B. Paolo VI Omelie 61068
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SPIRITUALE ESULTANZA NEL MISTERO DELLA «COMUNIONE DEI SANTI»
Signori Cardinali,
Venerati Fratelli,
Figli carissimi,
Ancora una volta la Chiesa è nella gioia. Ella celebra una schiera di suoi figli, che lo Spirito Santo le assicura essere nella salvezza eterna, nella gloria del Paradiso. Si tratta, voi lo sapete, dei Martiri della Corea, dell’anno 1866. Li abbiamo dichiarati Beati per l’eternità. Ma Noi stessi annunciando questa trascendente certezza siamo, a nostro modo, beati. Un’onda della loro beatitudine celeste scende fino a noi, e c’invade di beatitudine terrestre. Noi siamo nell’ammirazione. Noi siamo nel gaudio della celebrazione. Noi siamo nella coscienza della comunione. Fratelli e Figli! Non è tanto la sontuosità di questa Basilica illuminata a festa, non è tanto lo splendore di questa cerimonia risultante dalla più solenne, dalla più varia, dalla più pia rappresentanza del Popolo di Dio del mondo intero, che riempiono di spirituale esultanza i nostri animi in questo felice momento, quanto la sicura convinzione e quasi l’intima esperienza del mistero della «comunione dei Santi», che ora commuovono i nostri spiriti. Oh la comunione dei Santi: quale mondo meraviglioso! Il concetto, che noi cerchiamo di farcene, è come un sogno; ma la realtà supera le immagini della fantasia; è più grande, è più bella, ed è soprattutto più vera. Il regno della santità è il paradiso nel suo riflesso quaggiù, nella sua pienezza lassù in cielo; è lo splendore vivificante di Dio, che penetra nelle creature elette al suo ineffabile consorzio. Se già nelle scene stupende della natura la nostra ammirazione avverte di non poter pareggiare nei concetti e nelle parole l’arte, la dignità, la magnificenza, la maestà, la grandezza, la perfezione dell’opera divina, che in eloquente silenzio in esse si manifestano, che cosa dobbiamo dire e che cosa diremo, a Dio piacendo, un giorno, quando l’epifania di Dio, anzi quando la sua «gloria, sarà in noi rivelata?» (cfr. Rm 8,18).
UNICO SPLENDORE NELLA CHIESA TRIONFANTE E MILITANTE
Durante la nostra vita presente questa rivelazione è ancora incompleta; avviene «per speculum, in aenigmate», quasi per riflesso, sotto un velame arcano (2Co 13,12); l’aspetto divino della santità è solo e scarsamente palese, sebbene esso non ci sia del tutto nascosto, e per un occhio limpido già talmente si manifesti da rivestire tutta la Chiesa d’un suo splendido abito e da costituire una delle sue «note» distintive e caratteristiche, quella appunto della santità della Chiesa; nota, che spesso all’osservazione profana non appare, e al giudizio fenomenico circa l’umanità della Chiesa è anzi contraddetto dai difetti e dai peccati, che, per colpa dell’elemento umano onde essa è composta, la nascondono e la deformano. Ma non così che tale nota di santità rimanga inavvertita dall’onesta osservazione degli uomini di questo mondo. Per noi, figli della luce (Jn 12,36), l’avvertenza della santità della Chiesa, quale sacramento e quale strumento della salvezza (Lumen Gentium, LG 48), e l’avvertenza della santità nella Chiesa, cioè nei suoi figli pieni di grazia e di virtù, dovrebbero essere sempre presenti allo spirito, come una realtà edificante e consolante, assai più che ordinariamente non sia. Ed è proprio per richiamarci alla considerazione di questa realtà che la Chiesa stessa ci presenta fratelli singolarissimi nei quali la trasparenza della santità è così manifesta da obbligarci a lodare Iddio in quegli «eletti, come dice S. Paolo, che Egli ha predestinati a riprodurre l’immagine del Figlio suo, . . . ch’Egli ha chiamati, e chiamati li ha giustificati, e giustificati li ha glorificati» (cfr. Rm 8,29-30). È questa la ragione di questa cerimonia e della lunga preparazione, che l’ha preceduta; la ragione del culto dei Beati e dei Santi, la ragione della Nostra letizia per aver potuto elevare alla glorificazione alcuni Martiri Coreani davanti alla Chiesa militante, come essi già sono nel coro della Chiesa trionfante.
LE NUOVE GEMME DEL MARTIROLOGIO CRISTIANO
Un desiderio invade, in questo momento, gli animi nostri; quello di fissare lo sguardo nella storia di questi nuovi Beati, là dove la trasparenza della santità, che dicevamo, lascia partire i suoi raggi. Cioè vogliamo vedere come Dio si è manifestato in loro. È un desiderio molto pio e degno di essere incoraggiato, e, per quanto possibile, soddisfatto. È l’amore alla scienza agiografica, che dovrebbe, come già una volta nell’educazione spirituale dei Fedeli, essere ancor oggi promossa e coltivata più che ora non sia, e oggi tanto più d’ieri, in quanto l’agiografia si alimenta di verità storica e di dottrina psicologica. Il «Martirologio» dovrebbe ritornare ad essere un libro di moda nella Chiesa,, oggi rinascente. E nel caso presente la storia di questi Beati, non meno di quella dei grandi campioni del cristianesimo, ci offrirebbe l’interesse proprio delle grandi avventure, dei grandi eroismi, dei grandi gesti, che trasfigurano la statura di persone umili e nascoste. Bellissima storia, Figli carissimi: Ci permettiamo di consigliarne a tutti la lettura, per il fascino che emana da essa e per l’edificazione ch’essa trasfonde.
Basti dire ch’essa è una storia di Martiri; e non d’uno solo, corifeo, il Vescovo Simeone Berneux, ma con lui d’altri ventitre, ad uno ad uno coscientemente immolati come vittime innocenti della loro fede. È una storia che si rifà ad altre precedenti, non meno dolorose e sanguinose ed eroiche, le quali, se non sono scritte ufficialmente nel nostro Martirologio, lo sono certamente in quel «libro della vita», di cui parla l’Apostolo (Ph 4,3). Martire: chi è martire? Già il nome è un elogio paradossale. Due elementi ne costituiscono la straordinaria efficacia significativa: la testimonianza e il sangue. Sono appunto gli elementi della manifestazione straordinaria di Dio nella fede e nella fortezza d’un seguace di Cristo. Il martire scrive col sangue la sua fede: proclama, col suo sacrificio, che la verità ch’egli possiede e per la quale si lascia uccidere, vale più della sua vita temporale, perché la fede è la sua nuova vita soprannaturale, presente e per l’eternità. Nessuno più inerme, più debole, più mansueto di lui; il martire è come un agnello; ma nessuno più coraggioso, nessuno più impavido, nessuno più vittorioso. È il martire che mette in estrema evidenza la verità, che Cristo ci ha portata; è il martire che afferma l’amore nella sua suprema misura: il sacrificio. Tanta è la spirituale grandezza del martire ch’essa si trasforma in bellezza, e genera in chi la comprende questo a noi quasi inconcepibile affetto: il desiderio del martirio. Non abbiamo dimenticato le infocate parole di Ignazio d’Antiochia, avido di subire la sorte straziante, che lo attendeva: «Lasciate ch’io raggiunga la pura luce! là giunto, io sarò veramente uomo! Lasciate ch’io imiti la passione del mio Dio!» (ad Rom. VI). Ma oggi non abbiamo bisogno di cercare nel lontano passato queste ed altre simili mirabili testimonianze: sono i Martiri, che ora veneriamo Beati, a ripeterle per sé come un’entusiasmante aspirazione.
COMMOVENTI REALTÀ E FONDATE SPERANZE
«Nous irons... dans la Corée. Oh! quelle est belle la portion que m’a réservée le Seigneur ! Il est possible que bientôt, je foule tette terre où coule le sang des martyrs . . .», scrive partendo per l’Estremo Oriente Mons. Berneux, allora giovane missionario. E a questa voce dell’europeo fa eco quella dei cristiani coreani, adulti e neofiti: attendono il martirio come un onore, come una logica fortuna della loro scelta religiosa. E il martirio per loro vuol dire l’adesione ad una fede venuta da lontano, senza sostegno di storia locale e d’ambiente sociale; vuole la tolleranza di torture atroci e raffinate, vuole il disonore pubblico e infine una morte crudele senza umana speranza.
E qui la tragedia di questi Martiri ci rivela un altro aspetto della loro santità; essa non ha nulla di artificiale, di straniero; essa interpreta e porta ad un livello sublime le predisposizioni naturali e spirituali di questi oscuri eroi, quasi tutti laici per di più, appena iniziati alla vita cristiana; il cristianesimo è penetrato nella loro psicologia e nelle loro attitudini morali non come una formola importata da una coltura estranea e lontana, ma come un messaggio concepito alla loro misura, e quasi intenzionalmente predisposto per animare le loro doti native e per svegliare le loro ‘migliori personali capacità; è un cristianesimo quanto mai autentico e ortodosso, e nello stesso tempo perfettamente coreano. Esso si radica in quei cuori semplici e buoni, coltivati da tradizionali sentimenti umani e religiosi molto elevati, anche se incompleti, e vi fiorisce subito con sorprendente vitalità, come fosse seminato nel suo migliore terreno. Noi dobbiamo ammirare questo aspetto della santità di questi nuovi figli gloriosi della Chiesa di Cristo; noi intravediamo come questo inesplicabile fenomeno di connaturalità si estenda oltre le persone di questi Martiri al genio spirituale proprio del popolo coreano; e Noi ci domandiamo, davanti al Signore, se questo non sia un segno profetico, l’indice d’una vocazione per un Paese intero, l’annuncio d’una missione propria della Corea, destinata a dare alla nostra religione universale una sua propria espressione originale, capace di qualificare spiritualmente la sua storia futura e la sua inserzione moderna nel concerto delle Nazioni.
I VOTI DEL PADRE DELLE ANIME PER IL PAESE «DEL MATTINO CALMO»
O Corea, qui degnamente rappresentata da due tuoi Pastori cattolici, Mons. Kim, Arcivescovo di Seoul e Mons. Chang, che domani sarà consacrato Vescovo di Masan; ,da alcuni discendenti dei nuovi Beati; da un gruppo dei tuoi cittadini, qua venuti dal lontano Paese «del mattino calmo» e da varie altre Nazioni vicine; e rappresentata anche dagli Studenti ed Alunni dei Nostri Collegi Urbani «de Propaganda Fide», Noi ti consideriamo, o Corea, con il rispetto e con la stima, che si deve alla tua storia, alla tua civiltà, alla tua personalità nazionale!
Corea, tanto geograficamente lontana e a Noi tanto spiritualmente vicina, mediante l’unica e comune fede cattolica di molti tuoi figli. Noi ti salutiamo oggi come terra bagnata, anzi battezzata dal sangue dei tuoi martiri; e onoriamo la tua gente, aperta ormai alla libera professione della religione cristiana. Corea, viva e moderna, che hai scoperto essere il cristianesimo non la religione perversa, di cui i tuoi Martiri furono accusati, ma anche per te il Vangelo della salvezza. Noi auspichiamo con tutto il cuore la tua prosperità, e facciamo voti che la tua Chiesa, vivente nella comunione della Chiesa universale sia sempre in mezzo al tuo Popolo una sorgente di luce divina, di fraternità umana, di saggezza morale, di pietà religiosa per le tue migliori fortune spirituali e civili. Corea, di cui Noi conosciamo le sofferenze e le speranze, Noi ti auguriamo la pace; e, con quanti esultano per la beatificazione di questi tuoi Martiri, a questi stessi tuoi eroi ora potenti intercessori nel Cielo, Noi rivolgeremo la Nostra preghiera, affinché la pace vera, degna e giusta, nella concordia, nel lavoro, nella libertà sia assicurata a tutti i figli!
ALTE BENEMERENZE DELLA FRANCIA NELL'APOSTOLATO MISSIONARIO
Et Nous aurons aussi une prière pour toi, terre de France qui as été la mère féconde et généreuse des premiers de ces martyrs, afin que l’honneur qui revient à ton histoire et à ton nom du fait de leur glorification te fasse sentir une fois de plus la grandeur et la responsabilité de ta vocation catholique, attestée, aujourd’hui encore, par tant de tes fils et tant de tes oeuvres, comme elle l’est, spécialement en ce jour, par l’insigne et méritant Institut des Missions Etrangères de Paris, que Nous avons en grande estime et affection. Nous prierons pour que toi, France catholique, tu saches trouver toujours, dans la fidelité à tes traditions morales et religieuses, la sagesse et l’énergie nécessaires pour faire rayonner, par ta culture et par ta langue, le nom du Christ à travers le monde.
Et sur tout le monde missionnaire, en fête pour tette nouvelle gloire qui est sienne, sur Notre vaillante Congrégation pour l’évangélisation des Peuples, et sur celle - non moins vaillante et méritante - des Rites, qui conclut par tette Béatification très attendue une de ses multiples et laborieuses entreprises, sur toute l’Eglise enfin Nous allons faire descendre en gage de celle que Nous avons maintenant demandée au Christ présent dans le mystère eucharistique, Notre Bénédiction Apostolique.
AI NUOVI ARALDI DELLA FEDE: «CRISTO È CON VOI!»
Ma non abbiamo detto tutto. Ascoltateci ancora un momento. Perché a corona di questa cerimonia, che conclude il ciclo d’una storia missionaria, un’altra cerimonia ora deve seguire, semplicissima e straordinaria, che apre una nuova vicenda missionaria, che si allarga su tutta l’area del mondo, dove la Chiesa ancora sta nascendo e formandosi. Ecco, Fratelli e Figli; voi vedete qui presenti alcune centinaia di missionari in partenza per le loro lontane sedi di apostolato generatore delle nuove e future comunità della grande famiglia cattolica. Sono Sacerdoti, sono Religiosi, sono Religiose, sono soprattutto giovani del Laicato, uomini e donne, che volontariamente vanno esuli dalle loro patrie e dalle loro famiglie per farsi messaggeri della buona novella in terre di missione. Sono le nuove leve missionarie che, di null’altro armate fuorché della croce di cui Noi ora faremo a loro consegna, partono pellegrini di Cristo, poveri di tutto, fuorché di fede e di amore; senza nulla sapere della sorte loro assegnata, ma ben consapevoli che fatiche e pericoli non mancheranno sul loro cammino, e che Cristo è con loro, che la Chiesa intera li fiancheggia con la sua carità e la sua preghiera. Essi meritano che tutti li salutiamo, e che ad essi, sotto l’esempio e la protezione dei fratelli ora dichiarati vittoriosi e beati nel Cielo, Noi diamo la Nostra speciale e paterna Benedizione Apostolica. Andate, Fratelli e Figli generosi: il Papa vi manda; i Santi Pietro e Paolo vi seguono; i Martiri Coreani vi guidano; Maria Santissima, Madre della Chiesa e Regina delle Missioni, vi protegge; Cristo è con voi!
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UN CRISTIANESIMO TUTTO PROTESO AL SERVIZIO DELLE ANIME
Signori Cardinali, Venerati Fratelli e diletti Figli e Fedeli tutti, e voi oggi meritevoli della Nostra particolare considerazione, ottime Suore del Divino Salvatore!
Ci sia consentito, dopo la sacra cerimonia ad onore della nuova Beata Maria degli Apostoli Fondatrice delle Religiose Salvatoriane, e dopo d’aver ringraziato il Signore con il rito eucaristico celebrante la sua divina presenza e la sua perenne assistenza fra noi, Ci sia consentito di esprimere, non a guisa d’illustrazione, ma di segno della Nostra compiacenza, una parola su questa beatificazione, che allieta la Chiesa intera; che riempie di gaudio e di conforto una grande Famiglia religiosa femminile e di riflesso quella maschile che le diede origine e nome; che innalza a comune esempio e a stimolante edificazione una forte e distintissima figura di donna, la quale nella sua stirpe e nelle sue virtù naturali e cristiane onora il suo grande Paese nativo; che diffonde per tutta la terra, dove le istituzioni benefiche e l’attività religiosa delle Suore Salvatoriane attestano la provvida vitalità dell’opera fondata dalla piissima, oggi glorificata dalla Chiesa; e che offre al mondo d’oggi, e certamente a quello di domani, la testimonianza d’un cattolicesimo tutto proteso al suo servizio e alla sua salvezza. Compiacenza, diciamo, come quella che nasce negli animi di chi voglia riandare la storia di Teresa von Wüllenweber, ricoperta poi come d’un manto sacro del nome da religiosa di Maria degli Apostoli: lasceremo alla sua congregazione, alla sua vasta clientela spirituale e a quanti, biografi o lettori che siano, si concedono il sapiente diletto di esplorare le «vite dei Santi», cioè le più singolari e misteriose esperienze dell’anima umana, gustare questa compiacenza: essa sarà durevole, sarà feconda, sarà interessante, sarà edificante.
L'IDEALE DI ELETTA ESISTENZA: «APOSTOLATO E MISSIONE»
La Nostra compiacenza si limita, in questo momento, ad ammirare il duplice aspetto che definisce la vocazione e la vita della Beata: l’apostolato e la missione. Non sono due aspetti distinti, quasi qualificassero una figura bifronte; sono piuttosto due titoli che convengono ad una stessa figura, che ha fatto dell’apostolato la ragione della sua vita e il motivo della sua dedizione, della sua abnegazione totale per la causa di Cristo; ed ha voluto che il suo apostolato osasse aspirare ed arrivare alla sua espressione evangelica e moderna più ardita, quella missionaria.
Chi vorrà provarsi ad applicare il binomio: «apostolato e missione» a questa nuova figlia della Chiesa celeste scoprirà, Noi crediamo, il filo logico e operativo della sua esistenza terrena, e la motivazione sintetica della sua glorificazione; e, come avviene delle idee, quando le vediamo personificate e viventi in qualche storia umana, l’uno e l’altro termine di questo elementare ma densissimo binomio ci apparirà più chiaro, più documentato, più ricco di significato e di implicazioni, sia dottrinali che morali, sia psicologiche che pratiche. Sia qui opportuno ricordare una parola, che la Beata scrisse di sé, quasi dando la definizione della propria personalità: «Io mi sento fortemente chiamata a tutto ciò che è apostolico» (Lettera a Bonav. Lüthen, 1882). E fu certamente questa sua vocazione che la rese capace, lei, primogenita d’una nobile famiglia tedesca, di compiere le più generose rinunce al suo stato sociale ed ai suoi averi, che la rese insoddisfatta di vari tentativi intrapresi di vita religiosa, e che le diede l’ansia di pareggiare nella operosità esteriore dell’apostolato l’esuberante fervore religioso della sua vita interiore. Non sarebbe difficile, Noi pensiamo, rintracciare gli elementi costitutivi dell’apostoIato, quale noi oggi intendiamo nella derivazione dal suo originario significato evangelico, studiando la biografia di questa donna singolare, piena di cultura, di sensibilità umana e di fervore spirituale.
OSARE TUTTO IL POSSIBILE PER IL REGNO DI DIO
Che cos’è l’apostolato? Considerato nel suo significato psicologico, là dove la grazia è animatrice della intimità interiore del nostro spirito, l’apostolato è innanzi tutto una voce interiore che pronuncia, a quando a quando, una sconcertante valutazione delle cose, vanificandone alcune, anche buone e carissime, esaltandone altre, credute difficili, estranee, utopistiche; una voce inquietante e rassicurante ad un tempo, una voce altrettanto dolce quanto imperiosa, una voce molesta ed insieme amorosa, una voce, che, in coincidenza con impreviste circostanze e con gravi avvenimenti, diventa ad un dato momento attraente, determinante, quasi rivelatrice della nostra vita e del nostro destino, profetica perfino e quasi vittoriosa, che fuga alla fine ogni incertezza, r; ogni timidezza ed anche ogni timore, e semplifica no a rendere finalmente facile, desiderabile e felice la risposta di tutto il nostro essere, nell’espressione di quella sillaba, che svela il supremo segreto dell’amore: sì; sì, o Signore, dimmi quel ch’io devo fare, e oserò, lo farò. Come S. Paolo, folgorato alle porte di Damasco: «Quid vis me facere?», che cosa vuoi ch’io faccia? (Ac 9,5). La radice dell’apostolato si affonda in questa profondità: esso è vocazione, è elezione, è incontro interiore con Cristo, è abbandono della propria personale autonomia alla sua volontà, alla sua invadente presenza; è una certa sostituzione del nostro cuore, povero, inquieto, volubile e talora infedele, ma avido d’amore, col suo, col cuore di Cristo, che comincia a pulsare nella sua creatura d’elezione. Allora succede il secondo atto del dramma psicologico dell’apostolato: il bisogno d’effondersi, il bisogno di fare, il bisogno di dare, il bisogno di parlare, il bisogno di trasfondere in altri il proprio tesoro, il proprio fuoco. Da personale il dramma si fa sociale, da interiore esteriore.
La carità del rapporto religioso diventa carità del rapporto col prossimo. E come la prima carità ha svelato sconfinate dimensioni (cfr. Ep 3,18), così la seconda non vorrebbe più limiti; l’apostolato diventa l’espansione continua d’un’anima, diventa l’esuberanza d’una personalità posseduta da Cristo e animata dal suo Spirito, diventa bisogno di correre, di fare, d’inventare, di osare quanto è possibile per la diffusione del Regno di Dio, per la salvezza degli altri, di tutti. È quasi un’intemperanza d’azione, che solo l’urto con le difficoltà esteriori riuscirà a moderare e a modellare in opere concrete e perciò limitate.
VI È NELLA CHIESA DIVERSITÀ DI MINISTERO MA UNITÀ DI MISSIONE
Il secolo scorso, il secolo dei grandi rivolgimenti nelle idee e nella società, ha conosciuto molte anime, a cui lo Spirito Santo ha infuso questa coscienza e questa energia, e da cui la Chiesa ha attinto il suo risveglio e il ricupero delle ricchezze perdute nelle trasformazioni culturali e sociali; l’apostolato è diventato la formola di tante nuove famiglie religiose, quelle femminili non inferiori per ardore e per intraprendenza a quelle della parte maschile, e superiori per numero. Tra queste vi è la famiglia religiosa, che oggi ottiene, nella Beatificazione della sua Fondatrice, il più alto e il più autentico riconoscimento della Chiesa nuovamente fiammante di fuoco apostolico.
Nessuna meraviglia perciò che quella Figlia eletta della Chiesa viva abbia assunto per sé, quasi programma, il nome che dicevamo, Maria degli Apostoli, e ch’ella abbia scoperto nell’ideale missionario il suo polo orientatore. Dall’amore di Cristo, da Lui ricevuto e a Lui ricambiato, scaturisce l’apostolato; dall’apostolato lo spirito missionario. «Lo slancio missionario dev’essere riferito all’apostolicità della Chiesa» (Journet, L’Eglise, II, 1208). È lei che scrive: «Fu sempre mia prima inclinazione quella di dedicarmi alle missioni e di giovare ad esse come posso» (lett. citata); e poco prima: «Sette anni fa ho promesso al buon Dio, quasi come voto, di dedicarmi, per quanto lo consentono le mie forze, tutta alle missioni» (Lett. a Mons. von Essen, 25-IV-1882).
Ella ha intuito che il campo missionario non comincia soltanto al di là dei confini della Chiesa già fondata e sviluppata ma si offre all’apostolato anche nell’ambito territoriale e sociologico della Chiesa; la molteplicità delle sue opere lo dimostra; e forse, nella pienezza del suo entusiasmo apostolico, ha parimente intuito ciò che in questo secolo si è più chiaramente svelato alla coscienza della Chiesa e che il recente Concilio ha espressamente dichiarato; e cioè che «la vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione all’apostolato» (Apost. actuos. n. 2); e per di più che «vi è nella Chiesa diversità di ministero, ma unità di missione» (ib.), la qual cosa confortò in lei, donna, a intraprendere l’apostolato missionario, propriamente detto, cioè lo sforzo d’annunciare il Vangelo e di fondare la Chiesa dove ancora né l’uno è arrivato, né l’altra è stabilita, quando non esistevano, o appena stavano sorgendo, famiglie religiose femminili a ciò consacrate. Fu ardimento provvidenziale e immediatamente fecondo. Non possiamo tacere, a questo punto, il nome d’un Sacerdote tedesco, che fu alla Beata ispiratore e maestro, il servo di Dio Padre Francesco Maria della Croce, al secolo Giovanni Battista Jordan, fondatore dei Salvatoriani. E non possiamo guardare queste due fiorenti ed esemplari famiglie religiose dei Salvatoriani e delle Salvatoriane, delle quali Roma si onora d’aver ospitato le prime sedi, e sparse ormai in tutto il mondo, senza esprimere la Nostra ammirazione, la Nostra riconoscenza e la Nostra fiducia.
LE ISTITUZIONI VIVE ED OPERANTI PER IRRADIARE IL MESSAGGIO EVANGELICO
E non possiamo, terminando, ricordare che questi mirabili fatti ecclesiali, questi prodigi della fede e della carità, queste istituzioni vive e operanti (chiamatele pure strutture canoniche!) della Chiesa contemporanea, sono nate, sono cresciute, sono consacrate nella dedizione più fervorosa e generosa all’irradiazione del messaggio evangelico e al bene dell’umanità nella fermissima convinzione che Gesù Cristo è il Salvatore, è il Salvatore vero, è il Salvatore unico, è il Salvatore necessario; e nell’eloquente esperienza che da questa tomba dell’apostolo Pietro, punto di convergenza e punto di partenza, centro di unità e di cattolicità, scaturisce quell’amore apostolico e deriva quel mandato missionario, che ne configurano le religiose sembianze, ne alimentano le indefesse energie, ne santificano le schiere valorose. È la visione che Noi abbiamo davanti agli occhi ed è il voto che nutriamo nel cuore.
Voglia la nuova Beata, con il suo esempio luminoso, con la sua protezione celeste, per sempre fissare questa visione ed avvalorare questo voto.
Saluto ai connazionali della Beata. «Ella rappresenta autenticamente la nobile e forte tradizione cattolica del Popolo germanico».
Einen besonderen Gruss möchten Wir noch an Unsere Brüder wie an Unsere deutschsprechenden Söhne und Töchter richten. Die neue Selige, Maria von den Aposteln, ist durch Geburt, durch Erziehung, durch die Muttersprache Ihre Schwester. Die erstgeborene Tochter des Freiherrn Joseph Theodor von Wüllenweber, Maria Theresia, die später als Gründerin der Schwestern des göttlichen Heilandes den Namen Maria von den Aposteln annahm, erblickte im Jahre 1833 auf Schloss Myllendock in Gladbach (Deutschland) das Licht der Welt.
Sie verkörpert in echter Weise die vornehme und kraftvolle katholische Überlieferung des deutschen Volkes; sie besitzt die besten Tugenden des deutschen Charakters, wenn er von Aufrichtigkeit und dem freimütigen Bekenntnis zum katholischen Glauben geformt ist; von Jugend auf an offenbart sie ein zartes Empfinden für religiöse Fragen und ein entschiedenes moralisches Gewissen, sodass sie ihr Leben sofort nach einem schwierigen und hohen Ideal religiöser Vollkommenheit hin ausrichtet, das erst in reifem Alter seinen konkreten Ausdruck findet in einem Plan zu missionarischem Apostolat, das nach dem göttlichen Heiland benannt wird. Dieses Ereignis, von dem die neue Kongregation der Salvatorianerinnen ihren Ursprung haben wird, vollzieht sich unter Führung eines grossen und demütigen deutschen Priesters Johannes Jordan, der später den Namen Franziskus Maria vom Kreuze annimmt, und zwar hier in Rom, wo die neue Kongregation ihre Wiege hat und ihren geistigen Ausdruck findet. Wieder einmal verwirklicht sich in der Geschichte der Kirche die wunderbare und spontane Verschmelzung der starken und liebenswürdigen deutschen Seele mit der römisch-katholischen Kultur, beide geprägt von menschlicher Weisheit und geheimnisvoller Gnadengabe des Evangeliums.
Auch durch diese Tatsache wird Maria von den Aposteln eine Lehrerin erneuter christlicher Lebenskraft: die Natur und der Reichtum ihres Werkes bezeugen es. Sie wird auch zum Symbol, zu einem Beispiel, Ausdruck eines Wunsches, wie sie es durch ihre Persönlichkeit unter Beweis stellt, da sie die Kirche für würdig befunden hat, den Seligen beigezählt zu werden. Maria von den Aposteln beweist aber auch durch ihre Ordensfamilie, wie sehr und auf welche Weise jene glückliche Verschmelzung für den deutschen Namen ehrenvoll sein kann, fruchtbar für die katholische Sache, universal durch ihre Ausbreitung in der Welt, wohltätig für die Menschheit, ruhmvoll für den Namen Jesu Christi, unseres Heilandes.
Wir sind hierüber sehr erfreut und bekunden Unsere tiefe Genugtuung, indem Wir allen, die in dieser Basilika anwesend sind und auf der weiten Welt Unsere Freude teilen, den Apostolischen Segen erteilen.
Ed ecco una nostra traduzione del brano in lingua tedesca:
Noi vogliamo rivolgere un particolare saluto ai Nostri Fratelli ed ai Nostri Figli e Figlie di lingua tedesca.
Maria degli Apostoli, la nuova Beata,? per nascita, per educazione, per lingua una loro Sorella. La Figlia primogenita del Barone Giuseppe Teodoro von Wüllenweber, Maria Teresa, che prese poi il nome di Maria degli Apostoli come Fondatrice delle Suore del Divino Salvatore, era nata nel 1833, nel castello di Myllendock, a Gladbach, in Germania.
Ella rappresenta autenticamente la nobile e forte tradizione cattolica del Popolo germanico, possiede le virtù migliori del carattere germanico formato dal sincero spirito e dalla franca professione cattolica, dimostra fino alla giovinezza una squisita sensibilità religiosa ed una decisa coscienza morale, per cui subito ella orienta la sua vita verso un arduo e alto ideale di perfezione religiosa che solo in età adulta si concreta in un disegno di apostolato missionario, intitolato al Divino Salvatore. Questo avvenimento, dal quale avrà origine la nuova Congregazione religiosa delle Suore Salvatoriane, si compie sotto la guida di un grande e umile Sacerdote tedesco Giovanni, poi Francesco Maria Jordan, qui a Roma, dove la nuova fondazione trova la sua culla ed il suo spirito. Una volta ancora, nella storia della Chiesa, si verifica la mirabile e spontanea fusione dell’anima germanica, forte e gentile, con la cultura romano-cattolica, ricolma, l’una e l’altra, di umana sapienza e di misteriosa grazia evangelica.
Anche per questo fatto Maria degli Apostoli diventa una maestra di rinnovata vitalità cristiana: la natura e la ricchezza della sua opera lo dimostra. Essa diventa anche un simbolo, un esempio, un augurio, dimostrando nella sua persona, che la Chiesa ha stimato degna della Benedizione, e nella sua Famiglia religiosa quanto e come quella felice fusione possa essere onorifica per il nome tedesco, feconda per la causa cattolica, universale per la sua diffusione nel mondo, benefica per l’umanità, gloriosa per il nome di Gesù Cristo nostro Salvatore.
Noi siamo molto lieti di ciò ed esprimiamo la Nostra intima soddisfazione, impartendo a quanti, in questa Basilica e dappertutto nel mondo, la condividono, la Nostra Benedizione Apostolica.
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LA PARABOLA EVANGELICA SULLA UMILTÀ
«A che cosa paragoneremo il regno di Dio? O con quale similitudine lo figureremo? Esso è simile a un granello di senapa, il quale, quando si semina in terra, è più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; ma, seminato che sia, cresce e diventa più grande di tutti. gli erbaggi e fa dei rami così grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra» (Mc 4,30-32).
A queste parole del Signore correva il Nostro pensiero, mentre porgevamo ora il Nostro atto di venerazione alla nuova Beata, sembrando a Noi, come supponiamo che quanti oggi la onorano vadano pensando, di ravvisarle riflesse tali parole evangeliche nell’umile ed eletta figura di Clelia Barbieri. Perché la prima impressione che la sua vita offre al nostro sguardo, abituati, come tutti siamo, a osservare e misurare gli uomini secondo la loro statura nel contesto storico e sociale, è quella della piccolezza. Qual è la sua storia? Si dura fatica a rintracciarla e a descriverla per la scarsezza di dati di cui si compone, per un primo motivo, quello della brevità del suo soggiorno terreno: di soli ventitre anni! Vero è che nei fasti della santità Clelia Barbieri non è sola a raggiungere il paradiso in così giovane età; a raggiungerlo, diciamo, con i segni anche a noi visibili della gloria. Non consideriamo ora il caso di bambini e di fanciulli e di giovani che giungono alla salvezza proprio in virtù dell’integrità della grazia battesimale e della loro naturale innocenza, senza aver subito alcuna profanazione, che una più lunga durata della loro terrena esistenza e una più piena esperienza delle avversità del pellegrinaggio nel mondo avrebbero forse loro arrecata. Ma ciò che ora interessa la nostra attenzione è il fatto che la brevità della vita sia illustrata in alcuni casi da uno straordinario complesso di virtù personali, di grazie spirituali e di circostanze biografiche da conferire alla giovane vita l’aureola più gloriosa e più difficile a conseguirsi quella della santità.
MERAVIGLIE DELLA GIOVINEZZA CONSACRATA AL SERVIZIO DI DIO
La santità nella giovinezza sembra a Noi un fenomeno umano ed agiografico degno del più grande interesse, per la sua precocità (non è una delle curiosità moderne quella dei «fanciulli-prodigio», o dei giovanissimi atleti, o artisti, o scienziati, o eroi, che, superando gli indugi dello sviluppo e i ritmi del tempo, raggiungono in anticipo una pienezza naturale sbalorditiva?); e sembra un fenomeno mirabile per la ricchezza di doni soprannaturali, che l’acerbità stessa dell’età mette in evidenza. Chi non ricorda, ad esempio (e restiamo nel giardino femminile), l’elogio di S. Ambrogio per Agnese, la giovinetta vergine e martire da lui magnificata: «Ella, come si narra, aveva dodici anni quando subì il martirio» (Haec duodecim annorum martyrium fecisse traditur - De virgin. 1, 7).
Voi Bolognesi, subito in Cuor vostro commentate: anche la nostra beata Imelda Lambertini, fiore della santa Eucaristia, aveva tredici anni. Potremmo ricordare che Giovanna d’Arco chiuse la sua vita avventurosa, mistica, militare ed eroica a diciannove anni, A trentatré Santa Caterina da Siena. E Santa Bartolomea Capitanio, ch’ebbe una vita sotto molti aspetti simile alla nostra Clelia Barbieri, pochi decenni prima, meritò ella pure d’essere fondatrice d’una fiorente famiglia religiosa nel breve spazio di ventisei anni. Ricordiamo tutti che S. Teresa del Bambin Gesù mori a ventiquattro anni. Potremmo continuare. Ma ora ci basta fermare lo sguardo sulla nostra Beata, traendo conferma dalla brevità stessa del suo passaggio nel tempo che la santità, anche quella meritevole del suffragio ufficiale della Chiesa, è possibile alla gioventù; ed inoltre, a tutto ben considerare, quando i carismi della grazia e l’intelligenza del Vangelo le siano assicurati, potremmo dire che meglio si addice la perfezione cristiana alla giovane età che non ad altro periodo dell’umana esistenza.
CRISTO NEI SUOI SEGUACI PIÙ GENEROSI E FEDELI
Ma la giovane età segna indubbiamente un limite di piccolezza, se non al valore, alla storia d’una breve vita. Ed altro limite riscontriamo in Clelia nella scena umana in cui quella vita si svolge: l’umiltà dell’ambiente, quello d’una modesta ed ignota Parrocchia rurale, le Budrie di S. Giovanni in Persiceto, dove all’occhio curioso di valori culturali e civili nulla appare di notevole, e dove invece è giustamente notata la deficienza economica e sociale, propria delle popolazioni rurali di quel tempo.
Certo, un occhio più attento ai valori morali e religiosi può scoprire le meraviglie di quel quadro umano, in cui la nostra civiltà cristiana ha modellato, composto, ornato il costume degnissimo dell’umile gente, dove la laboriosità, la sobrietà, l’onestà, la modestia, la bontà, il senso del dovere, il timor di Dio, il rispetto per tutti sono così penetrati nella mentalità e nelle abitudini della tranquilla e travagliata popolazione contadina da trarne stupendi e quasi campestri fiori di gentilezza, di abnegazione, di candida semplicità, di sensibilità morale, di spiritualità cristiana, che indarno cercheremmo in tanti altri ambienti più evoluti, e ormai prevalenti nella nostra moderna società. Occorre finezza manzoniana per apprezzare simile scena, gusto francescano, e, diciamo pure, senso evangelico.
Ma la piccolezza rimane la misura del quadro, anche sotto un altro aspetto, che, per altro verso, grandeggia di meravigliosa irradiazione spirituale, vogliamo dire quello della vita religiosa. Anche questa è semplice, popolare e ordinaria; essa è formata alle fonti più accessibili della preghiera comune; alimentata da letture che di poco si estendono oltre i primi elementi della dottrina cristiana, e dal Manuale di Filotea, allora assai in voga, del Can. Riva di Milano. Suoi maestri sono due Parroci di campagna, magnifici Sacerdoti, ottimi pastori, assai virtuosi, il Setanassi e il Guidi, ma entrambi senza pretese di vasta cultura e di pensiero originale. Anche il nome, che definirà la Famiglia religiosa fondata da Clelia Barbieri, metterà in evidenza la dimensione scelta, sull’esempio e in onore d’un grande umilissimo Santo, Francesco da Paola, per caratterizzare l’istituzione delle «Suore Minime dell’Addolorata». Minime.
Ma questa esatta impressione di piccolezza non dice tutto della nuova Beata, anzi non dice le ragioni dell’esaltazione, che meritamente la Chiesa oggi le tributa. Un’altra impressione succede, quella della scoperta. Avviene spesso nella vita dei Santi. I titoli della loro vera personalità bisogna scoprirli, e perciò bisogna cercarli. Quelli che credono che la santità abbia come manifestazione ordinaria il miracolo spesso si illudono. Il miracolo potrà verificarsi, e costituire il segno di virtù e di carismi straordinari, e quindi santità meritevole di speciale onore e di fiducioso credito. Ma questa santità dev’essere cercata in altre sue manifestazioni, le quali esigono nell’osservatore particolari condizioni di spirito, che sono poi quelle che da un lato rendono a lui benefico il culto dei Santi e dall’altro lo giustificano; cioè dev’essere cercata nella somiglianza, che il Santo riflette su di sé, di Cristo, il modello, il maestro, il vero Santo. Il culto dei Santi è una ricerca di Cristo in alcuni suoi seguaci, più fedeli e più favoriti.
LA VIA REGALE DELLA NUOVA CITTADINA DEL CIELO
E allora pare a Noi di riudire la voce del Signore fare l’apologia dei suoi eletti; ed ora di questa sua fedelissima Beata; la voce, diciamo, di Lui, rimpicciolito perfino sotto il nostro livello (cfr. Phil. Ph 2,7-8), di Lui, fattosi povero quand’era la ricchezza stessa (cfr. 2Co 8,9), diventato fratello a tutti noi per essersi definito «il Figlio dell’uomo» (Mt 8,20 ecc.) e ritenuto socialmente il «Figlio del fabbro» (Mt 13,55); di Lui, che effondendo al Padre l’amarezza e la dolcezza insieme del suo cuore, posto a contatto con gli uomini ribelli e con quelli fedeli, svela il piano segreto della sua rivelazione: «Io Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai dotti e ai sapienti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così Ti è piaciuto!» (Mt 11,25-26).
IL CANDORE DELL’ANIMA FONDAMENTO D’OGNI EROISMO
E dove Ci conduce la Nostra ricerca di Cristo nella Beata di cui appunto stiamo celebrando la somiglianza con Cristo, sulla quale la Chiesa fonda la sua certezza di dichiararla cittadina del Cielo? Oh! se Noi abbiamo avuto una prima impressione di piccolezza, adesso, ravvisando nell’umile sua figura, nella breve sua vita, nella silenziosa sua opera i tratti del volto evangelico del Signore, un’impressione di ‘meraviglia e di letizia in Noi, un’impressione di bellezza e un’impressione di grandezza invece a lei relative inonderebbero il Nostro animo, se volessimo soffermarci ad uno studio così delicato e così attraente, cioè se volessimo tessere l’elogio della Beata o narrarne la biografia. Altri, e primo fra questi un’alta figura di Pastore, il Cardinale Gusmini, Arcivescovo di Bologna, dal 1914 al 1921, lo hanno fatto, e voi che Ci ascoltate tutto sapete in proposito; né più vi diremo, se non per confidarvi, correndo, ciò che al Nostro spirito ha recato maggiore edificazione, e più benefico incanto, mentre, in ordine a questa beatificazione, C’informavamo della Serva di Dio da dichiarare Beata.
Piacque specialmente a Noi l’innocenza di questa singolare creatura, quella purità che lascia trasparire nel volto e negli atti il candore interiore; il candore, che suppone ed alimenta un continuo, quasi connaturato colloquio con quel Dio meglio conosciuto per via d’amore, che di ansiosa speculazione; Ci pareva d’ascoltare S. Agostino ragionare della verginità: «in carne corruptibili incorruptionis perpetua meditatio» (De sancta Virg., c. 13; P. L. 40, 401), una meditazione continua della Purezza incorrotta in un essere tuttora corruttibile. E da così limpida bellezza Ci pareva ovvio di vedere sgorgare una bontà semplice, affettuosa, attraente; quella che quasi spontaneamente dapprima, e poi urgentemente cercò di farsi indotta e sapiente maestra comunicativa del proprio interiore tesoro di amorosa verità e di sperimentare, fino alla dedizione materna, incantevole in una così giovane vita, l’ansia di servire la propria Parrocchia, di educare gli altri, di formarsi un cerchio di sorelle e di amiche, con cui pregare e lavorare, e poi costituirsi in «ritiro», in cenacolo religioso qualificato all’orazione e al servizio dei poveri e dei sofferenti, come appunto fanno le figlie di Clelia Barbieri, le ottime Suore Minime dell’Addolorata.
PARTECIPAZIONE PATERNA ALLA ESULTANZA DI BOLOGNA
Godiamone tutti. Voi, sì, per prime, Suore pie e gentili, che traducete in opere di carità lo spirito della Beata; voi, che date testimonianza di ciò che può in una comunità ecclesiale l’esempio, l’ardore, l’azione della gioventù femminile affascinata dal volto di Cristo, trasportata dalla sua grazia e compresa di quanti bisogni soffrono i fratelli e di quanto bene essi siano capaci rincorrendo, lo slancio giovanile della purezza apostolica; voi, che offrendo al Signore la vostra vita tutto perdete e tutto guadagnate nell’esercizio assiduo ed eroico della carità.
E goda Bologna di questa sua Figlia, che la Chiesa celebra nell’ineffabile gloria del misterioso mondo celeste, e solleva davanti a quello terrestre come degna di ammirazione, d’imitazione, di fiducia. Noi sentiamo il dovere di congratularci con Lei, caro e venerato Signor Cardinale Lercaro, che per il compimento dei voti rivolti a questa gloriosa giornata ha prodigato le sue cure sagge ed assidue, e che può ben allietarsi di vedere oggi coronato col suo il desiderio dell’amatissima Arcidiocesi Bolognese. E sentiamo il bisogno di condividere con Bologna e con il suo presente e degno Arcivescovo Monsignor Poma la gioia di vedere questo nuovo fiore di fede e di santità testimoniare la perenne e moderna vitalità d’una secolare tradizione cattolica, che in Clelia Barbieri attesta le antiche virtù d’un popolo forte e cristiano, e dice al mondo come ancor oggi il Vangelo, ed oggi più che mai, si manifesta non solo sensibile e comprensivo degli umani bisogni, ma là, dove la giustizia, dove la fratellanza, dove l’indigenza reclamano chi li soccorra e li serva con pieno e silenzioso sacrificio di sé, esso, il Vangelo, ha pronto un suo dono generoso e misterioso di vite consacrate ed immolate.
Ed il Nostro invito a godere dell’avvenimento, che oggi è stato celebrato, vuol essere espresso a quanti sono qua accorsi per essere non solo spettatori, ma partecipi: tali sono certo le Autorità civili e politiche di Bologna e della terra emiliana e romagnola, alle quali siamo lieti, nel nome di Clelia Barbieri, di porgere il Nostro deferente saluto ed il Nostro voto augurale di prosperità e di pace.
PREZIOSI INSEGNAMENTI PER TUTTI I DISCEPOLI DI CRISTO
Così salutiamo le personalità ecclesiastiche del Clero Bolognese, Mons. Vicario Generale, i Reverendi Canonici e i Parroci della Città e dell’Arcidiocesi, fra questi quelli specialmente delle Budrie, e di San Giovanni in Persiceto, i rappresentanti del Laicato cattolico, i parenti ed i congiunti della nuova Beata e quelli che hanno goduto della sua miracolosa intercessione; e poi tutti i pellegrini e i visitatori e i fedeli presenti d’ogni provenienza, affinché abbiano tutti nella Nostra riconoscente e paterna benedizione il pegno della protezione della nuova celeste cittadina e sentano tutti, con l’impegno ch’ella ci affida a seguirne gli esempi e a tenerne desto lo spirito, l’impulso gioioso degli interiori carismi capace di rendere possibile e facile e felice la moderna militante sequela di Cristo.
Ma non possiamo congedarci da questa entusiasmante assemblea senza rivolgere un pensiero specialissimo ai gruppi di Alunni, con i loro Superiori e Maestri, dei vari Seminari, che abbiamo la fortuna di vedere d’intorno a Noi, specialmente quelli del Seminario Regionale «Benedetto XV» delle Diocesi di Bologna, Ravenna, Bertinoro, Cesena, Comacchio, Forlì, Sarsina, Rimini e Montefeltro, le quali così salutiamo nei pegni più preziosi delle loro spirituali speranze; poi quelli del Seminario arcivescovile di Bologna; quelli dell’«Onarmo»; quelli del Pre-seminario di Borgo Capanne; e quanti altri nelle rispettive Diocesi, nella Nostra di Roma ovviamente, ovvero nelle loro Famiglie religiose, maschili e femminili, si preparano a far dono a Cristo e alla sua Chiesa, della loro freschissima vita. A voi, giovani, l’augurio che possiate pienamente godere della presente glorificazione dell’umile virtù; a voi, l’esortazione che abbiate l’intuito sapiente di ciò che oggi più occorre alla Chiesa e alla moderna società, il fatto esistenziale cioè della santità.
Di santi ha bisogno la Chiesa, di santi il mondo. Di santi, diciamo, dei quali l’imitazione di Cristo e la tradizione ecclesiastica c’insegnano le vie aspre e soavi; di santi, che nel tumulto delle esperienze moderne, delle ideologie correnti, delle contestazioni di moda, sanno essere, ad un tempo, personali e sociali, liberi cioè dal mimetismo collettivo, e spontaneamente, fermamente consacrati al servizio di Dio e dei fratelli. Fate, carissimi figli, della vostra vita un esperimento totale di santità; non fermatevi a metà, non contentatevi di compromessi mediocri, non lasciatevi suggestionare dalle formidabili fatuità di cui è piena la nostra atmosfera; siate veramente discepoli del Maestro, veramente membra vive ed operanti della Chiesa di Dio, veramente esaltati ed umili della vostra scelta, fra tutte la più difficile e fra tutte la più dolce, fra tutte l’ottima per la vita presente e quella futura, la scelta della santità. Così vi parli nel cuore la nuova Beata; così vi attragga e vi avvalori quel Cristo nostro Signore di cui oggi, celebrando la festa della sua regalità, la Chiesa ci ricorda essere Lui l’unico a orientare le nostre speranze, l’unico a unire i nostri cuori, l’unico a salvare i nostri destini.
B. Paolo VI Omelie 61068