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28. "La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché possa rispondere alla suprema sua vocazione" (GS 10). Possiamo riferire queste parole della costituzione "Gaudium et Spes" al tema delle presenti riflessioni. Il particolare richiamo alla dignità della donna ed alla sua vocazione, proprio dei tempi in cui viviamo, può e deve essere accolto nella "luce e forza" che lo Spirito elargisce all'uomo: anche all'uomo della nostra epoca ricca di molteplici trasformazioni. La Chiesa "crede... di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine" dell'uomo, nonché "di tutta la storia umana" e "afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli" (GS 10).
Con queste parole la costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo ci indica la strada da seguire nell'assumere i compiti relativi alla dignità della donna e alla sua vocazione, sullo sfondo dei mutamenti significativi per i nostri tempi. Possiamo affrontare tali mutamenti in modo corretto e adeguato solo se riandiamo ai fondamenti che si trovano in Cristo, a quelle verità e a quei valori "immutabili", di cui egli stesso rimane "testimone fedele" (cfr. Ap 1,5) e maestro. Un diverso modo di agire condurrebbe a risultati dubbi, se non addirittura erronei e ingannevoli.
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29. Il passo già riportato dalla lettera agli Efesini (Ep 5,21-33), in cui il rapporto tra Cristo e la Chiesa viene presentato come legame tra lo sposo e la sposa, fa riferimento anche alla istituzione del matrimonio secondo le parole del libro della Genesi (cfr. Gn 2,24). Esso unisce la verità sul matrimonio come primordiale sacramento con la creazione dell'uomo e della donna ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,27;5,1). Grazie al significativo confronto contenuto nella lettera agli Efesini acquista piena chiarezza ciò che decide della dignità della donna sia agli occhi di Dio, creatore e redentore, sia agli occhi dell'uomo: dell'uomo e della donna. Sul fondamento del disegno eterno di Dio, la donna è colei in cui l'ordine dell'amore nel mondo creato delle persone trova un terreno per la sua prima radice. L'ordine dell'amore appartiene alla vita intima di Dio stesso, alla vita trinitaria. Nella vita intima di Dio, lo Spirito Santo è la personale ipostasi dell'amore. Mediante lo Spirito, dono increato, l'amore diventa un dono per le persone create. L'amore, che è da Dio, si comunica alle creature: "L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci viene dato" (Rm 5,5).
La chiamata all'esistenza della donna accanto all'uomo ("un aiuto che gli sia simile") (Gn 2,18): nell'"unità dei due" offre nel mondo visibile delle creature condizioni particolari affinché "l'amore di Dio venga riversato nei cuori" degli esseri creati a sua immagine. Se l'autore della lettera gli Efesini chiama Cristo sposo e la Chiesa sposa, egli conferma indirettamente, con tale analogia, la verità sulla donna come sposa. Lo sposo è colui che ama. La sposa viene amata: è colei che riceve l'amore, per amare a sua volta.
Il passo della Genesi - riletto alla luce del simbolo sponsale della lettera agli Efesini - ci permette di intuire una verità che sembra decidere in modo essenziale la questione della dignità della donna e, in seguito, anche quella della sua vocazione: la dignità della donna viene misurata dall'ordine dell'amore, che è essenzialmente ordine di giustizia e di carità (cfr. S. Augustini "De Trinitate", L. VIII, VII, 10 - X, 14: CCL 50, 284-291).
Solo la persona può amare e solo la persona può essere amata. Questa è un'affermazione, anzitutto, di natura ontologica, dalla quale emerge poi un'affermazione di natura etica. L'amore è un'esigenza ontologica ed etica della persona. La persona deve essere amata, poiché solo l'amore corrisponde a quello che è la persona. così si spiega il comandamento dell'amore conosciuto già nell'antico testamento (cfr. Dt 6,5 Lv 19,18) e posto da Cristo al centro stesso dell'"ethos" evangelico (cfr. Mt 22,36-40 Mc 12,28-34). così si spiega anche quel primato dell' amore espresso dalle parole di Paolo nella lettera ai Corinzi: "più grande è la carità" (cfr. 1Co 13,13).
Se non si ricorre a quest'ordine e a questo primato, non si può dare una risposta completa e adeguata all'interrogativo sulla dignità della donna e sulla sua vocazione. Quando diciamo che la donna è colei che riceve amore per amare a sua volta, non intendiamo solo o innanzitutto lo specifico rapporto sponsale del matrimonio. Intendiamo qualcosa di più universale, fondato sul fatto stesso di essere donna nell'insieme delle relazioni interpersonali, che nei modi più diversi strutturano la convivenza e la collaborazione tra le persone, uomini e donne. In questo contesto, ampio e diversificato, la donna rappresenta un valore particolare come persona umana e, nello stesso tempo, come quella persona concreta, per il fatto della sua femminilità. Questo riguarda tutte le donne e ciascuna di esse, indipendentemente dal contesto culturale in cui ciascuna si trova e dalle sue caratteristiche spirituali, psichiche e corporali, come, ad esempio, l'età, l'istruzione, la salute, il lavoro, l'essere sposata o nubile.
Il passo della lettera agli Efesini che consideriamo ci permette di pensare ad una specie di "profetismo" particolare della donna nella sua femminilità. L'analogia dello sposo e della sposa parla dell'amore con cui ogni uomo è amato da Dio in Cristo, ogni uomo e ogni donna. Tuttavia, nel contesto dell'analogia biblica e in base alla logica interiore del testo, è proprio la donna colei che manifesta a tutti questa verità: la sposa. Questa caratteristica "profetica" della donna nella sua femminilità trova la più alta espressione nella Vergine Madre di Dio. Nei suoi riguardi viene messo in rilievo, nel modo più pieno e diretto, l'intimo congiungersi dell'ordine dell'amore - che entra nell'ambito del mondo delle persone umane attraverso una donna - con lo Spirito Santo. Maria ode all'annunciazione: "Lo Spirito Santo scenderà su di te" (Lc 1,35).
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30. La dignità della donna si collega intimamente con l'amore che ella riceve a motivo stesso della sua femminilità ed altresi con l'amore che a sua volta dona.
Viene così confermata la verità sulla persona e sull'amore. Circa la verità della persona, si deve ancora una volta ricorrere al Concilio Vaticano II: "L'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non mediante un dono sincero di sé" (GS 24). Questo riguarda ogni uomo, come persona creata ad immagine di Dio, sia uomo che donna. L'affermazione di natura ontologica qui contenuta indica anche la dimensione etica della vocazione della persona. La donna non può ritrovare se stessa se non donando l'amore agli altri.
Sin dal "principio" la donna - come l'uomo - è stata creata e "posta" da Dio proprio in questo ordine dell'amore. Il peccato delle origini non ha annullato questo ordine, non lo ha cancellato in modo irreversibile. Lo provano le parole bibliche del Protoevangelo (cfr. Gn 3,15). Nelle presenti riflessioni abbiamo osservato il posto singolare della "donna" in questo testo chiave della rivelazione. Occorre, inoltre, rilevare come la stessa donna, che giunge ad essere "paradigma" biblico, si trovi anche nella prospettiva escatologica del mondo e dell'uomo espressa dall'Apocalisse (cfr. Ad opera Sancti Ambrosii appendix "In Apoc.", IV, 3-4: PL 17, 876; Ps. Augustini "De symb. ad catech.", "sermo IV": PL 40, 661.). E' "una donna vestita di sole", con la luna sotto i piedi e una corona di stelle sopra il capo (cfr. Ap 12,1). Si può dire: una "donna" a misura del cosmo, a misura di tutta l'opera della creazione. Nello stesso tempo essa soffre "le doglie e il travaglio del parto" (Ap 12,2), come Eva "madre di tutti i viventi" (Gn 3,20). Soffre anche perché "davanti alla donna che sta per partorire" (cfr. Ap 12,4), si pone "il grande drago, il serpente antico" (Ap 12,9), conosciuto già dal Protoevangelo: il Maligno, "padre della menzogna" e del peccato (cfr. Jn 8,44). Ecco: il "serpente antico" vuole divorare "il bambino". Se vediamo in questo testo il riflesso del Vangelo dell'infanzia (cfr. Mt 2,13-16), possiamo pensare che, nel paradigma biblico della "donna", viene inscritta, dall'inizio sino al termine della storia, la lotta contro il male e il Maligno.
Questa è anche la lotta per l'uomo, per il suo vero bene, per la sua salvezza. La Bibbia non vuole dirci che proprio nella "donna", Eva-Maria, la storia registra una drammatica lotta per ogni uomo, la lotta per il suo fondamentale "si o "no" a Dio e al suo eterno disegno sull'uomo? Se la dignità della donna testimonia l'amore, che essa riceve per amare a sua volta, il paradigma biblico della "donna" sembra anche svelare quale sia il vero ordine dell'amore che costituisce la vocazione della donna stessa. Si tratta qui della vocazione nel suo significato fondamentale, si può dire universale, che poi si concretizza e si esprime nelle molteplici "vocazioni" della donna nella Chiesa e nel mondo. La forza morale della donna, la sua forza spirituale si unisce con la consapevolezza che Dio le affida in un modo speciale l'uomo, l'essere umano. Naturalmente, Dio affida ogni uomo a tutti e a ciascuno. Tuttavia, questo affidamento riguarda in modo speciale la donna - proprio a motivo della sua femminilità - ed esso decide in particolare della sua vocazione.
Attingendo a questa consapevolezza e a questo affidamento, la forza morale della donna si esprime in numerosissime figure femminili dell'antico testamento, dei tempi di Cristo, delle epoche successive fino ai nostri giorni.
La donna è forte per la consapevolezza dell'affidamento, forte per il fatto che Dio "le affida l'uomo", sempre e comunque, persino nelle condizioni di discriminazione sociale in cui essa può trovarsi. Questa consapevolezza e questa fondamentale vocazione parlano alla donna della dignità che riceve da Dio stesso, e ciò la rende "forte" e consolida la sua vocazione. In questo modo, la "donna perfetta" (cfr. Pr 31,10) diventa un insostituibile sostegno e una fonte di forza spirituale per gli altri, che percepiscono le grandi energie del suo spirito. A queste "donne perfette" devono molto le loro famiglie e talvolta intere nazioni.
Nella nostra epoca i successi della scienza e della tecnica permettono di raggiungere in grado finora sconosciuto un benessere materiale che, mentre favorisce alcuni, conduce altri all'emarginazione. In tal modo, questo progresso unilaterale può comportare anche una graduale scomparsa della sensibilità per l'uomo, per ciò che è essenzialmente umano. In questo senso, soprattutto i nostri giorni attendono la manifestazione di quel "genio" della donna che assicuri la sensibilità per l'uomo in ogni circostanza: per il fatto che è uomo! E perché "più grande è la carità" (1Co 13,13).
Pertanto, un'attenta lettura del paradigma biblico della "donna" - dal libro della Genesi sino all'Apocalisse - conferma in che consistono la dignità e la vocazione della donna e ciò che in esse è immutabile e non perde attualità, avendo il suo "ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli" (GS 10). Se l'uomo è affidato in modo speciale da Dio alla donna, questo non significa forse che da lei Cristo si attende il compiersi di quel "sacerdozio regale" (1P 2,9), che è la ricchezza da lui data agli uomini? Questa stessa eredità Cristo, sommo ed unico sacerdote della nuova ed eterna alleanza e sposo della Chiesa, non cessa di sottomettere al Padre mediante lo Spirito Santo, affinché Dio sia "tutto in tutti" (1Co 15,28 cfr. LG 36).
Allora avrà compimento definitivo la verità che "più grande è la carità" (1Co 13,13).
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31. "Se tu conoscessi il dono di Dio" (Jn 4,10), dice Gesù alla Samaritana durante uno di quei mirabili colloqui che mostrano quanta stima egli abbia per la dignità di ogni donna e per la vocazione che le consente di partecipare alla sua missione di Messia.
Le presenti riflessioni, ormai concluse, sono orientate a riconoscere all'interno del "dono di Dio" ciò che egli, creatore e redentore, affida alla donna, ad ogni donna. Nello spirito di Cristo, infatti, essa può scoprire l'intero significato della sua femminilità e disporsi in tal modo al "dono sincero di sé" agli altri, e così "ritrovare" se stessa.
Nell'anno mariano la Chiesa desidera ringraziare la Santissima Trinità per il "mistero della donna", e per ogni donna; per ciò che costituisce l'eterna misura della sua dignità femminile, per le "grandi opere di Dio" che nella storia delle generazioni umane si sono compiute in lei e per mezzo di lei. In definitiva, non si è operato in lei e per mezzo di lei ciò che c'è di più grande nella storia dell'uomo sulla terra: l'evento che Dio stesso si è fatto uomo? La Chiesa, dunque, rende grazie per tutte le donne e per ciascuna: per le madri, le sorelle, le spose; per le donne consacrate a Dio nella verginità; per le donne dedite ai tanti e tanti essere umani, che attendono l'amore gratuito di un'altra persona; per le donne che vegliano sull'essere umano nella famiglia, che è il fondamentale segno della comunità umana; per le donne che lavorano professionalmente, donne a volte gravate da una grande responsabilità sociale; per le donne "perfette" e per le donne "deboli", per tutte: così come sono uscite dal cuore di Dio in tutta la bellezza e ricchezza della loro femminilità; così come sono state abbracciate dal suo eterno amore; così come, insieme con l'uomo, sono pellegrine su questa terra, che è, nel tempo, la "patria" degli uomini e si trasforma talvolta in una "valle di pianto"; così come assumono, insieme con l'uomo, una comune responsabilità per le sorti dell'umanità, secondo le quotidiane necessità e secondo quei destini definitivi che l'umana famiglia ha in Dio stesso, nel seno dell'ineffabile Trinità.
La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del "genio" femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e nazioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne nella storia del Popolo di Dio, per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speranza e carità: ringrazia per tutti i frutti di santità femminile.
La Chiesa chiede, nello stesso tempo, che queste inestimabili "manifestazioni dello Spirito" (cfr. 1Co 12,4s) che con grande generosità sono elargite alle "figlie" della Gerusalemme eterna, siano attentamente riconosciute, valorizzate, perché tornino a comune vantaggio della Chiesa e dell'umanità, specialmente ai nostri tempi. Meditando il mistero biblico della "donna", la Chiesa prega affinché tutte le donne ritrovino in questo mistero se stesse e la loro "suprema vocazione".
Maria, che "precede tutta la Chiesa sulla via della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo" (cfr. LG 63), ottenga a tutti noi anche questo "frutto", nell'anno che abbiamo dedicato a lei, alle soglie del terzo millennio della venuta di Cristo.
Con questi voti imparto a tutti i fedeli e in special modo alle donne, sorelle in Cristo, la benedizione apostolica.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 del mese di agosto - solennità dell'Assunzione di Maria santissima - dell'anno 1988, decimo di Pontificato.
Data: 1988-08-15 Data estesa: Lunedi 15 Agosto 1988
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