Studio dottrina sociale
Documento In questi ultimi decenni.
Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della chiesa nella formazione sacerdotale, 30 dicembre 1988: OR 28.6.1989, inserto tabloid.
1 In questi ultimi decenni, la Congregazione per l'educazione cattolica, attenta alle esigenze emergenti del rinnovamento conciliare, ha offerto più volte ai seminari e ai vari istituti di studi teologici appropriate direttive per i diversi settori della formazione sacerdotale.(1) Ora, essa ritiene opportuno rivolgersi nuovamente ai vescovi, agli educatori dei seminari e ai professori per proporre alcuni orientamenti sullo studio e sull'insegnamento della dottrina sociale della chiesa.
Prendendo questa iniziativa, si è consapevoli di venire incontro ad una vera necessità, oggi dappertutto vivamente sentita, di far beneficiare la famiglia umana delle ricchezze contenute nella dottrina sociale della chiesa, mediante il ministero di sacerdoti ben formati e consci dei molteplici compiti che li attendono. Oggi, in un momento cosi ricco di approfondimenti e di studi su questo tema, come risulta tra l'altro anche dalla recente enciclica di Giovanni Paolo II, è molto importante che i candidati al sacerdozio acquistino un'idea chiara circa la natura, le finalità e le componenti essenziali di detta dottrina, per poter applicarla nell'attività pastorale nella sua integrità come viene formulata e proposta dal magistero della chiesa. (2) La situazione in questo campo è infatti tale da richiedere un opportuno chiarimento dei diversi concetti, come si vedrà nei vari capitoli dei presenti “Orientamenti”.
Si osserverà innanzitutto che in essi ricorrono indistintamente due termini: “dottrina sociale” e “insegnamento sociale” della chiesa. Non si ignorano le sfumature che sono implicate in ciascuno di essi. “Dottrina” infatti sottolinea di più l'aspetto teorico del problema e “insegnamento” quello storico e pratico, tuttavia entrambi vogliono indicare la medesima realtà. L'uso alterno di essi nel magistero sociale della chiesa, tanto in quello solenne quanto in quello ordinario pontificio ed episcopale, sta ad indicarne la reciproca equivalenza.
Al di sopra di qualsiasi conflitto di parole e di espressioni, la realtà indicata con dottrina sociale o insegnamento sociale costituisce un “ricco patrimonio” che la chiesa ha acquisito progressivamente attingendo dalla parola di Dio e facendo attenzione alle situazioni mutevoli dei popoli nelle diverse epoche della storia. È un patrimonio che va conservato con fedeltà e sviluppato rispondendo via via alle nuove emergenze della convivenza umana.
1 Cf. Ratio fundamentalis instititionis sacerdotalìs (6.1.1970, nuova edizione 19.3.1985): EV 3/1796ss e Sl/918ss; Lett. circ. su L'insegnamento della filosofia nei seminari (2C1.1.1972): EV4/1516ss; Orientamenti, educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11.4.1974); EV 5/190-ss; Lett. circ. sull'Insegnamento del diritto canonico per gli ispiranti al sacerdozio (2.4.1975); EV 5/1221ss; Documento su La formazione teologica dei futuri sacerdoti (22,2.1976): EV 5/1766ss; Istruzione Sulla formazione liturgica nei seminari (3-6. Ì979): EV 6/1550 ss; Lett. circ. Su alcuni aspetti più urgenti della formazione spirituale nei seminari (6.1.I980): EV7/45ss; Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti, della comunicazione sociale (19.3.1986): EV 10/75ss.
2 GIOVANNI PAOLO II. Lett. enc. Sollicitudo rei socialis [SRS], (30.12.1987), SRS 41: EV 10/2668s.
2 Oggi, la dottrina sociale è chiamata con sempre maggiore urgenza a dare il proprio specifico contributo all'evangelizzazione, al dialogo con il mondo, all’interpretazione cristiana della realtà e agli orientamenti dell'azione pastorale, per illuminare le varie iniziative sul piano temporale con sani princìpi. Infatti le strutture economiche, sociali, politiche e culturali stanno sperimentando profonde e rapide trasformazioni, che mettono in gioco il futuro stesso della società umana, ed hanno quindi bisogno di un sicuro orientamento. Si tratta di promuovere un vero progresso sociale il quale, per garantire effettivamente il bene comune di tutti gli uomini, richiede una giusta organizzazione di tali strutture; se ciò non venisse fatto, si avrebbe un ritorno di grandi moltitudini verso quella situazione di “giogo quasi servile”, di cui parlava Leone XIII nella Rerrum novarum. (3)
E’ quindi evidente che il “grave dramma” del mondo contemporaneo, provocato dalle molteplici minacce che spesso accompagnano il progresso dell'uomo, “non può lasciare nessuno indifferente”. (4) Si fa perciò più urgente e decisiva l’irrinunciabile presenza evangelizzatrice della chiesa nel complesso mondo delle realtà temporali che condizionano il destino dell'umanità.
Tuttavia, se la chiesa entra in questo campo, è consapevole dei propri limiti. Essa non pretende di dare una soluzione a tutti i problemi presenti nella drammatica situazione del mondo contemporaneo, tanto più che esistono grandi differenze di sviluppo tra le nazioni e ben differenti sono le situazioni in cui si trovano impegnati i cristiani.(5) Può invece, e deve dare, nella “luce che le viene dal Vangelo”, (6) i princìpi e gli orientamenti indispensabili per la retta organizzazione della vita sociale, per la dignità della persona umana e per il bene comune. Di fatto il magistero è intervenuto e interviene spesso in questo campo, con una dottrina che tutti i fedeli sono chiamati a conoscere, insegnare e applicare. Per questa ragione occorre garantire un posto speciale, in armonia con gli studi filosofici e teologia, all'insegnamento di questa dottrina nella formazione dei futuri sacerdoti, come si è espresso chiaramente a tale proposito Giovanni XXIII (7) e si desidera ribadire nuovamente con i presenti “Orientamenti”, studiati in collaborazione con il Pontificio consiglio “lustitia et pax” e approvati dall'assemblea plenaria della Congregazione per l'educazione cattolica.
La struttura del documento consta di sei capitoli, dei quali i primi cinque si riferiscono alla natura della dottrina sociale della chiesa: la sua dimensione storica, teorica e pratica nei tre elementi che la costituiscono, cioè, i princìpi permanenti, i criteri di giudizio e le direttive di azione. Il sesto capitolo offre alcune indicazioni per garantire ai candidati al presbiterato un'adeguata formazione in materia di dottrina sociale.
3 LEONE XIII, Lett. enc. Rerum novurum [RN], (15.5.1891): Acta Leonis XIII 11 (1891), 99.
4 GIOVANNI PAOI.O II, Lett. enc. Redemptor hommis [RH], (4.3.1979), RH 16: EV 6/1224,
5 PAOLO VI, Lett. apost. Octogesima adveniens [OA] (14.5.1971), nn, 3-4: EV 4/716s.
6 GS 3: EV 1/1322.
7 GIOVANNI XXIII, Lett. Enc. Mater et magistra [MM] (15.5.1961): AAS 53 (1961). MM 453-454.
3 Le incertezze qua e là ancora diffuse circa l'uso del termine “dottrina sociale” della chiesa, ma anche circa la stessa natura della medesima, reclamano un chiarimento del problema epistemologico, che è alla radice di tali malintesi. Anche se non si pretende in questo documento di trattare “ex professo” o addirittura di risolvere tutti i risvolti epistemologici relativi alla dottrina sociale, tuttavia si spera che una riflessione approfondita sugli elementi costitutivi che ne esprimono la natura, aiuterà a comprendere meglio i termini in cui si pone il problema. Ad ogni modo sarà bene tenere presente che ci si propone qui di precisare detti elementi costitutivi così come si ricavano direttamente dai pronunciamenti magisteriali, e non come si trovano formulati presso vari studiosi. E necessario infatti distinguere sempre la dottrina sociale ufficiale della chiesa e le diverse posizioni delle scuole, che hanno sistematicamente spiegato, sviluppato e ordinato il pensiero sociale contenuto nei documenti pontifici. (8)
Gli elementi essenziali che descrivono e definiscono la natura della dottrina sociale vengono presentati in questo modo: (9) l'insegnamento sociale della chiesa trae la sua origine dall'incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze etiche con i problemi che sorgono nella vita della società. Le istanze che così vengono evidenziate diventano materia per la riflessione morale che matura nella chiesa attraverso la ricerca scientifica, ma anche attraverso l'esperienza della comunità cristiana, che deve misurarsi ogni giorno con varie situazioni di miseria e, soprattutto, con i problemi determinati dall'apparire e dallo svilupparsi del fenomeno dell'industrializzazione e dei sistemi socio-economici che vi sono connessi.
Questa dottrina si forma con il ricorso alla teologia e alla filosofia, che le danno un fondamento, e alle scienze umane e sociali che la completano. Essa si proietta sugli aspetti etici della vita, senza trascurare gli aspetti tecnici dei problemi, per giudicarli con criterio morale. Basandosi “su princìpi sempre validi”, essa comporta “giudizi contingenti”, poiché si sviluppa in funzione delle circostanze mutevoli della storia e si orienta essenzialmente all'“azione o prassi cristiana”.
8 Pio XII, Allocuzione Animus nostrae al senato accademico e agli alunni della Pontificia università gregoriana di Roma. (17.10.1953): AAS 45(1953), 687.
9 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE. Istruzione Liberiatis conscientia [LC] su libertà cristiana e liberazione, (22.3.1986), n. 72: F.V 10/293s.
4 Per quanto questa dottrina sociale sia andata formandosi durante il secolo XIX come complemento del trattato di morale dedicato alla virtù della giustizia, ben presto acquistò una notevole autonomia dovuta allo sviluppo continuo organico e sistematico della riflessione morale della chiesa sui nuovi e complessi problemi sociali. Si può così affermare che la dottrina sociale possiede un'identità propria, con un profilo teologico ben definito.
Per avere un'idea completa della dottrina sociale bisogna riferirsi alle sue fonti, al suo fondamento e oggetto, al soggetto e al contenuto, alle finalità e al metodo; tutti elementi che la costituiscono come una disciplina particolare ed autonoma, teorica e pratica ad un tempo, nell'ampio e complesso campo della scienza della teologia morale, in stretta relazione con la morale sociale. (10)
Le fonti della dottrina sociale sono la sacra Scrittura, l'insegnamento dei padri e dei grandi teologi della chiesa e lo stesso magistero. Il suo fondamento e oggetto primario è la dignità della persona umana con i suoi diritti inalienabili, che formano il nucleo della “verità sull'uomo”. (11) Il soggetto è tutta la comunità cristiana, in armonia e sotto la guida dei suoi legittimi pastori, di cui anche i laici, con la loro esperienza cristiana, sono attivi collaboratori. Il contenuto, compendiando la visione dell'uomo. dell'umanità e della società, (12) rispecchia l'uomo completo, l'uomo sociale, come soggetto determinato e realtà fondamentale dell'antropologia cristiana.
10 GIOVANNI PAOLO II, Lett. cnc. Laborem exercens [LE], (14.9.1981), n, LE 3; EV 7/1397; SRS 41: EV 10/2668s.
11 GIOVANNI PAOLO II, Alloc. Esta hora alla III Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano a Puebla. 28.1.1979, parte I, n. 9: AAS 71(1979), 195.
12 PAOLO VI, lett. enc. Populorum progressio [PP], (26-3.1967), n. PP 13: EV 2/1058.
5 In quanto “parte integrante della concezione cristiana della vita”, (13) la dottrina sociale della chiesa riveste un carattere eminentemente teologico. Tra il Vangelo e la vita reale infatti si ha una interpellanza reciproca che, sul piano pratico dell'evangelizzazione e della promozione umana, si concretizza in forti vincoli di ordine antropologico, teologico e spirituale, cosicché la carità, la giustizia e la pace sono inseparabili nella promozione cristiana della persona umana. (14)
Questa indole teologica della dottrina sociale si esprime pure nella sua finalità pastorale di servizio al mondo, tesa a stimolare la promozione integrale dell'uomo mediante la prassi della liberazione cristiana, nella sua prospettiva terrena e trascendente.(15) Non si tratta di comunicare solo un “sapere puro”, ma un sapere teorico-pratico di portata e proiezione pastorale, coerente con la missione evangelizzatrice della chiesa, al servizio di tutto l'uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini. È la retta intelligenza dell'uomo reale e del suo destino (16) che la Chiesa può offrire come suo contributo alla soluzione dei problemi umani. Si può dire che in ogni epoca e in ogni situazione la chiesa ripercorre questo cammino svolgendo nella società un triplice compito: annuncio delle verità circa la dignità dell'uomo ed i suoi diritti, denuncia delle situazioni ingiuste e contributo ai cambiamenti positivi nella società e al vero progresso dell'uomo. (17)
13 MM: AAS 53(1961), MM 453.
14 PAOLO VI, Esort. Apost. Evangelii nuntiandi [E.N], (8-12.1975), nn. EN 29 EN 31: EV 5/1621.1623.
15 EN 31: EV 5/1623.
16 GS 12ss: EV l/1355ss.
17 LE 1: EV 7/1392.
6 La dottrina sociale comporta una triplice dimensione, cioè teoretica, storica e pratica. Queste dimensioni configurano la sua struttura essenziale e sono tra loro connesse e inseparabili.
Vi è innanzitutto “una dimensione teoretica”, perché il magistero della chiesa ha formulato esplicitamente nei suoi documenti sociali una riflessione organica e sistematica. Il magistero indica il cammino sicuro per costruire le relazioni di convivenza in un nuovo ordine sociale secondo criteri universali che possano essere accettati da tutti. (18) Si tratta, beninteso, dei princìpi etici permanenti, non dei mutevoli giudizi storici né di “cose tecniche per le quali (il magistero) non possiede i mezzi proporzionati ne missione alcuna”. (19)
Vi è poi nella dottrina sociale della chiesa una “dimensione storica”, dato che in essa l'impiego dei princìpi è inquadrato in una visione reale della società, e ispirato dalla presa di coscienza dei suoi problemi.
Vi è infine una “dimensione pratica”, perché la dottrina sociale non si ferma al solo enunciato dei princìpi permanenti di riflessione, né alla sola interpretazione delle condizioni storiche della società, ma si propone anche l'applicazione effettiva di questi princìpi nella prassi, traducendoli concretamente nelle forme e nella misura che le circostanze permettono o reclamano. (20)
18 MM: AAS 53(1961), MM 453,
19 PIo XI, Lett. Enc. Quadragesimo anno [QA]. (15.5.1931): AAS 23 (1931),
20 MM: AAS 53(1961), MM 453.
7 La triplice dimensione facilita la comprensione del processo dinamico induttivo-deduttivo della metodologia che, già seguita in modo generico nei documenti più antichi, si precisa meglio nell'enciclica Mater et magistra ed è assunta in modo decisivo nella costituzione pastorale Gaudium et spes e nei documenti posteriori. Questo metodo si sviluppa in tre momenti: vedere, giudicare e agire.
Il vedere è percezione e studio dei problemi reali e delle loro cause, la cui analisi però spetta alle scienze umane e sociali.
Il giudicare è l'interpretazione della stessa realtà alla luce delle fonti della dottrina sociale, che determinano il giudizio che si pronuncia sui fenomeni sociali e le loro implicanze etiche. In questa fase intermedia si situa la funzione propria del magistero della chiesa che consiste appunto nell'interpretare dal punto di vista della fede la realtà e nell'offrire “quello che esso ha di proprio: una visione globale dell'uomo e dell'umanità”. (21) E’ chiaro che nel vedere e nel giudicare la realtà, la chiesa non è né può essere neutrale, perché non può non adeguarsi alla scala dei valori enunciati nel Vangelo. Se, per ipotesi, essa si adeguasse ad altre scale di valori, il suo insegnamento non sarebbe quello che effettivamente è, ma si ridurrebbe ad una filosofia o ad una ideologia di parte.
L'agire è volto all'attuazione delle scelte. Esso richiede una vera conversione, cioè, quella trasformazione interiore che è disponibilità, apertura e trasparenza alla luce purificatrice di Dio.
Il magistero, nell'invitare i fedeli a fare scelte concrete e ad agire secondo i princìpi e i giudizi espressi nella sua dottrina sociale, offre ad essi il frutto di molte riflessioni ed esperienze pastorali maturate sotto l'assistenza particolare promessa da Cristo alla sua chiesa. Sta al vero cristiano seguire detta dottrina e porla “alla base della sua sapienza, della sua esperienza per tradurla concretamente in categorie di azione, di partecipazione e di impegno”. (22)
21 PP 13: EV 2/1058.
22 EN 38: EV 5/1630; LG 25: 1/344.
8 Non si possono mettere m pratica princìpi e orientamenti etici senza un adeguato discernimento, che porti tutta la comunità cristiana e ciascuno in particolare a scrutare “i segni dei tempi” e ad interpretare la realtà alla luce del messaggio evangelico. (23) Sebbene non spetti alla chiesa analizzare scientificamente la realtà sociale, (24) il discernimento cristiano, come ricerca e valutazione della verità, porta ad investigare le cause reali del male sociale e specialmente dell'ingiustizia e ad assumere i risultati certi, non ideologizzati, delle scienze umane. Lo scopo è di giungere, alla luce dei princìpi permanenti, a un giudizio obiettivo sulla realtà sociale e a concretizzare, secondo le possibilità e le opportunità offerte dalle circostanze, le scelte più adeguate che eliminino le ingiustizie e favoriscano le trasformazioni politiche, economiche e culturali necessarie nei singoli casi. (25)
In questa prospettiva, il discernimento cristiano non solo aiuta a chiarire le situazioni locali, regionali o mondiali, ma anche, e principalmente, a scoprire il disegno salvifico di Dio, realizzato in Gesù Cristo, per i suoi figli nelle diverse epoche della storia, E chiaro che esso deve porsi in un atteggiamento di fedeltà non solo alle fonti evangeliche, ma anche al magistero della chiesa e ai suoi legittimi pastori.
23 GS 4: EV 1/1324.
24 LE 1: EV 7/1392,
25 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio A vous tous per la giurnata mondiale della pace 1980 (8.12.1979): AAS 71(1979), 1572ss; OA 4: EV 4/717.
9 Dal momento che la dottrina sociale della chiesa trae verità, elementi di valutazione e di discernimento dalla rivelazione, rivendicando per sé il “carattere di applicazione della parola di Dio alla vita degli uomini e della società”, (26) essa ha bisogno di un solido inquadramento filosofico-teologico. Alla sua base sta infatti un'antropologia tratta dal Vangelo che contiene come sua “affermazione primordiale” l'idea dell'uomo “come immagine di Dio, irriducibile ad una semplice particella della natura o ad un elemento anonimo della città umana”. (27)
Ma quest'affermazione fondamentale si articola in numerose formulazioni dottrinali - come per es. la dottrina della carità, della figliolanza divina, della nuova fraternità in Cristo, della libertà dei figli di Dio, della dignità personale e della vocazione eterna di ogni uomo - le quali acquistano il loro pieno significato e valore soltanto nel contesto dell'antropologia soprannaturale e dell'intera dogmatica cattolica.
Insieme a questi dati derivati dalla rivelazione, la dottrina sociale assume, richiama e spiega anche vari princìpi etici fondamentali di carattere razionale, mostrando la coerenza tra i dati rivelati e i princìpi della retta ragione, regolativi degli atti umani nel campo della vita sociale e politica. Ne consegue pertanto la necessità di ricorrere alla riflessione filosofica, per approfondire tali concetti (quali per es. l'obiettività della verità, della realtà, del valore della persona umana, delle norme di agire e dei criteri di verità), e per illustrarli alla luce delle ultime cause. Effettivamente, la chiesa insegna che le encicliche sociali si appellano anche alla “retta ragione” per trovare le norme oggettive della moralità umana, che regolano la vita non solo individuale, ma anche sociale ed internazionale. (28) In questa visuale viene evidenziato come un solido fondamento filosofico-teologico aiuterà i professori e gli alunni ad evitare interpretazioni soggettive delle situazioni sociali concrete, come anche a guardarsi da una possibile strumentalizzazione delle medesime per fini e interessi ideologici.
26 SRS 8: EV 10/2518.
27 GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione a Puebla, parte I, n, 9: AAS 71(1979). 195-196.
28 GS 63: EV 1/1537.
10 La dottrina sociale si serve pure dei dati che provengono dalle scienze positive e in modo particolare da quelle sociali, che costituiscono uno strumento importante, anche se non esclusivo, per la comprensione della realtà. Il ricorso a queste scienze richiede un attento discernimento, in base anche ad una opportuna mediazione filosofica, giacché si può correre il pericolo di piegarle alla pressione di determinate ideologie contrarie alla retta ragione, alla fede cristiana e, in definitiva, ai dati stessi dell'esperienza storica e della ricerca scientifica. Ad ogni modo, un “dialogo fruttuoso” (29) tra l'etica sociale cristiana (teologica e filosofica) e le scienze umane è non solo possibile, ma anche necessario per la comprensione della realtà sociale. La chiara distinzione tra la competenza della chiesa, da una parte, e quella delle scienze positive, dall'altra, non costituisce nessun ostacolo per il dialogo e anzi lo facilita. Perciò è nella linea della dottrina sociale della chiesa accogliere e armonizzare tra loro adeguatamente i dati offerti dalle sue fonti, sopra menzionate, e quelli forniti dalle scienze positive. È chiaro che essa avrà sempre come principale punto di riferimento la parola e l'esempio di Cristo e la tradizione cristiana, considerati in funzione della missione evangelizzatrice della chiesa.
29 OA 40: EV 4/764.
11 Come si è già detto, la dottrina sociale della chiesa, per il suo carattere di mediazione tra il Vangelo e la realtà concreta dell'uomo e della società, ha bisogno di essere continuamente aggiornata e resa rispondente alle nuove situazioni del mondo e della storia. (30) Di fatto, nel succedersi dei decenni essa ha conosciuto una notevole evoluzione. L'oggetto iniziale di questa dottrina fu la cosiddetta “questione sociale”, ossia l'insieme dei problemi socio-economici sorti in determinate aree del mondo europeo e americano in seguito alla “rivoluzione industriale”. Oggi la “questione sociale” non è più limitata ad aree geografiche particolari, ma ha una dimensione mondiale, (31) e abbraccia molti aspetti anche politici connessi al rapporto tra le classi e alla trasformazione della società già avvenuta e ancora in corso. Ad ogni modo, “questione sociale” e “dottrina sociale” rimangono termini correlativi.
Ciò che è importante sottolineare nello sviluppo della dottrina sociale è che essa, pur essendo un “corpus” dottrinale di grande coerenza, non si è ridotta a un sistema chiuso, ma si è mostrata attenta all'evolversi delle situazioni e capace di rispondere adeguatamente ai nuovi problemi o al loro nuovo modo di porsi. Ciò risulta da un esame oggettivo dei documenti dei successivi pontefici - da Leone XIII a Giovanni Paolo II - e diventa ancora più evidente a partire dal concilio Vaticano II.
30 EN 29: EV 5/1621.
31 PP 3: EV 2/1048; LE 2: EV 7/1395; SRS V: EV 10/2519-2524.
12 Le differenze di impostazione, di procedimento metodologico e di stile che si notano nei diversi documenti, tuttavia, non compromettono l'identità sostanziale e l'unità della dottrina sociale della chiesa. Giustamente perciò si usa il termine di continuità per esprimere la relazione dei documenti tra di loro, anche se ciascuno risponde in modo specifico ai problemi del proprio tempo. Per portare un esempio, i “poveri” di cui trattano alcuni documenti più recenti, non sono i “proletari” a cui si riferisce Leone XIII nell'enciclica Rerum novarum, o i “disoccupati” che erano al centro dell'attenzione di Pio XI nell'enciclica Quadragesime anno. Oggi il loro numero appare immensamente più grande e di esso fanno parte tutti coloro che nella società del benessere sono esclusi dal fruire dei beni della terra con libertà, dignità e sicurezza. Il problema è tanto più grave in quanto, in alcune parti della terra e specialmente nel terzo mondo, esso è diventato sistematico e quasi istituzionalizzato.
Inoltre, il problema non riguarda più solo le differenze ingiuste tra le classi sociali, ma anche gli enormi squilibri tra nazioni ricche e nazioni povere.
13 La chiesa di fronte alla comunità politica, nel rispetto e nell'affermazione dell'autonomia reciproca nel proprio campo, poiché tutte e due sono al servizio della vocazione individuale e sociale delle persone umane, afferma la propria competenza e il proprio diritto di insegnare la dottrina sociale in ordine al bene e alla salvezza degli uomini; e a questo fine utilizza tutti i mezzi che può avere a disposizione, secondo la diversità delle situazioni e dei tempi. (32)
Considerando l'uomo “nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale”, (33) la chiesa è ben consapevole che la sorte dell'umanità è legata in modo stretto ed indiscutibile a Cristo. Essa è persuasa della necessità insostituibile dell'aiuto ch'egli offre all'uomo, e perciò non può abbandonarlo. Come si è espresso a tale proposito Giovanni Paolo II, fa chiesa partecipa intimamente alle vicende dell'umanità intera, facendo dell'uomo la prima e fondamentale strada nel compimento della sua missione, “via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'incarnazione e della redenzione”. (34) In tal modo essa continua la missione redentrice di Cristo, ubbidendo al suo mandato di predicare il Vangelo a tutte le genti (35) e di servire tutti coloro che sono in stato di bisogno sia come individui, sia come gruppi e ceti sociali, e che sentono vivamente le necessità di trasformazioni e riforme per migliorare le condizioni di vita.
Fedele alla sua missione spirituale, la chiesa affronta tali problemi sotto l'aspetto morale e pastorale che le è proprio. Nell'enciclica Sollicitudo rei socialis, Giovanni Paolo II accenna esplicitamente a tale aspetto, con riferimento ai problemi dello sviluppo, affermando che esso rientra perciò a buon diritto nella missione della chiesa. Essa pertanto “non può essere accusata di oltrepassare il suo campo specifico di competenza e, tanto meno, i) mandato ricevuto dal Signore”. (36)
Oltre alla cerchia dei suoi fedeli, la chiesa offre la sua dottrina sociale a tutti gli uomini di buona volontà, affermando che i suoi princìpi fondamentali sono “postulati della retta ragione” (37) illuminata e perfezionata dal Vangelo.
32 GS 76: EV 1/1581.
33 RH 14: EV 6/1209.
34 RH 14: EV 6/121)9.
35 Mt 28,19.
36 SRS 8: EV 10/2518.
37 GS 63: EV 1/1537.
14 Di fronte al tentativo di alcuni di seminare “dubbi e diffidenze” sull'efficacia della dottrina sociale, perché considerata astratta, deduttiva, statica e senza forza critica, Giovanni Paolo II ha richiamato più volte l'urgenza dì un'azione sociale che faccia leva sul “ricco e complesso patrimonio” denominato dottrina sociale o insegnamento sociale della chiesa”. (38) Lo stesso avevano fatto i suoi predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, e i padri del concilio Vaticano II. (39) Dal pensiero dei pontefici e del concilio traspare l'intento di ottenere che attraverso l'azione sociale cristiana la presenza della chiesa nella storia rispecchi la presenza di Cristo, che trasforma i cuori e le strutture ingiuste create dagli uomini.
Questo aspetto è particolarmente sentito nelle condizioni culturali e sociali del nostro tempo. Perciò l'attuale magistero della chiesa ha impresso alla dottrina sociale un nuovo dinamismo, che spiega gli accresciuti atteggiamenti di ostilità di alcuni; assunti spesso in modo acritico, e mostra quanto grave sia la responsabilità di chi rifiuta uno strumento cosi adeguato per il dialogo della chiesa con il mondo e così efficace per la soluzione dei problemi sociali contemporanei.
38 GIOVANNI PAOLO II. Allocuzione a Puebla, parte III, n. 7: AAS 71(1979), 203.
39 MM: AAS 53(1961). MM 453ss; OA 4: EV 4/717: EN 38: EV 5/1630; GS 63 GS 76: EV 1/1537.1583.
15 La dottrina sociale affonda le sue radici nella storia della salvezza e trova la sua origine nella stessa missione salvifica e liberatrice di Gesù Cristo e della chiesa. Essa si riallaccia all'esperienza di fede nella salvezza e nella liberazione integrale del popolo di Dio, descritte dapprima nella Genesi, nell'Esodo, nei Profeti e nei Salmi, e poi nella vita di Gesù e nelle lettere apostoliche. (40)
40 LE 3: E.V 7/1397; LC 44-51; EV 10/250-258
16 La missione di Gesù e la sua testimonianza di vita hanno evidenziato che la vera dignità dell'uomo si trova in uno spirito liberato dal male e rinnovato dalla grazia redentrice di Cristo . Tuttavia il Vangelo mostra con abbondanza di testi che Gesù non è stato indifferente né estraneo al problema della dignità e dei diritti della persona umana, né alle necessità dei più deboli , dei più bisognosi e delle vittime dell'ingiustizia. In ogni momento egli ha rivelato una solidarietà reale con i più poveri e miseri; (41) ha lottato contro l'ingiustizia, l'ipocrisia, gli abusi del potere, l'avidità di guadagno dei ricchi, indifferenti alle sofferenze dei poveri, facendo un forte richiamo al rendiconto finale, quando tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti.
Nel Vangelo sono contenute chiaramente alcune verità fondamentali, che hanno profondamente plasmato il pensiero sociale della chiesa nel suo cammino attraverso i secoli. Così, per es., Gesù afferma e proclama un'essenziale uguaglianza in dignità fra tutti gli esseri umani, uomini e donne, qualunque sia la loro etnia, la nazione o la razza, la cultura, l'appartenenza politica o la condizione sociale. Nel suo messaggio è contenuta, inoltre, una concezione dell'uomo inteso come un essere sociale in virtù della sua stessa natura, in quanto viene affermata la dignità del matrimonio che costituisce la prima forma di comunicazione tra persone. Dalla fondamentale uguaglianza in dignità fra tutti gli uomini e dalla loro intrinseca naturale socialità scaturisce necessariamente l'esigenza che i rapporti nella vita sociale vengano composti secondo criteri di una operante ed umana solidarietà, e cioè secondo criteri di giustizia, vivificata ed integrata dall'amore.
Oltre a questi valori contenuti nel Vangelo ce ne sono ancora molti altri di non minore importanza e non meno incidenti sull'ordinamento sociale, come per es.: i valori attinenti all'istituto della famiglia unitaria e indissolubile, sorgente della vita; i valori concernenti l'origine e la natura dell'autorità, che va concepita ed esercitata come un servizio per il bene comune del gruppo sociale da cui viene direttamente espressa e su cui opera, in armonia con il bene universale dell'intera famiglia umana.
41 Mt 11,28-30.
17 La chiesa si mitre dello stesso mistero di Cristo, Vangelo incarnato, per annunciare, come lui, la buona novella del regno di Dio e chiamare gli uomini alla conversione e alla salvezza. (42) Questa vocazione evangelizzatrice della chiesa, ricevuta da Cristo, costituisce la sua identità più profonda. Eppure proprio da essa scaturiscono dei compiti, delle indicazioni e delle forze che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina. (43)
Nell'insegnamento e nella prassi sociale, la chiesa dei primi secoli e del medioevo non fa che applicare e sviluppare i princìpi e gli orientamenti contenuti nel Vangelo. Muovendosi dentro le strutture della società civile, essa cerca di umanizzarle in spirito di giustizia e di carità abbinando l'opera di evangelizzazione con opportuni interventi caritativo-sociali. I padri della chiesa sono noti non soltanto come intrepidi difensori dei poveri e degli oppressi, ma anche come promotori di istituzioni assistenziali (nosocomi, orfanotrofi, ospizi per pellegrini e forestieri) e di concezioni socio-culturali che hanno inaugurato l'era di un nuovo umanesimo radicato in Cristo. Si tratta il più delle volte di opere suppletive, determinate dalle insufficienze e dalle lacune nell'organizzazione delta società civile, che dimostrano di quanti sacrifici e di quanta creatività siano capaci le anime permeate dagli ideali del Vangelo. Grazie agli sforzi della chiesa, è stata riconosciuta l'inviolabilità della vita umana, la santità e l'indissolubilità del matrimonio, la dignità della donna, il valore del lavoro umano e di ogni persona, contribuendo così all'abolizione della schiavitù che faceva parte normale del sistema economico e sociale del mondo antico. Il progressivo sviluppo dell'attività teologica, prima nei monasteri e poi nelle università, ha reso possibile l'elaborazione scientifica dei basilari princìpi che regolano l'ordinata convivenza umana. A tale riguardo rimane di valore perenne il pensiero di san Tommaso d'Aquino, di Francesco Suarez, Francesco de Vitoria e di tanti altri. Essi, insieme con vari insigni filosofi e canonisti, hanno preparato i presupposti e gli strumenti necessari per l'elaborazione di una vera e propria dottrina sociale, come è stata inaugurata sotto il sommo pontefice Leone XIII e continuata dai suoi successori.
L'affermazione di questa dimensione sociale del cristianesimo diventa ogni giorno più urgente per i cambiamenti sempre più vasti e profondi che avvengono nella società. (44) Di fronte ai problemi sociali, sempre presenti nelle diverse epoche della storia, ma diventati ai nostri tempi molto più complessi ed estesi su scala mondiale, la chiesa non può tralasciare la sua riflessione etica e pastorale - nel campo che le è proprio - per illuminare e orientare con il suo insegnamento sociale gli sforzi e le speranze dei popoli, facendo sì che i cambiamenti anche radicali richiesti dalle situazioni di miseria e di ingiustizia vengano realizzati in maniera tale da favorire il vero bene degli uomini. (45)
42 Mc 1,15.
43 GS 42-44: EV l/]449ss; EN 31; EV 5/1623; J.C 63-65: EV 10/279-282.
44 EN 14: EV 5/1601,
45 LC 72: EV 10/295.
Studio dottrina sociale