza le enunciazioni dei singoli Episcopati; ne dà testimonianza l'attività dei vari centri di pensiero e di concrete iniziative apostoliche, sia a livello internazionale che a livello delle Chiese locali. E' difficile enumerare qui in forma particolareggiata tutte le manifestazioni del vivo impegno della Chiesa e dei cristiani nella questione sociale, perché esse sono molto numerose.
Come risultato del Concilio, il principale centro di coordinamento in questo campo è diventata la Pontificia Commissione "Iustitia et Pax", la quale trova i suoi Organismi corrispondenti nell'ambito delle singole Conferenze Episcopali. Il nome di questa istituzione è molto significativo: esso indica che la questione sociale deve essere trattata nella sua dimensione integrale e complessa. L'impegno in favore della giustizia deve essere intimamente unito a quello per la pace nel mondo contemporaneo. Certamente, si è pronunciata in favore di questo duplice impegno la dolorosa esperienza delle due grandi guerre mondiali, che durante gli ultimi 90 anni hanno scosso molti Paesi sia del Continente europeo sia, almeno parzialmente, degli altri Continenti. In suo favore si pronunciano, specialmente dopo la fine della seconda guerra mondiale, la permanente minaccia di una guerra nucleare e la prospettiva della terribile autodistruzione, che ne emerge.
Se seguiamo la linea principale di sviluppo dei documenti del supremo Magistero della Chiesa, troviamo in essi l'esplicita conferma proprio di tale impostazione del problema. La posizione chiave, per quanto riguarda la questione della pace nel mondo, e quella dell'enciclica "Pacem in Terris" di Giovanni XXIII.
Se si considera, invece, l'evoluzione della questione della giustizia sociale, si deve notare che, mentre nel periodo che va dalla "Rerum Novarum" alla "Quadragesimo Anno" di Pio XI, l'insegnamento della Chiesa si concentra soprattutto intorno alla giusta soluzione della cosiddetta questione operaia nell'ambito delle singole Nazioni, nella fase successiva esso allarga l'orizzonte alle dimensioni di tutto il globo. La distribuzione sproporzionata di ricchezza e di miseria, l'esistenza di Paesi e di Continenti sviluppati e non, esigono una perequazione e la ricerca delle vie per un giusto sviluppo di tutti. In questa direzione procede l'insegnamento contenuto nell'enciclica "Mater et Magistra" di Giovanni XXIII, nella Costituzione pastorale "Gaudium et Spes" del Concilio Vaticano II e nell'enciclica "Populorum Progressio" di Paolo VI.
Questa direzione di sviluppo dell'insegnamento e dell'impegno della Chiesa nella questione sociale corrisponde esattamente al riconoscimento oggettivo dello stato delle cose. Se nel passato al centro di tale questione si metteva soprattutto in luce il problema della "classe" in epoca più recente si pone in primo piano il problema del "mondo" Si considera, perciò, non solo l'ambito della classe, ma quello mondiale delle disuguaglianze e delle ingiustizie e, di conseguenza, non solo la dimensione di classe, ma quella mondiale dei compiti sulla via che porta alla realizzazione della giustizia nel mondo contemporaneo.
L'analisi completa della situazione del mondo di oggi ha manifestato in modo ancora più profondo e più pieno il significato dell'anteriore analisi delle ingiustizie sociali ed è il significato che oggi si deve dare agli sforzi che tendono a costruire la giustizia sulla terra, non nascondendo con ciò le strutture ingiuste, ma postulando il loro esame e la loro trasformazione in una dimensione più universale.
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In mezzo a tutti questi processi - sia della diagnosi dell'oggettiva realtà sociale, sia anche dell'insegnamento della Chiesa nell'ambito della complessa e molteplice questione sociale - il problema del lavoro umano compare naturalmente molte volte. Esso è, in qualche modo, una componente fissa come della vita sociale così dell'insegnamento della Chiesa. In questo insegnamento, peraltro, l'attenzione al problema risale ben al di là degli ultimi novant'anni.
La dottrina sociale della Chiesa, infatti, trova la sua sorgente nella Sacra Scrittura, a cominciare dal Libro della Genesi e, in particolare, nel Vangelo e negli scritti apostolici. Essa appartenne fin dall'inizio all'insegnamento della Chiesa stessa, alla sua concezione dell'uomo e della vita sociale e, specialmente, alla morale sociale elaborata secondo le necessità delle varie epoche. Questo patrimonio tradizionale è poi stato ereditato e sviluppato dall'insegnamento dei Pontefici sulla moderna "questione sociale", a partire dall'enciclica "Rerum Novarum". Nel contesto di tale questione, gli approfondimenti del problema del lavoro hanno avuto un continuo aggiornamento, conservando sempre quella base cristiana di verità, che possiamo chiamare perenne.
Se nel presente documento ritorniamo di nuovo su questo problema,- senza peraltro avere l'intenzione di toccare tutti gli argomenti che lo concernono -, non è tanto per raccogliere e ripetere ciò che è già contenuto nell'insegnamento della Chiesa, ma piuttosto per mettere in risalto - forse più di quanto sia stato compiuto finora - il fatto che il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell'uomo. E se la soluzione o, piuttosto, la graduale soluzione della questione sociale, che continuamente si ripresenta e si fa sempre più complessa, deve essere cercata nella direzione di "rendere la vita umana più umana" (GS 38), allora appunto la chiave, che è il lavoro umano, acquista un'importanza fondamentale e decisiva.
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La Chiesa è convinta che il lavoro costituisce una dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra. Essa si conferma in questa convinzione anche considerando tutto il patrimonio delle molteplici scienze, dedicate all'uomo: l'antropologia, la paleontologia, la storia, la sociologia, la psicologia, ecc.: tutte sembrano testimoniare in modo irrefutabile questa realtà.
La Chiesa, tuttavia, attinge questa sua convinzione, soprattutto alla fonte della Parola di Dio rivelata e, perciò, quella che è una convinzione dell'intelletto acquista in pari tempo il carattere di una convinzione di fede. La ragione è che la Chiesa - vale la pena di osservarlo fin d'ora - crede nell'uomo: essa pensa all'uomo e si rivolge a lui non solo alla luce dell'esperienza storica, non solo con l'aiuto dei molteplici metodi della conoscenza scientifica, ma in primo luogo alla luce della parola rivelata del Dio vivente. Riferendosi all'uomo, essa cerca di esprimere quei disegni eterni e quei destini trascendenti, che il Dio vivente, creatore e redentore, ha legato all'uomo.
La Chiesa trova già nelle prime pagine del Libro della Genesi la fonte della sua convinzione che il lavoro costituisce una fondamentale dimensione dell'esistenza umana sulla terra. L'analisi di tali testi ci rende consapevoli del fatto che in essi - a volte con un modo arcaico di manifestare il pensiero - sono state espresse le verità fondamentali intorno all'uomo, già nel contesto del mistero della Creazione. Sono queste le verità che decidono dell'uomo sin dall'inizio e che, al tempo stesso, tracciano le grandi linee della sua esistenza sulla terra, sia nello stato della giustizia originaria, sia anche dopo la rottura, determinata dal peccato, dell'originaria alleanza del Creatore con il creato, nell'uomo. Quando questi, fatto "a immagine di Dio... maschio e femmina" (cfr. Gn 1,27), sente le parole: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela" (Gn 1,28), anche se queste parole non si riferiscono direttamente ed esplicitamente al lavoro, indirettamente già glielo indicano al di là di ogni dubbio come un'attività da svolgere nel mondo. Anzi, esse ne dimostrano la stessa essenza più profonda. L'uomo è immagine di Dio, tra l'altro, per il mandato ricevuto dal suo Creatore di soggiogare, di dominare la terra.
Nell'adempimento di tale mandato, l'uomo, ogni essere umano, riflette l'azione stessa del Creatore dell'universo.
Il lavoro inteso come un'attività "transitiva", cioè tale che, prendendo l'inizio nel soggetto umano, è indirizzata verso un oggetto esterno, suppone uno specifico dominio dell'uomo sulla "terra" ed a sua volta conferma e sviluppa questo dominio. E' chiaro che col termine "terra", di cui parla il testo biblico, si deve intendere prima di tutto quel frammento dell'universo visibile, del quale l'uomo è abitante; per estensione, pero, si può intendere tutto il mondo visibile, in quanto esso si trova nel raggio d'influsso dell'uomo e della sua ricerca di soddisfare alle proprie necessità. Le parole "soggiogate la terra", hanno un'immensa portata. Esse indicano tutte le risorse che la terra (e indirettamente il mondo visibile) nasconde in sé, e che, mediante l'attività cosciente dell'uomo, possono essere scoperte e da lui opportunamente usate. così quelle parole, poste all'inizio della Bibbia, non cessano mai di essere attuali. Esse abbracciano ugualmente tutte le epoche passate della civiltà e dell'economia, come tutta la realtà contemporanea e le fasi future dello sviluppo, le quali, in qualche misura, forse si stanno già delineando, ma in gran parte rimangono ancora per l'uomo quasi sconosciute e nascoste.
Se a volte si parla di periodi di "accelerazione" nella vita economica e nella civilizzazione dell'umanità o delle singole Nazioni, unendo queste "accelerazioni" al progresso della scienza e della tecnica e, specialmente, alle scoperte decisive per la vita socio-economica, si può dire al tempo stesso che nessuna di queste "accelerazioni" supera l'essenziale contenuto di ciò che è stato detto in quell'antichissimo testo biblico. Diventando - mediante il suo lavoro - sempre di più padrone della terra, e confermando - ancora mediante il lavoro - il suo dominio sul mondo visibile, l'uomo, in ogni caso ed in ogni fase di questo processo, rimane sulla linea di quell'originaria disposizione del Creatore, la quale resta necessariamente e indissolubilmente legata al fatto che l'uomo è stato creato, come maschio e femmina, "a immagine di Dio". Questo processo è, al tempo stesso, universale: abbraccia tutti gli uomini, ogni generazione, ogni fase dello sviluppo economico e culturale, ed insieme è un processo che si attua in ogni uomo, in ogni consapevole soggetto umano. Tutti e ciascuno sono contemporaneamente da esso abbracciati. Tutti e ciascuno, in misura adeguata e in un numero incalcolabile di modi, prendono parte a questo gigantesco processo, mediante il quale l'uomo "soggioga la terra" col suo lavoro.
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Questa universalità e, al tempo stesso, questa molteplicità del processo del "soggiogare la terra" gettano luce sul lavoro umano, poiché il dominio dell'uomo sulla terra si compie nel lavoro e mediante il lavoro. Emerge così il significato del lavoro in senso oggettivo, il quale trova la sua espressione nelle varie epoche della cultura e della civiltà. L'uomo domina la terra già per il fatto che addomestica gli animali, allevandoli e ricavandone per sé il cibo e gli indumenti necessari, e per il fatto che può estrarre dalla terra e dal mare diverse risorse naturali. Molto di più, pero, l'uomo "soggioga la terra", quando comincia a coltivarla e successivamente rielabora i suoi prodotti, adattandoli alle proprie necessità. L'agricoltura costituisce così un campo primario dell'attività economica e un indispensabile fattore, mediante il lavoro umano, della produzione. L'industria, a sua volta, consisterà sempre nel coniugare le ricchezze della terra - sia le risorse vive della natura, sia i prodotti dell'agricoltura, sia le risorse minerarie o chimiche - ed il lavoro dell'uomo, il lavoro fisico come quello intellettuale. Ciò vale, in un certo senso, anche nel campo della cosiddetta industria dei servizi, e in quello della ricerca, pura o applicata.
Oggi nell'industria e nell'agricoltura l'attività dell'uomo ha cessato in molti casi di essere un lavoro prevalentemente manuale, poiché la fatica delle mani e dei muscoli è aiutata dall'opera di macchine e di meccanismi sempre più perfezionati. Non soltanto nell'industria, ma anche nell'agricoltura, siamo testimoni delle trasformazioni rese possibili dal graduale e continuo sviluppo della scienza e della tecnica. E questo, nel suo insieme, è diventato storicamente una causa di grandi svolte della civiltà dall'origine dell'"era industriale" alle successive fasi di sviluppo per il tramite di nuove tecniche, come quelle dell'elettronica o dei microprocessori negli ultimi anni.
Se può sembrare che nel processo industriale "lavori" la macchina mentre l'uomo solamente attende ad essa, rendendo possibile e sostenendo in diversi modi il suo funzionamento, è anche vero che proprio per questo lo sviluppo industriale pone la base per riproporre in modo nuovo il problema del lavoro umano. Sia la prima industrializzazione che ha creato la cosiddetta questione operaia, sia i successivi cambiamenti industriali, dimostrano eloquentemente che, anche nell'epoca del "lavoro" sempre più meccanizzato, il soggetto proprio del lavoro rimane l'uomo.
Lo sviluppo dell'industria e dei diversi settori con essa connessi, fino alle più moderne tecnologie dell'elettronica specialmente nel campo della miniaturizzazione, dell'informatica, della telematica ed altri, indica quale immenso ruolo assume, nell'interazione tra il soggetto e l'oggetto del lavoro (nel più ampio senso di questa parola), proprio quell'alleata del lavoro, generata dal pensiero umano, che è la tecnica. Intesa in questo caso non come una capacità o una attitudine al lavoro, ma come un insieme di strumenti dei quali l'uomo si serve nel proprio lavoro, la tecnica è indubbiamente un'alleata dell'uomo. Essa gli facilita il lavoro, lo perfeziona, lo accelera e lo moltiplica. Essa favorisce l'aumento dei prodotti del lavoro, e di molti perfeziona anche la qualità. E' un fatto, peraltro, che in alcuni casi la tecnica da alleata può anche trasformarsi quasi in avversaria dell'uomo, come quando la meccanizzazione del lavoro "soppianta" l'uomo, togliendogli ogni soddisfazione personale e lo stimolo alla creatività e alla responsabilità; quando sottrae l'occupazione a molti lavoratori prima impiegati, o quando, mediante l'esaltazione della macchina, riduce l'uomo ad esserne il servo.
Se le parole bibliche "soggiogate la terra", rivolte all'uomo fin dall'inizio, vengono intese nel contesto dell'intera epoca moderna, industriale e post-industriale, allora indubbiamente esse racchiudono in sé anche un rapporto con la tecnica, con quel mondo di meccanismi e di macchine, che è il frutto del lavoro dell'intelletto umano e la conferma storica del dominio dell'uomo sulla natura.
La recente epoca della storia dell'umanità, e specialmente di alcune società, porta con sé una giusta affermazione della tecnica come un coefficiente fondamentale di progresso economico; al tempo stesso, pero, con questa affermazione sono sorti e continuamente sorgono gli interrogativi essenziali riguardanti il lavoro umano in rapporto al suo soggetto, che è appunto l'uomo.
Questi interrogativi racchiudono in sé una carica particolare di contenuti e di tensioni di carattere etico ed etico-sociale. E perciò essi costituiscono una sfida continua per molteplici istituzioni, per gli Stati e per i governi, per i sistemi e le organizzazioni internazionali; essi costituiscono anche una sfida per la Chiesa.
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Per continuare la nostra analisi del lavoro legata alla parola della Bibbia, in forza della quale l'uomo deve soggiogare la terra, bisogna che concentriamo la nostra attenzione sul lavoro in senso soggettivo, molto più di quanto abbiamo fatto in riferimento al significato oggettivo del lavoro, toccando appena quella vasta problematica, che è perfettamente e dettagliatamente nota agli studiosi nei vari campi ed anche agli stessi uomini del lavoro secondo le loro specializzazioni. Se le parole del Libro della Genesi, alle quali ci riferiamo in questa nostra analisi, parlano in modo indiretto del lavoro nel senso oggettivo, così, nello stesso modo, parlano anche del soggetto del lavoro; ma ciò che esse dicono e molto eloquente e carico di un grande significato.
L'uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché come "immagine di Dio" è una persona, cioè un essere soggettivo capace di agire in modo programmato e razionale, capace di decidere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona, l'uomo è quindi soggetto del lavoro. Come persona egli lavora, compie varie azioni appartenenti al processo del lavoro; esse, indipendentemente dal loro contenuto oggettivo, devono servire tutte alla realizzazione della sua umanità, al compimento della vocazione ad essere persona, che gli è propria a motivo della stessa umanità. Le principali verità su questo tema sono state ultimamente ricordate dal Concilio Vaticano II nella Costituzione "Gaudium et Spes", particolarmente nel capitolo I dedicato alla vocazione dell'uomo.
E così quel "dominio", del quale parla il testo biblico qui meditato, si riferisce non solamente alla dimensione oggettiva del lavoro, ma ci introduce contemporaneamente alla comprensione della sua dimensione soggettiva. Il lavoro inteso come processo, mediante il quale l'uomo e il genere umano soggiogano la terra, corrisponde a questo fondamentale concetto della Bibbia solo quando contemporaneamente in tutto questo processo l'uomo manifesta e conferma se stesso come colui che "domina". Quel dominio, in un certo senso, si riferisce alla dimensione soggettiva ancor più che a quella oggettiva: questa dimensione condiziona la stessa sostanza etica del lavoro. Non c'è, infatti, alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini, e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona, un soggetto consapevole e libero, cioè un soggetto che decide di se stesso.
Questa verità, che costituisce in un certo senso lo stesso fondamentale e perenne midollo della dottrina cristiana sul lavoro umano, ha avuto ed ha un significato primario per la formulazione degli importanti problemi sociali a misura di intere epoche.
L'eta antica introdusse tra gli uomini una propria tipica differenziazione in ceti a seconda del tipo di lavoro che eseguivano. Il lavoro richiedeva da parte del lavoratore l'impiego delle forze fisiche, il lavoro dei muscoli e delle mani, era considerato indegno degli uomini liberi, e alla sua esecuzione venivano, perciò, destinati gli schiavi. Il cristianesimo, ampliando alcuni aspetti propri già dell'Antico Testamento, ha operato qui una fondamentale trasformazione di concetti, partendo dall'intero contenuto del messaggio evangelico e soprattutto dal fatto che Colui, il quale essendo Dio è divenuto simile a noi in tutto (cfr. He 2,17 Ph 2,5-8), dedico la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere.
Questa circostanza costituisce da sola il più eloquente "Vangelo del lavoro", che manifesta come il fondamento per determinare il valore del lavoro umano non sia prima di tutto il genere di lavoro che si compie, ma il fatto che colui che lo esegue è una persona. Le fonti della dignità del lavoro si devono cercare soprattutto non nella sua dimensione oggettiva, ma nella sua dimensione soggettiva.
In una tale concezione sparisce quasi il fondamento stesso dell'antica differenziazione degli uomini in ceti, a seconda del genere di lavoro da essi eseguito. Ciò non vuol dire che il lavoro umano, dal punto di vista oggettivo, non possa e non debba essere in alcun modo valorizzato e qualificato. Ciò vuol dire solamente che il primo fondamento del valore del lavoro è l'uomo stesso, il suo soggetto. A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura etica: per quanto sia una verità che l'uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, pero prima di tutto il lavoro è "per l'uomo", e non l'uomo "per il lavoro". Con questa conclusione si arriva giustamente a riconoscere la preminenza del significato soggettivo del lavoro su quello oggettivo. Dato questo modo di intendere, e supponendo che vari lavori compiuti dagli uomini possano avere un maggiore o minore valore oggettivo, cerchiamo tuttavia di porre in evidenza che ognuno di essi si misura soprattutto con il metro della dignità del soggetto stesso del lavoro, cioè della persona, dell'uomo che lo compie. A sua volta: indipendentemente dal lavoro che ogni uomo compie, e supponendo che esso costituisca uno scopo - alle volte molto impegnativo - del suo operare, questo scopo non possiede un significato definitivo per se stesso. Difatti, in ultima analisi, lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall'uomo - fosse pure il lavoro più "di servizio", più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante - rimane sempre l'uomo stesso.
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Proprio queste affermazioni basilari sul lavoro sono sempre emerse dalle ricchezze della verità cristiana, specialmente dal messaggio stesso del "Vangelo del lavoro", creando il fondamento del nuovo modo di pensare, di valutare e di agire degli uomini. Nell'epoca moderna, fin dall'inizio dell'era industriale, la verità cristiana sul lavoro doveva contrapporsi alle varie correnti del pensiero materialistico ed economicistico.
Per alcuni fautori di tali idee, il lavoro era inteso e trattato come una specie di "merce", che il lavoratore - e specialmente l'operaio dell'industria - vende al datore di lavoro, che è al tempo stesso possessore del capitale, cioè dell'insieme degli strumenti di lavoro e dei mezzi che rendono possibile la produzione. Questo modo di concepire il lavoro era diffuso, in particolare, nella prima metà del secolo XIX. In seguito le esplicite formulazioni di questo tipo sono pressoché sparite, cedendo ad un modo più umano di pensare e di valutare il lavoro.
L'interazione tra l'uomo del lavoro e l'insieme degli strumenti e dei mezzi di produzione ha dato luogo all'evolversi di diverse forme di capitalismo - parallelamente a diverse forme di collettivismo - dove si sono inseriti altri elementi socio-economici a seguito di nuove circostanze concrete, dell'opera delle associazioni dei lavoratori e dei poteri pubblici, dell'apparire di grandi imprese transnazionali. Ciononostante, il pericolo di trattare il lavoro come una "merce sui generis", o come una anonima "forza" necessaria alla produzione (si parla addirittura di "forza-lavoro"), esiste sempre, e specialmente qualora tutta la visuale della problematica economica sia caratterizzata dalle premesse dell'economismo materialistico.
Un'occasione sistematica e, in certo qual senso, perfino uno stimolo per questo modo di pensare e di valutare è costituito dall'accelerato processo di sviluppo della civiltà unilateralmente materialistica, nella quale si dà prima di tutto importanza alla dimensione oggettiva del lavoro, mentre la dimensione soggettiva - tutto ciò che è in rapporto indiretto o diretto con lo stesso soggetto del lavoro - rimane su di un piano secondario. In tutti i casi di questo genere, in ogni situazione sociale di questo tipo avviene una confusione o, addirittura, un'inversione dell'ordine stabilito all'inizio con le parole del Libro della Genesi: l'uomo viene trattato come uno strumento di produzione (cfr. Pio XII "Quadragesimo Anno": ASS 23 (1931) 221), mentre egli - egli solo, indipendentemente dal lavoro che compie - dovrebbe essere trattato come suo soggetto efficiente e suo vero artefice e creatore. Proprio tale inversione d'ordine, a prescindere dal programma e dalla denominazione secondo cui essa si compie, meriterebbe - nel senso indicato qui sotto più ampiamente - il nome di "capitalismo". Si sa che il capitalismo ha il suo preciso significato storico in quanto sistema, e sistema economico-sociale, in contrapposizione al "socialismo" o "comunismo". Ma, alla luce dell'analisi della realtà fondamentale dell'intero processo economico e, prima di tutto, della struttura di produzione - quale appunto è il lavoro - conviene riconoscere che l'errore del primitivo capitalismo può ripetersi dovunque l'uomo venga trattato, in un certo qual modo, al pari di tutto il complesso dei mezzi materiali di produzione, come uno strumento e non invece secondo la vera dignità del suo lavoro - cioè come soggetto e autore, e per ciò stesso come vero scopo di tutto il processo produttivo.
Da questo si comprende come l'analisi del lavoro umano fatta alla luce di quelle parole, che riguardano il "dominio" dell'uomo sopra la terra, penetri al centro stesso della problematica etico-sociale. Questa concezione dovrebbe pure trovare un posto centrale in tutta la sfera della politica sociale ed economica, sia nell'ambito dei singoli Paesi, sia in quello più vasto dei rapporti internazionali ed intercontinentali, con particolare riferimento alle tensioni, che si delineano nel mondo non solo sull'asse Oriente-Occidente, ma anche sull'asse Nord-Sud. Hanno rivolto una decisa attenzione a queste dimensioni della problematica etico-sociale contemporanea sia Giovanni XXIII nell'enciclica "Mater et Magistra", sia Paolo VI nell'enciclica "Populorum Progressio".
Laborem exercens